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IL GIORNO DELLA SINCERITA' - Parte IV - Della normalità

Post n°1277 pubblicato il 25 Febbraio 2012 da non.sono.io
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Si risvegliò solo molte ore dopo, a causa della luce che filtrava dalle persiane. Ci mise un po’ a comprendere perché si trovava sulla poltrona ancora vestito, ma quando gli rivenne in mente tutto, si risedette immediatamente. Sollevò i piedi portando le ginocchia verso il petto e le braccia verso il volto, assumendo di fatto una posizione fetale. Non gli piaceva un mondo così, un mondo sincero, non era abituato. Non voleva passare il resto della sua vita a giustificarsi per la forma del suo naso, lo trovava profondamente ingiusto. Lui non voleva sapere niente che riguardasse gli altri, lui voleva solo starsene per conto suo, con i suoi orologi, il suo maraschino, le telefonate puntuali a sua madre e tutto il resto. E poi si era convinto che in fondo la realtà sia sempre una cosa brutta, dolorosa, e quindi accuratamente da evitare, proprio come le emozioni che procura.
Si avvicinò con cautela alla finestra, come se qualcuno fuori potesse sparargli, mettendosi di lato e sporgendo solo parte della faccia. Non c’era nessuno, nemmeno la vicina con il cane. Allora prese coraggio, aprì le persiane e si affacciò. Sembrava tutto tranquillo.
Tornò dentro e accese la televisione. Stavano trasmettendo un’edizione straordinaria del telegiornale. Un giornalista ripeteva che il giorno precedente, a causa del passaggio di una cometa molto vicino al nostro pianeta, la popolazione mondiale era stata presa da un attacco di nervi globalizzato, che tutto quello che si era detto, o era successo era da ritenersi puramente frutto di una malattia, per fortuna momentanea, e che pertanto tutte le nazioni avevano di deciso di abolire quel giorno, facendo finta che non sia mai trascorso.
D’Amore stava impazzendo di gioia. Non era più un disoccupato, poteva tornare al suo posto di lavoro. Corse subito a prepararsi. Si cambiò d’abito, si rinfrescò, spolverò la sua valigetta di pelle finta e si precipitò verso la metro.
Le persone assiepavano la stazione in un silenzio brulicante, tutti con lo sguardo rivolto in nessun modo a carpire lo sguardo di nessun’altro. La maggior parte si tappava l’udito con la musica, per allontanare il pericolo di avere la percezione di stare in mezzo ad altri esseri umani. Altri ancora aggiungevano all’armatura degli spessi occhiali da sole, così da impedire ogni qualsivolglia contatto con l’esterno. Si viaggiava muti, con i pensieri che correvano più veloci del mezzo che li trasportava, ma che tuttavia giacevano immobili nello stesso punto da anni. Si faceva attenzione a non far permeare la più piccola forma di emozione di fronte alla folla, che di colpo si faceva paesaggio da attraversare. E in questo mare di cose non dette crescevano i cespugli di insoddisfazioni dove i branchi di menzogne andavano a partorire il mondo come tutti lo conosciamo.
D’Amore si rilassò. Finalmente, la normalità.

 
 
 
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