“Ogni atto di creazione è, prima di tutto, un atto di distruzione.” – Pablo Picasso
Quando l’anima della creazione fuoriesce dalla materia, per andare incontro al suo destino, che però deve ancora essere scritto. Sul momento. Un testamento liquido, fluido, a tratti ipnotico.
Dopo le anticipazioni di “Harridan“♪, “Of The New Day“♪ e “Rats Return”, il 24 giugno è stato pubblicato “Closure/Continuation“, finalmente possiamo ascoltarlo nella sua interezza. Portando a compimento un viaggio iniziato mesi addietro, qui su Millenium.
“Closure/Continuation”, lo sintetizza il titolo, è un dialogo aperto, serrato, tutt’altro che scontato, tra passato e presente di una band che investe un genere, il rock, in continua evoluzione nel suo poggiarsi su poche e rodate certezze.
Se i testi sono pieni di interrogativi esistenziali, la musica si fa portatrice sana di punti esclamativi, consuetudini ataviche dalla traiettorie spiazzanti per approdi inediti. Gavin Harrison si fa garante Caronte di questo imperterrito traghettamento tra le due sponde madri, quella di stampo crimsoniano dai tempi dispari, poliritmi e suoni aspri, e quella psichedelica onirica plumbea di matrice floydiana; in mezzo ci passa la turba di anime (Radiohead, Opeth, Dream Theater) che negli ultimi decenni ha contaminato il fiume che scorre tra psichedelia e progressive in cui, negli anni ottanta novanta e duemila si sono riversate le nuove tendenze musicali (dal metal all’elettronica).
Barbieri lo asseconda, disegnando paesaggi sonori familiari dalle fragranze inedite.
Wilson ritorna deus ex machina (sue le parti di basso che avrebbero potuto/dovuto essere di Colin Edwin nella vecchia formazione a quattro) e riscopre il piacere di far debordare la chitarra (ascoltare l’assolo di “Chimera’s Wreck“♪, brano destinato a diventare un nuovo “anthem” nelle future esibizioni live).
La tecnologica “Herd Culling♪” intreccia substrati di tastiere a muri di chitarre filtrate, intervallate dal solito groove di Harrison.
“Rats Return” alterna progressive metal a narcotico intimismo, inizia in modo etereo per esplodere in un riff granitico con un finale che ricorda la discesa negli abissi. A proposito del testo Wilson ha dichiarato: “Parla di quelli che sembrano avere a cuore gli interessi delle persone, ma poi alla fine ci solo egoismo e interessi personali. Mi ritrovo a riflettere su quale tipo di persona sarebbe effettivamente spinta così tanto da voler governare un’intera nazione, e queste persone non sono per definizione le ultime a cui dovrebbe essere permesso farlo? I topi si salveranno sempre per primi”.
Pubblicata una versione deluxe con Blu-Ray e un secondo CD con l’aggiunta di tre brani:
♪“Population Three”, ” Never Have” e ” Love in The Past Tense“♪
Molti si pongono l’interrogativo su cosa ci sia di veramente innovativo in questo album, quasi che il nuovo, il mai udito, possa di per se costituire un parametro universale del buon esito creativo.
A Wilson piace fare le cose antiche in modo nuovo, ma questo, qualche critico forbito sembra non capirlo. E fatica ad accettarlo.
Si prenda a riguardo tecnologia Dolby Atmos utilizzata per l’incisione dell’album. Wilson ha dichiarato al riguardo: “[L’Audio Spaziale] ha cambiato il modo in cui si pensa al processo di registrazione, sono molto attento quando registro l’album, quindi ci sono certe cose che suonano particolarmente efficaci. Adesso Dolby Atmos sta cambiando tutto di nuovo perché si può distribuire il suono non solo in orizzontale ma anche in verticale. Per anni ho usato 5.1, il che significa che a livello pratico distribuisce la musica attorno a te, adesso invece è sia attorno che dall’alto, anche in verticale. Questo cambia tutto ulteriormente, ti da più possibilità di sperimentare. Ed è una tecnologia perfetta per un tipo di musica come il nostro dove ci sono molti strati nel design del suono, molte cose e dettagli che a volte vanno persi nella registrazione stereo. Adesso hai la possibilità di posizionarli nello spazio, così che si possa sentire tutto… e per me è un dono. Di conseguenza, cambia per forza di cose la percezione e il modo di ascoltare tutto quanto. Sembra di essere letteralmente dentro la musica!”
In tal senso i Porcupine Tree rappresentano la palagenesi di un genere duro a morire.
Closure o Continuation? Chiusura di un ciclo o nuovo inizio? Chi può dirlo? Godiamoci il disco, a partire dalla splendita “Dignity”
CrossPurposes
Millenium21
Bella la citazione di Picasso, nel libero dialogo tra pensieri ed arti, la trovo molto calzante per il disco in questione. Mi piace il confronto aperto tra i testi, ricchi di dubbi esistenziali (sono andato a leggermene qualcuno, Dignity postata da Mille e Chimera’s Wreck postata da te Cross, sulle vs. bacheche) che si alterna alle certezze musicali che la band ha incamerato nel corso degli anni. Mi fa piacere che Wilson sia tornato alla verve degli esordi (quando suonava tutti gli strumenti, la band inesistente che ricordavate in uno degli speciali) e che abbia ritrovato il gusto di certi assoli, perché lui non è solo un grande produttore ma un chitarrista molto apprezzabile, che sa crere un universo in poche note, sempre azzeccate. Il senso del disco, che lascia nel dubbio molti ascoltatori, critici a parte, è proprio nei passaggi ben evidenziati nell’articolo. La musica si rinnova restando fedele ad alcuni principi basilari, e chi ascolta, oltre a mettere orecchio alle singole canzoni, deve saper gettare l’occhio nel senso di un cammino. Già visto, già sentito, per me significa poco. Cosa voleva comunicarci l’artista con il proprio lavoro?
Leggo qui, e trovo delle risposte.
Buonasera Bianco la band inesistente ha suggestionato anche me, qualche altro genio è riuscito in questa operazione, rammento: indagando in una deriva metal, di aver scovato una notizia analoga, ma la progressione testimonia come Wilson solo abbia saputo sviluppare adeguatamente le sue competenti passioni. E i PT a questo livello sono, ancora e meglio, da ascoltare . Grazie. ოᎥլլꂅ
Ci sta nella lunga carriera di una band come i PT di avere momenti di pausa e riflessione. L’inattività decennale accompagnata dalla luminosa carriera solista di Wilson aveva fatto credere ai più che il gruppo non avesse più niente da dire. L’arrivo del nuovo disco ha spiazzato tutti come un fulmine a ciel sereno, generando non poche aspettative. Detto questo, il disco deve essere assorbito perché molti brani non sono semplici ad un primo ascolto, ricordo quando uscì il singolo di Harridan, per capire tutti i tempi che Harrison stava suonando ho dovuto ascoltare il tutorial di un batterista. Quello che voglio dire che il disco mi sembra lontano dall’essere un’operazione nostalgia messa li tanto per. E basta leggere le dichiarazioni di Wilson per rendersene conto, lui ha sempre le idee chiare su quello che vuole fare. Poi le canzoni possono piacere o meno, però quando leggo che Harrison è sempre troppo preciso rimango di sasso. Che vuol dire? E’ compito di un batterista essere preciso, e se ti avventuri in brani complessi con continui cambi di ritmo e l’utilizzo di svariati tempi dispari o sai eseguirli come si devi o lasci perdere e suoni altro. L’intro di Chimera’s ricorda Hey You dei Pink Floyd. E allora? Hey You era costruita su quel giro di chitarra ripetuto dall’inizio alla fine, inframezzato da un assolo in mezzo; Chimera’s è un brano di 10 minuti in cui si avvicendano diversi paesaggi sonori, è tutta un’altra cosa. Senza gridare al capolavoro a me il disco piace, ad averne più spesso di dischi così.
Ciao raga, io trovo che questo disco sia ottimo anche come ritorno della band sebbene non al completo ma comunque un genere musicale mai morto e anzi molto bene rivisto da Wilson e compagni, sanno cosa vogliono e lo esprimono nel migliore dei modi, questa è gente molto capace sia di suonare che di comporre, ben vengano questi dischi… Sempre molto accetti
Ben detto Duca 😉