Il pescatore


IMG-8902ad9dbf605f6b92ed27c4c55b3b85-V

Fissa il mare una finestra buia e lei appoggiata al vetro con un braccio e la mano tra i capelli.

“Placati mare che hai la rabbia dentro, chetati furia che non ha colpa chi ha reti da calare. Senti il mio canto portalo a lui vento, perché non si abbandoni alla tempesta.”

Ritornerà lo sa, lo vuole! e nell’attesa che si svegli la luce di una nuova alba, resta a cercare in quel buio che si mescola alle onde, la luce fioca di quella lampara a poppa della barca che ancora non ritorna. Lontane sono le notti d’estate, quando al rientro la portava a ballare, lontane le notti di bonaccia, quando la risacca dolce, danzava al canto dei grilli cullando il loro amore .

“Placati mare, spegni la furia delle tue braccia fatte d’acqua e proteggi il suo rientro tra lo sciaguattio che accarezza le sponde … lui é il mio unico amore.”

Aperta la finestra canta forte per farsi sentire, il vento ascolta e si spegne; l’ascolta il mare che un po’ per volta si calma e s’addormenta. É l’alba. Tornerà e lei sorride.

© L’incanto

 

La lanterna a prua faticò a spandere la propria luce, lasciando sull’acqua una semplice pennellata di giallo subito cancellata dalla spuma nera delle onde. Il pescatore, nella sua cerata nera era ritto al timone con lo sguardo rivolto al buio. Ogni tanto un violento strattone faceva beccheggiare l’imbarcazione. Guardò ai suoi piedi la rete ancora arrotolata e scosse la testa, se l’avesse calata il mare l’avrebbe strappata. Un’onda più alta spazzò la barca trascinando tutto ciò che non era fissato allo scafo. Il pescatore afferrò la bitta un attimo prima che scivolasse fuori bordo.

Impassibile, con l’altra mano raddrizzò la barca prima che una montagna d’acqua la travolgesse. Ne cavalcò la cresta e si trovò per un attimo sospeso sopra la nuvola d’acqua e nebbia e vide il cielo stellato e la luna che brillavano in cielo indifferenti.

Sorrise. Era solo questione di tempo, il mare si sarebbe calmato.

© Il passo

il fiocco

IMG-a6cd5c8c01d832a7a3e31dce4dc6e569-V (1)

Spostai la sedia e la misi davanti alla finestra.

Il buio fuori faceva da schermo ed il vetro riflesse la mia immagine distorta dalle goccioline di condensa. Spensi la luce.

Il balcone, sferzato dalla pioggia, apparve tra le ombre. Guardai alla ricerca di un fiocco di neve. Uno solo. Me ne bastava uno in mezzo a tutte quelle gocce d’acqua. Uno.

La pioggia tamburellò sul tetto e sul terrazzo. Colpiva rumorosamente il pavimento. Con la coda dell’occhio lo vidi. Un riflesso colpì la finestra, un bagliore bianco e poi un altro. Un altro ancora.

Lenti e non lineari atterrarono piano. In mezzo a tutta quell’acqua alcuni fiocchi cristallini si posarono sul terrazzo. Catturarono la tenue luce dei lampioni e si spensero in un sospiro.

Nello sciogliersi, prima di tornare a confondersi con l’acqua, uno lanciò un ultimo riflesso di luce verso di me.

Mi alzai e rimisi la sedia al suo posto.

© Il passo

Domani

20220312_092906
©

Lo specchio riflesse il suo viso stanco, ma sorridente.
L’immagine di lei ancora nella mente, nel cuore.

Chiuse gli occhi e rivide nella mente il volto di lei nello stesso specchio, il respiro accelerato, il luccichìo di desiderio nei suoi occhi verde acqua. Sentì il calore invadergli il petto. – domani amore – disse guardando fisso nello specchio. – Verrà domani, perchè voglio un domani. –

Si guardò le mani – voglio stringerti ancora a me, voglio respirare, voglio che venga domani. – Aprì la finestra all’aria fresca e pungente della notte.
– Domani ti incontrerò ancora. – sorrise – perchè amo sfiorarti, averti vicina, ridere con te. Amo vivere con te.

Perchè ti amo. – chiuse la finestra ed andò a sedere sulla vecchia sedia scricchiolante.

– Ti amo ed è bello avere un domani, se è con te. –

© Il passo

La finestra sul tramonto


Aprì la finestra e la stanza si riempì di profumo di salsedine, di grida lontane di gabbiani e di aria fresca.217500_10150212980346329_100316516328_8752378_3074722_n1

Si girò verso la donna che era ancora a letto. Lei gli sorrise e si sollevò il lenzuolo fin sotto il mento, senza nascondere un brivido di freddo.

La guardò e rispose al sorriso. Si girò ancora verso il mare; il sole stava tramontando.

Fece per chiamarla, si fermò. Fissò il sole e poi si girò a guardarla ancora una volta. Le due immagini si sovrapposero sulla retina dei suoi occhi sciogliendole nel mare e colorandolo di rosso.

Un brivido lo percorse. Lei credette che fosse per il freddo. – torna a letto, amore. – disse allungando le braccia verso di lui. Così facendo il lenzuolo le scivolò scoprendole il petto e lui rimase a guardarla, rapito.

Distolse lo sguardo a fatica, sorrise e socchiuse la finestra. Il rumore delle onde lo accompagnò fino ai piedi del letto. Si chinò a baciarla sulle labbra e si infilò sotto le lenzuola.

Chissa se sapevano ancora di salsedine, si chiese
– eccomi amore – disse chiudendo gli occhi.

La avvolse in un abbraccio e la baciò nuovamente.

Sorrise soddisfatto mentre il sole, con un ultimo grazioso inchino, si immerse nel mare.

© Il passo

Come Tristan e Iseut

  • images.jpegAncora a cavallo, appena oltrepassato il ponte levatoio, si tolse l’elmo che gli opprimeva la testa. Una ventata di aria fredda gli accarezzò il viso stanco e graffiato. Alzò lo sguardo alle finestre vuote del primo piano.

Lasciò il cavallo allo stalliere e si precipitò nel grande salone delle armi. Si diresse verso il massiccio tavolo di legno in fondo alla sala vuota, si slacciò gli spallacci che caddero fragorosamente sul pavimento in pietra.

Aprì la porta delle stanze di rappresentanza, tutti gli ufficiali si scostarono per non essere travolti. Non li vide neppure, attraversò i locali che per lui senza di lei erano deserti. Quasi strappò le calotte per potersi togliere il pesantissimo e lucido pettorale. Nonostante il sollievo dal peso tolto non riuscì a respirare.

Si diresse quindi verso la camera nuziale. Il grande letto a baldacchino era pronto, accogliente, pulito e vuoto. Lasciò scivolare la cotta di maglia,  tolse entrambe le ginocchiere ed i cosciali. Nemmeno notò l’enorme camino acceso. Ebbe un brivido di freddo. La stanza senza di lei era gelida.

Fece di corsa il lungo corridoio che lo portò alle cucine. Gli inservienti non fecero in tempo a fargli spazio. Le casse di mele accatastate ancora in equilibrio precario caddero facendo ruzzolare la frutta per la ripida scala di servizio. Lui nemmeno se ne accorse.

Tolse la falda a quattro lame con ancora le scarselle attaccate, fece gli alti gradini a due a due e salì sulla vecchia torre. Dove era il suo amore?

Spalancò il piccolo uscio dei bagni privati. Lei era in ginocchio al centro della stanza rotonda, accanto alla vasca da bagno. Candida, con la pelle color della luna, teneva in mano una brocca d’acqua bollente il cui vapore la rendeva ancora più evanescente. I rossi capelli ad incorniciare il suo bellissimo viso. Gli sorrise, si lisciò la leggera e semplice tunica che lasciava intravvedere il suo esile corpo. Senza alzarsi si piegò verso di lui e cominciò a spogliarlo di ciò che restava della sua armatura.

Lui le prese una mano e se la portò alle labbra. La fece alzare e la strinse a sè. La sentì fremere contro di lui. Sentì il battito dei loro cuori farsi uno solo. Dimenticò la dura cavalcata fino a casa, la fatica, il dolore. Solo lei. Solo lei.

Le slacciò il corto nastro che le sorreggeva la tunica e questa lentamente si posò ai suoi piedi. La guardò, la abbracciò e sorridendo la sollevò portando i due visi alla stessa altezza. Sentì il respiro di lei, caldo, delicato, terribilmente eccitante, mischiarsi al suo.

Il vapore della stanza li avvolse in un caldo abbraccio.


© Il passo