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L'amore ha il potere di fissare il passato in eterno presente.... Questa frase, annotata su un quaderno all'inizio del romanzo, è il tema conduttore della storia d'amore tra il giovane Kayfa e Miryam, donna matura e d'esperienza, che lo inizierà alle gioie e alle sofferenze dell'amore. Immersi in uno scenario da favola, facendosi scudo di una barriera di bugie e verità che metterà a rischio i loro affetti più cari, i protagonisti vivranno la loro passione senza freni con la complicità del mare e dell'intimità della casa di lei. Fondamentale la figura di Omar, pescatore egiziano con un intenso vissuto alle spalle, che attraverso la propria esperienza aiuterà Kayfa a districarsi nei meandri della mente e del cuore per avviarsi sul proprio cammino esistenziale.
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Da alcuni anni – credo non più di quattro/cinque al massimo – i meteorologi italiani hanno coniato il termine bomba d'acqua per indicare “un gavettone di pioggia dannoso e imprevedibile” conseguenza del riscaldamento globale. Da quando questo “neologismo” s'è diffuso, gli enti locali, comuni e regioni, hanno trovato un alibi di ferro per giustificare le proprie inadempienze nella prevenzione dei danni prodotti da quello che non è altro se non il nubifragio di vecchio stampo. Nemmeno tanto imprevedibile per l'intensità della pioggia che scaricherà in terra, considerando i costanti bollettini meteo diffusi dall'aeronautica militare per allertare le zone che saranno interessate dal fenomeno affinché gli amministartori prendano i dovuti provvedimenti per evitare il peggio. Provvedimenti come la pulizia delle caditoie e dei tombini fognari o la pulizia degli alvei dei fiumi e dei torrenti e il rafforzamento dei loro argini, che per la verità dovrebbero essere effettuati periodicamente, a prescindere dall'allerta meteo, al fine di non farsi trovare impreparati quando la natura, soprattutto a fine estate, si scatenerà. Come puntualmente avviene ogni anno, da che mondo è mondo. Come dicevamo l'utilizzo di questo neologismo s'è rivelato un alibi di ferro per gli enti locali i quali, ogni qualvolta la furia del maltempo provoca distruzione e morte, allargano le braccia desolati, dando ad intendere che nulla possono contro l'imprevedibilità e la forza della natura. Pazienza che a smentirli ci sarebbero i bollettini di allerta meteo diffusi loro dalla protezione civile. Ogni anno Liguria, Toscana, Lazio, Campania, solo per citare alcune delle regioni maggiormente martoriate dalla furia degli elementi tra settembre e novembre, subiscono vere e proprie tempeste tropicali con violente precipitazioni che in poche ore riversano al suolo la stessa quantità d'acqua che solitamente si riversa nel corso di alcuni mesi. Con danni ingenti per persone e cose prodotti dall'otturazione delle fogne, dallo straripamento dei fiumi, dal crollo dei ponti e delle strade, dallo smottamento del sottosuolo con violente frane. Tutti questi danni non sono però imputabili alla natura ma alla negligenza umana: fiumi e torrenti che tracimano perché chi avrebbe dovuto non s'è premurato di dragare gli alvei per pulirli dai detriti che li ostruiscano al fine di rendere fluido il corso dell'acqua alla foce, oppure perché non si sono rafforzati gli argini, o perché, se lo si è fatto, si sono rotti in quanto consolidati con il polistirolo; ponti e strade costruiti con materiali scadenti, pertanto incapaci di resistere alla forza della natura, che vengono giù come birilli, mietendo spesso vittime; frane che si verificano in zone dove d'estate la mano criminale dei piromani ha appiccato incendi, bruciando flora e fauna, privando il terreno delle radici degli alberi che, fungendo da filtro, drenano l'acqua dal sottosuolo evitando che ristagni nel terreno fino a farlo franare; strade e piazze metropolitane invase dall'acqua e dal fango perché nessuno ha avuto il buon senso di dare mandato agli addetti al servizio fognario di sturare tombini e caditoie dalla sporcizia e di spurgare le fogne per evitare che con le prime piogge si ingrossino facendo saltare i tombini e fuoriuscendo per le vie, allagando negozi, box auto, sottoscale, sottopassi, rendendo un inferno la vita dei cittadini. Tutto ciò non si può certo imputare alla natura ma alla sprovvedutezza umana che, anziché intervenire a monte per evitare il peggio, interviene solo dopo che i danni sono stati fatti, attribuendo la responsabilità alla forza della natura. Non alla propria dabbenaggine. Qualunque sia il colore delle amministrazioni, da nord a sud della penisola, isole incluse, tutte le volte che il maltempo fa danni, malgrado sia evidente che le cause dei disastri contigenti sono da addebitarsi alla mancanza di prevenzione di chi amministra, tutti scaricano le responsabilità sulla forza della natura. Forse convinti che i cittadini hanno la memoria corta e che, una volta passata la tempesta, quando sarà il momento opportuno, nell'urna rinnoveranno la fiducia a chi, davanti al disastro, non ha saputo fare di meglio che versare lacrime di coccodrillo, chiamando il medico quando ormai per il paziente non c'era più niente da fare! |
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