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BARNEY E QUEL MOSTRO DELL'ALZHEIMER

Post n°917 pubblicato il 09 Settembre 2010 da kayfakayfa

Stamani ho finito di leggere LA VERSIONE DI BARNEY di Mordecai Ricler, un libro cult, vero caso letterario all’epoca in cui uscì alcuni anni fa. Il romanzo è l’autobiografia di Barney Panofsky, produttore televisivo canadese, che alla soglia dei settanta anni, decide di raccontare la propria vita per controbattere le falsità che avrebbe potuto scrivere su di lui un suo amico scrittore.

Tralascio di recensire il libro. Dico solo che leggerlo si è rivelata una vera goduria, fin quasi alla fine. Allorché, giunto all’epilogo, ho letto quella che potrebbe definirsi una sorta di postfazione curata da uno dei figli del protagonista, sono entrato in crisi!

Barney è affetto dall’Alzheimer, malattia contratta da mio padre più di dieci anni fa e che da quattro lo costringe a letto in uno stato di demenza senile che offende la dignità umana. Anche la nonna materna era affetta dall’Alzheimer, per cui è evidente che la malattia si propaga da genitore a figlio. Che scoperta, direte voi. Già! Personalmente ho sempre saputo che esiste il rischio tremendamente serio che un giorno anche io e mia sorella potremmo essere vittime dello stesso male e anche i nostri figli. Tuttavia fino a oggi non me ne sono preoccupato più di tanto in quanto papà ha tre sorelle e un fratello che, buon per loro, non manifestano alcuna sintomatologia che possa far pensare che anche loro siano affetti dal male.

Nella postfazione, il presunto figlio di Barney racconta del padre ricoverato in una clinica specializzata, imboccato dalla sorella del tutto rincoglionito. Chiedendosi quando lui e suoi fratelli inizieranno mostrare a loro volta i sintomi del male. Certamente tale visione è estremizzata in quanto so benissimo che, pur avendo nel mio dna la predisposizione al male, affinché si manifesti occorre che si verifichino tutta una serie di condizione perché il seme, chiamiamolo così, trovi terreno fertile per germogliare e manifestarsi in tutta la sua tragicità.

Sì, so bene che esistono esami specifici per cui un soggetto a rischio può sapere in anticipo se potrebbe ammalarsi di Alzheimer e, in quel caso, sottoporsi a una terapia preventiva per bloccare o almeno rallentare la degenerazione delle cellule cerebrali. Così come so bene che un buon metodo preventivo consiste nel tenere sempre in esercizio il cervello con attività che lo impegnino, anche solo giochi enigmistici. Purtroppo questa presunta terapia preventiva non è suffragata dai fatti: molte sono le persone affette da Alazaimer che svolgevano e svolgono lavori che impegnano il cervello. Tra le più famose l’ex Presidente americano Ronald Reagan, la lady di ferro inglese Margaret Tatcher e, pare, l’attrice Monica Vitti, persone che certamente non lesinavano esercizi alla loro mente. Eppure…

Al momento, forse per paura, meschina vigliaccheria o chissà cosa, non ho alcuna intenzione di fare un’analisi preventiva: conoscendomi, so che se il test risultasse positivo e che dunque sarei condannato a patire quella vergogna, sarei capace di commettere un gesto inconsulto per non arrecare alcuna sofferenza ai miei cari. Evitare loro il dolore di dovermi stare dietro ventiquattrore su ventiquattro per evitare che commetta delle sciocchezze,  possa farmi del male o farne a  qualcuno; lavarmi e cambiarmi i pannoloni ogni volta che urino o defeco; cambiarmi il catetere quando è pieno, se ne avessi bisogni; estrarmi dall’ano le feci infilandovi le dita guantate!

Per quanto ci si affanni, al momento contro l’Alzheimer non esiste una cura se non quella atta a  prolungare in maniera ossessionate l’agonia dell’ammalato e le sofferenze di chi gli sta vicino cosciente della propria impotenza nel fare tutto e di più. Eppure dispostI a qualsiasi sacrificio, sia economico che morale, pur di avere la coscienza a posto!     

Ho sempre detto a mia moglie e ai miei figli che, se un giorno anch’io dovessi ammalarmi di Alzheimer, esigo di non essere curato in casa. Ma di ricoverarmi in clinica perché non voglio assolutamente condizionare le loro vite, specialmente quelle dei miei figli e dei miei nipoti semmai ne avrò!

La versione di Barney, che tanto mi ha fatto sorridere mentre la leggevo, alla fine, si sta rivelando un’inesorabile specchio che impone alla mia coscienza di guadare in faccia alla realtà, ponendosi un’infinità di domande. Prima tra tutte se non fosse il caso di fare un’analisi preventiva!

E se poi?… Che faccio?

 

 
Rispondi al commento:
bimbadepoca
bimbadepoca il 09/09/10 alle 17:18 via WEB
Mi verrebbe da rispondere le stesse cose che ti dicevo stamattina al telefono: non puoi fasciarti la testa prima di romperla. Non hai nessuna certezza d'ammalarti di Alzheimer. Da qui a dieci, quindici anni potrebbero trovare una cura.
Ma poi leggendo il tuo sfogo, la tua paura, la descrizione di quello che deve essere il tuo calvario quotidiano con tuo padre, credo che che questa malattia colpisca molto di più i figli. In un certo senso è come se di Alzheimer fossi ammalato adesso, che lo vivi e ne sei cosciente.
 
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