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UN BUCO NEL CIELO - CAP. II

Post n°1349 pubblicato il 06 Luglio 2012 da non.sono.io
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Leonor si rimise seduta, afferrò il piede dolorante e si impose di ragionare, per quanto i postumi della sbornia glielo consistessero. C’era da fare molto ordine quella mattina, e non solo nella sua testa. Decise che era meglio affrontare le impellenze prima del mistero del buco nel cielo. Prima di tutto, quindi, doveva cacciare quell’estraneo da casa. Cercò dentro un cassetto uno di quei frullatori portatili e quando l’ebbe trovato lo afferrò dalla parte dell’asta che tiene la lama, come fosse una clava. Tirò qualche colpo all’aria per saggiarne l’efficacia in caso di bisogno, e quando fu sicura che poteva fungere da arma, si mise addosso una maglietta lunga fino alle ginocchia e salì le scale verso la sua stanza dove quell’uomo continuava a dormire. Facendo attenzione a non fare rumore si mise sul lato dove giaceva l’ospite, strinse con forza l’impugnatura del frullatore, tirò un respiro profondo e poi sferrò uno schiaffo sonoro sulla guancia dello sconosciuto. Ma quello per tutta risposta girò la faccia dall’altra parte producendo un rumore gutturale e aggiustandosi il lenzuolo. “Hey! Ti vuoi svegliare?”, gridò Leonor, ma quello ancora niente. Così gli mollò un calcio con la pianta del piede sui reni e solo allora quella persona sembrò lentamente tornare tra il mondo dei vivi. Aprì gli occhi impastati da una patina di quella materia gelatinosa che producono gli occhi, e la osservò senza nessuna espressione. Probabilmente anche lui si stava chiedendo dove si trovasse e chi fosse quella donna armata di frullatore davanti a lui. All’improvviso sembrò comprendere che non si trovava a casa sua, sgranò gli occhi senza peraltro riuscire a pronunciare nemmeno una parola. Leonor non gli diete il tempo di dire nulla.
“Te ne devi andare, subito”, gli ordinò perentoria. “Vestiti e smamma. Non voglio nemmeno sapere chi sei. Ti do un minuto per rivestirti e sparire da qui”, aggiunse brandendogli il frullatore sotto il naso. L’uomo per un momento rimase interdetto, cercò in un primo momento di reagire ma, forse per i postumi dell’ubriacatura o per lo stupore, rinunciò a qualsiasi contromossa. Si alzò piano scendendo dall’altro lato del letto e iniziò a cercare i suoi vestiti, indossandoli mano mano che li andava trovando.
“Senti…”, provò a dire, ma subito lei allungò l’utensile nella sua direzione in segno di minaccia
“Ok, ok. Non so perché mi trovo qui o meglio non me lo ricordo, perché a occhio e croce, cosa ci sono venuto a fare qui lo intuisco. Non c’è bisogno che mi aggredisci, non ho intenzione di farti del male. In fondo credo che sei stata tu ad invitarmi…”
“Taci. Ho detto che non voglio sapere niente di te né di quello che è successo ieri notte. Devi solo andartene.”
“Ma certo che me ne vado. E poi anche volendo non saprei dirti come sono arrivato, bé, dentro il tuo letto.”
“Vuoi stare zitto? O devo spaccarti la faccia?”
“Con un frullatore?”
“Sì con un frullatore. E allora?”
“No niente è che se avessi intenzioni minacciose dubito che riusciresti a fermarmi con quello…”
“Bene, allora provaci e vediamo cosa succede”
Lo sconosciuto non rispose, più che altro per il mal di testa che gli pungolava le tempie. Si vestì alla bell’e meglio e quando credette di essere presentabile all’esterno domandò se poteva darsi una sciacquata alla faccia. Leonor annuì senza mollare la presa del suo frullatore. Lui restò in bagno non più di un minuto e quando uscì restò per qualche istante a fissarla.
“Mi chiamo Salvo, ma forse questo devo avertelo già detto”.
“Non lo so e non mi interessa. Ora sei pronto per andartene, l’uscita è da quella parte”.
Salvo annuì e con le mani in tasca prese la porta che dava sulle scale che portavano al piano di sotto. Leonor la seguiva sempre tenendo stretto il frullatore come una guardia carceraria che scorta un prigioniero. Quando furono davanti alla porta di casa lei con un balzo felino si portò davanti a lui e gli aprì l’uscio. Come poco prima era successo a lei, anche Salvo fu costretto a chiudere gli occhi a causa della forte luce del giorno. Fece un passo fuori ma si fermò guardandosi inorno, poi alzò gli occhi verso il cielo come spesso si fa senza un vero perché. Fu in quel momento che notò il buco nel cielo, ma non gli diede troppa importanza. Si voltò verso di lei come per fissare il ricordo della sua persona nella memoria.
“Ma non, non lo vedi anche tu?” gli chiese lei.
“Cosa?”
“Il buco. Quel buco nel cielo. Non dirmi che lo vedo solo io?”
“Ah, il buco. Sì c’è un buco nel cielo questa mattina”.
“E non ti spaventa?”
“E perché dovrebbe? Ci sarà sicuramente una spiegazione logica. E poi guardati intorno: nessuno sembra essere stupito più di tanto. Se neache una persona avverte il pericolo, vuol dire che il pericolo non c'è".
Leonor, che ancora teneva stretto in mano il frullatore, iniziò ad osservare la strada. Era vero. La gente che affollava la strada camminava velocemente diretta verso i loro impegni, ma nessuno guardava il cielo. Il traffico già congestionava il grande violone di fronte casa sua. Due persone stavano discutendo per una questione di precedenza in un parcheggio. Una signora portava a passeggio un brutto cane spelacchiato. Due giovani si baciavano alla fermata dell’autobus. Sopra tutta questa apparente normalità, gettava la sua ombra inquietante un gigantesco foro nel cielo. Ma nessuno sembrava badarci. 

 
 
 
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