Messaggi di Febbraio 2015
Post n°1845 pubblicato il 27 Febbraio 2015 da anonimo.sabino
Tutti i miei ascendenti, paterni e materni, erano radicati in un povero paese di montagna; non si sarebbe detto che si trovasse alle porte di Roma, nella parte orientale dei Monti Sabini, quella che, in omaggio a Orazio, è adesso ribattezzata dei Monti Lucretili. Monteflavio sta tra le balze che terrazzano il versante occidentale del Monte Pellecchia, il tetto dei Sabini, che regala all’Urbe, a nord-est dal Gianicolo,uno squarcio di orizzonte innevato nei giorni della giannetta; sull’altro versante, dalla parte di Licenza, era la villa rustica del vate. E l’amore del grande poeta per questi luoghi era forse superiore al mio, certamente meno contrastato. Io ho considerato il paese più spesso una prigione che un nido, anche se ho pianto nel lasciarlo, l’ho rimpianto dopo averlo perduto e l’ho poi recuperato per la boccata d’ossigeno e di cultura materna del fine settimana. Non c’era acqua, nelle case. Le donne andavano ad attingerla alla Pilocca, la fontana rinascimentale al centro della Piazza, dove l’acqua giungeva dalla più vicina sorgente. Fino ad essa, sul fianco del dirimpettaio Monte Mozzone, le donne andavano a fare il bucato, sulle lisce pietre dell’antica fonte fattavi ingabbiare dagli Orsini; e stendevano i panni al sole sulle siepi dei prati circostanti. D’inverno la Pilocca gelava e d’estate l’acqua era razionata; per cui dopo litigi e pettegolezzi la monteflaviese, facendo posto agli asini che aspettavano di dissetarsi alla sciacquatura, lasciava la fonte con una conca di rame in bilico sulla testa (qualcuno gliela imponeva) e un’altra appoggiata sull’anca. Ecco perché le donne di Monteflavio camminavano, anche da vecchie, erette come principesse e ancheggiando piacevolmente. Freddo quasi tutto l’anno, per i 1500 abitanti; numerosa e povera pastorizia familiare per le montagne; boschi per far legna da ardere e carbone da vendere; un po’ d’ulivi per i colli che degradano verso la valle del Tevere; si raggiunge l’Aniene a Tivoli, il Tevere dopo Montelibretti, verso Passo Corese, seguendo il fosso che fu la seconda sorgente dell’infaustum Allia flumen. |
A chi mi rimproverasse (e lo farebbe di certo il critico letterario) l’omissione, per alcuni tratti del racconto, di quegli indugi analitici che il lettore è abituato ad attendersi dallo scrittore, faccio presente che è mio intendimento riproporre non i miei contorcimenti viscerali, ma un itinerario culturale; il quale richiede, è vero, un’ambientazione autobiografica, anche particolareggiata, ove occorra; ma rifuggo dall’autocompiacimento di chi ama violare il santuario al quale il senso del pudore suole affidare molti intimi particolari, quelli che il primo saggista rinascimentale, il fiorentino Guicciardini, affidava al libro della discrezione. Conta di certo il fatto che nel mio tempo migliore io sia stato pastorello, orfanello, chierico e poi tante altre cose, di cui quindi parlerò. Ho amato e odiato, ho sofferto e goduto, ho provato la fame e la sazietà; ho pianto, ho riso e ho cantato. Ho fatto politica e ne ho preso scottature; non ho eluso la lotta, vincendo e perdendo, ma sempre amando sopra ogni cosa la pace. Ho soprattutto sognato. Ho accarezzato l’illusione e ho trovato la delusione. Ho conosciuto tanti stronzi, persone cioè che avresti preferito non incontrare; ma anche persone splendide, troppo poche, invero; e tanti, tantissimi miei simili condannati a un’esistenza anonima e insignificante, nei quali tuttavia non ho faticato a ritrovare sempre i miei stessi palpiti di umanità. Per cui, ora che sono ritenuto una persona quasi importante, amo giocare a scopone con i cafoni, come Machiavelli nella sua Certaldo, e andare in macchina con la musica classica a palla; essere un progressista che ama il passato e un rivoluzionario saturo del turbinare di innovazioni tecnologiche che hanno cambiato rapidamente il nostro modo di vivere e la nostra cultura, lasciandoci esaltati, storditi, fottuti. |
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Post n°1842 pubblicato il 24 Febbraio 2015 da anonimo.sabino
IL CORAGGIO DI BIOTTO Con dedica Ai miei compagni di sventura prima parte: IL CORAGGIO DELLA RAGIONE
1. FU OTTAVIO…
E’ sentimento comune che la nostra esistenza sia determinata da una serie di circostanze che, in larghissima misura, sfuggono al nostro controllo. La fede religiosa le fa risalire a un supremo ordinatore; annaspando così senza uscita nel problema di un libero arbitrio che dev’esserci, per meritarti paradiso o inferno in sempiterno; ma è difficile capire come, se non cade foglia che Dio non voglia. Più umilmente il pensiero laico organizza le tue circostanze facendoti ruotare in una galassia di ambienti, che vanno da quello che ti ha prodotto a quello che ti eliminerà. E’ comunque una considerazione ovvia che tanti fatti decidono da soli tutto il corso successivo della tua vita, non solo a prescindere dalla tua volontà, ma per lo più a tua insaputa. Perfino nel rappresentarti quanto ti è successo sei talmente condizionato che, chiedendoti dove saresti voluto nascere, finisci, il più delle volte, sia pure con tante riserve, con l’accettare proprio il luogo dove sei nato: ormai fa parte di te. Ma non per tua scelta. Non hai scelto né la razza, né il paese, né i genitori; tutti elementi di cui magari sei fiero, pur essendo essi, non tu, a determinare il tuo modo di essere e il tuo stesso esistere. Qualcuno ti ha dato un nome, altri previssuti un cognome. Esisti, senza averne fatto richiesta. E ti ritrovi battezzato o circonciso, con un tuo idioma e in una tua civiltà; ossia in una mentalità che altri ti hanno cucito addosso. Così la mia vita mi appare oggettivamente come il risultato di un’azione corale: sono qualcosa che non ho mai voluto personalmente. Né questo mi dovrebbe sconcertare, ma consolare: se tanti non fossero vissuti per me prima di me, sarei un primitivo. Eppure, sarà perché delle circostanze che compongono il coro, oltre ad una cosa che chiamano Dio, oltre al mondo e oltre agli antenati, faccio parte anch’io, mentre tanti hanno la fortuna di adagiarvisi felicemente, io non posso fare a meno di vedere la mia esistenza come una lotta continua contro la predestinazione delle circostanze. Sì, per cambiare anche solo un millesimo di quanto era già deciso, per esistere di mia volontà. Possibilmente senza stonare. |
Post n°1841 pubblicato il 23 Febbraio 2015 da anonimo.sabino
IL CORAGGIO DI BIOTTO Ebbene sì. Gli amici che ti hanno seguito per un migliaio di post ed hanno man mano scoperto anche il tuo vero nome hanno diritto di sapere qualcosa in più sul tuo conto; o almeno di conoscere le dirette conclusioni che tu hai tratto dalle ricerche che hai proposto all’attenzione degli altri. E così, ora che ho terminato e rifinito la mia Divina Tragedia, ho deciso di proporre più direttamente e in modesta prosa il mio itinerario spirituale e le mie personali conclusioni. Il che comporta un taglio autobiografico. Ma non per civetteria. Sento anzi il dovere di avvertire subito che non si tratta di una vera autobiografia, come la vorrebbe il critico letterario. Dei fattacci miei, schivo come sono, dirò, peraltro in tutta sincerità, quanto basta per spiegare il mio cammino culturale, un itinerario lungo e non indolore dalla fede alla ragione, dalla soggezione alla lotta, dalla militanza politica nella linea di un partito al libero pensiero; si direbbe Da Dio al diavolo. E questo era il titolo che avevo pensato per questo lavoro. Nemico però di ogni tentazione retorica, gli darò un titolo più modesto: Il coraggio di Biotto. Ché di coraggio è intessuta tutta la storia del mio itinerario culturale, coraggio di vivere, coraggio di pensare, coraggio di amare. Tutte cose per le quali occorre (ho dovuto constatarlo assai presto) una forte dose di coraggio. E allora… coraggio! |
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