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L'amore ha il potere di fissare il passato in eterno presente.... Questa frase, annotata su un quaderno all'inizio del romanzo, è il tema conduttore della storia d'amore tra il giovane Kayfa e Miryam, donna matura e d'esperienza, che lo inizierà alle gioie e alle sofferenze dell'amore. Immersi in uno scenario da favola, facendosi scudo di una barriera di bugie e verità che metterà a rischio i loro affetti più cari, i protagonisti vivranno la loro passione senza freni con la complicità del mare e dell'intimità della casa di lei. Fondamentale la figura di Omar, pescatore egiziano con un intenso vissuto alle spalle, che attraverso la propria esperienza aiuterà Kayfa a districarsi nei meandri della mente e del cuore per avviarsi sul proprio cammino esistenziale.
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Al di là dei distinti aspetti dogmatici e ritualistici che le caratterizzano, che io sappia, non esiste al mondo una sola religione che non contempli la credenza dell’immortalità dell’anima; quella particella individualizzata di Dio che, per un’ignota ragione, avrebbe necessità di “scendere” in terra attraverso l’incarnazione in un corpo umano per vivere l’esistenza materiale allo scopo di acquisire consapevolezza delle propria divinità e adoperarsi, attraverso un processo catartico indicato nei vari testi religiosi, di ritornare alla Fonte da cui deriva per condividerne in coscienza la beatitudine e la grandezza. Questa visione universale distingue tra un principio immortale (l’anima) e uno mortale, strumento dell’anima, (corpo) di cui l’anima si disferebbe allorché sopraggiunge la morte. Non stiamo qui a discutere cosa effettivamente accade all’anima - presumendone a monte l’esistenza - se, all’atto della morte del corpo fisico, essa non ha raggiunto consapevolezza della propria divinità e immortalità (pur differenziandosi sostanzialmente dalle rispettive credenze, le singole religioni ammettono che l’anima non muore e che, prima o poi, tutte le anime ritorneranno a contemplare la grandezza di Dio).
Si creda o no in Dio, penso che tutti concordiamo su un punto: la morte è un grande mistero; “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo” sono le tre domande esistenziali che da sempre l’uomo si pone cui nessuno finora, e forse mai, ha dato e riuscirà a dare una risposta convincente e definitiva! In questi casi chi è alla ricerca di un sostegno interiore che lo sorregga nell'affrontare quanto più serenamente è possibile le avversità della vita o si affida alla fede - ammettendo dunque l’esistenza di aspetti esistenziali che vanno semplicemente vissuti e accettati “senza se e senza ma” perché comprenderli supera le nostre capacità umane -; oppure alla filosofia la quale, mediante un coacervo di ipotesi e teorie quasi sempre astruse, che spesso cozzano l’una con l’altra mettendo ulteriormente in crisi l’individuo alla ricerca di risposte ai suoi "perché?", vorrebbero dimostrare attraverso il puro e freddo ragionamento l’immortalità dell’anima rispetto al corpo.
Uno dei momenti topici in cui setacciamo a fondo nei meandri della nostra “struttura” culturale o religiosa alla ricerca di “materiale” che ci aiuti ad affrontare serenamente, o quanto meno con forza un immane mistero della vita è sicuramente la scomparsa di una persona cara, magari di un genitore. Se poi la sua sparizione avviene dopo un lungo calvario di sofferenze derivanti da un’infame malattia chiamata alzaimer, paradossalmente la sua morte si tramuta in un sorta di liberazione sua e tua: sua perché, per quanto incosciente egli possa essere mentre giace nel letto, le sofferenza fisiche scaturenti da quasi quattro anni di allettamento sono micidiali; tua perché la finisci di tormentarti +che più ti dai fare per alleviargli le sofferenze con sofisticati intrugli medici, più gli allunghi l’agonia. Tuttavia, pur non essendo credente ma avendo fede nella Natura, sai che la vita va rispettata e salvaguardata fino all’ultimo istante proprio perché, al pari della morte, è immane mistero, per cui rigetti l’idea dell’eutanasia che più volte ti è passata per la mente. Ma rigetti pure quella dell’accanimento terapeutico perché ti rendi conto che, se l’eutanasia può intendersi come un gesto di presunzione con cui l’uomo pretende di sostituirsi alla Natura anticipando il corso degli eventi per alleviare le sofferenze dell’ammalato, e indirettamente di te stesso che sei stanco di affannarti al suo capezzale ottenendo come unico risultato il prolungamento delle sue sofferenze; dall’altro, credendo fermamente nell’esistenza distinta dell’anima dal corpo, sei altrettanto consapevole che, seppure quel corpo e quella testa sono involucri in totale disfacimento, al loro interno alberga un principio misterioso che sta completando un percorso di vita, per quanto il senso di quel percorso ti risulta incomprensibile. Per cui, così come rigetti l’idea dell’eutanasia, rigetti anche quella dell’accanimento terapeutico perché, comunque, entrambi, seppure con scopi chiaramente diversi, pretendono di sostituirsi alla Natura o a qualsiasi cosa sia che ha creato e alimenta la Vita trascendente dalla comprensione umana.
E quando quel corpo dilaniato e offeso dall’ignoranza, dalla supponenza e dall’egoismo umano di colpo smette di respirare, e dunque di soffrire, tiri un lungo sospiro di sollievo, trattieni le lacrime, gli sfili dal naso le cannucce dell’ossigeno, gli abbassi delicatamente con la mano le palpebre sugli occhi e poi, con passo mesto, ti rechi a comunicare a colei che con quel corpo, che è tuo padre, ha condiviso la vita la fine delle sofferenze del suo compagno sapendo che per lei sarò un dolore troppo grande mitigato solo in parte dal pensiero che finalmente il suo amore ha trovato la pace!
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