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L'amore ha il potere di fissare il passato in eterno presente.... Questa frase, annotata su un quaderno all'inizio del romanzo, è il tema conduttore della storia d'amore tra il giovane Kayfa e Miryam, donna matura e d'esperienza, che lo inizierà alle gioie e alle sofferenze dell'amore. Immersi in uno scenario da favola, facendosi scudo di una barriera di bugie e verità che metterà a rischio i loro affetti più cari, i protagonisti vivranno la loro passione senza freni con la complicità del mare e dell'intimità della casa di lei. Fondamentale la figura di Omar, pescatore egiziano con un intenso vissuto alle spalle, che attraverso la propria esperienza aiuterà Kayfa a districarsi nei meandri della mente e del cuore per avviarsi sul proprio cammino esistenziale.
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L’articolo che appare sul numero di questo mese del National Geographic dal titolo Vesuvio, l’eruzione che verrà, dove si ipotizza di quale natura sarà la prossima eruzione del vulcano, com’era prevedibile, ha scatenato il finimondo. Stando ai giornali e ai TG che ne anticipavano, commentandoli, ampi stralci, sembrava che fosse imminente un’eruzione distruttiva del Vesuvio tanto che più d’uno dei responsabili della Protezione Civile, dopo aver assicurato che, al momento(!), non ci sono segnali che lascino presagire un imminente risveglio del vulcano, non aveva escluso la possibilità di denunciare la rivista americana per procurato panico nell’opinione pubblica. Qualcuno aveva addirittura sostenuto che l’articolo fosse semplicemente una trovata commerciale per vendere un cospicuo numero di copie in una città che vive con lo spettro del risveglio del vulcano. Insomma sulla vicenda se ne sono scritte e dette tante che alla fine non ho potuto fare a meno di procurarmi anch’io una copia del numero incriminato per vedere esattamente cosa l’articolo dicesse.
Contrariamente a quel che avevo letto sui giornali e ascoltato in televisione, l’articolo non ipotizza affatto un’imminente eruzione, se non in termini geologici, (mille anni umani geologicamente sono un battito di ciglia). Bensì, partendo dal ritrovamento di due scheletri nei dintorni di San Paolo Bel Sito, un comune vicino Nola, nel dicembre del 1995, distesi su uno strato di cenere e lapilli risalente all’eruzione che 3.780 anni fa distrusse quella che oggi è Avellino, dunque vittime dell’evento distruttivo; al rinvenimento nel 2001 nell’area del nolano, durante una serie di scavi, di un villaggio risalente all’età del bronzo, ricoperto dallo stesso strato di cenere e lapilli su cui giacevano gli scheletri rinvenuti nel 1995; al reperimento di altri reperti archeologi coperti dallo stesso ammasso di terra per un’area che si estende per circa venti chilometri dal Vesuvio. In rapporto a questi ritrovamenti e alla statistica che dimostra che il Vesuvio mediamente ogni 2.000 anni è caratterizzato da una grande eruzione pliniana, (emissione nell’aria di nubi cariche di ceneri e lapilli che dopo aver sostato nel cielo a migliaia di metri di altezza, precipitano al suolo ricoprendo e distruggendo tutto quel che si trova sotto di loro per chilometri e chilometri), - i duemila anni dall’ultima eruzione di questo tipo sono prossimi a scadere considerato che l'ultima fu quella che distrusse Pompei nel 79 d.C. (!) -, i vulcanologi Sheridan e Mastrolorenzo, quest’ultimo dell’Osservatorio Vesuviano, criticano il piano di evacuazione messo a punto dalla Protezione Civile nel 1995 e aggiornato nel 2001 perché ideato tenendo conto di una probabile eruzione di gravità media, e non invece in virtù di un’eruzione devastante come quella che distrusse Pompei o, peggio, Avellino. Pertanto il piano contempla solo lo sgombero di 18 comuni vesuviani e non anche quello dell’intera città di Napoli la quale sarebbe invece a sua volta coinvolta dalla criminale pioggia di cenere e lapilli se l’eruzione che verrà, come ipotizzano gli esperti, fosse simile a quella di circa 4.000 anni fa!
Bene fa l’autore dell’articolo a concluderlo mettendo in risalto quanto caotico sia il traffico napoletano al punto che per percorrere un chilometro con la sua auto sulla tangenziale in una giornata di festa, dove la gente ne approfitta per andare al mare, ci s'impiega un’ora, immaginando quello che accadrebbe se avvenisse un’eruzione e la gente si riversasse per le strade con le auto alla ricerca di una scappatoia mentre dal cielo piovono cenere e lapilli infuocati che, viaggiando a una velocità di oltre 145 chilometri l’ora, sono dei veri e propri proiettili capaci di perforare tetti, tettoie e scatole craniche come burro fuso.
Ad essere in mala fede non è la rivista americana ma chi invece ne ha commentato superficialmente l’articolo, omettendo, forse per pochezza di spazio, aspetti fondamentali che, se divulgati, non avrebbero di certo inscenato il panico come è invece avvenuto, ma avrebbero forse indotto una ragionata discussione sulle future eventualità catastrofiche, inducendo a rivedere ulteriormente in meglio quello che si dovrebbe e potrebbe fare per salvare tante vite umane.
Visto che, prima o poi, a detta di tutti, catastrofisti e no, l’eruzione ci sarà, anziché criticare la rivista americana, non sarebbe il caso che gli esperti della protezione civile, tenendo conto delle rilevazioni statistiche citate nell’articolo, riconsiderino il piano di evacuazione ampliandolo anche a Napoli?
Prima che sia troppo tardi, non sarebbe il caso di
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