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L'amore ha il potere di fissare il passato in eterno presente.... Questa frase, annotata su un quaderno all'inizio del romanzo, è il tema conduttore della storia d'amore tra il giovane Kayfa e Miryam, donna matura e d'esperienza, che lo inizierà alle gioie e alle sofferenze dell'amore. Immersi in uno scenario da favola, facendosi scudo di una barriera di bugie e verità che metterà a rischio i loro affetti più cari, i protagonisti vivranno la loro passione senza freni con la complicità del mare e dell'intimità della casa di lei. Fondamentale la figura di Omar, pescatore egiziano con un intenso vissuto alle spalle, che attraverso la propria esperienza aiuterà Kayfa a districarsi nei meandri della mente e del cuore per avviarsi sul proprio cammino esistenziale.
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Di seguito l'intervista all'attore Nando Paone pubblicata su QuiCampiflegrei.it Attore di teatro e cinema, caratterista per eccellenza, Nando Paone insieme a sua moglie, l'attrice Cetty Sommella, ha istituito a Pozzuoli, presso l'Art Garage, un laboratorio teatrale e, successivamente, ha fondato il Teatro Sala Moliere, proponendo ogni anno un calendario interessante, includendo serate di reading con nomi importanti del teatro italiano come Renato Carpentieri e Alessandro Preziosi. In questa lunga intervista l'attore racconta i suoi esordi teatrali e cinematografici, parlando del suo rapporto con grandi personaggi dello spettacolo quali Eduardo, Gassman, Bud Spencer, Vincenzo Salemme e tanti altri, non omettendo di narrare aneddoti simpatici. Nando quando nasce la tua passione per la recitazione? Da bambino. La scintilla scoppiò intorno ai 14/15 anni: stavamo andando al cinema - all'epoca andare al cinema non significava andare a vedere un determinato film, ma proprio "andare al cinema", quel che c'era c'era. Eravamo un gruppo di scugnizzi bagnolesi squattrinati: facevamo la colletta; uno di noi pagava il biglietto, entrava, apriva la porta laterale e gli altri, uno dopo l'altro, s'imbucavano in sala. Ricordo che andammo a vedere L'inquilino del terzo piano, un thriller bello tosto diretto e interpretato da Roman Polansky. Restai incantato dalla sua interpretazione. Il mondo dello spettacolo mi affascinava, ma fino a quel momento ero proiettato verso la costruzione artistica; la scenografia, per intenderci, perché ho sempre reputato che nel campo dell'arte non ci fosse da prendere molto. Infatti, al di là di quel che se ne pensi, questo mestiere ti dà la notorietà ma non la ricchezza. I ricchi son pochi. Che studi hai fatto? L'istituto d'arte, sono maestro d'arte. Quindi decisi di fare architettura, ma non mi sono laureato perché, poco dopo che mi iscrissi all'università, iniziai a guadagnare i primi soldi come attore professionista, percependo i contributi. Prima di allora lavoravo in una compagnia cosiddetta primaria, ossia professionale, ma, essendo giovane, poiché credo che all'epoca fosse consentito, non guadagnavo fiscalmente. Per un paio d'anni, precisamente intorno ai diciassette anni, ho lavorato con la compagnia di Mico Galdieri che è stato un eminente personaggio soprattutto del teatro napoletano. In seguito, sempre con la sua compagnia, andammo a fare uno spettacolo a Roma dove venni notato da un'agente cinematografico che, per la cronaca, dopo quarantasei anni è ancora la mia agente, e fu così che iniziai il mio percorso nel cinema. All'epoca, siamo intorno alla fine degli anni settanta, in Italia si faceva tantissimo cinema, circa 300 film all'anno. Su 300, 100 mi richiedevano; su 100, ne interpretavo 6/7. Nando tu hai lavorato con Bud Spencer: di questo personaggio che rivendicava con orgoglio le proprie origini napoletane, tanto da sottolineare "io non sono italiano, ma napoletano", che ricordo hai? All'epoca in cui lavorammo insieme, lui era letteralmente un divo. Io sono cresciuto con i film di Bud Spencer e Terence Hill tipo LO CHIAMAVANO TRINITÀ, quindi per quelli della mia generazione lui era un mito! Diversamente da quel che si potrebbe immaginare, era un personaggio molto schivo: stava sempre per conto suo con i suoi collaboratori più stretti, non si univa mai alle tavolate di tutti noi. Tuttavia la cosa molto significativa, che poi mi sono spiegato anni dopo sentendolo esaltare la propria napoletanità, io ero l'unico che salutava. Ad esempio, se eravamo radunati nella hall dell'albergo e lui passava, non salutava nessuno. Poi si girava verso di me e mi rivolgeva uno stentoreo "Ué guagliò!" a cui rispondevo prontamente "buongiorno, signor Carlo", o "buonasera signor Carlo", suscitando l'invidia degli altri che mi chiedevano "ma perché saluta solo te?". [...} PER LEGGERE LA VERSIONE INTEGRALE DELL'INTERVISTA CLICCARE SU www.vincenzogiarritiello.it |
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