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IL CIRCO DEI FRATELLI PICCHIONI

Post n°1344 pubblicato il 25 Giugno 2012 da non.sono.io
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Pochi giorni prima di Natale, annunciato da variopinti cartelli scritti con caratteri fosforescenti che una mano misteriosa nottetempo aveva cura di appiccicare un po’ in tutti i posti, ogni anno giungeva al paese il circo. Il circo dei Fratelli Picchioni. 
Tutti i ragazzini, compreso me, facevamo la fila per vedere i cartelli. C’era sempre un pagliaccio in primo piano, con il berretto colorato e una margherita in mano che schizzava acqua. Rideva quel buffone e con un dito indicava fuori del foglio. Dietro di lui c’erano gli strani personaggi che fungevano da attrazioni principale del circo, ma erano disegnati piccoli e sfuocati rispetto al clown. Credo lo facessero apposta, per amplificare la curiosità e conseguentemente la voglia di assistere allo spettacolo. Sopra la testa del pagliaccio, a grandi caratteri scritti con un inchiostro arancione che aveva la capacità di accendersi se colpito da un raggio di sole, c’era scritto “Grande Circo Fratelli Picchioni”.
La compagnia di artisti piazzava le tende sempre abbastanza lontano dal paese per non essere notato, ma sufficientemente vicino affinché tutti potevano raggiungerla anche a piedi. A quei tempi erano in pochi a possedere un’automobile, e i Fratelli Picchioni volevano che assistessero allo spettacolo la maggior parte della gente, che nel nostro caso voleva dire cinquanta, sessanta persone al massimo. Di solito arrivavano due giorni prima di quando avrebbero iniziato ad esibirsi, e la sera antecedente al debutto, dopo che le campane della chiesa smettevano di suonare annunciando la fine dell’ultima messa della giornata, tutti gli artisti del circo sfilavano in fila indiana per la via principale sommersa dal gran baccano della banda del circo. Noi bambini correvamo insieme a loro rimanendo a bocca aperta per gli strani personaggi che formavano la compagnia circense.
Davanti a tutti c’erano i Fratelli Picchioni. I due, erano due gemelli siamesi che in qualche modo dopo la nascita furono divisi. Ad Alessandro Picchioni, il maggiore dei fratelli, era toccata la parte sinistra, ad Amedeo Picchioni, il più piccolo, il lato destro. Tutti e due avevano un costume che ricostruiva il lato del corpo mancante. Ognuno dei due teneva legati ad uno spago gli arti posticci che muovevano con l’abilità dei pupari siciliani. Ad un certo punto del percorso i Fratelli Picchioni facevano finta di litigare fino a quando Alessandro non infilzava con una spada il povero Amedeo, naturalmente dalla parte che non era di carne. Quello fingeva di stare lì lì per morire, ma poi si risollevava alzando le braccia al cielo come quando un boxer vince un incontro. Rimanevamo stupefatti di quel  miracolo apparente, e applaudivamo felicissimi. Il prete, che sbirciava da dietro uno spiraglio della porta della chiesa, a quel punto si faceva sempre il segno della croce.
Dopo di loro seguiva La Donna Cocciuta. Questa era una femmina bellissima, dalla lunga chioma bruna e liscia, vestita semplicemente con un costume di pallettes amaranto. Il suo corpo era completamente pieno di cicatrici, lividi, bruciature di sigarette. Un uomo vestito di pelle con due baffi enormi, al nostro avvicinarci curioso gli dava calci e pugni così violenti che più di una volta abbiamo visto i denti della Donna Cocciuta schizzare via verso il pubblico. Ma lei continuava a ridere e ad abbracciarlo. Gli metteva le mani giunte in viso accarezzandolo e avvicinando le sue labbra per baciarlo, mentre lui gli sputava in faccia e la prendeva a schiaffi.
Subito appresso a lei, rigorosamente in fila indiana, veniva L’Uomo Più Resistente del Mondo. Era questo un personaggio curioso. Tra tutti era quello che non indossava nessun costume particolare. Semplicemente portava una maglietta e un paio di jeans un poco lisi. Era scalzo. In mano teneva in alto a disposizione degli sguardi curiosi del pubblico la sua busta paga. La cifra finale corrispondente al suo stipendio era evidenziata con un cerchio fatto con un pennarello rosso e indicava un numero: 650 Lire. Appena era sicuro che tutti avessero letto bene, iniziava a tirare fuori dalle tasche la bolletta della luce, il bonifico dell’affitto, la rata dell’auto, gli scontrini del supermercato e tutto ciò che costituivano le sue spese mensili. Papà rimaneva sbigottito quando si rendeva conto che era praticamente impossibile sopravvivere con quegli introiti. E gli batteva le mani visibilmente commosso. Erano le uniche occasioni in cui mio padre si mostrava sensibile.
Si seguito sfilavano, in ordine di apparizione, il Pagliaccio Sindaco, che indossava una fascia tricolore con la quale mimava il gesto di pulirsi il sedere causando l’ilarità generale; il Mafioso Buono, che dava fuoco ad un bambolotto e poi ci tirava le caramelle; L’Uomo Più Idiota della Terra vestito con una camicetta di seta bianca sopra e un pareo colorato sotto e che si esibiva riuscendo a tirare su con il naso chili e chili di una misteriosa polvere bianca che papà diceva era gesso.
Ma quello che tutti noi bambini aspettavamo con più impazienza, era Il Figlio di Papà Incapace. Era spettacolare. Arrivava dopo di tutti con una macchina americana lucidata e pulita come una padella. Accelerava e decelerava per far rombare il motore che sembrava quello di un trattore, e che comunque non riusciva a superare in volume quello della musica che usciva ancor più forte dalla sua radio. Rideva tonto, qualcuno lo insultava in dialetto ma lui non capiva e rideva. In faccia si metteva qualcosa tipo del carbone perché era sempre nero nero. Salutava mentre ballava e noi seguivamo la sua auto tentando di toccarla per quanto non ci sembrava vera. Poi finiva sempre che andava a sbattere da qualche parte distruggendo quello che per noi era un tesoro inestimabile. Non abbiamo mai capito se lo facesse apposta o era veramente incapace di guidare, fatto sta che pure quando scendeva malconcio a causa dell’impatto non smetteva di ridere e ballare.
Il corteo durava circa mezz’ora. Poi nel paese tornavano a udirsi solo le cicale gracchiare al caldo.
Nessuno di noi poteva permettersi un biglietto per il circo, quindi quella era l’unica occasione per divertirsi un po’. Il circo proprio per questa scarsità di visitatori, restava nei pressi un paio di giorni. Dopo veniva Natale, e noi ragazzini che non avevamo altro da desiderare, nemmeno con la fantasia, pregavamo Gesù che l’anno dopo facesse tornare il circo dei Fratelli Picchioni.

 
 
 
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