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STOP AI PRECARI

Post n°407 pubblicato il 27 Novembre 2007 da silvia.to
Foto di silvia.to





Precariato, una minaccia anche alle imprese




Maurizio Zipponi*,

26 novembre 2007









La Sinistra che vogliamo

Una risposta alla sintesi frutto del dibattito apertosi sul nostro
Forum. In Italia la prima necessità è quella di abrogare la precarietà
come sistema occupazionale ma soprattutto di vita. Una sfida che però
riguarda anche l'industria, che ha creduto erroneamente che si potesse
rispondere alla competizione globale frantumando e deregolamentando
l'occupazione








Il dibattito sviluppatosi sul Forum di Aprileonline in materia di
lavoro mi è sembrato la prosecuzione di ciò che è stato discusso nelle
assemblee dei lavoratori in occasione del referendum sul Protocollo. E'
come se si fosse entrati in una assemblea permanente importante che
testimonia come questi argomenti si dovrebbero imporre all'attenzione
politica. Ciò che è stato messo in luce in quelle assemblee, e che
viene ribadito nel Forum, è che tutto ruota intorno al fenomeno della
precarietà, come modello non solo di organizzazione di lavoro, ma
soprattutto di vita permanente. Come fattore che genera angoscia,
perché crea assenza di progettazione sul proprio futuro.

Rispetto
al tema della precarietà concepita ormai come sistema, capace di
intervenire sulla vita delle persone, di influenzare il tempo degli
individui legandolo a quello della produzione, stiamo assistendo per la
prima volta al suo incrociarsi con un altro punto di vista, cioè quello
della critica all'impresa. Quest'ultima che ha agito unicamente sulla
precarietà, oggi appare fuori mercato, perché piccola, frammentata,
sottocapitalizzata, senza ricerca, senza investimenti in formazione. Si
scopre dunque che quell'impresa lì, che un tempo sembrava aver trovato
il bandolo della matassa per rispondere alla concorrenza internazionale
nella precarizzazione, è in verità profondamente perdente. Non stiamo
ragionando solo delle condizioni di vita del lavoratore, ma anche di un
sistema economico, del modello di impresa necessario per competere sul
piano internazionale. I due punti cominciano a incrociarsi, per cui è
necessario rispondere a quelle persone che, partendo da sé, esprimono
un disagio che non è solo individuale, ma che coinvolge l'intero Paese
e su di esso si riflette negativamente: l'interesse della persona
concreta comincia a coincidere con quello sociale, e chiama in causa la
necessità di avere imprese che funzionano meglio.

Sono tre i temi
su cui il Forum si è espresso avanzando proposte specifiche. Il primo è
quello della modifica dell'articolo 2049 del Codice Civile affinché ci
siano solo due categorie di lavoratori (dipendenti e autonomi) e che mi
trova perfettamente d'accordo. L'Italia è infatti da questo punto di
vista un Paese anomalo, dato che in Europa esistono due categorie
generali di lavoro: quello economicamente dipendente (per intenderci,
quello fatto da persone che non decidono né il tempo né il compenso
della loro occupazione e che, quindi, non sono proprietarie dei mezzi
che servono a lavorare) e quello indipendente, autonomo, libero
professionale. In quest'ultima categoria, nel nostro Paese, rientrano
paradossalmente milioni di giovani che sono chiamati a partita iva,
oppure cocopro o interinali, o addirittura impiegati in false coop.
Condivido a tal punto questa necessità che è stata scelta come criterio
ispiratore della legge presentata e firmata da più di 100 parlamentari,
costruita insieme al centro dei diritti Alo e guidata da Nanni Alleva,
uno dei più importanti giuslavoristi italiani.

Anche la
richiesta di retribuire maggiormente i lavoratori con contratto a tempo
determinato, garantendo loro maggiori versamenti previdenziali e
assicurativi è legittima. Significa applicare ciò che si disse quando
si cominciarono a praticare i primi contratti a termine, e cioè che
l'alta professionalità se impiegata per un breve tempo deve essere
pagata di più. Purtroppo ci si indirizzò su una altra strada che deve
essere abbandonata, cercando di riportare il lavoro a tempo nell'alveo
dell'eccezionalità e di specifiche occupazioni, garantendolo.

L'altra
proposta avanzata dai partecipanti al Forum, ovvero quella di
stabilizzare i tanti lavoratori della pubblica amministrazione, è stata
già parzialmente accolta nella Finanziaria del 2007 e si proseguirà il
lavoro in quella del 2008. Sono stati definiti percorsi importanti
perché la p.a. inverta la rotta.

C'è poi il discorso riguardante
gli ammortizzatori sociali. In questo caso la richiesta è quella di
garantire una vera indennità di disoccupazione e di favorire la
formazione obbligatoria che accompagni i lavoratori licenziati verso
nuove occupazioni. Ci sono modelli in Europa che affermano che
l'impresa, quando non ha bisogno più del lavoratore, non ha nessuna
responsabilità verso di lui, e che al contrario dovrebbe essere lo
Stato a farsene carico. Non sono d'accordo, perché penso che l'impresa
deve in primo luogo assumersi l'onere del lavoratore, del fatto che
perde il suo posto di occupazione specifico, e deve garantirgli
l'inserimento in un percorso formativo di ricollocazione o all'interno
della stessa impresa o in altro posto di lavoro equivalente nel
territorio. L'impresa non può essere liberata dalla responsabilità
verso i suoi impiegati delegandola allo Stato e agli ammortizzatori
sociali, perché è un ragionamento di comodo opportunistico. L'impresa
che vive una trasformazione del ciclo produttivo che la porta a vedere
superfluo un lavoratore, deve avviare formazione e ricollocazione: è
una responsabilità sociale. Quest'ultima potrà, naturalmente, godere
poi dell'apporto dello Stato, dei suoi finanziamenti.

Tutti
questi temi sollevati dal dibattito naturalmente non possono non
chiamare in causa l'argomento di grande attualità del Welfare. Su
questo punto mi sento di fare una sola considerazione e cioè che sul
parlamento e sul governo agisce una forza politica che non si presenta
alle elezioni ma che è vicina a qualsiasi esecutivo: questa forza si
chiama Confindustria. Una associazione che non rappresenta gli
industriali (cosa che sarebbe giusta), ma la lobby di via della
Astronomia, la quale agisce come un partito politico, promuovendo
personaggi e determinando leggi. La grande difficoltà politica è allora
quella di arginare tale influenza illegittima.

*Responsabile Economia del PRC







 
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