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Bruce Chatwin
Non molto tempo fa, dopo anni di vagabondaggio, decisi che era ora, non di mettere radici, ma almeno di farmi una casa. Pesai i pro e i contro di una casuccia imbiancata a calce su un’isola greca, di un cottage in campagna, di una garçonnière sulla Rive Gauche, e di varie alternative tradizionali. Alla fine, conclusi, tanto valeva far base a Londra. Casa, dopotutto, è dove sono i tuoi amici.
Consultai un’americana, veterana del giornalismo, che per cinquant’anni ha trattato il mondo come il cortile di casa sua.“Londra ti piace davvero?” le chiesi.
“No,” disse lei, con voce roca e sigarettosa “ma Londra è un posto come un altro per appendere il cappello”.
(…)
Ben di rado – in Inghilterra forse mai – sono entrato in una stanza moderna e ho pensato: “Ecco quel che vorrei”. Poi entrai in una stanza disegnata da un giovane architetto di nome John Pawson, e subito mi dissi: “ è proprio quel che voglio.”
Pawson ha vissuto e lavorato in Giappone. Detesta il postmoderno e altre asinerie architettoniche. Sa bene quanto spazio sprecano gli europei, e sa fare stanze semplici e armoniose, un vero rifugio dalle brutture della Londra contemporanea. Gli dissi che volevo un incrocio tra e la cabina di una nave. Volevo che i miei libri restassero nascosti in un corridoio, e tanti armadietti. Calcolammo che dal bagno verde si poteva ricavare giusto giusto una minuscola camera da letto. La stanza,dissi, andava dipinta di bianco panna, con veneziane di legno in tinta. Per il resto lasciai fare a lui.
Qualche mese dopo, tornando dall’Africa, trovai una stanza ariosa, ben proporzionata, un po’ simile a quelle di certi quadri del primo Rinascimento, piccole ma con una veduta che dà l’illusione di spazi illimitati.
Schizzo dell'architetto Pawson per la casa di Chatwin
(…)
Nella mia stanza non scrivo molto. Per scrivere ho bisogno di altre condizioni e di altri luoghi. Ma lì posso pensare, sentire musica, leggere a letto e prendere appunti. Posso dar mangiare a quattro amici; ed è, tutto considerato, un posto dove appendere il cappello.
1986
Brani tratti dal racconto “Un posto per appendere il cappello”, dalla raccolta postuma di scritti
di Bruce Chatwin “Anatomia dell’irrequietezza”.
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