UN TRAGICO DISTACCO

Quando  il sole dei primi di agosto, percorrendo il suo apparente tragitto, si accaniva ancora sopra i prati già ingialliti del Parco della villa Borzino, sulla piazza della Stazione Ferroviaria di Busalla l’aria sembrava ferma, il calore opprimente, l’asfalto già lacerato e ingobbito per una rara manutenzione tendeva a bollire. In quel lontano estate 1944, alla vigilia di avvenimenti decisivi per la Nazione, quando era già intuibile una possibile Liberazione dal Fascismo e dall’occupazione Nazista, per noi ragazzi era impossibile immaginare che il solido Palazzo della Ferrovia dello Stato, sul lato orientale della piazza, sarebbe diventato dopo molto tempo anche sede dell’ Istituto Primo Levi per Ragioneria.

Al centro della piazza aveva facilmente trovato spazio un’aiuola con al centro due pini, di ragguardevoli dimensioni, un piccolo prato arricchito di fiori estivi, protetti parzialmente dall’ombra degli alberi stessi, un curioso chiosco di forme arabesche per la rivendita di giornali, alcune banchine in ferro battuto colorate di verde scuro. Su un lato dello spazioso ristoro, in parte gratificato dall’ombra dei rami dei pini, si apriva una scala di ridotte dimensioni che, scendendo a chiocciola di circa quattro metri, portava ad un locale interrato dove erano stati ricavati due servizi igienici che gli anziani del paese si vantavano di chiamare vespasiani. Si poteva essere certi che tale denominazione dei due cessi,  spesso poco accoglienti e mal curati da limitati pubblici servizi comunali, non derivava da una sia pur  approssimativa conoscenza della storia dell’antica Roma da parte   degli abitanti di Busalla, ma da un semplice passa parola acquisito.

Gram parte degli uomini validi erano in guerra. Molti erano i ferrovieri, uomini esonerati dal servizio militare perché addetti ad un servizio considerato essenziale dal punto di vista militare, o perché troppo avanti negli anni per imbracciare un fucile. La vita scorreva inutile in attesa dei soliti bombardamenti degli aerei alleati, con la speranza che la guerra terminasse e le famiglie si ricomponessero.

Su di una banchina di ferro color verde dei giardinetti della Stazione Ferroviaria, di fronte agli ampi spazi della piazza sottostante la villa Borzino, con le sue carrozze a cavalli, sedevamo, nella tarda mattinata di quasi ogni giorno dell’estate  1944, io e Andrea, di quattro anni più anziano di me, toscano di Grosseto, studente in vacanza, ogni anno ospitato da certi zii residenti da poco a Busalla. Tutti sarebbero disposti a pensare che due ragazzi parlassero, per esempio, di sport o di particolari esperienze di vita a Busalla o altrove. E invece l’argomento preferito delle loro conversazioni era la storia, prevalentemente quella della nascita del fascismo e della sorte dei partiti politici che avrebbero potuto riapparire dopo la caduta del Regime. Quella che ricevevo sotto il pino dei giardinetti era una iniziazione abbastanza severa ed intransigente perché Andrea sembrava provenire più da una scuola di partito che da un Istituto Superiore di Grosseto.  Si era stabilita un’amicizia vera anche perché tra me e lui erano evidenti alcune somiglianze di carattere e, malgrado la differenza di età, di conoscenze e di aspirazioni. Andrea era un ragazzo molto alto, dinoccolato. che guardava sempre in giro quasi aspettasse qualcuno cui dover nascondere verità o segreti impossibili per un giovane come lui. Aveva dei momenti di grande lucidità, altri di torpore, quasi di stanchezza che non facevano però pensare ad una qualche malattia. Io coglievo in quei frangenti di debolezza una ragione legata alla povertà della sua famigli, sia di quella che lo ospitava nella via Vecchia di Busalla, sia di quella che lui stesso confessava essere la sua condizione famigliare a Grosseto.

Dopo ogni incontro attraversavamo il breve tratto tra la banchina colore verde scuro e il Grande Albergo Appenino e,  proseguendo una cinquantina di metri, proprio  davanti alla villa Sciello, svoltavamo a sinistra in via Luigi Nino Malerba, entrando nella parte più vecchia  e più povera  del Paese, disposta parallelamente alla linea ferroviaria dei Giovi  e al torrente Scrivia, allora molto devota a San Rocco nella Chiesetta costruita sulla via principale di Busalla, con particolarmente affollati festeggiamenti il 16 agosto, grazie anche al generale contributo dell’intera popolazione del quartiere.

Un giorno di fine agosto di quel 1944, preceduti da un prolungato fischio della sirena che annunciava il possibile sorvolo di aerei alleati (angloamericani) sulla nostra Valle, comparvero in effetti a volo radente alcuni caccia bombardieri che avevano evidentemente il compito di creare panico rea la popolazione, in mancanza di obiettivi di qualche rilievo a Busalla. Così il dramma si esauriva con qualche bomba sganciata a casaccio e con mitragliamenti a bassa quota di nessuna pretesa bellica , ma pericolosi per persone sfortunatamente esposte casualmente al fuoco.

Sul ponte delle Cascine, dove era salito con i suoi parenti, come molti facevano al fischio della sirena per allontanarsi almeno dalla linea ferroviaria e dalla deserta via principale del Paese, proprio Andrea veniva colpito da una raffica della mitragliatrice di un caccia in picchiata. Ferito gravemente veniva trasportato in Ospedale, non ho mai saputo quale. Non lo rividi più, ne ebbi più notizie di lui.

CB