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IL GIORNO DELLA SINCERITA' - Parte III - Quando D'Amore si siede sulla poltrona a pensare

Post n°1276 pubblicato il 24 Febbraio 2012 da non.sono.io
Foto di non.sono.io

Il direttore rimase muto fissandolo ancora per un po’. D’Amore non sapeva dove guardare, né come ci si comportava precisamente in queste circostanze. Poi l’altro all’improvviso:
 - Insomma, non hai proprio niente da dirmi?
Carlo accennò con la testa un sì, poi presto si rese conto che non gli veniva proprio in mente niente e si precipitò a scuotere la testa leggermente a destra e a sinistra.
- Ma come… Non hai un impulso irrefrenabile a confessare tutti i tuoi più intimi segreti?
D’Amore a quel punto ritenne indispensabile per lo meno chiedere spiegazioni, già che l’imbarazzo procuratogli da quell’interloquire con il suo direttore conciato in quel modo era di gran lunga inferiore al senso di disagio di quella specie di assurdo interrogatorio.
- Signor direttore, io non so di cosa lei stia parlando…
- Ma come! Non è possibile! Non ti dirmi che tu non sai nulla…
- Cosa dovrei sapere, signor direttore? – Pronunciò quella frase attardandosi volutamente sulla parola “signor”.
- Come cosa? Questo per esempio… - Il direttore accese una piccola radio che teneva sulla scrivania. Quando si collegarono stava appena finendo il gingle di una pubblicità, e il dj iniziò a parlare appena un istante dopo: - Bene, e ora una canzone di merda cantata da una di quelle negre con il culo di fuori che vi scorderete tra qualche ora, ma che siccome la sua casa discografica paga un sacco per farsi trasmettere vi dovete per forza ascolare… Su, adesso tutti con le braccia alzate… Yheaa!!! -.
- Ha sentito? Vuole qualche altro indizio? Ecco… - Prese un giornale, “Il Messaggero”, lo stese per bene poi lo afferrò portandoselo al petto per poi girarlo di colpo verso D’Amore. Sotto la testata c’era un titolo a cinque colonne senza foto: “A cojoni!!”. 
- Le serve altro per capire? 
D’Amore non disse nulla. In verità non aveva ben compreso cosa stava accadedo, ma aveva paura di rivelare tutta la sua mancanza di sagacia. Il direttore allora scosse la testa sconsolato.
- He… D’Amore, dunque è vero quello che si dice di lei,  e cioè che è un cretino dal naso a forma di rosetta… - D’Amore si coprì immediatamente il naso con la mano.
- Ma come fa a non capire… Questa mattina, per qualche oscuro mistero che ancora non ci è dato di comprendere, il mondo si è svegliato diverso, molto diverso. Tutti hanno provato l’irrefrenabile impulso di dire tutta la verità, ma proprio tutta quanta. Non c’è più una persona al mondo che oggi non abbia rivelato a chiunque i suoi difetti, i suoi tradimenti, i segreti inconfessabili, i desideri più oscuri… Guardi me per esempio. Dica la verità che le viene da ridere a vedermi così… 
Ma D’Amore negò.
- Accidenti. Ma si rende conto che lei attualmente è l’unico essere vivente a non essere stato, diciamo, contagiato? Come fa ancora a mentire, e soprattutto come fa a sopportare di poter mentire?... Forza! Provi! Si liberi! Mi dica “signor direttore lei è un frocio”… Su senza paura, non la mordo mica…
D’Amore era spaventato. Una delle peggiori emozioni, quasi insostenibile. Cosa avrebbe dovuto fare? Lui non pensava questo del suo direttore, cioè, è vero che trovava strano quel travestimento, ma poi era convinto che ognuno potesse fare come vuole fino a quando non recava danno a qualcuno. Allo stesso tempo se non rispondeva come voleva il suo capo, avrebbe dato prova un’altra volta della sua vigliaccheria, e poi infondo comandava lui.
- Lei è un frocio, signor direttore.
- Ah! Bene! Non si sente meglio signor D’Amore? Licenziato.
D’Amore sgranò gli occhi.
- Ahahahahahah! Che imbecille! Ahahahahah! Erano anni che volevo licenziarla signor Amore. Anni. Ma poi lei era sempre puntuale, sempre discreto, sempre servizievole, e non trovavo mai la scusa buona per decidermi. Ma lei ora mi ha offeso, e posso mandarla via a calci nel culo, mio caro signor D’Amore. Presto, prenda le sue cose e sparisca da qui per sempre.
D’Amore rimase immobile, per un istante provò perfino a trattenere il fiato.
- Cosa fa ancora qui? Vuole che chiamo la sicurezza? Vada via, immediatamente.
D’Amore raccolse la sua borsa in finta pelle, fece un mezzo inchino, e uscì chiudendo la porta. In portineria la segretaria lo osservò andare via mesto e con lo sguardo basso.
- Non ci credo… L’hanno licenziata? Ahahahahah! Era ora… Non ce la facevo più a vedere il suo orribile naso a forma di rosetta! Addio signor D’Amore! Ahahahah…
Carlo non provò nemmeno a coprirsi il naso. Si diresse di nuovo verso la metro, dove fece attenzione a non prestare ascolto a nessuno di quei discorsi assurdi ai quali sembrava più nessuno sapesse rinunciare. Riattraversò la grande strada, ed entrò a casa. Appena varcata la soglia si sgonfiò con un sospiro enorme, poi si sedette sulla poltrona e iniziò ad osservare la parete cercando di capire cosa avrebbe dovuto fare.
Ma si addormentò dopo qualche minuto.

 
 
 
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