Creato da bal_zac il 21/10/2011

FUORI SERIE

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Carissimi onorevoli

cari _norevoli

Sugli stipendi dei parlamentari è guerra aperta e dalle viscere del Paese sale sempre più forte la voce della protesta. Sui numeri c'è confusione. Nemmeno i media riescono a districare la matassa delle infinite voci che compongono la busta paga dei nostri onorevoli e non è l'ostruzionismo e la difesa a oltranza condotta dagli stessi parlamentari ad aiutare. Paradossalmente, la cigliegina sulla torta della confusione ce la regala la commissione Giovannini (Istat) incaricata di fare il punto della situazione. Nemmeno gli esperti dei numeri sono riusciti a fare luce sul mistero, anzi hanno chiesto più tempo. Senza entrare nel merito delle cifre esatte una cosa è certa: avere un seggio in parlamento è come vincere al lotto. 

In attesa della conclusione dell'inchiesta i media ci bombardano con dati, cifre mentre noi cittadini perdiamo di vista il vero nocciolo della questione: i costi della politica. Siamo come gli ingenui (per non dire peggio) che guardano il dito invece della luna. Personalmente non mi scandalizza se il parlamentare italiano prende una busta paga generosa. Mi irrita invece profondamente la sua ipocrisia sul tema, questo nascondersi dietro tecnicismi formali e la tendenza che ha a farci credere che, a conti fatti, stipendio e benefit non sono poi così speciali e diversi da quelli che offre il mercato. Giustizia e decenza vorrebbero che in un periodo di vacche magre i sacrifici fossero ripartiti tra tutti, politici compresi. A maggior ragione quando sono stati loro a chiederli (si fa per dire) agli italiani. 

Generalmente quando si parla di abbattere i costi della politica si pensa alla remunerazione di coloro che la praticano a tempo pieno. In realtà quei costi possono suscitare indignazione ma sono irrilevanti se paragonati ai costi, quelli veri, quelli che dissanguano i portafogli oltre che il morale della cittadinanza. Questi vanno cercati nella palude grigia del gestire la cosa pubblica, in quella terra dove fioriscono enti inutili, burocrazie varie, società miste e quelle infinite e spesso sconosciute voci di spesa che nessuno (di loro) vorrebbe divulgare. 

 
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UlteMirari
UlteMirari il 17/01/12 alle 11:19 via WEB
“Il popolo è un bambino”, racconta Ascanio Celestini. “Se gli metti paura te porta le ciabatte, te lava la macchina. Il popolo è un bambino. Se gli metti paura… ti ubbidisce subito”. E si, la Paura, insieme ai manganelli, la galera, l’ignoranza, è un’arma efficace per convincere il popolo ad affidarsi al messaggio ipnotico dei potenti. Dopo i comunisti, i rom, i clandestini, gli stati canaglia, l’ultima paura mandata in onda è quella del debito e del mancato pareggio dei conti pubblici. Rientrare dal debito è il mantra quotidiano di economisti e istituti finanziari. Come se uno stato fosse un’azienda privata che però non goda della depenalizzatio del falso in bilancio. Lo dicono gli economisti. Cioè quelli che in un famoso aforisma dello scrittore Nicolas Chamfort, vengono definiti come chirurghi che hanno un eccellente scalpello e un bisturi scheggiato, sicché operano a meraviglia sul morto e martorizzano il vivo. Fuori dal coro, l’economista Andrea Fumagalli argomenta, dati alla mano, che la vulgata che descrive i mercati finanziari come concorrenziali, imparziali e neutri sia niente altro che una favola, uguale e contraria a quelle che racconta Ascanio Celestini, solo che queste ci piacciono di più. Scrive Fumagalli che con il capitale finanziario a dominare l’economia i mercati muovono una ricchezza 8 volte più grande di quella reale e questo ha dato origine ad una nuova “accumulazione originaria”, con un elevato grado di concentrazione in poche mani. Per intenderci il potere finanziario dell'intero pianeta è nelle mani di solo cinque Società di Intermediazione Mobiliare e di cinque banche che insieme controllano oltre il 90% dei titoli derivati. Questi sono i pescecani che con i nostri soldi e sacrifici dovremmo soccorrere. La Banca Centrale Europea dunque, non essendo altro che il garante del mantenimento di uno spazio sempre aperto per gli speculatori, mente sapendo di mentire. Che fare? Si può rendere manifesto il trucco e rimandare al mittente la paura. Si può esigere il diritto alla bancarotta, all’insolvenza del debito e farne un’arma contro il potere finanziario. Questa è l’economia che ci piace perché sappiamo che non esiste una scienza neutrale e che anche fare di conto è questione partigiana. D’altra parte lo sanno da un pezzo i movimenti in lotta contro la globalizzazione liberista. Sanno che questa non è materia da lasciare in mano ai professionisti del settore visto che di mezzo c’è la vita delle persone in carne e ossa che quei signori esperti hanno già ampiamente devastato. Lo sanno, anche se ancora aspettano il riconoscimento delle ragioni delle giornate di Genova, proprio adesso che, dopo dieci anni, l’Europa si prepara a varare una specie di tobin tax per far fronte alla crisi. A dimostrazione che nulla può mutare senza conflitto. E sanno del costo della libertà d’azione della speculazione finanziaria sulla vita precarizzata dei più del mondo a cui questo modello di sviluppo sta rapinando ogni ricchezza, materiale e immateriale che sia. Lo sanno. E’ così che gli “indignati” di ogni dove oggi hanno una paura in meno e una forza in più nel diritto esigibile che fa anche della moneta, come l’acqua e l’aria pulita, non altro che un bene comune. Il popolo è un bambino, - dice il nostro conta storie - Se gli rubi le caramelle il bambino si arrabbia. Ma se gliele metti in vetrina quello se le compra subito. Allora tu che sei più furbo del popolo gliele fai pagare il doppio di quello che valgono. Così per ogni caramella che si compra una gliela vendi e un'altra gliela rubi. Se metti le mani in tasca al popolo sei un ladro, ma se è il popolo che si viene a svuotare le tasche da te è solo una legge di mercato".
 
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