Creato da kayfakayfa il 10/01/2006

LA VOCE DI KAYFA

IL BLOG DI ENZO GIARRITIELLO

 

Messaggi di Marzo 2017

LA CORRUZIONE ENTRA ALL'UNIVERSITA'

Post n°1793 pubblicato il 16 Marzo 2017 da kayfakayfa

Prima l'inchiesta Mafia Capitale, poi quella Consip, quindi l'inchiesta “The Queen” - in quest'ultima a vario titolo, a Napoli e in Campania, sono finite agli arresti tra carcere e domiciliari circa 60 persone tra politici, funzionari pubblici e professori universitari – non fanno altro che confermare quanto la corruzione sia dilagante in questo nostro disastrato paese.

Chi all'epoca di tangentopoli, circa venticinque anni fa, pensava che finalmente si fosse sulla strada giusta per porre un freno alla corruzione nell'ambito dell'amministrazione pubblica - al fine da far primeggiare nell'assegnazione degli appalti pubblici un sistema che garantisse che le gare di assegnazione si svolgessero senza alcun tipo di interferenze esterne garantendo che le realizzazioni dei lavori fossero assegnate alle aziende che con la propria offerta garantivano un miglior rapporto qualità/prezzo – nel corso del tempo s'è dovuto ricredere.

Da allora ne è passata d'acqua sotto i ponti, soprattutto sotto quelli del Tevere a Roma, ma come purtroppo raccontano le cronache di questi anni, la corruzione nella pubblica amministrazione è un cancro le cui metastasi si sarebbero estese in ogni settore. Ultimo quello dell'università e dei beni culturali, come risulterebbe dall'inchiesta napoletana.

Per spirito garantista il condizionale è d'obbligo. Al momento gli arresti sono preventivi. Per cui non è detto che tutti vengano confermati e che tutti gli inquisiti saranno poi rinviati a giudizio. E anche chi poi dovrà difendersi in tribunale, potenzialmente dovrà ritenersi innocente in quanto il nostro ordinamento giuridico prevede la presunzione d'innocenza fino a emissione della sentenza definitiva.

È però fuori discussione che quest'ennesimo, per ora presunto, episodio di corruzione non alimenti ulteriormente il malanimo dell'opinione pubblica verso la politica e tutto l'indotto che le gira intorno.

Che speranze ha un piccolo imprenditore di crescere come azienda sprovvisto di “agganci” che, se “oleati” in maniera giusta, gli garantiscano l'assegnazione di un appalto e dunque di lavorare?

Che speranze avrebbe di lavorare un operaio impiegato presso un'azienda che tenta di fare affari con lo Stato se la propria azienda non conoscesse i giusti canali da cui ricevere le dritte sul come fare per vincere una gara?

Oramai è più che una supposizione l'idea che in questo paese, se vuoi lavorare in ambito pubblico, devi avere le giuste conoscenze e la disponibilità economica per soddisfare le richieste di chi ti fa da spalla.

Non a caso l'Italia è uno dei paesi più corrotti d'Europa.

Del resto un paese che tra le sue istituzione ne ha una deputata a combattere la corruzione, l'Anac di Cantone, tacitamente sta ammettendo che la corruzione è una realtà radicata all'interno del proprio territorio. Al pari delle criminalità organizzate.

La domanda è: cosa ha reso possibile il diffondersi in maniera esponenziale di queste metastasi sociali?

 
 
 

L'ULTIMA CAUSA, IL DISCO DI NICOLA DRAGOTTO

Post n°1792 pubblicato il 13 Marzo 2017 da kayfakayfa

Il 18 marzo a Parma, in occasione del concerto che terrà al Bar Cristallo, il cantautore napoletano Nicola Dragotto presenterà in anteprima il disco L'ULTIMA CAUSA, edito dalla POLOSUD RECORD.

Di seguito la lunga intervista che Nicola mi ha concesso dove parla di sé e del disco.

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Da quattordici anni in trincea nel mondo dello spettacolo, prima portando in giro i suoi lavori di teatro/canzone sul solco della tradizione di Giorgio Gaber, poi, dopo un processo di “degaberizzazione”, che, come afferma egli stesso, “non è affatto un rinnegare le origini, bensì un’evoluzione naturale intesa come cambiamento”, negli ultimi cinque anni Nicola Dragotto, avvocato napoletano civilista, classe 1956, è parte del collettivo Be Quiet, movimento cantautoriale napoletano fondato nel 2012. Nel suo curriculum artistico anche una parentesi da compositore con la realizzazione della colonna sonora del cortometraggio “Anna Politkovskaja, concerto per voce solitaria” del regista Ferdinando Maddaloni (PREMIO IMAIE) e un’altra parentesi come direzione artistica musicale di spettacoli itineranti, dal 2008 al 2010, nell’ambito del festival Etno Internazionale di Montefalcione in provincia di Avellino. A marzo finalmente uscirà “L’ultima causa”, il suo primo album che presenterà in anteprima il prossimo 18 marzo in occasione del suo spettacolo, dal titolo omonimo, a Parma.

D: Il titolo del disco, “L’ultima causa”, manco a dirlo, sembra chiamare in causa, scusa il gioco di parole, la tua professione di avvocato. È un fatto voluto o ha un altro significato?

R: Ovviamente ha un altro significato. Anche perché sarebbe stato abbastanza retorico tirare in ballo la giustizia essendo, a mio avviso, già stata giustiziata da un pezzo. Per me l’ultima causa per cui vale veramente la pena di vivere e di lottare è la cultura. La cultura che si manifesta anche attraverso la musica. La musica, con il suo linguaggio unisce. In un mondo dove c’è tanta incertezza e tanta disgregazione, se non soltanto aggregazione scioccamente virtuale, la musica colora i tanti grigi della vita di tutti i giorni.

D: Come mai la scelta di presentare il disco proprio a Parma?

R: Be, in effetti l’uscita avrebbe dovuto prevedere una location di Napoli in una data successiva subordinata al lancio di un video di presentazione, ma poi mi son detto: perché non stravolgere il rituale canonico e presentare il CD in anteprima a Parma, il 18 marzo, in occasione del mio concerto? Parma è la città che ha dato i natali a Giuseppe Verdi, portatore nel Nabucco dei valori dell’unità e dell’appartenenza, valori sempre più dimenticati da questa società, obbligata all’ossimoro “libero mercato”, a discapito del senso della memoria collettivo, dove molta intellettualità è al servizio dell’immagine e del tornaconto personale più che alla difesa delle aspettative delle giovani generazioni.

D: Come nasce “L’ultima causa”?

R: Il disco è il frutto di un lavoro legato ad un processo di continui confronti con i cantautori gravitanti nel circuito del Be Quiet, che hanno influito sulla modalità di stesura dei testi, sulla ricerca di una sintesi diversa che però sapesse evocare e dare immagini, condividendo, come spesso capita tra amici, anche le rispettive esperienze di vita.

D: Nicola, vogliamo meglio spiegare cos’è esattamente il “Be Quiet”?

R: Il “Be Quiet” è nato da un'idea di Giovanni Maria Block, giovane cantautore napoletano, che dopo la sua esperienza musicale a Torino, dove ha inciso il suo primo disco, aveva maturato la convinzione che quello stesso tipo di esperienza si sarebbe potuta sviluppare anche a Napoli. Per cui, in silenzio, è partito il primo incontro fra “ carbonari della canzone d’autore del sud” tenutosi presso il Cellar Theory di Luciano Labrano, se non l'ultimo, uno dei pochi locali underground rimasti in Italia. È partito insieme a Vincenzo Rossi dei Diversamente Rossi e a Peppe di Taranto della Bestia Carenne. Li cito con piacere perché li ho avuti, insieme ad Alessandro Freschi dei Freschi Lazzi e Spilli, come ospiti nel mio disco. Per motivi professionali che mi bloccarono a Venezia non ho potuto partecipare alla serata inaugurale, ma dalla seconda anch'io mi unii a loro. A rendermi partecipe del progetto, chiedendomi se volessi farne parte, fu Matteo Parlati, un altro mio amico cantautore. Immediatamente aderii e mi presentai con la chitarra al Cellar. E da lì, come i primi cristiani nelle catacombe, abbiamo incominciato a fare proseliti. Vedere presentarsi, a ogni appuntamento, cantautori di tutte le età muniti di strumenti per suonare con noi, era uno sprone a non demordere, a proseguire nel progetto. Fino a quando una sera, sorpresa gradita ed inaspettata, si presentò Eugenio Bennato che ci onorò con una sua canzone. Si stava davvero facendo qualcosa di interessante. Quella presenza fu una forte ulteriore motivazione ad andare avanti. Dall'underground siamo finiti all'overground, grazie al Piccolo Bellini, uno dei teatri napoletani con un cartellone molto ricco e interessante, che ha ospitato con cadenza mensile il Be Quiet Show. Il Piccolo Bellini ci ospita ormai da due anni e, lo dico con grande gioia, ogni serata registriamo il sold out. Ricordo perfino un lunedì sera che pioveva e c'era in televisione il posticipo Fiorentina-Napoli… e ho detto tutto.

D: Torniamo al disco...

R: Il disco è il frutto di una felice collaborazione e di una scommessa tra giovani e un vecchio/giovane 60enne alla ricerca della propria identità.

D: Perché della propria identità? Tu in tanti anni hai fatto tante cose!

R: Sì. Però non avevo effettivamente chiara quale fosse la strada che volessi intraprendere.

D: Perché?

R: Fare tante cose, il sentirle quando le fai, non significa che stai facendo quello che dentro di te vorresti fare. Partiamo dal presupposto che una mattina mi sono svegliato e ho deciso di dare un senso alla mia vita, senza continuare a rinnegare la cosa più bella che volessi fare, vivere nell’arte. Per cui mi sono messo in cammino alla ricerca del tempo perduto, animato dalle migliori intenzioni. Però notavo sempre che la strada era lì, chiara, da accarezzare con i miei passi, ma alla fine mi ritrovavo in un vicolo cieco. Ammetto di avere avuto in più occasioni momenti di crisi, anche di identità. Dentro di me c’era sempre qualcosa che continuava a offendere la mia vita, impedendomi di prendere la decisione giusta. Anche perché, se andava fatto, non doveva essere un semplice gesto di vanità, se non addirittura di superbia, al fine di poter dire “il mio disco” a quanti mi tormentavano con la domanda “Ma come? Non hai ancora fatto un disco?”. Il disco non è né un’esigenza, né un dovere verso qualcuno, né il farsi bello. Per me la concezione di fare un disco era trovare anzitutto lo spirito giusto e la serenità interiore, qualcuno che veramente credesse in me e fosse interessato alla mia arte, perché si investe non solo sul piano economico, ma soprattutto sul piano umano. Questo CD per me è il frutto del sogno del Be Quiet, crocevia generazionale del nuovo cantautorato, fattosi segno nella vittoria sullo scetticismo che troppe volte ha stretto e stringe Napoli in una morsa da rendere anche i più forti impotenti. È la vittoria dei più giovani nel credere che nell’arte non ci sono limiti di età. È la capacità di comprendere che il vino, se invecchiato bene, non diventa aceto. Io mi sono sempre sentito un po’ il papà di questi giovani cantautori e li ho sempre sostenuti con parole concrete e il Be Quiet mi ha ricambiato affidando a Giovanni Maria Block il compito di curare gli arrangiamenti delle mie canzoni, mentre la PoloSud Records, nella persona di Ninni Pascale, ha curato la produzione. Ma per arrivare a Ninni ho dovuto passare un qualcosa che ha dato senso a tutto ciò.

D: Sarebbe?

R: Una notte di marzo dello scorso anno ho avuto un cortocircuito di cinque secondi. A seguito di un infarto, il mio cuore si era fermato in sala emodinamica. In quel momento fu la luce!

D: Quindi stai asserendo che l’aver tastato sulla tua pelle la futilità dell’esistenza umana ha fatto scattare in te qualcosa?

R: Sembra retorico, ma è così. Pensa che quanto mi è accaduto quella notte ha fatto storia. Sono andato da solo in ospedale, percorrendo contromano un senso obbligato perché avevo capito che dovevo battere il tempo. In quel momento, pur essendo concentrato su quanto stava avvenendo, non ho avuto paura. In me c’era un senso di pace, non di rassegnazione, mai provato prima. Anche di preparazione fatale a quella che non sarebbe potuta più essere la mia vita. Quando ho sentito la voce del dottore chiedermi: “tutto bene”?, ho chiesto: “perché?”. Non mi ero accorto di essere andato in fibrillazione. Loro mi hanno ripreso in cinque secondi. Il miracolo nel miracolo è stato che dopo tre giorni ho scoperto di non aver riportato alcuna lesione al cuore. A quel punto ho pensato che fosse davvero arrivato il tempo di lasciare qualcosa di tangibile della mia arte in questa vita da potere trasmettere.

D: Possiamo dunque affermare che “L’ultima causa” è il lascito testamentario di Nicola Dragotto alla Vita?

R: Più che un testamento, questo disco è un ringraziamento alla Vita. Ed è anche una sferzata a tutti i soloni del “non ce la potrai mai fare” affinché anche loro imparino a farcela.

Un sorriso sornione illumina il volto di Nicola mentre pronuncia quest'ultima frase!

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L’ULTIMA CAUSA

TESTI E MUSICA DI NICOLA DRAGOTTO

PRODUZIONE ARTISTICA NICOLA DRAGOTTO

PRODUZIONE ESECUTIVA POLOSUD RECORD di NINNI PASCALE

HANNO COLLABORATO:

GIOVANNI MARIA BLOCK, ARRANGIAMENTI

GIUSEPPE DI TARANTO, FEAT.

VINCENZO ROSSI, FEAT.

ALESSANDRO FRESCHI, FEAT.

EMMA INNACOLI, VOCE SOPRANO

FABIANA MARTONE; MARCO D’ANNA, SIMONE SPIRITO: BACK VOCAL

ROBERTO PORZIO: PIANO

MARIANO BELLOPEDE: PIANO

DUILIO MEUCCI: CHITARRA CLASSICA

MARCELLO GIANNINI: CHIATARRA ACUSTICA E ELETTRICA

NINNI PASCALE: CHITARRA ACUSTICA

AUGUSTO BORTOLONI: BATTERIA

PASQUALE DE PAOLA; BATTERIA

PASQUALE BENINCASA: PERCUSSIONI

FABIO RENZULLO: TROMBA

DARIO MAIELLO: BASSO

ANTONIO D’ANGELO: BASSO

GIOVANNI SANARICO: VIOLONCELLO

ALFREDO d’ECCLESIIS: ARMONICA

 
 
 

CARO SALVINI CCA NISCIUN E' FESS!

Post n°1791 pubblicato il 12 Marzo 2017 da kayfakayfa

Essere in disaccordo con la presenza politica di Matteo Salvini a Napoli non significa né essere antidemocratici, né schierarsi a favori dei pochi facinorosi che, infiltrati nella manifestazione anti leghista che ieri pomeriggio civilmente s’è mossa da Mergellina alla volta della Mostra d’Oltremare dove era in corso il comizio del leader lombardo, giunti a Fuorigrotta, sono fuoriusciti dal corteo per scontrarsi con la polizia, mettendo a ferro fuoco le vie adiacenti Piazzale Tecchio.

Chi sostiene il contrario, presumibilmente, lo fa in maniera strumentale per scagliarsi contro il sindaco di Napoli De Magistris  il quale aveva pubblicamente dichiarato il proprio dissenso per la presenza leghista alla Mostra d’Oltremare, al fine di levarsi qualche sassolino dalle scarpe per la cocente sconfitta alle amministrative di un anno fa dove il sindaco si impose al primo turno sul candidato del centrodestra Lettieri e quello del Pd Valeria Valente, oggi dimessasi da capogruppo del PD in consiglio comunale perché coinvolta con il Pd napoletano nello scandalo dei falsi tesseramenti; al successivo ballottaggio su Lettieri, ricevendo oltre il 60% delle preferenze, replicando il risultato di cinque anni prima. Ma si è anche dissociato dai facinorosi, condannandone le violenze.

Le violenze di ieri vanno condannate senza se e senza ma. Va però anche appurato come sia stato possibile ai black bloc  di infiltrarsi nel corteo senza che nessuno si premurasse di  setacciarlo per individuarli e isolarli.  

Da settimane si temeva che la presenza di Salvini a Napoli sarebbe stato il pretesto per degli scontri violenti. Perché non sia siano prese le dovute precauzioni lascia troppe domande  sospese cui le autorità devono rispondere.

Che oggi la Lega per voce del proprio leader inneggi alla salvaguardia dell’unità d’Italia – mettendola tuttora in discussione per statuto, invocando al primo punto L’indipendenza della Padania - e alla salvaguardia del meridione - dopo aver offeso per anni i meridionali, etichettandoli con i peggior epiteti, (è visibile in rete un video del 2008 dove si vede Salvini bere birra e cantare contro i napoletani puzzolenti) – agli occhi di molti napoletani e meridionali risulta poco credibile.

È comprensibile che Salvini cerchi di rifarsi politicamente  la faccia in vista delle prossime elezioni politiche. Ma pretendere che i napoletani dimentichino le offese gratuite subite da lui e da tanti altri rappresentanti del suo partito, francamente, è incomprensibile.

Per carità, nessuno mette in discussione che nel corso degli anni Salvini possa essersi veramente ravveduto al punto che ai propri occhi il sud Italia non rappresenta più una zavorra, una sanguisuga economica da cui staccarsi, bensì una potenziale risorsa per il paese, pertanto le sue scuse ai meridionali fossero sincere. Né è improbabile che lui e tutti gli altri leghisti abbiano riposto le ambizioni secessioniste – non si direbbe visto che uno zoccolo duro chiede tuttora la secessione -  e che non si sentano più padani bensì italiani anche loro.

Ma è difficile per il popolo Napoletano il quale, nel nome dell’unità d’Italia, ha subito da parte dei Savoia una delle più cruenti invasioni e violenze etniche che la storia moderna ricordi, velata sotto il poetico nome di Risorgimento, credere che all’improvviso un uomo del Nord, che fino a “ieri” non si faceva scrupoli di infierire contro i meridionali “ladroni “ puzzolenti”, possa all’improvviso convertirsi sulla via di Damasco tanto da ritenere una risorsa il mezzogiorno d’Italia.

Come avrebbe detto Totò, caro Salvini cca nisciun e fess!  

 
 
 

ITALIA IL PAESE DEI CROLLI

Post n°1790 pubblicato il 10 Marzo 2017 da kayfakayfa

Penso che non sia onesto parlare di fatalità a proposito del crollo del ponte sulla A14 che ieri ha ucciso due persone schiacciandole nella propria auto. Non sarebbe onesto in quanto, essendo un ponte una struttura “artificiale” figlia del genio umano, se è crollato è perché qualcosa non ha funzionato all'atto in cui, in fase di manutenzione, gli operai ne stavano sollevando la campata con dei martinetti.

Come in molti sostengono certi lavori dovrebbero contemplare il blocco del traffico per evitare spiacevoli imprevisti. Per cui, se si stava operando lasciando libera la viabilità, è ipotizzabile che sia una prassi consolidata quella di effettuare simili lavori senza bloccare il flusso dei mezzi sulla strada sottostante.

Del resto, quando a ottobre un incidente simile si verificò in provincia di Lecco, il crollo del ponte sotto cui morì un automobilista, anch'egli schiacciato nella propria auto e altri tre rimasero feriti, avvenne dopo che nell'arco della giornata c'erano state svariate segnalazioni alle autorità che la struttura dava evidenti segni di cedimento. Nonostante ciò, per un rimpallo di responsabilità tra provincia e Anas, dalle segnalazioni alla decisione di chiudere la strada trascorsero diverse ore. E, quando quello che presumibilmente sarebbe stato l'ultimo tir a passare sopra il ponte prima della chiusura, la struttura cedette con conseguenze tragiche.

Anche in quel caso non si può parlare di fatalità bensì di tempo perso per motivi burocratici.

Poiché oltre ai casi sopraccitati, ci sono, purtroppo, altri esempi di viadotti e ponti autostradali crollati – il cedimento nell'aprile 2015 di un pilone del viadotto autostradale Palermo-Catania; sempre nel 2015 il cedimento della quinta campata del Viadotto Italia a Cosenza dove perse la vita un operaio – forte è il dubbio che l'incidente di ieri possa attribuirsi a una tragica fatalità e nulla più.

Il vocabolario on line Treccani al termine “fatalità” dà questa definizione: 1. L’essere fatale: fdi un avvenimentola fdei grandi eventi storici2. Più spesso, fato avverso, destino contrario: è la fche ci perseguita; per estens., soprattutto in frasi esclamative o incidentali, sfortuna, disdetta, contrattempo e sim.: è una f.!per non so quale f.; con senso più concr., avvenimento funesto, di gravi conseguenze: il crollo del ponte è stato una tragica fatalità.

Dunque parlare di fatalità per il disastro di ieri è come affermassimo che tragicamente segnato fosse il destino delle vittime. Riducendo le responsabilità umane.

Ma se volessimo parlare di fatalità, dovremmo considerare l'operato umano come strumento del destino per potersi realizzare.

Per cui è evidente che trincerarsi dietro il vocabolo fatalità, sarebbe solo un mezzo per scaricarsi dalle colpe.

Un ultima considerazione: non c'è governo che non rispolveri dal cassetto il progetto del ponte sullo stretto.


Poiché in questo paese si costruiscono le case con la sabbia che si frantumano al primo terremoto di media intensità; si rafforzano gli argini dei fiumi con il polistirolo; i viadotti autostradali crollano sulla testa degli automobilisti; in molte scuole i soffitti si staccano cadendo sulla testa degli alunni; su alcune tratte ferroviarie i treni viaggiano ancora su un unico binario e le comunicazioni tra le stazioni avvengono via telefono tanto che a volte un guasto alla linea telefonica può essere causa di un disastro ferroviario, l'idea del ponte sullo stretto terrorizza al solo pensiero!

 
 
 

CASAL DI PRINCIPE SI SENTE ABBANDANATO DALLO STATO

Post n°1789 pubblicato il 07 Marzo 2017 da kayfakayfa

La notizia è talmente paradossale che, di primo acchito, verrebbe da pensare si tratti di una “bufala”; una delle tante fake news, notizie false, che girano in rete al punto da indurre le istituzioni ad avviare uno “studio” per trovare un sistema per arginarle visto che, essendo scritte e articolate in maniera sempre più professionale, spesso inducono ad abboccare all’amo perfino il lettore smaliziato.

In particolare le bufale attecchiscono soprattutto tra i giovani e quanti si informano unicamente su internet, per la precisione sui social network tipo face book dove viaggiano in tempo reale tra migliaia di utenti.

 E invece la notizia, purtroppo, è vera: A CASAL DI PRINCIPE, PATRIA DEL FAMIGERATO CLAN CAMORRISTICO DEI CASALESI, PER LA MESSA IN SICUREZZA DEI LOCALI CHE LO OSPITANO, CHIUDE IL PRESIDIO DI PUBBLICA SICUREZZA.

Ovviamente la notizia ha messo in agitazione l’intero paese. A cominciare dal sindaco Renato Natale  che afferma, “la chiusura della sede della Squadra Mobile a Casal di Principe è molto grave, voglio credere alle rassicurazioni che parlano di un disguido tecnico-burocratico, ma invito lo Stato a fare presto, a non lasciarci senza quel presidio”.

Il distretto in oggetto sorge in una villa a due piani sequestrata al boss Dante Apicella e “assegnata dal Comune alla polizia di stato, in via provvisoria, il 27 giugno 2008”. La sua chiusura, seppure anche questa provvisoria, sarebbe determinata da improcrastinabili lavori di sicurezza da effettuarsi alla struttura per adeguarla alle normative di legge.

A riguardo è perentorio il Capo del Polizia Franco Gabrieli, “lo stato non si è ritirato e non si ritirerà da Casal di Principe”. Secondo il funzionario il progetto, dopo i dovuti adeguamenti strutturali alla villa, prevede di trasformare l’attuale presidio di Polizia in vero e proprio Commissariato!  

Tuttavia, malgrado le reiterate garanzie delle autorità, riesce difficile accettare l’idea che, in attesa che si completino i lavori di ristrutturazione dello stabile, il paese possa restare sprovvisto di un avamposto di pubblica sicurezza.

È come se all’epoca del far west mancasse un fortino a difesa di un’area colonizzata in terra indiana.

Possibile che non si riesca a trovare una soluzione provvisoria che assicuri la presenza fissa dello Stato sul territorio? Magari spostare il presidio in una struttura diversa, perfino  prefabbricata o quant’altro per tranquillizzare i cittadini che lo Stato non li ha abbandonati?

Che l’Italia fosse vittima della burocrazia è un fatto noto a tutti. Ma che addirittura la burocrazia potesse intralciare la lotta alla criminalità organizzata - così appare agli occhi non solo dei cittadini di Casal di Principe ma anche del sindacato di Polizia Silp Cgil che in una nota del suo Segretario Tommaso Delli Paoli dichiara tra l’altro , “Notizia inaccettabile e fuori da ogni logica rispetto al contrasto alla criminalità organizzata” – mettendo a rischio la tutela della sicurezza pubblica, è davvero paradossale tanto da apparire una bufala.

Ma bufala, purtroppo, non è!

 
 
 

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