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CUORE IN VIAGGIO

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Il ritratto (VIII)

Post n°464 pubblicato il 10 Aprile 2012 da xteneraladyx
 

 

Fu svegliata dal trillo impertinente della suoneria del suo cellulare.

Ci mise un po’ a capire da dove provenisse il suono.

“Ma perché diavolo l’ho lasciato acceso!” disse con la voce impastata dal sonno Irene.

Cercando di spalancare il più possibile gli occhi assonnati, vide che la telefonata

proveniva da un numero sconosciuto, cerco di fare uscire un filo di voce umana e

rispose. “Pronto?”

“Irene, ho bisogno del tuo aiuto, vieni presto.” disse una voce flebile e affannata.

“Ma chi parla scusi? Se è uno scherzo lo trovo di pessimo gusto.”

“Sono Andrea, ho bisogno di aiuto. Vieni subito a casa mia, è successo un incidente,

sono da solo e sei la prima persona che ho pensato di chiamare”

“Andrea? Ma scusa non facevi prima a chiamare la Croce Rossa o i Carabinieri?”

“Niente estranei. Posso fidarmi solo di te” e le ultime parole uscirono come un sussurro.

Irene guardò l’ora, erano le tre del mattino. L’idea di raggiungere da sola quella casa in collina a quell’ora della notte  proprio non le andava.

“Posso chiamare qualche tuo amico o parente se hai bisogno…” Irene cercava di togliersi da quella situazione che le dava un sottile disagio.

“No! Ti prego, vieni tu. Ti spiegherò. Non te lo chiederei, ma sei l’unica a cui posso rivolgermi…ahhh” Andrea lanciò un urlo di dolore e Irene rabbrividì…

“Andrea? Pronto…pronto…” dall’altra parte non si udiva più nulla.

Aveva sentito quell’urlo e un tonfo pesante, forse era lui che era caduto,ma non ne era sicura. Riattaccò e chiamò subito Bettina.

Ma anche lasciandolo squillare a lungo non ottenne risposta.

“Mai, dico mai che quando quella donna mi serve, ci sia” ormai Irene si era svegliata e camminando nervosamente per casa, cercava di decidere cosa fare.

Si infilò un paio di jeans e una felpa. Calzò le scarpe da ginnastica.

Cercò una torcia per orientarsi in quel viale scuro che portava alla villa.

Prese un cassettina del pronto soccorso, un coltello a serramanico pensando che comunque, anche solo per difesa, poteva servirle e uscì di casa, con il cuore che batteva a martello, una paura inumana, preoccupata che fosse successo qualcosa a quell’uomo che era da poco comparso nella sua vita.

Salì la collina, arrivò al cancello di ingresso…stranamente era spalancato.

Pensò due secondi se avvertire la polizia di dove si trovava. Se si fosse andata a mettere in un guaio?

“Irene, lui ha detto chiaramente niente estranei. Ma anch’io dopo tutto lo sono, mi ha vista una volta sola. Chissà perché ha chiamato me…”

Arrivò alla terrazza che dava sull’ingresso…le luci della casa erano spente.

La porta di ingresso spalancata.

Accese la torcia che si era portata, prese il coltellino e lo aprì stringendolo nel palmo della mano libera.

Dentro la casa era un po’ a soqquadro…sentiva dei vetri frantumarsi sotto le scarpe.

“Andrea? Dove sei?”

Cercò con la torcia un interruttore, lo trovò provò a premerlo ma non successe nulla.

“Fili tagliati” pensò. “Un furto forse, magari sono ancora qua…Andrea?”

Ma perché era venuta sola e si era cacciata in questo incubo atroce.

Senti muoversi qualcosa dietro un divano, punto la torcia e vide un corpo sdraiato. Scorgeva solo le gambe che avevano fatto quel movimento.

Si avvicinò piano, puntò la torcia verso la testa dell’uomo…

“Andrea! Oh mio Dio!” Irene guardava quel volto e stentava a riconoscerlo.

Aveva ecchimosi e lividi ovunque, un labbro lacerato perdeva sangue.

Anche le mani erano ferite e insanguinate.

“Sei venuta, grazie. Sapeva che non mi avresti abbandonato.” Cercò di sorriderle ma la lacerazione sul labbro lo fece gemere di dolore.

Irene si avvicinò e chinatasi su di lui cercò di farlo alzare.

“Ce la fai ad alzarti e camminare fino al divano?”

“Si credo di farcela se mi aiuti.”

Così Irene tirò fuori tutta la forza che non aveva e lo aiutò a sollevarsi e a stendersi sul divano.

Tirò fuori la sua valigetta del pronto soccorso e cercò di capire l’entità delle ferite.

“Ti devo portare in ospedale.”

“No. Non se ne parla. Mi curi tu.” e il tono risoluto non ammetteva repliche.

“Cos’è successo? Una rapina o un litigio con qualcuno?”

“Una rapina.” disse Andrea.

“Avevi molte cose di valore in casa?” Irene faceva le domande e continuava a fare le medicazioni come poteva e sapeva.

“Una sola cosa. E l’hanno portata via.” disse l’uomo profondamente triste.

“Era un gioiello? Un ricordo di famiglia?”

“No. Hanno portato via il tuo ritratto” disse Andrea fissando lo sguardo in un punto buio della stanza.

“Come il mio ritratto! Vuoi dire che la tela che volevo acquistare è stata rubata?”

“Si. Ma la ritroverò. So chi l’ha presa” disse senza incertezza

“Allora appena ti avrò medicato, chiamiamo i carabinieri e fai la denuncia”

“No. Niente estranei. E’ una faccenda personale che risolverò da solo.”

E detto questo sprofondò in un sonno pesante. Esausto.

Irene si sedette in una poltrona, stava albeggiando e la luce del sole che sorgeva, stava illuminando la stanza o quello che ne restava.

Pensò di vegliare Andrea fino al suo risveglio.

Voleva essere sicura che non avesso nulla di grave e poteva avere ancora bisogno di aiuto. Pensò che doveva anche avvisare al lavoro che non sarebbe andata.

Magari avrebbe chiesto di nuovo aiuto a Bettina, sempre che le avesse risposto al telefono.

Mentre faceva queste considerazione il sonno colse anche lei…e si addormentò....

 
 
 
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