Creato da kayfakayfa il 10/01/2006

LA VOCE DI KAYFA

IL BLOG DI ENZO GIARRITIELLO

 

Messaggi di Luglio 2011

GIUSEPPE D'AVANZO:IL GRANDE GIORNALISTA SALUTA LA VITA DA SPORTIVO

Post n°1116 pubblicato il 31 Luglio 2011 da kayfakayfa

Giuseppe D’Avanzo non è più! La prima firma di Repubblica è improvvisamente scomparso ieri stroncato da un infarto mentre si allenava in bicicletta con l’amico/collega Attilio Balzoni e altri ciclisti per un tour amatoriale che si sarebbe svolta tra qualche settimana. Autore di tanti scoop, D’Avanzo aveva fatto fare un salto di qualità al giornalismo italiano ponendo le fatidiche 10 domande a Berlusconi all’indomani dello “scandalo” Noemi Letizia, la ragazzina di Casoria che lo chiamava simpaticamente papi, al cui diciottesimo compleanno il Premier partecipò alimentando un’infinità di pettegolezzi e dubbi sulla sua condotta morale tanto che la moglie chiese pubblicamente il divorzio dichiarando non posso stare con un uomo che va con le minorenni.

 

Oltre a essere un grande giornalista, D’Avanzo era anche un vero sportivo. Nel senso che lo sport lo praticava per davvero anziché “viverlo” come tanti pseudo sportivi in poltrona davanti al televisore o attraverso i giornali. E come ogni vero sportivo che si rispetti, ma anche come ogni persona che ama la vita, il suo assillo era di non morire di malattia, come rivela quest’oggi Piero Colaprico su Repubblica. Lo stesso pensiero coglie anche me che da anni corro una cinquantina di chilometri a settimana: se potessi scegliere come morire, preferirei essere colto da un infarto mentre corro. È vero, per i miei cari sarebbe un dolore troppo grande sopportare la mia improvvisa scomparsa. Ma essendomi alternato per quattro anni con mia sorella al capezzale di papà allettato dall’alzaimer e avendo vissuto sempre in famiglia altri casi di malati terminali, so cosa vuol dire, sia per l’ammalato sia per i parenti,  sopportare il peso di sacrifici morali, fisici e finanziari che una grave malattia impone. La sensazione di sconforto che ti assale in quei momenti è che tutto ciò che stai facendo serve solo a prolungargli l’agonia e a scombussolare gli equilibri familiari, perché, per quanto la famiglia possa essere solida, la stabilità familiare ne risente, non c’è niente da fare. Ed è allora, ripensando a quei momenti, che speri tanto di non fare quella stessa fine,augurandoti di morire d’infarto mentre stai dormendo o mentre corri.

 

Lo so, è difficile accettare un  ragionamento simile eppure, solo chi come c’è passato, può capire il pensiero di D’Avanzo.

 

Per quanto paradossale e cinico possa apparire il mio ragionamento - a prescindere che tutti auspichiamo di raggiungere la vecchiaia in una condizione psicofisica tale da non richiedere la presenza costante al nostro fianco di chi ci ama, costringendolo a sacrificare la propria esistenza al nostro fianco – la maniera in cui s’è spento D’Avanzo è quella in cui ogni vero sportivo e amante della vita vorrebbe spegnersi nel dubbio di dover lottare un domani contro un male incurabile che lo svuoti di ogni dignità o di dover affrontare una vecchiaia niente affatto tranquilla, dando di testa e facendo perdere la testa a chi si ama!

 

 

 
 
 

PARTITI E QUESTIONE MORALE: UNO SFREGIO ALLA DEMOCRAZIA

Post n°1115 pubblicato il 28 Luglio 2011 da kayfakayfa

La presunzione d’innocenza di un indagato e di un imputato è tra i cardini di ogni democrazia. Nello stesso tempo però non deve risolversi nel paravento dietro cui ogni persona coinvolta si cela per non dar conto alla società delle proprie, presunte, responsabilità, soprattutto se ricopre incarichi istituzionali, o semplicemente una funzione pubblica tipo l’attività politica. Non fosse altro per allontanare da sé ogni pallido sospetto che possa aver approfittato o approfitti del suo ruolo per ricavarne benefici in termini economici o di altro genere per sé, per una stretta cerchia di amici, per le sue aziende, per il partito che rappresenta.

La discussione sulla questione morale in politica che in questi giorni agita il PD per di alcuni suoi dirigenti indagati per finanziamento illecito ai partiti, concussione e quant’altro, tanto da indurre il segretario Bersani a scrivere una lettera al Corriere della sera, quindi a rispondere alle domande di Travaglio su IL FATTO QUOTIDIANO e poi minacciare querele verso quanti associano il PD alle inchieste, dimostra che il malaffare non alberga solo nel centrodestra; che nessun partito, qualunque sia la sua collocazione politica, ne è immune. Non perché il partito stesso sia sinonimo di criminalità, come qualcuno secondo Bersani, sta tentando di fare nei confronti del PD, quanto perché il bene e il male sono insiti alla natura umana e, essendo i partiti agglomerati umani, non è improbabile che tra le sua fila si annidi qualche potenziale malintenzionato che possa approfittare del proprio incarico per foraggiare le proprie tasche e quelle di qualche fedelissimo, se non addirittura  veicolare nelle casse del partito qualche oscuro finanziamento velato sotto altra forma in cambio di appalti o quant’altro a chi sborsa i soldi.

A questo punto però la cosiddetta questione morale - che per inciso già in passato intaccò il PD in Campania alimentando il conflitto tra l’allora governatore Bassolino e il segretario Veltroni che ne chiedeva le dimissioni per il suo coinvolgimento nelle inchieste sull’emergenza rifiuti, e successivamente per la candidatura alle regionali di De Luca sindaco di Salerno – va separata dalle inchieste sui singoli politici perché un conto è ritrovarsi nel partito, a propria insaputa, un presunto criminale, tutt’altra cosa è un partito fondato da chi ha un numero imprecisato di procedimenti penali in corso, da cui in molti casi si è salvato grazie alla prescrizione o all’emendamento di leggi da parte del suo stesso governo che depenalizzavano i reati di cui era accusato con immediata assoluzione, come accadde per Berlusconi sotto inchiesta nel processo SME,  e nella vicenda Lodo Mondadori per cui il Premier fu prescritto in sede penale ma condannato in sede civile a risarcire alla Cir di De Benedetti 560 milioni di euro perché, secondo i giudici, la truffa ci fu e il cavaliere fu corresponsabile essendo proprietario della Fininvest!

Come si evince la questione morale assume contorni diversi a secondo del partito: nel PD sotto inchiesta risultano alcuni dirigenti che in passato collaborarono con Bersani quando era ministro; nel PDL il ad essere pluriinquisito è prima di tutto il suo coofondatore, ex fondatore di Forza Italia, Silvio Berlusconi. La differenza non è da poco: essendo il PDL un partito ad personam, la linea politica è imposta da Berlusconi; nel PD e negli altri partiti, IDV incluso, le scelte politiche vengono prese in maniera collegiale o congressuale. Per quanto concerne il PD pesa però sul suo capo come un macigno l’intercettazione Fassino/Consorte per la scalata UNIPOL in cui risultano coinvolti gli allora vertici dei DS D’alema e Fassino, attualmente dirigenti del PD.

 Se poi analizziamo dal di dentro i partiti vediamo che in molti, indifferentemente dallo schieramento politico, ricoprono il ruolo di parlamentari molti indagati, rinviati a giudizio, o addirittura con condanna definitiva da fare gridare allo scandalo, non fosse altro perché non si capisce come sia possibile che, mentre persone con problemi giudiziari vengano investite del ruolo di parlamentare, un  comune cittadino per partecipare a un concorso pubblico deve presentare il certificato di casellario giudiziario per dimostrare di avere la fedina penale intonsa.

Per affrontare in maniera seria la questione morale in politica basterebbe che si varasse una legge in cui si afferma categoricamente che nessun individuo che abbia avuto o abbia problemi con la giustizia in corso non possa ricoprire cariche pubbliche, e chiunque le ricoprisse e fosse coinvolto in vicende giudiziarie debba subito dimettersi per non alimentare il dubbio nei cittadini, ritornando a ricoprirle se risultasse estraneo all’inchiesta.

Un Parlamento e una politica con tanti punti oscuri non sono certo delle valide garanzie per la democrazia del paese!

 

 
 
 

LO SCONCERTANTE EDITORIALE DI FELTRI SULLA STRAGE DI UTOYA

Post n°1114 pubblicato il 26 Luglio 2011 da kayfakayfa

Si resta quanto meno basiti nel leggere l’editoriale di Vittorio Feltri pubblicato ieri su IL GIORNALE  intitolato QUEI GIOVANI NORVEGESI INCAPACI DI REAGIRE. Talmente forte è il senso di disagio che provi dopo averlo letto che, convinto di aver frainteso il senso delle parole dell’illustre giornalista, lo rileggi con la convinzione che dopo tutto ti sarà più chiaro. E invece, dopo la seconda, la terza e anche la quarta rilettura, il disagio aumenta trasformandosi in rabbia perché ti rendi conto che davvero Feltri voleva intendere ciò che speravi di aver frainteso:  sull’isola (un chilometro quadra­to, quindi piccola) si trovavano cir­ca 500 partecipanti a un meeting annuale di laburisti. Un numero considerevole. Quando Breivik ha dato fuori da matto e ha comin­ciato a sparare, immagino che lo stupore e il terrore si siano impa­droniti del gruppo intero. E si sa che lo sconcerto (accresciuto in questa circostanza dal particola­re che il folle era vestito da poliziot­to) e la paura possono azzerare la lucidità necessaria per organizza­re qualsiasi difesa che non sia la fu­ga precipitosa e disordinata, con­tro un pericolo di morte. Ciononostante, poiché la stra­ge si è consumata in 30 minuti, c’è da chiedersi comunque perché il pluriomicida non sia stato mini­mamente contrastato dal gruppo destinato allo sterminio. Ragio­niamo. Cinque, sei, sette, dieci, quindici persone, e tutte disarma­te, non sono in grado di annienta­re un nemico, per quanto agisca da solo, se questo impugna armi da fuoco. Ma 50 - e sull’isola ce n’erano dieci volte tante-se si lan­ciano insieme su di lui, alcune di si­curo vengono abbattute, ma solo alcune, e quelle che, viceversa, ri­mangono illese (mettiamo 30 o 40) hanno la possibilità di farlo a pezzi con le nude mani.

No, non avete capito male: nel suo pezzo Feltri ammonisce le giovani vittime per non aver fatto fronte comune nel fronteggiare il killer armato di fucile automatico e pistole, ma di essersi lasciate prendere dal panico e fuggire di qua e di là lasciando che Breivik portasse al termine il suo delirante macello senza trovare alcun ostacolo. Nemmeno per un attimo il giornalista sembra venire sfiorato dal dubbio che, seppure i ragazzi partecipanti al raduno laburista fossero più di 500, si trattava pur sempre di giovani giunti sull’isola per divertirsi e discutere di politica, i quali erano già sgomenti per aver appreso dalla televisione dell’attentato a Oslo di qualche ora prima, ritenuto inizialmente opera dei fondamentalisti islamici. Pertanto tutti loro erano in uno stato di agitazione tale che, non appena hanno sentito sparare, avranno pensato a un commando terroristico in azione e quindi, non potendo sapere che l’attentatore era uno solo, hanno semplicemente pensato a mettersi in salvo, come avrebbe fatto qualunque essere umano. E se anche avessero immaginato che Breivik agiva autonomamente, penso che nessuno di loro avrebbe comunque avuto la folle idea di fronteggiarlo con pietre e bastoni come altrettanto non avrebbe fatto chiunque di noi al loro posto, Feltri incluso!

È vero che in Italia esiste la libertà di stampa ma, francamente, l’editoriale di Feltri, più che un fondo di giornale, sembra un’offesa alle vittime e ai superstiti di Utoya tanto che perfino i lettori del suo quotidiano si sono opportunamente ribellati al suo pezzo.  Chissà se altrettanto farà il suo editore, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi... 

 
 
 

LE ANGOSCE DI UN PADRE DOPO LA STRAGE DI UTOYA

Post n°1113 pubblicato il 25 Luglio 2011 da kayfakayfa

Non è facile per un padre che ha due figli della stessa età dei ragazzi trucidati sull’isola di Utoya dalla follia omicida Breivik, allontanare dalla mente le immagini del killer in muta subacquea, armato di fucile automatico, che spara a sangue freddo sulle vittime. In particolare non è facile annullare il fotogramma in cui si vede un ragazzo in acqua implorare pietà mentre il killer avanza verso di lui tra i cadaveri disseminati sulla spiaggia per ucciderlo. Una sequenza agghiacciante, da film horror più che thriller, che ti gela il sangue nelle vene.

Da genitore, se cerchi di immedesimarti nei papà e nelle mamme dei ragazzi uccisi o feriti, ti assale l’angoscia: è da brivido l’idea che mandi i tuoi figli in campeggio su di un’isola tranquilla, immersa nell’incantevole scenario dei fiordi norvegesi, perché si ritrovino e si confrontino con altri coetanei che come loro nutrono la passione per la politica, e prima di tutto quella per la vita, quella vita che è un diritto della gioventù godere spensieratamente,  e te li ritrovi all’improvviso uccisi in una bara, in un lettino d’ospedale feriti in modo grave o, se ti va bene, tremanti e choccati da un mostro, come lo stesso Breivik si definiva con orgoglio nel memoriale che aveva postato su internet, in cui affidava i suoi folli pensieri, poco prima di mettere in pratica il duplice piano criminale, il quale, in difesa dell'identità nazionale, a suo dire messa in discussione dalle politiche laburiste troppo permessive verso l'immigrazione, non si è premurato di mietere le loro vite solo perché partecipavano a un raduno giovanile del partito laburista.

Dopo quanto è successo in Norvegia, sei i tuoi figli ti chiedono di poter andare in vacanza con gli amici, pur sapendo che non puoi rifiutarti, dentro di te la tentazione di dissuaderli è tanta. Vorresti addurre le scuse più subdole nel disperato tentativo di evitare che partano, che restino a casa sotto la tua protezione sicura. Ma poi rifletti e ti rendi conto che nella vita nulla è sicuro, tutto è eternamente in bilico tra la vita e la morte, tra il bene e il male; che la follia si annida perfino tra le pareti di casa per cui, per quanto i tuoi timori di padre siano giustificati dalla terrificante emozione suscitata dalla strage di Utoya, ti ripeti nella mente come un mantra “la vita continua… la vita continua…” e con un sorriso forzato auguri buone vacanze ai tuoi figli, mentre dentro di te la tempesta non si placherà fino a quando non faranno ritorno a casa!

 
 
 

UTOYA: STRAGE DEGLI INNOCENTI IN CHIAVE MODERNA

Post n°1112 pubblicato il 23 Luglio 2011 da kayfakayfa

È praticamente impossibile cercare di spiegare la follia e le sue origini. Leggere Freud, Jung, Adler e tanti altri padri della psicanalisi e psicanalisti moderni può certamente aiutare a rintracciarne le probabili cause alberganti nell’inconscio che all’improvviso fanno di una persona normale e tranquilla un pazzo omicida e utilizzarle come cartina di tornasole per individuare potenziali criminali in embrione da tenere sotto controllo per il bene della società. Ma, per quanto l’analisi dei soggetti studiati possa essere approfondita, essa avviene sempre su un campione di individui che hanno già manifestato segni di squilibrio mentale o compiuto, purtroppo, gesti inconsulti, e non certo su persone normali che mai ti immagineresti potrebbero all’improvviso trasformarsi da tranquilli dottor Jekyll in mostruosi mister Hide. Di conseguenza cercare di comprendere i motivi che alimentano la follia è sempre relativo in quanto essa può cogliere chiunque senza preavviso. Se poi si tratta di lucida follia, come quella che ha sconvolto la mente di Anders Behrin Breivik, l’uomo che ieri avrebbe prima compiuto gli attentati che hanno sconvolto la Norvegia - il primo a Oslo con un autobomba a due passi dal palazzo del governo, provocando la morte di sette persone; poche ore dopo trucidando a colpi di fucile e pistole una novantina di giovani laburisti in vacanza sull’isola di Utoya, su cui era sbarcato travestito da poliziotto, prima radunandoli davanti a sé con la scusa di dover salvaguardare la loro incolumità a seguito di quanto era successo nel pomeriggio nella capitale, e sparandogli addosso a bruciapelo, quindi aggirandosi per l’isola come un cacciatore a un macabro safari per stanare le sue prede e sterminarle - è ancora più difficile in quanto la follia si mescola alla ragione dando vita a un drammatico coktail che fa del folle un mostro in grado di mascherare il proprio squilibrio fino alla realizzazione dell'orribile scopo!

La dinamica del duplice attentato - che inizialmente aveva fatto pensare a una matrice islamica – lascerebbe pochi dubbi in merito: se davvero Breivik ha agito da solo, l’autobomba che ha piazzato a Oslo aveva lo scopo di fungere da esca in modo che, quando sarebbe sbarcato sull’isola, i giovani laburisti, nel frattempo informati di quanto era avvenuto nella capitale, non avrebbero opposto la minima resistenza alla richiesta di radunarsi al suo cospetto per ragioni di sicurezza, offrendosi inconsapevolmente nelle mani del loro carnefice.

Da quanto si apprende, l’attentatore sarebbe un fondamentalista cristiano, anti islamico, per cui non si può escludere che ad alimentarne la follia sia stata una sordida ragione politica: in Norvegia governano i laburisti  di derivazione socialista, dunque in contrapposizione con i partiti conservatori e cattolici. Colpire al cuore la capitale e il governo, e poi trucidare molti giovani sa tanto di strage degli innocenti in chiave moderna dove Breivik veste i panni di Erode mentre i giovani laburisti quelli degli innocenti da uccidere per evitare che il futuro re del partito, che si nasconderebbe tra loro, possa un domani assurgere al trono usurpando quello di Erode o di chi è ha lui caro.

Nei giorni e nei mesi a seguire leggeremo e ascolteremo tante dotte ipotesi sui motivi che avrebbero spinto Breivik a compiere il doppio folle gesto – premesso l’abbia davvero pianificato e realizzato da solo, senza complici. Ma per quanto illustri e autorevoli saranno, una cosa è certa, tutti saranno relativi in quanto la follia ti coglie all’improvviso, senza preavviso, o quasi, e quando la scopri è sempre troppo tardi!

 
 
 

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