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UN BUCO NEL CIELO - CAP. VII

Post n°1354 pubblicato il 17 Luglio 2012 da non.sono.io
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Ad Aureliano il tempo parve fermarsi. Non solo per quel silenzio profondo in cui tutto sembrava essersi immerso come una goccia d’acqua in un batuffolo d’ovatta. Dopo gli strani accadimenti di poco prima, il mondo si era in qualche modo arrestato, era rimasto congelato in una foto scattata nell’esatto momento in cui gli uccelli avevano smesso di cinguettare. E in quella foto, a parte lui, non c’erano esseri viventi.
Camminava sempre seguendo la scia di carcasse di automobili e mano mano che si avvicinava al mare, notava che il mondo per tutto il periodo in cui Aureliano era stato nascosto sotto i sedili, si era svuotato non solo dei suoi abitanti ma anche della sua stessa anima. Si aveva l’impressione che la Terra si fosse stancata in chissà quale incredibile fatica, e che adesso giacesse addormentata in attesa di recuperare le forze. Non c’era vento, la vegetazione sembrava pietrificata. Anche dall’altro lato della carreggiata, con molta meno frequenza, si potevano vedere macchine di ogni modello ferme, prive di qualsiasi pilota. Il caldo era diminuito, forse per il timore di disturbare in qualche modo il riposo di questo gigante.
Aureliano guardò in alto. Il buco stava sempre lì, muto come sempre. Ma mentre osservava il cielo notò che delle strane scie luminose stavano rigando l’aria procedendo dall’alto verso il basso. Erano troppo grandi per essere stelle cadenti, eppure la forma sembrava identica. Un punto luminoso seguito da una scia di fuoco che da lontano sembrava bianco per quanto riluceva. Ne vide prima una, poi un'altra, poi un’altra ancora. Allora si fermò ad esaminare meglio quel fenomeno tuttavia senza capirlo. In verità era già un bel po’ che non riusciva più a capire cosa gli succedeva intorno, per questo si era abbandonato ad un sentimento a metà tra la resa e la paura, che si portava dietro come la palla di piombo di un carcerato e al cui peso già sapeva si sarebbe dovuto abituare. 
Mentre cercava di districarsi da questa moltitudine di domande senza risposta, all’improvviso il silenzio venne interrotto da un piccolo lontanissimo sibilo. Aureliano si voltò a vedere da dove proveniva, anche se non notò nulla di diverso nel paesaggio. Il sibilo aumentò d’intensità fino a divenire un vero e proprio fischio. Pareva avvicinarsi e Aureliano, anche se non sapeva esattamente da cosa fuggiva, iniziò a correre in quella che sembrava la direzione contraria all’origine del rumore. Già dopo pochi metri di corsa, il fischio era diventato un rombo profondo e da qualche parte nel cielo buio si fece largo il bagliore di una di quelle stelle. La sua capocchia, al principio grande poco più di un’unghia, si faceva sempre più velocemente grande puntando proprio nella direzione dalla quale Aureliano stava cercando di allontanarsi. Anche il suono divenne ancora più grave e spaventoso.
Aureliano non sapeva da quale parte darsela a gambe. Continuava a seguire le automobili abbandonate, ma più avanzava più la stella dietro di lui diveniva grande e luminosa. Lo stava quasi raggiungendo, e quando si voltò rapido a dare un’occhiata alla cosa che lo rincorreva si accorse con raccapriccio che non era una stella, né un meteorite: quello era un aereo, un aereo in caduta libera. E sembrava stesse precipitando proprio verso di lui. Aureliano allora abbandonò la strada gettandosi tra la vegetazione della pineta che si estendeva ai lati della carreggiata. Solo l’aeroplano in fiamme illuminava dall’alto quella notte, e lui a stento riusciva a seguire una direzione precisa. I rovi gli tagliavano le gambe, le mani. Un ramo basso gli sgarrò una guancia, dopo inciampò in qualcosa e cadde senza energie e senza volontà di recuperarle. Vide il muso di quell’aereo in fiamme sorvolarlo qualche decina di metri sopra di lui e sollevare onde di vegetazione in fiamme al suo passaggio. Chiuse gli occhi proteggendosi la testa con le mani e dopo un attimo il velivolo ruppe in un esplosione gigantesca non troppo distante da dove giaceva tremante Aureliano. La pineta si incendiò in un istante solo. Scaglie di materiali metallici si sparsero incandescenti in un raggio di qualche chilometro, distruggendo qualsiasi cosa si trovasse nella loro traiettoria. Un pezzo di qualcosa che sembrava uno sportello si conficcò nel terreno vicinissimo a dove Aureliano giaceva rannicchiato. Poi qualcosa gli trapassò la coscia.
Si portò subito la mano nel punto ferito da cui fuoriusciva copioso un fiotto di sangue. Aureliano gridava ma la sua voce non si sentiva nemmeno in mezzo a quel trambusto di vegetazione bruciante. Non sentiva nemmeno il dolore perché ancor più forte di lui era la paura del’incubo che stava vivendo. La testa iniziò a girare e con lei la pineta in un ballo di fiamme e polvere. Aureliano emise un altro ultimo lamento strozzato. Dopo di che svenne. 

 
 
 
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