Creato da: picciro il 19/07/2010
La vita è quello che ci capita mentre noi siamo intenti a fare...altro..vita..passione..Gli amori fortunati iniziano sempre rispettandosi come amici sinceri e quelli privilegiati si completano con le passioni..
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Ciao..
ciao bel fiore, quale immensa gioia
le onde accarezzano Trovata nel webVorrei baciar la bocca tua Area personale- Login
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Post n°1918 pubblicato il 21 Maggio 2012 da picciro
Scarpinato ricorda Falcone e Borsellino. "Ma la retorica di Stato mi crea disagio"
di Lorenzo Lamperti "Il rischio è che i giovani credano davvero che la mafia siano solo Riina e Provenzano". Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la Corte d'Appello di Caltanissetta, ha fatto parte del pool antimafia insieme a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E li ricorda, a vent'anni di distanza dalle stragi di Capaci e via d'Amelio, in un'intervista ad Affaritaliani.it: "La narrazione pubblica offre una visione semplificata della loro vicenda. Si divide nettamente in bene e in male, dimenticandosi dei colletti bianchi e che il vero cuore di tenebra del Potere si annida nelle istituzioni e nella politica". Il magistrato dice di provare "disagio nei confronti della retorica di Stato" e non vede ancora la voglia di svelare i segreti della trattativa con la mafia da parte di chi sa: "E sono in tanti". "Falcone e Borsellino rappresentavano forse per la prima volta uno Stato credibile. A venti anni di distanza, ci sono più strumenti per combattere l'ala militare di Cosa Nostra, ma nel contrasto dei rapporti tra mafia e politica sono stati fatti passi indietro. E se una volta ci si scandalizzava se qualcuno veniva fotografato a un matrimonio mafioso, oggi c'è gente condannata che sta tranquillamente al suo posto in Parlamento". Procuratore Scarpinato, nella prefazione al libro "Le ultime parole di Falcone e Borsellino" lei parla di "disagio" di fronte alla retorica di Stato in occasioni delle celebrazioni commemorative dei due magistrati. Ci può spiegare meglio questa sensazione? Roberto Scarpinato Quali sono gli ostacoli incontrati da Falcone e Borsellino durante la loro esperienza da magistrati? Falcone e Borsellino, come Costa e Chinnici prima di loro, furono costretti a misurarsi non solo con i progetti di morte orditi ai loro danni da personaggi come Riina e Provenzano, ma anche con una serie di ostacoli frapposti al loro operare da un mondo di potenti che vedevano i loro interessi messi in pericolo quando il pool antimafia iniziò ad elevare il livello delle indagini. Nel novembre 1984 vengono arrestati Vito Ciancimino e i cugini Salvo che rientravano nella categoria degli intoccabili. In quel momento è come se il pool avesse valicato un invisibile confine. Nell'ordinanza - sentenza del maxiprocesso il pool preannuncia che farà largo uso del reato concorso esterno in associazione mafiosa, del quale si parla molto nell'ultimo periodo, nel settore delle infiltrazioni della mafia nelle istituzioni. A quel punto comincia una campagna di delegittimazione che non avrà fine e che tenta di squalificare i magistrati del pool dipingendoli come strumenti di manovre politiche occulte o come arrivisti colti da una sfrenata ambizione personale. Tenta di renderli demonizzarli agli occhi di una società civile che invece comincia a identificarsi in uno Stato che per la prima volta si presentava con i volti di uomini credibili. La strage di Capaci. Lo Stato quindi non era considerato credibile? Veniva identificato in personaggi come Lima, Ciancimino e molti altri. E poi si arriva all'operazione Meli, una sapiente regia che fa sì che Falcone non riesca a diventare capo dell'ufficio istruzione di Palermo. Il pool antimafia viene disarticolato e Falcone si trasferisce alla Procura di Palermo, dove viene emarginato e non gli viene permesso di svolgere indagini sui livelli superiori della mafia. Anche Borsellino è costretto a confrontarsi con una realtà che lo sgomenta subito dopo la strage di Capaci. Le ultime indagini hanno tratteggiato dei profili inquietanti, come la sparizione dell'agenda rossa di Borsellino, quella dove annotava fatti che erano talmente riservati che riteneva di non poterli annotare nella sua agenda ufficiale. Altro fatto inquietante è l’introduzione di falsi collaboratori di giustizia nel processo per la strage di via D'Amelio che hanno depistato pe anni le indagini. Si tratta di spiragli che dietro i soliti volti di Riina e Provenzano lasciano intravedere i contorni di un potere occulto protagonista di quello che Giovanni Falcone definiva il “gioco grande”. Quel gioco grande che nella retorica ufficiale continua a rimanere nel fuori scena. Qual è il rischio maggiore che composta questa omissione? Il rischio è quello di non assolvere ai nostri doveri di staffetta culturale con le generazioni più giovani. Non possiamo raccontare ai giovani che la storia della mafia sia solo una storia di estorsioni e traffico di stupefacenti. Dobbiamo spiegare loro che sì, questo è un aspetto importante, ma c'è anche l'altra faccia del problema mafioso, quello dove si annida il cuore di tenebra. Rispetto a venti anni fa lo Stato ha la voglia, e la forza, per andare a scalfire quel cuore di tenebra? Io posso parlare della magistratura, e debbo dire che in magistratura ci sono persone che mandano avanti il lavoro di Falcone e Borsellino. C'è una generazione di magistrati che ha dimostrato con i fatti di non fermarsi davanti a nulla e di esercitare il suo dovere indagando in tutte le direzioni per accertare la verità. Quello che fa riflettere è che credo siano in tanti che conoscono la verità sulle stragi del 92-93. E quando accade che un segreto sia condiviso tra tante persone e che duri per tanto tempo la lezione della storia induce a pensare che dietro ci sia il Potere, quello con la P maiuscola. Potere del quale quello mafioso è soltanto una parte e una declinazione. Quando scatta l'allarme rosso su Falcone e Borsellino, si decide che sono troppo pericolosi e che bisogna eliminarli? Questa è una storia molto complicata. Quello che succede nel 1992 che ha radici in tempi lontani. Un sistema di potere crolla, quello della Prima Repubblica, e a quel punto si mette in moto una macchina che mira a raggiungere degli effetti ben precisi e nell'ottica di questa strategia vengono pensate le stragi. Se c'è un momento che segna la rottura degli argini è il gennaio del 1992, quando la Cassazione conferma la sentenza del maxiprocesso. In quel momento Cosa Nostra decide di lanciarsi nell'avvenutra stragista. Torniamo alla credibilità. Rispetto a venti anni fa lo Stato italiano è più o meno credibile? Restando sul terreno della mafia, senza dubbio sono stati fatti enormi progressi nella lotta all'ala militare e sui patrimoni mafiosi. Non mi pare, invece, che analoghi progressi siano stati fatti sul versante del contrasto ai rapporti tra mafia e politica. Anzi, se venti, trent'anni fa faceva scandalo pubblico un uomo politico che partecipava a matrimoni di mafiosi, oggi ci troviamo in una realtà in cui persone condannate in primo e secondo grado vengono portate in Parlamento. Ci troviamo di fronte a persone delle quali viene richiesta la cattura da parte della magistratura e che vengono lasciati nei posti di governo in cui si trovano.
Come volevasi dimostrare!!!!
Commenti al Post:
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Inviato da: blaskina88
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