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L'amore ha il potere di fissare il passato in eterno presente.... Questa frase, annotata su un quaderno all'inizio del romanzo, è il tema conduttore della storia d'amore tra il giovane Kayfa e Miryam, donna matura e d'esperienza, che lo inizierà alle gioie e alle sofferenze dell'amore. Immersi in uno scenario da favola, facendosi scudo di una barriera di bugie e verità che metterà a rischio i loro affetti più cari, i protagonisti vivranno la loro passione senza freni con la complicità del mare e dell'intimità della casa di lei. Fondamentale la figura di Omar, pescatore egiziano con un intenso vissuto alle spalle, che attraverso la propria esperienza aiuterà Kayfa a districarsi nei meandri della mente e del cuore per avviarsi sul proprio cammino esistenziale.
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Mentre i molti giornali e i talk show televisivi continuano a dedicare ampi servizi al naufragio del Giglio perché assicura vendite e fa audience, essendo noi italiani un popolo che ama la spettacolarizzazione delle tragedie – testimonianza ne sono le centinaia di turisti sbarcati sull’isola nei giorni successivi alla tragedia per vedere da vicino il gigante dal ventre trasformato in un cimitero agonizzare nel mare, e scattare foto ricordo, magari facendosi ritrarre da soli o in gruppo con la nave ben in vista alla proprie spalle -, nel silenzio più assoluto, rotto ieri su Repubblica dallo scrittore Paolo Rumiz, si sta consumando l’ennesima offesa allo cultura: da febbraio rischia di chiudere, dopo quasi trent’anni, il museo delle ferrovie a Trieste allestito nei locali della dismessa storica stazione di Campo Marzio. Inaugurata nel 1857 dall’imperatore Francesco Giuseppe, trasformata a set cinematografico nel 1935 per girare alcune scene del film Anna Karenina con Greta Garbo, per anni la stazione di Campo Marzio è stata lo snodo di collegamento tra l’Europa occidentale e quella orientale con il mitico Orient Express. Quando si decise di chiuderla, un gruppo di volontari si fece carico di gestirla e la trasformò in uno dei musei ferroviari più belli d’Europa pagando, fino a “ieri”, di tasca propria un fitto annuo di 54 mila euro a Trenitalia senza ricevere il benché minimo sovvenzionamento dallo Stato. Ora questo splendore rischia di chiudere perché Trenitalia ha deciso di triplicare il canone di affitto portandolo a 140 mila l’anno. Una spesa enorme che senza alcun contributo costringerà il gruppo di volontari che gestisce il museo di dover staccare la spina e mandare all’aria l’ennesimo patrimonio culturale del paese.
Nonostante l’evidente degrado in cui versano tanti musei gestiti dallo Stato per mancanza di fondi – emblematico è quello degli scavi archeologici di Pompei, dichiarati 1997 dall’UNESCO patrimonio dell’umanità, che se cadono a pezzi senza che nessuno facci a veramente qualcosa per evitare il peggio, o quello dei reperti archeologici di Pozzuoli e dei Campi Flegrei divorati dalle erbacce o in alcuni casi riadattati a discarica urbana senza che nessuno se ne curi – dovrebbe aprire la mente alle istituzioni sul potenziale valore che potrebbe derivarne dandone la gestione a enti e associazioni private, magari previo allestimento di vere e proprie gare d’appalto, per assicurarne il perfetto mantenimento, elargendo sovvenzionamenti a chi si dimostra efficace nella gestione, inviando periodicamente degli ispettori affinché controllino che tutto venga fatto come previsto da contratto, togliendone l’immediata gestione a chi invece specula con i soldi pubblici.
In un paese come il nostro dove da sempre la cultura è stata uno dei motori dell’economia nazionale e, tutto sommato, lo è tuttora, chiudere il museo di Campo Marzio è davvero paradossale.
Così come è giusto dare spazio alla Concordia e al suo carico di morte, altrettanto sarebbe denunciare il rischio di chiusura del Museo delle Ferrovia di Campo Marzio. Purtroppo la Concordia coi suoi tanti misteri solletica la perversa fantasia degli italiani assicurando soldi a quanti ne sfruttano giornalisticamente l’immagine, Campo Marzio e le sue storiche locomotive no!
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