ISTITUTI PENITENZIARI: IL PARADISO NEGATO DAL NOSTRO SISTEMA GIUDIZIARIO

ISTITUTI PENITENZIARI: IL PARADISO NEGATO DAL NOSTRO SISTEMA GIUDIZIARIO

“DETENUTA LANCIA PER LE SCALE I FIGLI DI 7 E 19 MESI: UNA SOFFERENZA CHE SI DOVEVA EVITARE”

È di poche ore fa la notizia di intervenuta sospensione dal servizio della Direttrice del carcere femminile di Rebibbia (oltre alla sua vice e al vice comandante di reparto della polizia penitenziaria) dove si è consumato il tragico assassinio della piccola di appena 7 mesi, oltre al fratellino di 19 mesi che ancora combatte per la vita al Bambin Gesù dove è stato sottoposto ad intervento chirurgico per grave trauma cerebrale; entrambi figli di una giovane donna di origine tedesca arrestata lo scorso mese di agosto a Roma per spaccio di stupefacenti.

Mentre le unità investigative continuano il loro lavoro per capire l’entità di eventuali condotte omissive perpetrate all’interno delle mura carcerarie, il destino dei due piccoli bambini ci impone una breve riflessione: non possiamo non chiederci, a prescindere dall’effettivo stato di salute della donna, se l’eventuale sua permanenza in una struttura meno invasiva come il carcere, avrebbe potuto evitare l’accaduto.

La questione involge la tutela che il nostro ordinamento riserva al rapporto fra genitori detenuti e figli minori che già dallo scorso 21.01.2011 con la Legge n. 62 (intitolata Disposizioni in tema di detenute madri) ha novellato l’art. 275, comma 4 del codice di procedura penale, ampliando il novero dei minori beneficiari della tutela, attraverso l’elevazione a 6 anni del limite di età (prima era di tre anni) che comporta il divieto di custodia cautelare in carcere per il genitore, salvo che ricorrano esigenze di eccezionale rilevanza (articolo 1, comma 1). Contestualmente, si è previsto che quando tali eccezionali esigenze siano ravvisate, la carcerazione può avvenire – quindi, se compatibile con le predette esigenze – in istituti a custodia attenuata.

Si tratta di istituti che fanno la loro apparizione per la prima volta in virtu’ del medesimo articolo 1, comma 3, il quale introduce un articolo 285 bis, nel codice di rito, relativo alla “Custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri” ed il cui tenore è opportuno riportare: “Nelle ipotesi di cui all’articolo 275, comma 4, se la persona da sottoporre a custodia cautelare sia donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, il giudice può disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano”. L’articolo 1, comma 2 ha poi modificato il testo dell’articolo 284 c.p.p., comma 1, in fine al quale sono state aggiunte le parole “ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta”

Pertanto, il giudice che ritenga di dover adottare la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del genitore con prole infraseienne non affidabile ad altri non potrà farlo, a meno che le esigenze cautelari non si presentino come di eccezionale rilevanza. Ove non ricorra tale requisito, il giudice dovrà adottare la misura degli arresti domiciliari. Qualora, all’inverso, ritenga sussistenti le esigenze di eccezionale rilevanza, egli sarà chiamato ancora ad un’ulteriore valutazione, avente ad oggetto la compatibilità di quelle peculiari esigenze con la custodia cautelare in istituto a custodia attenuata. Solo se anche quest’ulteriore apprezzamento avrà esito negativo, dovrà essere disposta indefettibilmente la custodia in carcere.

Al riguardo, giova tuttavia rimarcare che il successivo art. 4 della Legge prescrive che dovrà essere il Ministero di Giustizia ad individuare, con proprio decreto – entro 180 gg dall’entrata in vigore della legge – le caratteristiche tipologiche delle case famiglia protette, stipulando anche idonee convenzioni senza nuovi oneri per la finanza pubblica.

In assenza della casa famiglia – e in presenza della latitanza delle Istituzioni (n.d.r.)  – la legge in commento, al suo art. 1, comma 3, ha previsto l’introduzione dell’art. 285 bis c.p.p. che rubricato “Custodia cautelare in istituto a Custodia attenuata per detenute madri” crea una nuova forma di custodia cautelare in carcere per madri (o per padri, se la madre è impossibilitata), proprio in quei casi in cui, pur in presenza di figli di età non superiore a sei anni, esigenze eccezionali impediscano il ricorso a misure cautelari più blande.

Si tratta, nella prassi degli Istituti definiti con l’acronimo ICAM (Istituto a Custodia Attenuata per Detenute Madri) che assicurano un rapporto genitoriale quanto più vicino possibile alla “normalità” con personale qualificato non in divisa, senza sbarre e con camerette colorate e fornite dei comfort per i giovanissimi ospiti.

In Italia purtroppo esiste un’unica struttura siffatta, a Milano, pur dipendente dal carcere del San Vittore, ben lontana da questo e dove i bambini ma anche le madri, in stato di privazione della libertà personale, avvertono meno il peso del ruolo genitoriale da svolgere in una struttura che, per sua stessa natura, non è neanche lontanamente paragonabile ad una casa.

Ricordando le parole proferite dalla giovane donna tedesca (”Non potevo permettere che soffrissero ancora e ho voluto avvicinarli al Paradiso”), ci si viene da chiedere: se quella donna, con i suoi due figli, fosse stata affidata ad una struttura non carceraria – così come prevede la legge – si sarebbe davvero lasciata andare fino al punto di preferire per i suoi figli la morte?

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MATTEO SALVINI ALLA FORCA PER NON AVER RUBATO I SOLDI DELLA LEGA NORD

 

MATTEO SALVINI ALLA FORCA PER NON AVER RUBATO I SOLDI DELLA LEGA NORD

Una posizione difensiva, quella assunta dal Leghista, forse troppo “scolastica” che ha favorito il sequestro e l’attacco mediatico contro l’attuale Ministro dell’Interno, andando ben oltre i precetti normativi e nonostante la condivisibilità dei principi di diritto enunciati dai Supremi Giudici

Con la sentenza n. 29923 del 12.04.2018 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione, si è pronunciata sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova avverso l’Ordinanza del 16.11.2017 resa dal Tribunale della Libertà di Genova nei confronti di Matteo SALVINI nella qualità di Segretario Politico del partito Lega Nord per l’indipendenza della Padania.

La vicenda, com’è ampiamente noto – sebbene da certa opposizione, si tenda a volerla far ricadere su di una qualche condotta illecita commessa dall’attuale Ministro dell’Interno – trae origine dalla condanna, pronunciata dal Tribunale di Genova in data 24.07.2017, di BOSSI Umberto, BELSITO Francesco, ADOLVISI Stefano, SANAVIO Diego e TURCI Antonio, per il reato di Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.), per aver chiesto e ottenuto dallo Stato elargizioni, sotto forma di contributi, per un importo che è stato quantificato in euro 48.696.617,00.

Dacchè, in applicazione delle norme indicate agli artt. 640 quater c.p. e 322 ter c.p., il Pubblico Ministero ha chiesto e ottenuto, la confisca diretta a carico della “Lega Nord” della predetta somma corrispondente al profitto del reato per il quale vi era stata condanna.

In sede di esecuzione del sequestro, avendo riscontrato la presenza di giacenze finanziarie di gran lunga inferiore alla somma indicata, il Pubblico Ministero chiedeva al Tribunale di Genova di estendere il sequestro anche alle somme comunque nella disponibilità di Lega Nord che venissero ad essere accreditate su conti correnti, depositi bancari e libretti, successivamente alla notifica del Decreto di sequestro.

Matteo Salvini, di fatti estraneo alla vicenda oggetto della sentenza di condanna, quale Segretario Politico di Lega Nord, si opponeva a tale richiesta assumendo che le somme “future” non potevano, a mente dell’art. 322 ter c.p., essere considerate profitto del reato e quindi non potevano essere assoggettate a sequestro preventivo.

Dopo due passaggi in Tribunale che respingeva le richieste del PM, la questione è passata al vaglio della Suprema Corte, la quale con la sentenza in commento, ha disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza di riesame, enunciando il principio di diritto secondo cui, trattandosi di confisca obbligatoria che trae il suo presupposto dalle “disponibilità monetarie della percipiente Lega Nord che si sono accresciute del profitto del reato”, la somma oggetto di confisca diretta va ricercata “ovunque e presso chiunque” comprendendovi anche le somme confluite sul conto “in data successiva all’esecuzione del provvedimento” e fino alla concorrenza dell’importo indicato nel decreto di sequestro preventivo di euro 48.696.617,00.

La Corte si sofferma dunque su di alcuni propri precedenti anche a Sezioni Unite (i casi Gubert 2014 e Lucci 2015) e precisa che laddove il prezzo o il profitto del reato sia costituito da denaro (tale era l’oggetto del reato contestato a Bossi + altri nel 2017), la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il condannato abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura fungibile del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della misura cautelare (sanzionatoria) e il reato. Il denaro presente sui conti correnti (eventualmente anche di provenienza lecita) finisce quindi col confondersi con il profitto del reato e costituire un unicum confiscabile, senza che assumano rilevanza alcuna gli eventuali movimenti che possa aver subito quel movimento bancario.

Se per assurdo Matteo Salvini all’atto del suo insediamento nel partito come Segretario Politico avesse completamente depauperato quel conto, pur dopo la sentenza di condanna nei confronti di Bossi + altri, la Procura non avrebbe potuto fare altro che agire attraverso lo strumento della confisca per equivalente che si discosta da quella c.d. diretta, per avere natura sostanzialmente riparatoria, laddove al contrario, la confisca diretta ha natura sanzionatoria andando a colpire l’imputato nei suoi beni in base al valore attribuito al profitto del reato.

La differenza non è di poco conto se si considera che il Tribunale del riesame di Genova, chiamato a pronunciarsi in sede di rinvio, con la decisione dello scorso 5 settembre, adeguandosi ai principi espressi dalla Cassazione ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta anche delle somme di denaro che sono state depositate o verranno depositate sui conti correnti e depositi bancari intestati o comunque riferibili alla Lega Nord successivamente alla data di notifica ed esecuzione del decreto di sequestro preventivo emesso dal Tribunale di Genova in data 4.09.2017, fino a concorrenza dell’importo di euro 48.696.617,00.

Ciò, nonostante l’art. 322 ter c.p. espressamente escluda la confisca laddove le somme, come in questo caso, appartengano a persona, Matteo Salvini, estranea al reato ma “reo” di essere il Segretario Politico di un ente (che delinquere non potest) di cui fa tutt’ora parte Umberto BOSSI.

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