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Imparerņ a proteggermi.

Post n°161 pubblicato il 01 Novembre 2015 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Cammina in quel sole.

Cammina soltanto. E' sempre più difficile filtrare gli stimoli e proteggersi, perché non ho ancora imparato a fare il duro, ad essere burbero. Mi manca la buccia spessa, la sto ancora fabbricando. La sto tessendo su misura ma ci vuole tempo, non è ancora pronta, tra un pezzo e l'altro ci sono buchi e cuciture a vista.

Ce l'ho solo sopra le cicatrici, è cresciuta solo li, sono pezzi imbastiti a mano, la coperta intera non mi ripara che solamente qui e là. Perciò cerco di muovermi su strade sicure, mi scopro abitudinario che peggiora giorno per giorno, come ogni sistema chimico fisico tendo a rimanere nello stato di minore energia possibile: spostarmi da li comporta fatica e concentrazione. L'avventura per me è una persona, dentro la sua vita mi sono finalmente tuffato; dopo averci pensato per dieci anni sono riuscito a lasciarmi andare e non è stato facile. Il brivido che muove i miei passi adesso è lei, io da solo non sarei in grado. Perciò avventuriero lo sono pure io in fondo; ho lasciato che la metà più importante di me prendesse la mia mano e mi portasse dove non avrei mai immaginato di arrivare, ben più lontano da dove la mia aderenza alla fisica del divano della vita mi avrebbe lasciato ad invecchiare. Ecco quindi che busso alla porta di emozioni che sembravano abitare lontano e che invece erano ampiamente alla mia portata.

Bastava salire in macchina e lasciar guidare lei.

E' andato avanti così il mio viaggio, quando sembrava destinato a consumarsi nella routine, quando la mia dieta aveva i colori e i gusti che conoscevo da sempre.

Dopo di lei è arrivato anche lui, e pure allora il terrore era l'unico scuotimento che avvertivo, incapace di respirare, saturato dalla perfetta consapevolezza dei miei limiti subito raggiunti come battiti affannosi dopo una corsa troppo breve.  

E anche li avevi ragione. L'esplorazione iniziava quella sera, una terra nuova fatta di rumori quadrupedi, occhi marroni espressivi ed intensi come la verità, emozioni antichissime che riaffioravano sepolte in chissà quale fondale lontano.

Non sento di dire grazie, perché amore è un concetto che riguarda la poesia, la realtà è ben più profonda e individuale, insiste ogni giorno su di noi.

L'amore non ha un copione.

Questa vita nuova a me sembra la vita dei grandi, però meglio. E' la casa che avevo immaginato da piccolo, ma più bella. E' il sapore delle cose che ci abbiamo messo dentro che è nuovo, diverso, personale. E' lo spazio che ci protegge e ci prepara per il mondo fuori, e' di noi solamente, lo abbiamo come adesso abbiamo un nome, un cuore e un tocco solo.

Per proteggermi ora ci vuole più buccia, perché sono arrivato molto lontano.

Ho più strada in queste gambe di quanta ne avrei mai avuta senza te a soffiare sulle mie vele. Ho accettato il rischio e ora ho più sensibilità. Sono più esposto, sono più felice.

Adesso devo rinnovare il guardaroba.

La mia stagione è cambiata, mi servono abiti nuovi, mi volto e sei lì.

Essere grande è prima di tutto sentirsi grande, avere occhi nuovi, lividi mai guariti e timori inediti.

Io grande mi sento, oggi, perché passeggio con te. Mi sento grande perché abbiamo pianto insieme, abbiamo ragionato e immaginato presente e futuro.

Mi sento grande perché ho visto più nitido, perché ho scoperto quanto fragile sia la vita.

Mi sento un uomo, capisco adesso che la bellezza è armonia, che rinuncia è molto diverso da privazione: è una scelta come un'altra. L'abbraccio che mi tiene a te in questo hasapiko e' un'esperienza nuova che però mi appartiene già, mi guardo e sono io, ci guardano, si legano a noi nel ballo e nessuno torna a casa che è più quello di prima.

La dolcezza emersa è antica quanto la rabbia vissuta fino a pochi chilometri fa ma gli occhi sono nuovi; l'acqua su cui veleggio si fa più cristallina, si vede il fondale. Vedo nuotare grandi mammiferi, ogni genere di prede e predatori, tutto il respiro della vita che prima non immaginavo di avere sotto i miei piedi. Vedo abissi che ho abitato, dune morbide e vegetazione, vedo anfratti e distese.

Sono sull'acqua, ed è merito tuo.

Grazie a te vedo.

Ho paura ma sono commosso, tremo, rido e piango. Ogni cosa si muove solo perché viva, si sposta, respira.

Esiste.

Ogni istante vive, lo sento.

Tutto è qui, per la prima volta, ed è prezioso.

Nel sole del mattino un colombo entra, si posa sul pavimento e cammina soltanto, da solo. Si guarda attorno qualche istante ed esce dall'altra porta, lo stesso volatile che fino a ieri era la bestiaccia immonda che sporca prima ancora di vivere stasera è la goccia che stilla di vita, ed io devo farmi forza per non commuovermi e crollare.

Voleva solo stare al mondo.

Come tutti, soltanto essere.

Questo è accaduto.

Voglio essere uomo.

Imparerò a proteggermi.

Mi arriva tutto, finalmente entra tutto.

Imparerò a proteggermi, ma adesso no.

Adesso voglio essere uomo.

Ed è paura splendente e meravigliosa.

 
 
 

Quando il mare si alza.

Post n°160 pubblicato il 30 Ottobre 2014 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

 

Ho visto il mio cane tremare di paura.

Essere un uomo a volte è spaventoso. Non puoi conoscere tutto. L'effetto di ogni azione che si compie da un certo momento in poi non riguarda più solo la tua persona. Trovarsi puntati occhi terrorizzati, vedersi attraverso lo sguardo di chi ti sta vicino e capire solo allora di quanto diversa e violenta possa essere una parola, un gesto è un'esperienza scioccante. Tremava e neppure lo stavo sgridando. Tremava perché sentiva gli sportelli della cucina sbattere e le bestemmie prorompere senza possibilità né voglia di contenzione dalla mia bocca. Tremava perché gli oggetti colpivano muro e pavimento, perché capirsi non è facile, anche se è fondamentale. Sono anche questo, dentro il marito e l'uomo ci sono anche dolore e rabbia perché non tutto può funzionare se non si comunica, se non si va a fondo gli uni dentro gli altri. E fare ciò comporta fatica e delicatezza, che non sempre riesce al primo colpo. La pianta delle stanze di ciascuno contempla anche angoli bui e scivolosi, non è facile avventurarsi proprio ovunque, non si è sempre orgogliosi delle condizioni in cui versa il proprio scantinato. Ci chiudiamo i mostri, nello scantinato, sin da piccoli. Ci nascondiamo i vecchi oggetti che non vogliamo più tra i piedi, a prendere polvere e umidità, non importa di tinteggiarne le pareti o sistemarne i pavimenti. Nello scantinato della vita ci finisce ciò che non vogliamo più ma di cui non vogliamo - o non possiamo - disfarci del tutto. Ed oggi per me è stato scendere le scale buie e umide e vedere appesa la mia vecchia faccia che era ancora li, ritratta nella sua rabbia, il vecchio me che mi guardava cattivo e ghignante. Solo che non ero in cantina e quella faccia era appesa, si, ma dentro lo specchio. E poi è successo che ho guardato dentro un altro specchio che mi ha riportato indietro, alla luce.

Gli occhi di Stevie.

Erano terrorizzati e tristi. E lui tremava come non ho mai visto tremare un cane. In quell'istante ho capito quanta spazzatura ho raccolto e accumulato negli anni. Ho capito oggi che non posso spargere la mia immondizia per tutta la casa, ci ho messo una vita per diventare uomo, voglio esserlo anche quando arrivano terremoti e temporali. Ognuno ha già la propria, di discarica e non è facile gestirla per tutta l'esistenza e impedire che trabordi e contamini tutto e tutti quelli che si hanno intorno.

Ogni tanto riapro il mio immondezzaio, ma devo ricordarmi che non sono più il solo ad entrarci: varcare quella porta significa che si sporcheranno e potrebbero farsi male anche quelli che mi vogliono bene, perché non sempre sanno cosa ci ho messo dentro e dove sono tutte le cose taglienti, immonde e tossiche che ci ho sversato dentro.

Voglio mettere in sicurezza la discarica col mio nome, tenere sotto chiave rifiuti, mostri e il peggio in generale.

Si è uomini soprattutto quando il mare si alza e arriva il brutto tempo.

Voglio essere un uomo.

 

 

 
 
 

Il gusto, il tempo, la paura.

Post n°159 pubblicato il 23 Luglio 2013 da gizzoragno
Foto di gizzoragno


Accade che finalmente senta le cicale frinire, lungo la strada per il mare. Accade che i pensieri finiscano sotto la doccia dell'estate e che io, alla curva li in fondo, mi sia finalmente ricordato di essere vivo. Ho vissuto momenti pesanti, sono arrivate brutte notizie da ogni parte, ho concentrato la paura del dolore in pochi giorni. Ma il profumo della resina dei pini ha cambiato l'aria nelle mie stanze, è entrato di prepotenza il sole.

Il lavoro cambia, i problemi mutano di proporzione.

Riscopro quanto forte è il richiamo del mare su di me, la sua vita è in qualche modo la mia. Avvistare granchi aggrappati allo scoglio per la loro cena a base di alghe mi stira un sorriso lungo e inaspettato. Leggere di tartarughe marine a spasso per il golfo, di delfini che fanno festa ad un gozzo ligure, di pesci luna che sembrano mettersi in posa per le foto di rito sembra cronaca di altri dove. Invece accade qui, a un miglio dal mio terrazzo, e il respiro si fa più lento.

Sei tu, sei il mio senso di andare, il muoversi lento o burrascoso come il battito stesso dell'esistere. Sei il desiderio di terraferma sulla quale mettere piede per imparare a vivere. Sei la stessa idea che accosto al mare: paura e attrazione. Sei la sorpresa di volere andare contro ogni istinto di conservazione, lasciare la costa verso non sai mai veramente che cosa.

Questo il legame tra i miei elementi, l'incognita e il brivido di ballare con il mio oceano, per quanto piccolo esso sia.

Tu, l'acqua, il senso, il gusto. L'istinto di salire sulla zattera a tratteggiare la cartografia della mia vita ha vinto la comodità di leggerla sui libri da casa.

Un unico, invincibile richiamo, un ballo iniziato chissà quanto tempo fa.

Da imparare danzando, dentro il blu.

Lo stile non importa.

La mia grande avventura.

 

 

 
 
 

Lungo il resto della vita.

Post n°158 pubblicato il 29 Gennaio 2013 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Ad un tratto tutto mi fu chiaro.

Stavo sbagliando ogni mossa.

Stavo perdendo il mio tempo inseguendo sogni che non si sarebbero realizzati mai. Per colpa della paura fottuta di immaginare un qualche strozzo al collo come cane de guardia in un giardino troppo piccolo stavo perdendo l'amore. Mi stava scivolando via dalle dita come acqua del mare di Portovenere quando la bevemmo, insieme, travolti da una follia abbagliante e totale, quell'inverno.

Si sarebbe perso tutto nell'oceano informe della mia vita, non sarei mai più arrivato in tempo. La rimanenza di me sarebbe stata indistinguibile da tutto il resto, mai più avrebbe colmato le nostre mani per un unico, lunghissimo sorso sconvolgente. In quell'attimo, finalmente, capii chi eravamo. Figli di un unico mare, incontratisi come si possono incontrare molecole d'acqua perdute nel Mediterraneo, da qualche parte, scivolate via dagli scogli, appartenute al sole, fuggite con il vento.

In quel sorso c'era la risposta.

La mia sete finiva quel giorno.

Come un film mandato avanti veloce ho veduto il soggetto che stavo scrivendo d'improvviso interpretato da qualcun altro, le sequenze farsi meno interessanti, l'azione farsi più lontana, l'intensità scemare.

Un brivido, un sapore di sale come sangue, come carne.

Come mare.

E smisi i panni di me.

E fu solo vento, come il tuffo prima dell'ingresso in acqua.

Chiusi gli occhi.

Ma non c'era freddo, e l'impatto non arrivò mai.

Sono ancora qui a mezz'aria, incapace di immaginare il romanzo della nostra vita da qui in avanti, ad ascoltare il suono del tuo vento che spettina ribelle i miei capelli finalmente un po' più lunghi, che gioca con i miei vestiti.

Sono qui a respirare l'odore dei tuoi flutti che finalmente bagnano le mie coste, ora che so che solo non sono mai stato da quando sei apparsa a scivolare in gocce su di me che risalivo su dopo ogni tentativo di traversata.

Pensavo che il coraggio fosse lo strumento usato dagli uomini per affrontare imprese più grandi della forza di cui dispongono nelle braccia e dissolvere la paura di non riuscire o quella di perdere.

O di non tornare più a casa.

Forse è così, ognuno deve scoprire il proprio, di coraggio, ciascuno con i suoi oceani da attraversare.

Un tuffo, lungo il resto della vita.

 

Ad un tratto mi fu chiaro.

Dentro il mare di te.

 

 
 
 

Sparks.

Post n°157 pubblicato il 27 Gennaio 2013 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Uno corre per anni, prova, spinge, fatica. E poi in una riga, in un dialogo, in un romanzo qualunque trova la svolta, la tecnica mille e mille volte immaginata e mai scoperta, e le colonne d'Ercole vengono doppiate in agilità, tutto in un attimo. Forse è giusto così, uno deve prima misurarsi con i propri limiti, deve vestirsi di fatica, per addentrarsi dentro ogni disciplina. Ogni passione deve essere raggiunta con impegno e costanza, il desiderio di goderne i risultati quali che siano deve essere la scintilla che ci fa investire tempo, affrontare pioggia e vento, paure e pigrizie di ogni genere. Uscire dal perimetro di ciò che è consolidato è sempre un qualche tipo di scommessa, puoi scoprire che non è pane per i tuoi denti, che non ce la puoi fare a toccare quel che speravi, che l'approdo rimarrà molto lontano; può accadere che ti dovrai accontentare di ripiegare dopo poco in un porto più sicuro, dietro casa. E' scoprire se volere è potere, contro se stessi, anzi, contro l'idea che si ha di sè. E' facile maledirsi lungo la strada, bestemmiando per aver voluto tentare la sortita, tornando a casa zuppi di pioggia, infreddoliti sapendo che non ci sarà un'altra esperienza del genere, Mi è capitato spesso, di scoprirmi scarso, inadatto e di avere vissuto il desiderio di rintanarmi velocemente nella mia stanza; molte volte rabbia e frustrazione mi hanno mangiato vivo, per aver fallito un esame, un lavoro, un'amicizia.

L'amore.

Ho indossato come cappotti le delusioni conseguenti alle mie sconfitte, li ho indossati fino a quando non ci soffocavo dentro.

Poi li ho messi via.

Ed ogni volta che smettevo i panni dell'amarezza ricominciavo a sciogliere i muscoli per la nuova strada che mi aspettava, scaldando i pensieri con i ricordi e le cicatrici per evitare le stesse buche e trappole, quelle che mi sono trovato dentro.

Perciò tutto quanto ho messo nell'armadio adesso l'ho dato via, me ne ricordo l'odore, l'ingombro, il prezzo, ma ho imparato anche a liberamene quando ne avevo sfruttato  tutto ciò che mi poteva servire.

Oggi ho visto l'inverno farsi più piccolo e timido, cedere un altro centimetro.

La luce che illumina i miei passi è quella scintilla che ho acceso tanto tempo fa. Ne ho fatto tesoro, l'ho protetta, l'ho chiusa e ne ho avuto cura affinchè non si spegnesse. Fino a che non è divenuta fiamma, quella che alimenta, scalda e dà luce alla mia vita di oggi.

Così, a volte, dentro le pagine dalle quali uno meno si aspetta nella vita saltano fuori le risposte.

Un modo nuovo di correre, per ritrovarsi ad un altro livello.

Un modo nuovo di pensare, per raggiungere una nuova coscienza di sè.

Basta provare a cercare.

C'è tutto: è a portata di mano.

 

 
 
 

Ghisa.

Post n°156 pubblicato il 08 Dicembre 2012 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Frastornato, sbatacchiato, smosso come fronte franoso dopo l'ululato dell'inondazione. Così mi sento, questi sommovimenti porto dentro disgregati eppure compatti, come colpi di tosse mi scuotono tutto, non la do a bere a nessuno se racconto che non ho nulla.

In una sola settimana mi sono trovato davanti fantasmi e morti camminanti.

I primi muti hanno lasciato dietro sé lo sconforto per chi è rimasto e non ha fatto in tempo, i secondi inconsapevoli e perciò indomiti dentro i propri panni di cronisti della vita, a parlarmi di letteratura, a pensare al futuro quando futuro è già agli sgoccioli.

Questa la musica di questi giorni, mentre scavalco il mio compleanno e butto oltre il muro braccia gambe e cuore per un altro anno imprevedibile, con controcanto di auguri e sorrisi, da ogni parte, note di sentimenti semplici, immediati e sinceri, che mi si sono cucite addosso stendendo nelle stesse ore un sorriso sopra il mio cuore grondante emozioni.

La sensazione, che monta come onda giorno per giorno, di essere amati mista alla paura di perdere stima e affetto mi si spalanca davanti all'improvviso in forma di decine e decine di auguri piovuti da tutto il cielo che ho sopra la testa e anche da quello che non riesco a raggiungere.

E' stato bellissimo.

Ho sciolto alcune corazze, ma lo so soltanto io.

Ho lasciato entrare l'acqua dentro la mia muta non stagna, e con quell'acqua cosi a contatto ho scaldato la mia pelle per un giorno, sempre dentro il mare freddo di un inverno che si preannuncia rigido come un sergente divorziato e con figli a carico.

Ne riemergo adesso, per un paio di giorni di riposo, giusto il tempo di fare una doccia e stringere questi pensieri come portafortuna nella tasca, contento di averli abitati e portati via con me come souvenir.

Adesso posso uscire, mi preparo per il grande carnaio delle feste, con un paio di chili in più, che in fondo è probabile che tutti quei dischi in ghisa io li stia usando per parare qualche colpo.

Fin quando avrò forza per salire i gradini del ring della vita ho deciso che me la gioco.

A volte son schiaffoni, altre volte freddo, dolore, angoscia vanno al tappeto.

Come oggi.

Li ho fregati per un giorno.

Grazie a voi tutti.

 
 
 

Uomo.

Post n°155 pubblicato il 06 Novembre 2012 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Un poco d'aria in più, come buttare fuori il naso mentre la giostra va, ed eccomi qui un altro martedi a spendere il tempo correndo, parlando con un amico, facendo scorta di ossigeno e viveri per qualche giorno. Questi scampoli che spezzano la settimana sono proprio un toccasana, ho imparato a non fare programmi, ho imparato a tenere il tempo libero ogni attimo, se posso. Perciò niente corsi, niente appuntamenti, niente sveglie, come tornare ragazzini o studenti, secondo il ricordo migliore che ciascuno conserva di quel periodo. Un famoso attore definiva questo un 'rallentare la vita', e mi pare vesta a pennello le mie intenzioni. Un salto a trovarti, al lavoro, per un caffè. Ritrovare buona musica e portarla dentro mentre smetto i panni civili e metto quelli dello sportivo per sgranchirmi le gambine qualche chilometro,

Ogni pezzo di buona musica rimasto dentro è un pezzo di cuore che metti in circolo come neurotrasmettitore, pronto ad innescare tutto il sistema intracellulare di secondi messaggeri fino alla reazione fisica che aspettavi, ma che può modulare anche quella non prevista. Una parola, un pensiero, un'emozione sbucano fuori come reazioni innate alle circostanze o come istinti mai sopiti di gioia assoluta o rabbia feroce, solo un pelo addomesticati dagli anni.

Pensare agli incubi recenti potendosi permettere ancora di riderne perchè scomparsi al risveglio è un grande regalo, perciò eccomi a cenare dai miei, stasera come l'altra notte. Guardare la partita e tifare insieme, magari bestemmiando un po', dopo un paio di birrette, dopo cena, mi ricorda che non mi serviva arrampicarmi fin là, stavo bene già qui, seduto in riva al fosso.

Proprio come un ragazzino. Proprio come quando mi dicesti che certo che i Queen erano simpatici.

Sarà che anche quegli anni li, tutti vissuti nel raggio di cinquemila metri sembravano svaniti dentro la nebbia della superstrada, assordati dal ruggito della paura, bruciati dalle granate del dolore, spenti come i sorrisi messi in fondo all'armadio per cambiarli con la faccia da uomo per provare ad esser presi sul serio.

Sarà che le partite è bello giocarle in casa, con tutti i tuoi colori a fare il tifo sugli spalti, che fa sempre un po' meno freddo; sarà che la linea d'ombra che sembrava oramai proprio sotto le mie ruote oggi non è più la mia prossima uscita.

Sarà questo e tutto il resto.

Ma in giorni così rimango in pigiama a giocare in casa, sembra che il futuro sia ancora di là da arrivare, quello delle ansie, quello delle scelte importanti, quello che è sempre pesante come un cappotto a luglio.

Non c'è freddo, in questo primo pezzo di novembre, in casa c'è cibo, i compiti li ho finiti, in cucina la cena sta andando, sui fornelli, e un profumo di buono impregna tutti i miei pensieri. Non ho altri desideri, non ho paure. Il mondo è tutto qui stasera, anche se il telefono non ha più la ghiera ma batteria e display a colori, anche se Pallino non c'è più, anche se domani mattina torno a scuola.

 

Domattina mi sveglierò uomo, e userò parte di queste carezze ricevute per il prossimo temporale, sperando di aver capito come si fa.

Sperando di aver compreso finalmente la sguardo che si riserva a chi si ama.

Liberando il mio abbraccio per farci entrare tutta te.

 

Non più sola, a ballare con l'oceano.

 

 

 

 

 
 
 

Quel che resta.

Post n°154 pubblicato il 28 Ottobre 2012 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Fuori piove, ed io immagino come deve essere non sentire nè freddo, nè caldo, essere metallo come il telaio della mia bici legata la sotto, a portata di vista, che non si sa mai.

Ma di ferro non possiamo essere, solo possiamo provare a migliorare, per durare più a lungo contro le intemperie. Di mille giorni di sole ne basta poi qualcuno di cattivo tempo per ritrovarsi a resistere, per ragionare nuovamente sulla tempra di cui siamo fatti, tornare indietro col pensiero e fare nuove previsioni per il futuro. Ogni volta a negoziare di nuovo il mutuo della propria vita, rivalutarlo sulle proprie forze, appoggiarlo alle speranze rimaste.

Ma sempre andiamo avanti, ogni attività dell'uomo è obbligata a non fermarsi, i chilometri percorsi non diminuiscono mai, non li si cancella percorrendoli all'indietro. Ogni passo quindi indelebile, come un tatuaggio, a ricordare come siamo stati quando saremo già diversi, tra un momento soltanto.

Tornare a casa, lasciando la spazzatura sul pianerottolo, a preoccuparsene da domani solamente. Questo oggi per me non è poco, è la fortezza che ho costruito un mattone per volta.

La mia vita non è un romanzo, ma la leggo in diretta mentre la scrivo, la immagino e la tengo per il suo timone, raddrizzandone la sbandata quando inizia a prendere una rotta sbagliata. E ci vuole tutta, a questa età, a tenere la barra, una volta che si è scelta la direzione.

E devi scegliere.

Devi scegliere, i gusti, gli studi, i colori, i vestiti.

Le parole, sempre.

Cresci scegliendo, scegliendo cresci.

Ognuno ha il proprio filo del rasoio sul quale muoversi, in bilico perenne tra sogni e realtà.

Ciascuno è il filtro dei propri sogni, è egli stesso il primo responsabile della loro trasposizione in verità. E la verità è sempre una a testa.

Dentro la verità di chi sei ci stanno tutti e nessuno.

Sei tu che decidi.

Così uno scopre ogni cosa passeggiando intorno fuori dal portone per le vie, a giri sempre più larghi ogni volta.

Io l'ho fatto, il mio giro, fin dove non mi tornavano più i conti, fin quando mi son domandato che ci facevo lì, così lontano da casa.

Ho deciso di tornare e far pace con tutti, con me per primo.

Non dovevo scuse a nessuno, solo dovevo perdonare a me stesso una parte dei miei sogni, mentre un'altra fetta era evaporata via con gli anni strappati dal calendario.

Quel che restava aveva presentato il conto ed io in fila, in banca, ho pagato.

Rimango con un filo, da seguire, per non perdere il timone di un gozzo che oramai mi sogno pure la notte.

Come se non fossi più grande di un gozzo, io, come se il sogno di solcare il mare della mia vita si sia rimpicciolito alle dimensioni di un gozzo, proprio come quello che mi aspetta tutta l'estate sul pontile, per portarmi in giro. L'analogia con Pippo (si chiama così il mio gozzetto) è quasi perfetta: sicurezza limitata, quattro posti scomodi, velocità di crociera cinque nodi, maneggevolezza da dimensioni ridotte, poche occasioni per uscire in mare.

Esattamente la quel che resta di rock nella mia vita.

Ma intanto resta qualcosa.

E resto io. Vivo.

Così capita di sentirsi, un giorno strano di inizio inverno, con il ticchettare della grandine che assomiglia a quello di un motore, che si raffredda di ingranaggi, attriti, e pensieri fino e che si può aprire il cofano e dare un'occhiata.

 

Adesso, posso tornare a casa.

Da te.

 

 
 
 

Uguale e contraria.

Post n°153 pubblicato il 02 Ottobre 2012 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

 

Spegnere le distrazioni, ritornare dentro sé. Raccogliere negli occhi colori familiari, decidere di essere più presenti nella vita, in generale. Ricominciare con la musica, aprendole le porte, lasciandole spazio nella nostra camera, spolverare i sogni di rock'n' roll della domenica solo perché si è finalmente deciso di farlo. Decidere è l'azione importante, le altre a seguire. Ritornare per strada oggi ha un sapore diverso, ma solo un po'. Ho inseguito le comodità fino a rischiare di sentirmene prigioniero, anestetizzato, perciò racconto oggi questi risvegli come di sogni interrotti per un accesso di fame nella notte. Per questo motivo l'affievolirsi del gusto, l'uniformità dei giorni che appiattisce i segnali e noi che inseguiamo una libertà che va ritrovata prima dentro sé. Non c'è molto da scoprire là fuori se non si preparano gli spazi da riempire.

Stavo correndo e pensavo proprio a questo, che la mia esistenza così vincolata nello spazio di pochi chilometri somigliava ad una gabbia, solo più grande di quella di un carcere. Le mie finestre per evadere sono sempre le stesse: l'arte che mi porto dietro. Quella che ha scritto il suo nome negli angoli del mio pensiero, la stessa che ha ormai imbrattato tutto. Ho muri grondanti parole e suoni, quelli che mi chiudono dentro il pezzo di mondo che posso calpestare; ne scarico un poco alla volta il peso scappando lungo il mare più veloce che posso, o sfiatandone la forza e i desideri su una pagina elettronica, faticando ad immaginare una storia.

Arrancando verso un'idea, per dare vita ad uno spazio che invece non arriva.

Spingendo il giorno ai suoi confini per riparare al consumo eccessivo che viene fatto di me ogni giorno.

Faccio il tramite tra chimica e filosofia. Ho iniziato come trasmutatore di materia, molto ho ricevuto ed infine ho dissetato la necessità di comprendere, almeno un po', certi funzionamenti del reale che ho intorno. Oggi molti di questi meccanismi, oscuri ai più, li ho fatti miei, li posso trasformare in soluzioni ai problemi, sono un attore nel bel pieno del primo tempo. La pellicola va avanti, si recita truccati e vestiti di tutto punto, ma nessuno ha il copione: solo una traccia, per andare avanti.

E allora via così, un po' piano, un po' veloce, a ridere un minuto e tormentarsi per anni, a salutare chi è arrivato e chi si prepara per andare. Tutto un locale con un dj impazzito, la vita che vestiamo. A fiuto, sentendo la strada sotto i piedi e gli ostacoli con le mani, nel buio, scegliendo un guard rail a cui tenersi vicini per decidere dove svoltare, quando è tempo di svoltare.

Non diverso io, vado fin dove i muri col mio nome disegnano le strade. Fermando il passo in prossimità di ponti incerti e malconci non ancora battuti da piede amico, sempre timoroso per istinto. Nemico primo della mia stessa biografia, estintore delle fiamme della mia felicità, alito freddo sui bengala sparati in cielo preludio dei fuochi d'artificio del gran galà... sempre io.

Combattente speculare.

Forza uguale e contraria.

 
 
 

Ballo con l'oceano.

Post n°152 pubblicato il 27 Settembre 2012 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Qualche volta ritrovi gli oggetti, ricevi ringraziamenti, strette di mano; altre volte invece vengono ritrovanati i tuoi stessi oggetti, smarriti, e ringrazi a tua volta. E in questa equalizzazione della vita, con i suoi alti, i bassi, tutto si alterna.

Le notizie, i ritmi, i sorrisi e le preoccupazioni.

La vita è fatta per essere vissuta, non per essere pensata, diceva quello. Perciò la novità che dopo trent'anni è arrivata impone decisioni. Si chiude un angolo rimasto fuori dal tempo, con il mio gozzo non autosvuotante che richiede interventi, chissà perchè mi sorprende, e da stamattina non penso ad altro. Fortunatamente non ho altro a cui dover pensare, sembra. Così, di conseguenza ripenso ai tempi in cui mi incollavo col pensiero al lavoro anche quando ero a casa per l'influenza o per normale e meritato riposo. Non tutto viene per nuocere, si sa, e oggi lo sperimento. Tutto intorno a noi parla di convenienza e opportunità, perchè resistere allora? Ognuno pensi a sè, al suo meglio. Non si cambia maglia per niente, ci sono sempre molti motivi.

Oggi mentre lasciavo correre sotto le gambe i chilometri che mi sono concesso pensavo che è una questione di coraggio, vivere. Dipende se credi nella tua testa, nelle tue mani, nel tuo ragionare. La scelta è parte sempre presente del passo di ciascuno di noi, dipende quanto ascolto le diamo. Ogni novità porta incognita, e sfida. Non si può passare la vita in casa, non ci si può allenare per sempre. La partita è oggi. Ma sono stati della mente che uno raggiunge oppure no. Una volta che transvoli l'oceano il mondo diventa più piccolo. Ad ogni pausa il lavorio a giri bassi della mente umana si riprende le risorse normalmente destinate al giorno ed alle sue fatiche e mette in produzione le idee. In questo modo la vita e i suoi desideri tornano a colorare il cielo sopra la testa, lo stesso cielo rabbuiato da tutte le menate che vecchi, giovani, animali con il loro abbaiare a vuoto rovinano fino a farci dimenticare di alzare lo sguardo.

Siamo gente normale, l'ho sempre saputo, non ho scelto mai diversamente. Sempre per quella storia del coraggio, che torna a farsi sentire quando l'urgenza supera la fame e la sete. Quando l'occasione si avvicina, il fiuto sguinzagliato nell'aria prima o poi l'annuncio giusto lo trova.

Il cambiamento ricorrente come unico mezzo per avvicinarsi all'opera che hai dentro. Ogni svolta una finezza a quella linea da rifinire, un millimetro più vicino all'anima ed ai suoi sogni.

Immaginare e immaginare ancora, non permettere a nulla di esaurire i tramonti, non lasciare sfuggire le albe, non evitare gli acquazzoni di note, inseguire come aquilone il soffio d'aria di colori e forme, e danzare ancora con esso.

Di questo parlo, a me stesso, rincorrendo pensieri di mare, di linee scritte, per restituire quanto ho ricevuto da sempre, l'armonia e le guerre che, come tutti, porto dentro. La mia versione dell'immortalità, banale, solo per cominciare. Vedersi avanti qualche anno, con mani ed occhi pieni, le parole ritrovate, il sorriso pure.

Ad ogni noia più anziana in forma di settantenne sorridere, meglio di adesso, per la tenerezza di vedere un' essenza andata giù dallo scarico della vita, come acqua sprecata poco per volta.

Uno con un tatuaggio 'rock' sulla pancia non molla.

Ballo con l'oceano

 
 
 

la mia versione dell'immortalitą.

Post n°151 pubblicato il 17 Agosto 2012 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Capita di pensare alla velocità che ti dai nella vita. Ognuno alla fine ha la propria, basta osservare bene, è proprio una questione di velocità. E pian piano vengono fuori le paure di ognuno, le passioni, il carattere, i vuoti mai colmati. Ogni gesto è consumato a velocità diversa, e racconta di te, mi dice quello che le tue parole non riescono. Il modo di camminare, quello di correre, quello di guidare, di mangiare sono tutti vibrati da una velocità propria, innata o sviluppata nel tempo. Molte piccole paure sono dietro quei gesti, incapacità o estrema sicurezza mi arrivano come se tratteggiassi un dipinto.

Penso a questo, mentre mi tuffo in un mare inedito di felicità guadagnata a colpi di mare grosso, terrore inghiottito a forza e incoscienza figlia della stanchezza. Guadagnata oggi la baia con le acque un po' più calme guardo ora l'orizzonte senza paura, forse ho passato la mia linea d'ombra. Forse per questo sorrido al vento, al sole, alla vita tutta. Il distacco di quando ti senti uomo, la tua prima notte di sesso, la prima maratona, il primo volo transcontinentale. La calma che ti avvolge quando suona la fine del round e sei ancora tutto intero. La paura negli occhi dell'avversario grida il tuo valore.

Sconfitto il tempo, sconfitte le distanze, più forti della pioggia e del sole siamo andati sempre avanti.

Sempre.

Il prezzo è sempre caro, ma si può fare. Ogni cosa di valore nella vita costa. Le vie che percorriamo prendono a volte sterzate inaspettate con noi sopra, portandoci su strade non tracciate dai nostri gps, improvvise e repentine ci sparano via facendoci illudere di esserci persi. Proprio in quei momenti capita di scoprire le risorse che abbiamo nascoste ovunque, nei taschini mai aperti o nel portamonete, nella mente o nelle nostre mani per portare a casa la pelle. Ed ogni volta si gonfia il petto, si alza lo sguardo e si pensa che ce l'abbiamo fatta, è stata dura ma ce l'abbiamo fatta.

Anche questa volta ci abbiamo cavato le gambe. Non avevamo scelto nulla di quanto è arrivato, ci siamo trovati in mezzo, e siamo stati in gamba, proprio. Non mi ero reso conto delle conseguenze che questa tempesta avrebbe lasciato su di me.

Sono più forte ancora.

Ho sconfitto il terremoto.

Ho sconfitto la paura.

Ho sepolto il panico,

Ho cavalcato respiri profondi,

Ho pianto per emozioni lontanissime tra loro.

Non ero mai solo, mai in un momento mi sono sentito solo.

Oggi guardo con occhi nuovi tutto intorno a me e la mia città è un posto nuovo.

La mia vita è un vestito nuovo, non lo avevo mai indossato così.

E' un sorriso che si allarga senza vergogna, sfrontato e irriverente.

Ho paure più piccole e luci più grandi dentro, come se l'ago dei piatti della bilancia della mia vita si fosse spostato decisamente verso la felicità.

Non so se sono in debito con qualcuno, io non sento nulla, neppure rabbia per come accadono le cose.

Posso solo ricordare chi c'era in quelle settimane, dedicarmi a chi c'è oggi, accanto, raccogliere i sorrisi che mi avete regalato, i baci, gli abbracci, la forza tutta,

E trasformare tutto nel mio primo tatuaggio. Li sottopelle c'è tutto.

La mia versione dell'immortalità.

 
 
 

Cosi lontano, cosģ vicino.

Post n°150 pubblicato il 01 Agosto 2012 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

 

Cerco di trattenere un po' questo spirito libero, lascio che soffi dentro me come una brezza di aprile, a rinfrescare le mie pareti. Mi prendo il tempo e me lo vivo come fossi in vacanza, gli lascio arieggiare i pensieri, me lo godo un po'. Spazza via la coltre dei pensieri, mi ricorda di giocare, di uscire, di correre. Bussa alla mia porta per andare a giocare in cortile con la vita. Mi svuota le tasche di zavorre. Si può riconoscere una stagione nuova, se la si lascia entrare. Basta aprire gli scuri, far riposare l'organo più logoro che abbiamo, la mente, e ragionare per sensazioni. Ritrovar se stessi è questione di poco se se ne ha la possibilità. Un miope sa che dopo una giornata senza occhiali poi la sera, quando li si inforcano di nuovo, ci si vede meglio. E camminare anche sempre le solite strade non è poi per forza noioso, anche del rumore del mare ci si può stancare; è sentire che si dà il proprio ritmo alle cose intorno. Il lavoro stesso cambia, la realtà è diversa secondo la focale con cui la si guarda. Questa la strada, una cura, un nuovo paio di occhi per me con cui cammino, parlo e sorrido. Ho più appetito, ho più voglia, in generale, di tutto. Porto dentro un sole che ho ricevuto sulla pelle, ho asciugato le ossa, è finita l'influenza.

Sono qui, ma in questo posto nuovo.

Così lontano, così vicino.

 
 
 

Sarą un bel souvenir.

Post n°149 pubblicato il 01 Agosto 2012 da gizzoragno

 

Accade sempre uguale, ogni viaggio. Non si può fuggire dalla propria vita, per cambiarla occorrono impegno, fatica, determinazione quotidiani, applicati in ogni dettaglio. Su quella nave l'idea di tatuare la roccia, sull'isola un altro respiro che sembrava di imbiancare me stesso dopo anni: non ricordavo di avere quel bel bianco sotto la patina di grigio dei pensieri. C'è poco da fare, se uno ha un cuore e gli lascia un po' di guinzaglio riscopre i sui stessi battiti, spolvera le sue ossa, si riavvicina a sè. Così accade che impieghi un'ora per scegliere uno stupido bracciale di cuoio come souvenir, solo perchè finalmente compri un po' di tempo per te, lo paghi per cullarti un po', finalmente. Se esistesse un signor Tempo bisognerebbe tenersi in contatto ed andare ospiti ogni tanto, il migliore dei partner possibili.

Cercare in ogni foto l'ultimo gradino verso la malinconia, consapevole che ogni scatto del dito è per te un modo di non rimanere sempre un passo indietro rispetto alla vita.

Emozionarsi per aver visto un rapace volteggiare sopra noi bagnanti, indisturbato e maestoso, noncurante e bellissimo.

Impregnare il naso di profumi, preparare la pelle al vento, correre sulla sabbia, dimenticare cha lavoro fai, pensare a cavalcare le onde. Pregustare una birra gelata, ascoltare i desideri del corpo, assecondarne gli appetiti, mentre fai fatica a ricordare chi sei.

Mi sono perso dentro il rumore del tuo mare, ne ho avuto anche paura, a tratti.

Ho voluto togliere i vestiti del freddo, ne era rimasta solo parte della roccia talmente dentro che ho voluto tatuarla addosso.

 
 
 

Sotto i miei occhi gonfi.

Post n°148 pubblicato il 23 Maggio 2012 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

 

Ci sono stagioni in cui molte cose sono anomale. Stagioni in cui il tempo meteorologico non segue il calendario, e guardiamo sospettosi, non ci fidiamo del prossimo.

Giorni in cui ti svegli, guardi fuori e non capisci se il freddo che ti mangia arriva da fuori o sale da dentro.

I colori vanno in sciopero, certi giorni, e i gusti riempiono la tavola a corrente alternata.

C'è poco da fare, mi riesce solo aspettare ricordando a me stesso che con i problemi, quelli veri, non puoi permetterti di aspettare, perchè non passano da soli. Perciò anche oggi, da casa, guardo fuori, aspetto che spiova. Mi tengo pronto per la prima mattina di sole, continuo a lavorare.

E poi accade che mentre attendi la stagione buona, mentre sei li che prepari il tuo migliore sorriso tocca salutare, per sempre, anche il gatto. Una goccia di vita che se ne va. La tua casa e la tua vita un po' più vuote, da oggi.

Così mi ritrovo, la solita musica in sottofondo, l'ultimo saluto commosso prima di inghiottire tutto con una manciata di forzata virilità, e di terra.

Mi manchi già, maledizione. Non ho capito bene come tu ci sia riuscito, a strozzare questo nodo in gola, ma così è per l'ultima carezza che ho ancora davanti agli occhi provo grande tristezza. L'ultimo saluto sempre il più difficile, a lasciarci lì, tu che non amavi gli spazi aperti, oggi hai tutta la vista dal tuo poggio, riparato, sotto la piccola quercia. Solo questo, che non ci hai dato tempo, siamo riusciti ad offrirti, ho pensato che fosse il gesto più dolce per poter un poco sapere sempre dove sei.

Ci lasci migliori, hai chiesto poco, e quel poco abbiamo cercato sempre di farti avere.

Ci hai regalato risate, tante, hai riempito casa mentre noi provavamo a spiccare il volo, mentre a turno si andava e si veniva.

Anche tu testimone di tempeste, grida, scossoni, spumante, fatiche abbracci ci guardavi, senza scomporti poi più di tanto. Ti bastava una acciuga, un fagiolino, il tuo mondo era tutto li.

Pian piano ti sei mescolato a casa, ed ora è un davvero più vuota, senza te.

Ci sei sempre stato.

Il tempo ti aveva reso più tenero, coccolone, chissà poi perchè.

Il tuo suono strappava le mie, di fusa.

Le tue impronte, allargavano il mio sorriso.

La tua voce, a ricordarci che eravamo tornati a casa.

Sempre, in tutti questi anni, non sempre facili, tu.

Ci hai visti fare le fusa, con te, e godevi, si vedeva. Sapevi che imbrattare il pavimento appena lavato zampettando allegramente era una sfida e che l'avresti passata liscia.

Gli agguati, i morsi, i salti, ora il vuoto, che tengo per me. Irritante adesso manchi qui da noi. Il senso per ora è il ricordo di te, non molto altro mi rimane, dopo l'ultima carezza sul muso, la più dolce, per tutti.

Per sempre.

Sei qui, e qui rimani, sotto i miei occhi gonfi.

 
 
 

Sogno.

Post n°147 pubblicato il 29 Aprile 2012 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Ho urgenza di credere in qualcosa. Mi sveglio e sento ossessivamente il bisogno di essere dentro la mia realtà, di avere un sogno. Ho vissuto finora con obiettivi, immaginando di raggiungere una certa tranquillità, di spegnere le prime urgenze personali, di mettere al sicuro il mio mondo costruito con i mattoncini LEGO un pezzo per volta. Oggi non mi basta più, qui intorno ho le sensazione di assistere da spettatore ad una messinscena, che se solo provo ad accedere dietro le quinte mi prendono a calci, pugni, male parole da farmi passare la voglia.

Leggo e rimango agganciato, moltissime sono le parole che mi scuotono; ovunque io posi lo sguardo all'orizzonte vedo paesaggi bruciati, spolpati della loro bellezza. Le piaghe sono qui, le cavallette hanno mangiato tutto con una voracità ben oltre la loro fame. Si sono prima attaccate a tutto quanto c'era di vagamente succoso per poi sciamare verso qualsiasi altro stelo commestibile ci fosse. Le abbiamo accettate come si accetta un castigo, ci hanno tolto cibo, prima mangiando quei raccolti lontani che non potevamo neppure sapere appartenessero a noi, ora sono arrivate qui. Sono l'onda di piena che tira via le fondamenta della tua abitazione, inarrestabile, da ogni direzione fino a lasciarti senza un posto che tu possa chiamare casa.

Ci hanno tolto un soldino alla volta il sorriso dallo sguardo, ma l'hanno fatto lentamente, dandoci in cambio a buon mercato tristi fotoromanzi, campionati truccati, macchine veloci per prendere più multe.

Dalle nostre foto di oggi si vede che anche il sapore delle cose è stato trasformato in informazioni digitali, il gusto reso inutile uguale per qualsiasi cosa si mangi.

Pieni di ossessioni per ogni idiozia, schiacciati dentro un gioco da tavola nel quale le piccole pedine siamo noi, non si può uscire dalle caselle, le regole le ha fatte qualcun altro.

E non si vince nulla.

Tutto un fumo dolciastro oggi ci riempie la bocca. Mastichiamo dimenticando che questo gusto era diverso, solo pochi anni fa. Il trucco è non farti provare dolore, tenerti la pancia piena, poi tutto può accadere e accade.

 

 Voglio guardare quella stella che fa luce, vederci riflesso il mio viso senza nostalgia, guardare i miei occhi e scoprirli ancora vivi.

Quegli occhi miei dieci anni fa che avevano un'idea da inseguire, un desiderio. Nelle vecchie foto questo mi colpisce sopra ogni altra cosa, uno sguardo con un sogno da realizzare. Allora era diventare uomo tramite il lavoro, trovare un posto nel mondo, tutto teso per farmi spazio. Senza strumenti, senza un soldo, senza un guardaroba solo io, chi mi voleva bene, e il mio sogno.

Nei miei occhi oggi voglio leggere che il futuro che porto dentro me cominci stasera, che sia un po' più profumato di quello che ci siamo fatti costruire intorno, e che sia reale. Fatto per tutti gli uomini, non per una piccola fetida porzione di loro.

 
 
 

Un uomo buono?

Post n°146 pubblicato il 19 Febbraio 2012 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Carico, trabocco di immagini ogni pomeriggio, contengo a malapena questi colori. Non dimentico quello che è stato finora, lo porto dentro, ogni pomeriggio lontano da te. Mi hanno detto che c'è bisogno di raccoglimento, per riuscire a scrivere, e forse è proprio così, o forse basta volerlo, come mangiare, come tutte la altre cose della vita. E mentre ascolto questa pioggia, e leggo le tue righe, resto indeciso, tra la paura per domani, l'incoscienza che salva questo presente ancora da cicala, e gli altri sentimenti da formica che mettono ordine al mio tempo, lo scandiscono un mattone sopra l'altro. Un mese che non corro, settimane che ci penso. Prima questa neve, questo freddo a ricordarci di quanto ancora siamo ridicoli, poi un raffreddore, poi un ritmo che cambia... adesso sono pronto, smetto di guardare fuori, mi vesto e vado.

Forse è così che dovrebbe essere.

Si passa buona parte della vita a prepararci, senza semplicemente partire. Non importa se sei allenato, vai col tuo passo. La distanza che copri la mangi solo così. E in tutto questo andare ancora mi meraviglio di un mare sotto i miei occhi, ogni mattina, anche se fugace e inavvicinabile. E immagino una barca, la mia, più semplice e spensierata al timone sotto la mia mano. E immagino che fare di tutto questo cuore, oltre che metterlo tutto intorno a me, anche al lavoro.

Ogni volta che aiuto concretamente mi sento un poco più pieno. In culo a tutti i divieti, in barba a tutti i terrori sparsi come tagliole intorno alla vita di ogni uomo di buona volontà.

Cerco parole, ascolto parole, continuamente, per placare la ricerca di un senso che sfugge come sabbia nelle mie mani.

Anche ora che scrivo, ripenso a tutti coloro le cui parole mi sono entrate dentro, mi hanno toccato, punto, solleticato, fatto male fino alla nausea. E li ringrazio, per quello che mi hanno dato.

Non è finita qui.

Una voce mi conduce all'altra, senza fine.

Questo ho visto non è cambiato mai, questo non lascio, neppure adesso, che mi spalmo sul divano di una comodità cercata fortemente.

Questa esigenza per me è al pari di mangiare, è una fame, laica, di spirito. Continuo a vagare, insisto a cercare anche, se posso, di fronte ad un raffreddore, o ad una sbucciatura, o all'instillazione di qualche goccia di collirio.

Mi bastano un sorriso, o occhi grati, e sono grato anche io per il lavoro che ho scelto.

Questo ho trovato, questo porto a casa. Il resto serve a gonfiare petto e spalle per tirare via le palle dalle mischie della vita.

E tutto quanto è sempre li, singhiozza accanto a te quando penso ai bambini, al domani.

Mi chiedo se già adesso resta un buon odore, di me, come uomo.

Mi chiedo se sono onesto fino in fondo da essere così presuntuoso di essere un uomo buono.

Oppure se sono proprio ridicolo solo per averlo pensato.

Mi chiedo se il dolore mio e del mondo in realtà non impesti già la mia pelle. Se, in fondo, le mie stanze chiuse sono tali perchè ora la vita è finalmente comoda.

Perciò mi faccio le mie domande, perciò guardo a quelli che si sono mescolati, a lungo, nei casini del tempo, nelle guerre, nei problemi. Spero di scoprire un giorno se sono una macchina che ricicla i rifiuti per restituire una piccola sfera migliore, intorno.

Intanto camminando accarezzo le porte chiuse, anzi accostate, per ricordare a loro che io sono qui, e a me che la mia casa la vivo tutta.

E lascio questa pioggia cadere, lascio che righi le mie guance.

 

 
 
 

Freddo a luglio.

Post n°145 pubblicato il 26 Luglio 2011 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Un'estate che non parte, qui in sala d'attesa mi immergo dentro piogge e frescori urbani. Sarà l'idea del viaggio che si avvicina, sarà la discesa lungo le pagine delle guide e delle storie che mi porta già a Manhattan, ma sono in un'altra stagione. Durerà poco questa estate di mare, ma ormai ho l'età per sapere che non è importante, che ciò che conta è stare bene, non avere incubi. E per fortuna i miei sogni scorrono regolari, come le pagine di un buon noir, con gli stessi elementi che da sempre sono l'ambientazione del mio personaggio, con gli stessi errori e manie che hanno scritto la mia vita fino ad oggi. Non metto fretta, accetto questa pioggia, non mi fermo contro questo freddo fuori stagione, al massimo tampono facendomi una lampada.

Consegno ancora medicinali, a chiunque ne abbia bisogno, ti guardo lavorare, seduta e spaventata, cerco di essere accanto a te, penso ad essere l'uomo che vorrei, immagino il futuro. Molti orizzonti si sono ristretti inevitabilmente, in questi anni, credo di aver scelto la mia strada, e al tempo stesso non lascio ciò che ho scoperto di me, ciò che mi rende sorridente così come ti piace nelle foto.

Corro regolarmente, ho riscoperto il senso, dopo tanto, di far seguire un passo al precedente.

Cerco il colore del mare, lo voglio addosso, soffro quando mi sfugge nascosto dalle nuvole.

Penso al mio futuro, poi non ci penso più. Auguro a me la felicità delle persone che amo, patetico come solo qualcuno già derubato di qualche affetto troppo presto nella vita sa essere.

Non conto più metri, le distanze, vado solo avanti. Anche quando mi sembra troppo dura arrivare a fine giornata, anche quando arrivare in fondo è un pensiero irraggiungibile, anche quando la fatica sale sulle spalle e schiaccia giù incollando le scarpe all'asfalto facendo pulsare le tempie e annebbiare la vista. Anche allora basta un passo dietro l'altro, e riportare a casa la pelle non è che una questione di tempo.

Fumo sempre le stesse sigarette, ascolto sempre le mie verità.

Porto con me i miei occhi, li poso su di te, stella del mio piccolo mondo, apro le mie emozioni a quelle che posso ricevere.

Faccio il meglio che posso, anche se il peggio mi sembra sempre un po' di più.

 
 
 

Strapperņ le parole scritte con rabbia.

Post n°144 pubblicato il 13 Novembre 2010 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Torno a quel giorno, anni già in archivio, e ripenso a quella foto quando anche solo preparare uno scatto era ancora organizzazione, precisione, respiro trattenuto. Mi arrampico con i nostri genitori più giovani, improvvisando una giornata senza neppure ricordare se fosse primavera o autunno. Poco fa pensavo ai singhiozzi versati per te, probabilmente da li è partito il mio ritorno al duemilaquattro.

E ripensavo a tutto il tempo insieme, alle molte e molte notti più semplici, sempre di corsa, a digerire a forza di bevute, a quei momenti di confusa euforia al testosterone che forse, oggi credo, provavo solo io. Tutte le immagini che ho di quegli anni, già cazzo lontanissimi, sono mosse e sfuggenti come se quello che sembrava destinato a durare per un tempo indefinito oggi fosse solo la mia gestazione durata pochi mesi. Ero nella pancia della mia vita, stavo vivendo ma protetto dall'incoscienza e dalla mancanza di responsabilità. Non poteva accadere nulla di male, molte cose del mio mondo erano più giovani e leggere.

Le molte mancanze rendevano possibile e necessario improvvisare.

Notti e giorni confusi, a perdifiato, rincorsi e abbattuti uno ad uno dentro cappotti troppo larghi, maglioni goffi, cavalcando biciclette, suoni e profumi da campeggiatore. Mai pensato davvero a quanto lontano sono oggi da quel ragazzo che pedalava veloce sul lungofiume, aspirando l'aria della notte assaporando le pagine bianche della propria vita.

Tutte da scrivere, grande brivido.

Piacere oggi, enorme paura allora.

Io mi sono fermato un po' li, stasera. Quando i quattro vestiti che avevo erano la mia pelle, la stessa che hai tu addosso, fatta su misura.

Chissà dove sei, stasera.

Io penso che così come sette anni ricompaiono all'improvviso qui, stasera, sul palmo della mia mano allora un giorno, che rivedrò i tuoi occhi davanti ai miei, soffieremo via tutto il tempo lontani, smetterò di contare i giorni, butterò via gli appunti, strapperò le parole scritte con rabbia.

Cercherò risposte fino ad allora, sperando che non ci sarà da parlare al passato per nessuno.

Mi accontenterò di quello che avrai da raccontare, non importa più molto, ormai.

Non è la vita perduta che mi interessa, ma quella che ci resta insieme.

Lascio andare i pensieri, li ascolto ancora, e penso che non mi importa nulla di chi hai vicino, se c'è rabbia ancora penso svanirà tra non molto, sfilacciata come l'immagine del tuo viso nei miei ricordi giorno dopo giorno.

Vivo questa mia cicatrice nascondendola sotto qualche vestito nuovo, oggi, dentro la mia macchina o mentre guido il mio due ruote.

Ho adattato la mia camminata al dolore che sentivo ad ogni passo, non so in quanti se ne siano accorti.

Ho costruito una vita più comoda e calda attorno al dolore del pensiero di te.

Porto avanti la mia biografia, sarebbe bello fartela leggere. Un giorno.

Riguardati.

 
 
 

Ne va della mia vita.

Post n°143 pubblicato il 01 Settembre 2010 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Notte buona, che sguinzaglia i pensieri. Notte che lascio correre come le ruote della mia macchina, anni fa, nelle lunghe parentesi buie tra un posto e l'altro. Essere in bilico, mettere a fuoco ogni punto, tornare a casa. Immaginare, vedere se stessi da più lontano, cercare il punto sulla mappa, in notti come questa quando la stanchezza fa il tiro alla fune con la forza di chi sei. E mi sembra incredibile la vita, quando ripenso a quanto tempo libero avevo, a come lo potevo spendere, e al binario sempre dritto in cui invece sono oggi.

Questo treno non fa fermate.

In un anno ho ricordi di cose da fare, di cose fatte, ma di poca, troppo poca, vita.

Troppo poca davvero, questa vita con me, e con te. Il farmacista che ci conosciamo da tanti e tanti anni.

Non so che succederà, ma devo poter avere fermate, scendere, fare il bagno, mangiare con te, ridere con te, vivere ed avare ricordi di ogni giorno, con te. Scrivevo che dovevo inventarmi qualcosa, non so, magari basta iniziare, e le prime lezioni le ho già fatte, comincio a muovermi. Ricominciare camminare, riscoprire ogni stagione, ripensare ogni singolo giorno, come dopo un incidente, è la fisioterapia che devo fare, per rientrare nella mia vita.

C'è chi sostiene che non si può camminare, che la vita è fatta così, ma io insisto.

Ci vado.

Costante, vediamo che succede.

Una cura lunga e non invasiva, ma necessaria.

Perchè se guardo in giro vedo che salvarsi la vita è questo, non solo mangiare.

Ho bisogno di uscire in barca, un pomeriggio, con te, con il sorriso e la calma che non ricordo più. Ho bisogno di scrivere, perchè ogni riga è un respiro, è un buco nel lattice che avvolge la mia testa e mi permette di respirare.

Ho bisogno di suonare, perchè tutta questa armonia non mi molla mai, trabocca dalle mie dita, da dentro, è pianta che vuole crescere.

Ho bisogno di tempo, perchè tutti questi pensieri che mi tengo vicino, che mi ricordano chi sono io, dove sono nel mondo, e cosa vedo, dalla mia finestra, devono sbocciare, vedere la luce.

Il tempo che non ho, e che cerco.

Ne va della mia vita.

 
 
 

Dentro te.

Post n°142 pubblicato il 23 Agosto 2010 da gizzoragno
Foto di gizzoragno

Asfissiato dal ritmo del lavoro. Un sacco di vita irrimediabilmente perduta, ogni giorno di sole che non sia stato vissuto con te è uno spreco. Mi manchi, mi manca il non poter stare con te, di più, a giocare.

Ho così tante immagini dentro che ho paura di vederle sfumare prima che io riesca a stringerle tra le dita per dare loro uno sguardo indelebile ancora. Ho strade familiari avanti ed intorno a me, che abbiamo camminato insieme, finalmente. Ho impressioni e gusti strani, nuovissimi, laggiù vicino a dove sei cresciuta. Sono entrato nei tuoi ricordi, finalmente; mi sono mosso dentro la realtà virtuale della tua infanzia. La persona che ho immaginato nelle poche foto che ho potuto vedere oggi siede accanto a me più reale ancora, il suo mondo ha finalmente ricevuto coordinate spazio temporali.

Ho calpestato gli stessi pavimenti dove hai giocato, ho mangiato quello che ti piaceva da piccola, ho dormito sul letto dove ti stendevi da bambina. Ho guardato il mondo come si presentava dalla tua finestra.

La tua città.

Il tetto di casa tua, il sole forte ovunque posavo lo sguardo, il parco dietro casa, la tua scuola, il teatro del tuo quartiere così inaspettatamente mi accoglieva come attore, e come spettatore insieme, mano alla mano, con te lungo ogni angolo. Non mi era mai capitata una cosa così. Lontano da casa come poche altre volte sono stato, eppure dentro te, perdutamente. Non era un paese estero quello che ho visitato, era una gita nell'immenso parco della donna che sei oggi.

 

 
 
 
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