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Don Bosco e Manfredini

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Don Matteo Rigoni (con don Bosco - 1884/1888)

Post n°1 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da my.point.of.view

Per vedere i messaggi precedenti:

http:blog.libero.it/unioneste

MESSAGGIO NUMERO 7
Memorie di Don Matteo Rigoni degli anni 1884/1888
Ex Direttore della Scuola Manfredini - Salesiani di Don Bosco

Era questo un libro ben legato, celeste, con qualche fregio d'oro che ancora conservo, e con entro la legatura un attestatino attaccato, con la dicitura: "I° premio - Attestato di profitto per buona condotta e studio. Sac. G. B. Francesia, Direttore".[…] Anche quest'anno, come l'anno precedente, non ebbi la consolazione di ricevere il premio dalle mani di Dn. Bosco. Era assente per indisposizioni di salute. Ma mentre io riandavo colla mia mente la delizia del mio altipiano colle sue amene vallette e i fioriti prati, i verdi colli e le folte boscaglie, la mia casetta con entro i miei cari, le mie sorelline, Dn. Bosco pensava a me, e di questo ne ero sicuro da tanti indizi. Egli vedeva l'avvenire di tutti i suoi giovani, vedeva pure l'avvenire, e il presente di questo suo fra i figli suoi più miserabili e bisognoso di soccorso, povero, debole e timido, lo vedeva dopo pochi anni privo dei suoi genitori, con quattro sorelle più giovani, due già grandi e due che rimanevano sole in casa, dalla quale avrebbero dovuto fuggire dopo alcuni anni sotto una terribile tempesta di granate austriache. Dn. Bosco questo suo figliuolo lo vedeva sopra le rovine di Asiago in cerca del luogo dove poteva essere stata la sua casetta, senza poterne trovare il sito perché ovunque non esisteva pietra su pietra, lo vedeva in cerca delle sue sorelle e dei suoi parenti profughi fino ad Augeri sul lago Maggiore, dove per quattro anni rimasero in mezzo a privazioni, e lontani dal luogo natio. Dn. Bosco pensava certo a questo povero derelitto per salvargli l'anima e il corpo. Allora io ero ignaro di tutto. […] Intanto nell'autunno del 1885 godevo un mondo nelle rimembranze della mia vita passata all'Oratorio, dei miei piccoli trionfi; in casa e fuori casa parlavo di Dn. Bosco, e delle mirabili visioni che stando all'Oratorio mi passavano dinanzi agli occhi anche negli ultimi mesi dell'anno scolastico in corso. […] Anno Scolastico 1885-86. Mi trovavo alquanto perduto, avevo cambiato condiscepoli, professori. […] Intanto preparavamo per l'ultimo giorno di carnevale la commedia in 4 atti intitolata: "Le ridicole avventure per la rassomiglianza di due gobbi". L'originale dei due protagonisti che è scritto in dialetto milanese veniva tradotto nel dialetto veneziano dal Sig. Suttil, veneziano di nascita, addestrato in tali faccende, ed istruito nel bel dialetto di Goldoni. Giunta la sera, Dn. Bosco informato della rappresentazione dai suoi segretari, quando udì del dialetto veneto, e che gli attori sarebbero stati gli studenti, e che i protagonisti sarebbero stati il sole, e il sale, «Allora,» rispose, «bisogna proprio che venga anch'io», e venne nonostante i suoi grandi pensieri e preoccupazioni e gli acciacchi della sua avanzata età. Venne con nostra grande soddisfazione, e si fermò fino alla fine. Il segretario Dn. Festa  che gli era vicino, mi assicurò che Dn. Bosco godeva un mondo nel sentire il dialetto veneto, e rise tanto, tanto. Forse fu quella l'ultima volta che Dn. Bosco assistette al teatro dei suoi figliuoli, ed io d'averlo fatto ridere mi esalto in cuor mio, mi onoro, e godo come di una grande ventura e fortuna toccatami. Dn. Bosco forse godeva egli pure per vedere sul palco un suo futuro figliuolo, ma che fin allora non era suo, e neppure pensava di divenirlo in avvenire. […] Un giorno mi incontrò Dn. Berto, il segretario per 30 anni di Dn. Bosco.«Ma sai,» mi disse, «che tu sei il beniamino di Dn. Bosco? (Che) ti nomina sovente?…»  «Oh! Sì! Ma davvero?». "Ho capito", ho detto fra me. Allora avevo capito subito quello che poi ho capito sempre meglio col crescere degli anni, che, cioè, dovevo essere il più povero, il più bisognoso, il più ammalato fra tanti. Tra l'altro ci fu fin dal primo anno chi avrebbe voluto rimandarmi al mio altipiano, perché i miei genitori stentavano a pagare quel po’ di pensione. Eh, si sa, ciascuno faceva il suo dovere, e doveri alle volte disgustosi. Io piangevo, mi raccomandavo a Dn. Lazzero, mio direttore tanto buono, e a Dn. Durando che mi davano parole di conforto. Avvenne anche questo, che tornato appena Dn. Bosco dalla Spagna, il Consigliere Scolastico, Dn. Notorio un giorno mi mandò a chiamare, e mi disse: «So che tu non pensi di farti Salesiano e questo vuol dire nulla, ciascuno il Signore lo chiama per la sua via; ma quello che mi dispiace sì è che tu vai distogliendo altri dal farsi salesiano, è vero o no? C'è questa voce a riguardo». «No, Signor Consigliere, questo non è vero». «Anche Dn. Bosco lo sa, e ne è rimasto dispiacente» «No, Signor Consigliere, mi pare di aver mai detto una parola sola con questa intenzione». E questa era la verità. Dn. Notorio che mi voleva bene come tutti gli altri Superiori visse molti anni e morì nel 1942. Più volte ci siamo incontrati, e mi faceva sempre gran festa; ma ricordando quell'anno 1886 non sapeva darsi pace, e scuotendo il capo diceva: «Ma come è andato quell'episodio, come fu possibile?».

 
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Don Matteo Rigoni di Asiago (don Bosco e don Gastaldi)

Post n°2 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da my.point.of.view

MESSAGGIO NUMERO 8
Memorie di Don Matteo Rigoni degli anni 1884/1888
Ex Direttore della Scuola Manfredini - Salesiani di Don Bosco

Ma ecco che un giorno incontrandomi con Dn. Gastaldi, uno dei tre segretari di Dn. Bosco ne cortile dell'Oratorio, egli mi fermò, e mi disse: «Se sapessi che cosa Dn. Bosco mi ha detto di te!». «Oh! Davvero? Che cosa ha detto?». «Oh, io non te lo dico; va a domandarlo a Dn. Bosco, se vuoi saperlo». «Sono cose belle o brutte?». «Oh! Cose belle, s'intende, e molto belle». Intanto si stavano chiudendo gli Esercizi Spirituali ai giovani studenti. Questi accrebbero la mia curiosità di sapere che cosa Dn. Bosco pensasse di me, e deliberai di andare da Lui per fare la mia confessione, e confessione generale, quantunque non ne avessi bisogno.
Solo sentivo un forte impulso di aprirmi  completamente con un tal confessore; un (altro) Dn. Bosco non (l') avrei più incontrato in vita mia. Mi preparo per la confessione, e poi mi presento a Dn. Bosco in quel corridoio che si trova al limite estremo del braccio di palazzo che fu parte dei locali di S. Giovanni Bosco, dove appunto allora confessava. Faccio del mio meglio, Dn. Bosco non fa alcuna interrogazione, mi assolve e poi continua: «Ti ho visto in sogno in mezzo a tanti cani rabbiosi che stavano per assalirti. Ho fatto di tutto per liberarti da quelle bestie, ma non sono stato capace. Sai che cosa significa tutto questo?». «No, Sig. Dn. Bosco, la prego di spiegarmelo». «Quei cani raffigurano i tanti pericoli che incontreresti nel mondo» e brevemente me ne venne specificando alcuni, e chiudendo poi con queste precise parole: «nel mondo saresti come un pesce fuori dall'acqua. Se invece vuoi stare con Dn. Bosco, la Madonna ti aiuterà, e insieme ti terrà preparato molto lavoro nella Congregazione[…]». Non ricordo più se e che cosa abbia risposto, so solo che sono partito da  Dn. Bosco provando in me una completa trasformazione. Non pensavo (non mi preoccupavo) più né a studi, né a casa, non più al Seminario. Vedevo già dinanzi a me un altro avvenire; non pensavo, e non vedevo più altri al mondo che Dn. Bosco. Avevo deciso: sarò Salesiano: la Madonna lo vuole, solo così potrò essere Salvo. Dopo pochi giorni ricevo da casa una lettera che mi annunziava che erano già state fatte le pratiche presso il Seminario, e che era già assicurato per me un posto gratuito! Mi sono subito presentato a Dn. Bosco, non ricordo più se di mia iniziativa o per chiamata di Dn. Bosco. Il certo è che appena presentatomi, «Ebbene,» mi disse «che cosa rispondi a quella lettera che hai ricevuto?». Ed io con slancio: «Voglio restare sempre con Dn. Bosco». «Ebbene risponderai non in modo così deciso, ma dirai che per adesso desideri continuare i tuoi studi negli istituti di Dn. Bosco, dove sei già abituato, e ti trovi bene, e dove puoi continuare i tuoi studi per la carriera ecclesiastica alla quale ti senti chiamato, e che Dn. Bosco è contento di questo, e ti lascerà detto che ti lascerà poi sempre libero di andare in qualunque momento e dove volessi», che Egli stesso mi avrebbe sempre aiutato a farmi accettare in qualunque luogo io volessi passare ma che per adesso Egli stesso è disposto a farmi percorrere il liceo. Ho scritto in questo tono e subito ho ricevuto risposta con altra calligrafia e stile corretto; a nome del (papà) padre scriveva o un prete o un maestro del paese; avevano (intuito la realtà) capito, e proprio dato nel segno. La corrispondenza continuò per molto tempo, e sempre di carattere piuttosto delicatamente polemico. Mi fu detto che passò anche qualche corrispondenza in proposito fra Dn. Bosco e il Vescovo di Padova, Mons. Callegari, di questo non posso rendermi garante, certo che, se è vero, tale corrispondenza non poteva che avvenire in una sfera
tutta spirituale, di verità e carità come fra due santi.

 
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Don Matteo Rigoni a Valdocco (don Bosco, don Zaio)

Post n°3 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da my.point.of.view

MESSAGGIO NUMERO 9
Memorie di Don Matteo Rigoni degli anni 1884/1888
Ex Direttore della Scuola Manfredini - Salesiani di Don Bosco

Dn. Bosco era l'uomo dalle più alte concezioni, e sia che parlasse coi bambini, o coi fanciulli, o cogli adulti, coi colti o cogli ignoranti, coi ricchi o coi poveri, tutto rendeva accessibile a chiunque, e tutti incatenava col fascino della sua carità espansiva. È sempre Dio che continua a scendere in terra per comunicarsi agli uomini attraverso le parole dei suoi santi. Dio parla loro manifestandosi, multisque modis e Dn. Bosco era in continua comunicazione con Dio e da sveglio e nel sonno colle sue visioni. Nei sogni con una visione estesissima vedeva un'infinità di cose, delle quali una minima parte comunicava ai suoi figli. […] Io non pensavo che a Dn. Bosco, e no vedevo altro, e tutte le volte che partivo lo andavo a visitare. Ero divenuto anche tanto amico dei tre segretari, e naturalmente per arrivare a Dn. Bosco bisognava passare di là, e fare i conti con loro. Dn. Bosco mi riceveva sempre come fossi un gran personaggio e con molta affabilità. Ordinariamente egli era al tavolino e cola penna in mano che subito deponeva, o colle mani giunte. Si atteggiava subito a sorriso presentandomi la mano che io baciava. Quindi o rimanevo in piedi accanto a Lui, oppure mi accennava di sedermi sul piccolo sofà che si trovava accanto al suo tavolinetto. In quel momento Egli non aveva altro da fare che attendere a me. In una delle prime volte cominciò: «Vediamo se sei forte in Geografia. Sai dirmi che cos'è il Peso?» «No, sig. Dn. Bosco, nonostante che Dn. Zaio me ne abbia insegnata tanta in 2° ginnas.». «Te lo dirò io. È un fiume che passa per la città di Pechino, la capitale della Cina». E qui incominciò a parlarmi, come se li vedesse, dei missionari salesiani, che un giorno entreranno in quella città attraversando il fiume sopra i suoi ponti, venendo chi dal grande impero, chi dalla Tartaria. Quale campo immenso di missione! E sospirava verso quei lidi lontani, novello Francesco Saverio, anch'egli sulla soglia dell'eternità. Dopo una breve pausa, mi domandò: «E tu sei amante di avventure?» «Sì, sig. Dn. Bosco,» risposi, senza sapere dove mirasse con quella domanda. Pensavo in un primo tempo ad avventure missionarie: sopra di un cavallo al galoppo… attraversare foreste, … andare in cerca di anime… No, non dovevano essere di questo genere le mie avventure. Dovevo però passarne delle avventure tante e curiose nella mia vita, e non credo che quella domanda di Dn. Bosco sia stata fatta a caso, o indifferentemente, tanto più che alla mia affermazione, Dn. Bosco soggiunse: «Bene, bene! Scriverai poi. ». Non l'avevo scritto prima, temendo di far fare brutta figura a Dn. Bosco. «Ma guarda di essere sempre tanto divoto di Maria Ausiliatrice». […] Intanto l'anno scolastico 1886 correva verso il suo termine. Dn. Bosco per qualche breve periodo si vedeva scomparire, per poi tornare volentieri e quanto prima al suo devoto Oratorio. I Superiori cercavano in tutti i modi di allungargli la vita, suggerendogli qualche clima più confacente, Pinerolo, Lanzo e Valsalice, ed Egli ubbidiva in fine colla semplicità di un bambino. Ma anche se si allontanava per pochi giorni, al suo ritorno era una gran festa per tutto l'Oratorio, e possiamo dire, per tutta Torino. Un giorno presentatomi a Lui, che mi vedeva sempre volentieri, dopo alcune cose sulla mia vocazione, s'interruppe, e mi raccontò quanto segue: «Una notte sognavo di uscire dalla porta della sacrestia di Maria Ausiliatrice che mette nel cortile degli studenti. I giovani mi erano subito attorno e attenti a me ascoltavano le mie parole, quando vedo venire anche te insieme a un gruppo di altri, i quali si uniscono a quelli che già mi stavano attorno; ma tu invece girato presso a me mi hai subito voltato le spalle, e camminavi a ritroso, non colla faccia rivolta  me, ma colla schiena». Io tutto spaventato gli domandai: «Sig. Dn. Bosco, e questo che cosa vorrebbe significare?». «Oh, nulla,» rispose, «la Madonna voleva che ti conoscessi» e non disse nulla sull'argomento.  Questo mi fece ricordare il sogno che Dn. Bosco raccontò in pubblica conferenza alcuni mesi prima nell'occasione delle nocciuole moltiplicate, essendo io assente perché andato a Valsalice a cantare nel teatro di quell'Istituto di nobili. 

 
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oatteo Rigoni (don Bosco, don Antolise, don Festa)

Post n°4 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da my.point.of.view

MESSAGGIO NUMERO 10
Memorie di Don Matteo Rigoni degli anni 1884/1888
Ex Direttore della Scuola Manfredini - Salesiani di Don Bosco

Ero forse io quel tale, di cui narrò Dn. Bosco allora? Che vorrebbe dire quel: voltare le spalle a Dn. Bosco? Direi la mia ripugnanza a farmi Salesiano, il fuggire sempre fino alla fine la presenza di Dn. Bosco per timore delle sue parole in contrasto colla mia creduta vocazione. Che poteva significare quel: Dux aliorim? Forse era uno sguardo all'avvenire, o anche al presente: la piacevolezza della voce nel canto, una certa attitudine per le recite sul palco, il buon esempio nella condotta e nello studio, tutto questo doveva essere una spinta, un invito al bene per tutti i miei compagni. E quel mazzo di fiori che portava in mano? Nessuna meraviglia che rappresentasse quella bontà oratoriale, senza merito, che veniva da un'educazione semplice avuta lassù tra i monti del mio altipiano, dove allora non arrivava la ferrovia, non si parlava ancora di cine, sconosciuti sport, gli scii, sconosciuta ogni moda del presente in una vita primitiva primordiale. A 13 anni son venuto all'Oratorio di Torino in un ambiente nuovo, ma sempre sano, tutto studio, scuola, chiesa, musica e grandi giuochi chiassosi in ricreazione. Nei tre anni passati all'Oratorio non riconosco alcun merito e nessuna fatica nell'affermare di non aver mai commesso un peccato veniale deliberato, tanta era la serenità di quella atmosfera, sotto il manto di Maria e l'influsso salutare di buoni superiori, e specialmente di Dn. Bosco che tutto e tutti informava del suo spirito. Oh, quale immensa schiera di buoni compagni che colà ho incontrato che potevano ben dire di portare quel mazzo di fiori. Se questo mazzo si fosse sempre conservato! Pur troppo la vita ci riserba tante improvvisate non sempre fiorite. Ma grazie al buon Dio, Maria e Dn. Bosco sono sempre presenti e pronti a salvare i loro amici e devoti. Dn. Bosco in un'altra volta mi domandò se era mia  intenzione di andare a passare un po’ di vacanze a casa. «Oh, Sig. Dn. Bosco», risposi «se Lei è contento, questa volta mi fermerei qui; il viaggio è lungo e dispendioso, e poi Lei sa che questa volta non troverei tutto in pace». «Se i tuoi sono contenti, io pure lo sono, tanto più che temerei che andando non avessi più a far ritorno. Andrai poi più tardi, e anch'essi verranno».dieci anni dopo, alla mia prima Messa furono presenti ad Este padre, madre e due mie sorelle: Dn. Gallo, valente oratore fece il discorso, Dn. Caviglia ora celebre scrittore da pari suo preparò le declamazioni per l'accademia e il geniale compositore di musica Dn. Antolisei compose un magnifico inno da cantarsi per l'occasione. Si sparsero lagrime di commozione, non però ancora tutto di piena conformità alla volontà di Dio. Così mi decisi di fermarmi all'Oratorio per tutte quelle vacanze mentre cominciai ad essere spettatore della scomparsa di alcuni miei compagni che erano partiti per casa loro al fine di prepararsi prossimamente ad esami pubblici. Non li invidiavo punto; in Dn. Bosco e nelle sue parole io avevo posta ogni mia piena fiducia. Una sera presso al tramonto del sole mi recai a far visita a Dn. Bosco. M'incontrai dapprima col segretario Dn. Festa. Appena mi vide: «Ho capito,» mi disse, «vieni che ti accompagnerò io da Dn. Bosco», e mi condusse nel corridoio al di là della cappella, dove Dn. Bosco stava seduto sopra la sua solita poltrona che ancora si conserva come ricordo. «Sig. Dn. Bosco, c'è qui Rigoni che desidera ossequiarla». «Oh, sì, vieni, vieni» disse Dn. Bosco. Io mi avanzava e Dn. Festa ritornava sui suoi passi. «Vedi,» mi disse Dn. Bosco, «come Dn. Festa  ti vuol bene». Poi cominciò a farmi alcune domande, a cui rispondevo come sapevo con tutta semplicità, ma non ricordo più ne domande, né risposte. Passati circa 10 minuti in discorsi di grande vantaggio all'anima mia, a un certo punto all'improvviso uscì con questa espressione. «Ora dobbiamo fare una gran cosa. E sai quale?». Io mi aspettavo che mi acclamasse a qualche grande impresa da compiere, e stavo proprio in grande attesa. «Dobbiamo», disse, «andare a cena che è tempo». […] ho sorriso, e Dn. Bosco continuò: «Vediamo ora se sei capace di alzare Dn. Bosco dalla sua sedia». E in questo mi porgeva le sue santissime mani, come fa la madre che vuole scherzando mettere alla prova un suo bambinello. Io ho preso le sue mani tra le mie, e dopo averle baciate con somma riverenza, ho provato con due o tre inutili sforzi di rialzare Dn. Bosco. «Ho capito,» mi disse quasi subito, «non sei capace; ebbene ti aiuterò anch'io, e allora vedrai che tra tutti e due riusciremo ad alzare questa povera carcassa di Dn. Bosco». E lasciò le mie mani per appoggiarsi sui braccioli della poltrona, e allora con qualche sforzo riuscì ad alzarsi in piedi. «Hai visto che ci siamo riusciti?», e piano piano c'incamminammo verso l'uscita di quel corridoio, passammo nella cappella, e attraversando l'anticamera uscimmo sul ballatoio esterno. Intanto si era già a noi unito Dn. Festa e qualche altro che l'aspettavano per accompagnarlo fino alla porta del refettorio, sempre fra qualche amena uscita di Dn. Bosco rivolta or all'uno, or all'altro.

 
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Don Matteo Rigoni (la profezia di don Bosco)

Post n°5 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da my.point.of.view

MESSAGGIO NUMERO 12
Memorie di Don Matteo Rigoni degli anni 1884/1888
Ex Direttore della Scuola Manfredini - Salesiani di Don Bosco

Qualche volta alcuni pochi andavamo colà ad aiutare nel canto di certe solennità; ci trattavano veramente da nobili, quantunque noi non ne avevamo proprio l'aria, ecco: si sentiva da tutti di essere figli di uno stesso Padre. Dn. Bosco si trovava proprio là in quella specie di romitaggio nel primo piano dell'ultimo braccio di palazzo vi era un atrio spazioso, a sinistra del quale nell'angolo precedute da un secondo atrio assai minore del primo vi erano due stanzette, e tutto questo esiste ancora al presente come allora. Nella seconda stanzetta stava appunto Dn. Bosco. Sono entrato da solo dopo aver battuto, e udito la sua debole voce, che diceva: «Avanti», sono entrato e l'ho visto là seduto sopra un piccolo sofà nel suo solito atteggiamento. Mi ha ricevuto come accoglie un padre; io gli ho baciato la mano, e sono rimasto là immobile dinanzi a lui. Mi ha fatto subito alcune domande sui fatti dei giorni passati a Brescia; a mia volta gli ho espresso qualche leggera difficoltà sulla mia vocazione, che egli mi ha subito sciolta, incoraggiandomi al gran passo, ed esprimendomi anzi il suo desiderio che anche i miei genitori fossero presenti alla mia vestizione, ciò che non avvenne: la distanza era troppa, né io ero caldo per questo. Ad un certo punto, dopo breve sospensione, si fece serio in volto, e mi disse: «Senti…quando avrai compiuto tre volte quattordici anni, chiamerai Dn. Bosco in Paradiso». Ed io gli domandai «Devo contare cominciando d'adesso, o dal principio della mia vita?».Ed egli subito senza stare a far calcoli, o a domandarmi la mia età presente che io non gli avevo mai detta. «Comincerai a contare da adesso, cioè quando sarai vicino ai 60 anni». Di quell'incontro con Dn. Bosco ho sempre ricordato queste sue parole precise: quando avrai compiuto 3 volte 14 anni, chiamerai Dn. Bosco in Paradiso. Non sapevo a che cosa Dn. Bosco alludesse, né io potevo immaginare qualche cosa di reale. Appena uscito dalla stanza di Dn. Bosco, a Dn. Gastaldi ripetei le parole di Dn. Bosco, domandandogli cosa possono significare quelle parole. «Sono parole di Dn. Bosco, e non si devono dimenticare». […] Dopo pochi giorni di riposo passati a Lanzo Torinese, mi sono trasferito a S. Benigno per attendere agli Esercizi Spirituali, terminati i quali, circa la metà di ottobre abbiamo raggiunto la nostra nuova sede a Foglizzo Canavese. Durante gli esercizi spirituali abbiamo tutti capito che eravamo quasi un centinaio venuti da  tutte le case salesiane d'Italia per riunirci nella nuova sede preparataci da Dn. Bosco e quivi compiere l'anno di noviziato. Era un bel palazzo dei Conti Ceresa con adiacenze, prato, cortili e giardini. «Dn. Bosco ci ha preparato una villeggiatura», dicevamo fra noi. Vi era un cortile superiore, da cui per una scaletta si discendeva ad altro cortile rettangolare, tutto messo ad aiuole ricche di fiori. Di qua per una stradicciuola si discendeva ancora, girando attorno ad un campo tutto erba e alberi di grosso fusto, il tutto ben chiuso da mura di cinta. Il palazzo con delle belle stanze signorili, ancora tuttavia bisogno di adattamenti; mancava p. es. la Cappella; e questa fu il nostro primo pensiero. Ci venne indicata una rimessa che si prestava a divenire una cappella. Quindi tutti pronti al lavoro; carriuole, badili, zappe, e picconi tutto era al nostro servizio. Si sa, i lavori di fatica erano per i grandi e robusti che avevano del virile. Noi piccolomini eravamo al loro servizio per liberare la rimessa dagli oggetti minuscoli ingombranti. Venne quindi il lavoro delle zappe e dei badili e della carriuole, si trattava di uguagliare il pavimento, e di trasportare il terreno soverchiante altrove; ed ecco i futuri chierici e missionari, vestiti ancora da uomo in maniche di camicia al lavoro più faticoso; i badili, i picchi, le carriuole tutto è in azione per abbassare, livellare il pavimento; mentre i pittori, meglio i tintoretti come li chiamavamo ridendo, preparavano i colori per dare una prima mano alle pareti, e renderle presentabili. La benedizione della cappella e la vestizione dei chierici doveva avvenire il 4 novembre, e si sapeva già che Dn. Bosco stesso sarebbe venuto a compiere le due funzioni. Questa epoca si avvicinava, e il lavoro era ancora molto in arretrato come succede quasi sempre. Ad una voce di allarme, ecco che si accresce l'ardore, il lavoro si moltiplica, arnesi che si eliminano, scope in movimento, con modesti mobili attrezzi che occupano il loro posto. Siamo verso la fornitura completa della nostra modesta cappella. Noi piccoli stavamo da parte ad incoraggiare, a osare di avanzare qualche paroletta di consiglio, almeno sottovoce, a simulare almeno correndo da una parte, dall'altra qualche interessamento al lavoro, finché alla vigilia ci accorgemmo che tutto era pronto per la solenne funzione e pel ricevimento di Dn. Bosco. La cappella non ha certo l'aria di una Cattedrale, ma prelude già in qualche modo alla bella Chiesa che si costruirà dalle basi sul lato sinistro del secondo cortile; come avvenne dopo non pochi anni. […] Aiutato a discendere l'altare, ci impartì, sempre coll'aiuto degli altri la benedizione col Santissimo.

 
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Don Matteo Rigoni (don Bosco, don Francesia, don Lazzero)

Post n°6 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da my.point.of.view

MESSAGGIO NUMERO 11
Memorie di Don Matteo Rigoni degli anni 1884/1888
Ex Direttore della Scuola Manfredini - Salesiani di Don Bosco

Cose da nulla, dirà qualcuno che legge, non per me che dopo tanti anni ritorno con compiacenza somma su qualunque piccolo particolare, che diviene per me grande ventura quando riguarda il Santo nostro Padre Dn. Bosco. […] Così siamo giunti alla chiusura dell'anno scolastico. […]15 agosto 1886, festa dell'Assunta che coincideva col compleanno di Dn. Bosco. Tutti gli anni si attendeva con ansia questo giorno, tanto più in questa occasione aveva anche luogo la distribuzione dei premi. Quest'anno inoltre si assicurava la presenza di Dn. Bosco alla solenne accademia, che doveva quindi riuscire solenne come quella del suo onomastico al 24 giugno. Il sig. Dn. Francesia, mio onesto Direttore in questi miei ultimi due anni all'Oratorio, mi aveva dato due incarichi per questa circostanza: primo, leggere una composizione che voleva essere un addio a Dn. Bosco e all'Oratorio, anche a nome dei miei compagni di 5a presenti ed assenti; secondo, una poesia da recitare come saggio di declamazione, il "Topo ragionatore" del Clasio. Nel tardo pomeriggio di quel giorno nel solito cortile già tutto era preparato per l'accademia, addetti, palchi, il posto per la Banda, per i cantori, tutti avevano assegnato il loro posto, gli studenti e artigiani in tutto oltre un migliaio il posto per il pubblico, circa due mila persone. Ad un certo punto ecco avanzarsi il nostro Dn. Bosco, con numeroso accompagnamento; erompono fragorosi battimani, la banda accoglie con allegre note i festeggiato, e quando tutti occupino i loro posti, si dà principio al canto inneggiante al Padre, ordinariamente un coro poderoso con accompagnamento di banda, da cui si districa un brillante alato volo della sola simpatica voce di Dn. Lazzero. Uno dei primi componimenti fu il mio che cominciato a voce alta e chiara mi andava nascostamente preparando una spiacevole improvvisata il biricchino. Quando con un graduale crescendo giunsi al punto dell'addio al caro soggiorno dell'Oratorio, dove abbiamo ricevuto tanto bene, e a Dn. Bosco che tanto ci ha amati, e da cui dobbiamo separarci, a questo punto fui colto da un sussulto di pianto che tutto frollo mi ritardava nella voce tremante ed interrotta, e che solo con grande sforzo sono riuscito a dominare sino alla fine. Dopo altre declamazioni, venne finalmente la mia seconda comparsa che già molti aspettavano. L'aveva ben studiato a memoria, e là mi trovavo proprio sul mio terreno, essendo una recita semibuffa. Colla voce e con gesto topolinesco e grave a un tempo ho destato di molta ilarità sul pubblico. Se non fosse per altro, per questo almeno, fui strappato per la 3 volta del mio sito, perché salissi tra i battimani fino a Dn. Bosco, che mi consegnò colle sue mani un libro di premio di oltre 900 pagine e ben legato. Era un libro di filosofia, […] s'intitolava "La filosofia scolastica speculativa si S. Tommaso d'Aquino proposta da G.M. Cornoldi d. C. d. G. Terza edizione italiana accresciuta dall'Autore". Era per me un libro adatto, perché stavo per passare dal ginnasio agli studi di filosofia, un libro che mi aiutò molto nell'affrontare quella nuova e difficile scienza, mi apportò molta luce in mezzo alle folte tenebre per cui vagava il secolo XIX. […] Egli raggiunse l'apice dei suoi trionfi l'anno seguente 1887 a Genova e alla consacrazione della chiesa del Sacro Cuore a Roma. Allora mi sono persuaso, e tale rimasi per tutta la mia vita che il più bell'ornamento di ogni chiesa per quanto modesta non sono già le pitture o le statue più o meno artistiche che l'adornano, ma bensì le cerimonie del culto ben eseguite, devote e raccolte, e specialmente un canto, e una musica bella e ben preparata che innalzi l'anima a Dio, commuova, faccia piangere e pregare. Dn. Bosco negli ultimi suoi anni raccoglieva i più bei frutti in ogni campo, nell'arte, nello studio, nella pietà, e nel lavoro che sono i quattro fattori di ogni più progredita civiltà. Giunto all'Oratorio, mi pareva un anno di non aver più visto o parlato con Dn. Bosco; l'ho subito ricercato, e saputo che egli si trovava a Valsalice, in uno dei giorni della seconda metà di Settembre insieme col Segretario di Dn. Bosco Dn. Gastaldi mi sono recato colà per far visita a Dn. Bosco. Quella valle ricca di verde frescura, presentava a ridosso di un monte un nobile e sontuoso palazzo, adibito a collegio che si chiamava da noi il collegio dei nobili perché alloggiava figli di famiglie nobili di Torino, e che era passato da alcuni anni per volontà dell'Arcivescovo in proprietà dei Salesiani.

 
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Don Matteo Rigoni (con don Bosco in Noviziato di Foglizzo)

Post n°7 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da my.point.of.view

MESSAGGIO NUMERO 13

Memorie di Don Matteo Rigoni degli anni 1884/1888
Ex Direttore della Scuola Manfredini - Salesiani di Don Bosco

Terminata la funzione, Dn. Bosco assistette ad una scena curiosa. Tutti i chierici uscivano sfilando attraverso il cortile, e portando ognuno la sua sedia. Dn. Bosco domandò a Dn. Bianchi la spiegazione del fatto. Sentì a rispondere non esservi che una sola sedia per ciascuno in tutta la casa e quindi i chierici essere costretti a portarsela seco nei vari locali di refettorio, di scuola di studio, di camerata «Oh, così mi piace,» disse Dn. Bosco, «Questa casa comincia bene». Con nostro grande dispiacere Dn. Bosco ripartiva nel pomeriggio  del giorno 5. Se il «povero vecchio, semi cieco» come si sottoscriveva sovente nelle sue lettere, avesse ritardato di qualche giorno la sua partenza, novello Francesco d'Assisi, avrebbe raccolto nuovi motivi per inneggiare alla Santa povertà primitiva dei suoi nuovi figliuoli. Di questi alcuni pochi portavano le calze nere, altri le avevano bigie, quali bianche e quali rosse, chi dormiva sul materasso, e chi sul pagliericcio, un bel gruppo erano maestri di ramazza e si davano il turno per la pulizia degli ambienti, altri servivano a tavola i propri compagni in santa letizia, altri ancora aiutavano il cuoco, lavavano i piatti e le posate, e non dico di più. Ma la pace era grande, l'allegria insuperabile, la  vita correva gioconda, si studiava, si pregava e si giocava. Intanto la Madonna ci mandava poco alla volta tutto il necessario, e dava segni di predilezione per questa cosa, il primo grande noviziato di Dn. Bosco. […] Intanto Dn. Bosco non dimenticava il suo Noviiato di Foglizzo; a intervalli Dn. Bianchi e Dn. Barberis ci portavano i suoi saluti e qualche massima spirituale da predicare; del resto essi erano sempre il portavoce delle parole di Dn. Bosco. Un giorno Dn. Bianchi di ritorno da Torino, avutomi nel suo ufficio, mi disse che Dn. Bosco mi mandava saluti speciali, e che dopo aver chiamato mie notizie raccontò il sogno nel quale mi vide a passeggiare  con lui, ma voltandogli le spalle…«Ah sì?,» interruppi io, «l'ha raccontato anche a Lei? Sono contento che l'abbia fatto sapere anche a Lei; così spero che Lei mi aiuterà a non voltargliele mai, ma ad essere sempre tutto di Dn. Bosco e di Maria Ausiliatrice». Dopo qualche tempo arrivò la notizia che nel mese di maggio avrebbe avuto luogo la consacrazione del tempio del Sacro Cuore di Gesù a Roma. […] mentre a Roma si procedeva di galoppo, a Torino il maestro Dogliani andava organizzando una massa di circa 80 cantori accompagnati da tre insigni maestri, il Petrali di Bergamo, il Gallo di Milano, e il Bersano di Torino. Un giorno, con mia sorpresa, anch'io ricevetti l'annunzio che mi preparassi a tenere compagnia ai cantori dell'Oratorio fino a Roma. La prima mossa per muovere un novizio dal suo noviziato, da chi sarebbe partito? Io penso o dal maestro Dogliani che ne avrebbe fatto richiesta a Dn. Bosco, o da Dn. Bosco stesso che mi volle a Roma per l'aiuto che avrei ancora potuto portare nel canto, e perché gli alunni dell'Oratorio mi avrebbero visto con loro volentieri, mentre colla mia veste da chierico sarei stato per loro come un uccello di richiamo in favore del nostro Noviziato. Questo posso dire, che ho proposto di condurre con me un po’ di buon esempio. Intanto ho incominciato a prepararmi, ripassando quella musica che già conoscevo in gran parte, e studiando quelle parti che mi erano ancora ignote. Non istavo più nella pelle! Quale gioia, in tanta attesa! Il 5 maggio 1887 già mi trovavo a Torino in mezzo a tanti amici tutti in festa; era il giorno della partenza. Dn. Bosco ci aveva preceduti; era partito il 20 aprile. […] Le feste propriamente dette durarono cinque giorni, con un crescendo continuo di concorde e di vera pietà da parte dei fedeli. […] Il Santo Padre gli chiese notizie di tante cose, e Dn. Bosco gli parlò di tutto, specialmente della chiesa del S. Cuore. Infine gli raccomandò i giovani cantori venuti daTorino che molto desideravano
di vederlo e di essere da lui benedetti. Il Papa fu soddisfattissimo di quanto aveva udito, disse che certamente voleva vedere i giovanetti di Dn. Bosco e parlare ad essi. […]

 
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Don Matteo Rigoni (don Bosco, don Viglietti)

Post n°8 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da my.point.of.view

MESSAGGIO NUMERO 14
Memorie di Don Matteo Rigoni degli anni 1884/1888
Ex Direttore della Scuola Manfredini - Salesiani di Don Bosco

Sapevo imminente la partenza di Dn. Bosco per Torino prima della nostra. Eravamo verso la fine delle feste, ed anch'io prima che Dn. Bosco partisse, volevo vederlo e baciargli la mano. L'affare non era punto facile, nonostante che fossi tanto amico di Dn. Viglietti. Allora ne ho pensata una. Durante l'ultima cena di Dn. Bosco a Roma, la sera del 17, mi sono recato nel salottino che precedeva la sala dove Dn. Bosco stava a cena con una comitiva di signori benefattori romani ed esteri. Dn. Viglietti dirigeva i movimenti del servizio in quel salottino. Mi accosto a Dn. Viglietti, con cui avevo molta confidenza: «Sig. Dn. Viglietti, lei deve farmi un piacere». «Oh subito, caro, tosto che posso». «Lei può tutto, quando si tratta di Dn. Bosco». «Ahi, ahi!, comincio a capire». «Tanto meglio, mi spiego subito. Ho bisogno di baciargli la mano e dirgli una sola parola, cosa di nemmeno mezzo minuto». «Ma che cosa dici, non sai che Dn. Bosco è qui dentro che cena?, insieme con tanti signori?». «Oh, lo so, lo so; ho visto tutto in un colpo d'occhio; c'è una sola tavola, lunga, Dn. Bosco è qui vicino in capo, tutti gli altri su due lunghe file una a destra e l'altra a sinistra di Dn. Bosco, con un salto sono dentro, lo saluto, in inchino ai signori vicini e con un altro salto son qui da lei, vede a quest'ora sarei già di ritorno». «Ma ti pare che sia questa l'ora di venire a disturbare? Povero Dn. Bosco! Nemmeno a cena viene lasciato un po’ tranquillo. No, no, non ti lascio andare, avrai poi tempo di vederlo». «Il tempo è nelle mani del Signore. Se dovessi poi dire che tempus non erit amplius?…». «Va là, buffone! Non è delicatezza disturbarlo a quest'ora; se non ci fosse qualcuno a salvarlo, povero Dn. Bosco, lo farebbero in pezzi, cento volte al giorno». «Sia buono Dn. Viglietti, come è buono Dn. Bosco. Lei che qui è il padrone e va e viene, passando davanti a Dn. Bosco gli domandi se mi permette di andare a lui anche sol per qualche secondo a baciargli la mano. Se dice di no, che non conviene, tutto è finito, me ne andrò rassegnato». «Là, farò anche questo, bricconcello che sei», e senz'altro entra…Io che ero sicuro di un sì, lo attendo, ed eccolo quasi subito a ritornarsene con un bel sorriso che pareva dicesse: «me l'hai fatta» «Va pure dentro,» mi disse, «che Dn. Bosco ti aspetta… ma, ma  intendiamoci: discrezione». «ho capito, stia tranquillo». E infilo la porta ed entro. Dn. Bosco mi fa cenno di andare alla sinistra, dove vedo una cosa strana; una sedia vuota al primo posto, Dn. Bosco me la indica, e mi fa sedere, e mentre io m'affrettavo in cerca di una sua mano per baciargliela, non ci sono riuscito, perché le sue mani erano intente a prendere un piatto che stava accanto a lui e sopra del quale vi era un bel grappolo d'uva, non troppo grande, ma nemmeno piccolo. Me lo mette davanti dicendomi: «Vediamo se ti piace l'uva di Dn. Bosco». Che cosa significava questo: uva di Dn. Bosco? Forse l'uva portata a Dn. Bosco? Oppure l'uva conservata da ------ di Dn. Bosco a Torino? Non lo so neppure adesso. Questo so, che era commosso e confuso. Tra quei signori era silenzio e stavano guardando meravigliati, quando dalla metà della fila a destra si fa udire una voce ardita: «Ah, dunque sei di Asiago?!». «Sissignore, proprio d'Asiago», rispondo io, «un paese primitivo coi tetti ancora di scandole o di paglia, fuori dal mondo, ma più vicino al cielo, perché all'altezza di 999 metri sopra il livello del mare». «E Bassano sai dov'è?» «Bassano l'ho sentito nominare come una bella cittadina; so press' a poco dov'è, ma non ci sono mai stato. Desidererei di andarvi solo per venerare il corpo della mia patrona e concittadina Beata Giovanna Maria Bonomo, nativa precisamente di Asiago». «Allora è inutile che io ti chiami di Breganze» salta su un'altra voce vicina e simile alla prima. «Anche questo paese l'ho sentito a nominare tante volte, so che deve essere vicino a Bassano, giù alle basse, come diciamo noi, ma anche là non ci sono mai stato. Preparateci le strade, almeno per cavallo e carrozza se volete che anche noi discendiamo al basso». Dn. Bosco taceva, sempre sorridente, ma Dn. Viglietti che cosa stava pensando nel constatare il mio ritardo? Io avevo finito, ed ero già in piedi. Dn. Bosco mi presenta la sua mano che io bacio con grande riverenza ed affetto; inchino i vicini e i miei interlocutori cercandoli coll'occhio, e ritorno a ringraziare anche Dn. Viglietti che vedendomi contento, mi ha perdonato anche lui. […]

 
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Don Matteo Rigoni (don Bosco, don Dalmazzo, don Viglietti)

Post n°9 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da my.point.of.view

MESSAGGIO NUMERO 15
Memorie di Don Matteo Rigoni degli anni 1884/1888
Ex Direttore della Scuola Manfredini - Salesiani di Don Bosco

Dn. Bosco in udienza dal Papa non aveva dimenticato i suoi giovani cantori che desideravano di vederlo e di essere da lui benedetti, a cui il Papa rispose che certo voleva vedere i giovanetti di Dn. Bosco, e parlare ad essi. E difatti venne il sospirato momento, il pomeriggio del giorno 20 venerdì. Giunti nella sala degli arazzi che batticuore per noi ragazzi, che quasi non osavano fiatare. Il Santo Padre fece il suo ingresso con maestà fra un carteggio imponente. Noi stavamo inginocchiati timidamente a capo chino. «Sono questi i figli di Dn. Bosco?» Domandò con affabilità il Papa. «Sì, Santità», rispose Dn. Dalmazzo. Sono i giovani cantori venuti da Torino per le feste della consacrazione della nuova chiesa che riuscirono con grande soddisfazione di tutti, e con molto concorso. «Bene, siane benedetto Iddio. Dn. Bosco è partito per Torino. Molto ci consolò la sua visita. Ma l'abbiamo trovato affranto molto di salute. Abbiamo bisogno che Dio ce lo conservi ancora per il bene della Società, della Chiesa, massime in questi tempi difficili che corrono. Ci parlò anche di questi buoni giovanetti. Oh con piacere daremo daremo a tutti la benedizione, a loro e agli oggetti divoti di cui li vediamo largamente provveduti. […] Poi domandò: «Hanno visitato Roma? Bisogna farla visitar loro tutta quanta. Visitino le chiese i monumenti sacri, le catacombe, perché conoscano la città, e ne raccontino poi le bellezze». Quindi col semplice gesto della mano ci benedisse, e ci salutò con le parole: «Il Signore sia sempre con voi». Si tolse ai nostri sguardi, mentre noi immobili ne contemplavamo la figura fin a che scomparve. […] E siamo al 24 maggio dell'anno 1887, giorno di grandi prodigi, e di grandi ricordi, poiché giorno di Maria Ausiliatrice. Noi cantori, ed io con loro eravamo arrivati all'antivigilia, e pensavo di ritornare a Foglizzo il giorno dopo la festa. Ad una certa ora del mattino ecco Dn. Bosco che discende dalla sua camera per andare a celebrare nella chiesa di S. Maria Ausiliatrice. Io l'attendevo, per servirgli la S. Messa. Dn. Viglietti che l'accompagnava, arrivato in sacrestia, mi dice di mettere la cotta, ed egli pure mette cotta e stola, e accompagniamo insieme Dn. Bosco all'altare di S. Pietro, Dn. Viglietti per assisterlo durante il Sacrificio, io per fare da servente. Potevo io pensare in quel momento che Dn. Bosco celebrava la S. Messa l'ultima volta nel giorno di Maria Ausiliatrice? E che la celebrava proprio a quell'altare, dove un giorno la sua salma avrebbe riposato nella gloria dei santi in attesa del giudizio? E che a me in quel giorno era toccata la fortuna di servirgli la S. Messa? La risposta alle tre domande non poteva esser altro che negativa. La presenza di Dn. Viglietti mi incoraggiava per ogni evento. Ma nulla avvenne di singolare; con somma placida calma si arrivò fino alla fine, mente una turba di divoti si era accalcata attorno all'altare per assistere alla messa di un Santo. Giunto alla fine, Dn. Bosco sempre con grande raccoglimento lì all'altare depose i sacri paramenti, quindi fiancheggiato da Dn. Viglietti alla sua destra e dal suo servente alla sinistra, ci avviammo verso la sacrestia, con molta gente avanti e indietro che lo accompagnava quasi in divoto corteo, ed ora uno e ora un altro gli stava davanti per affidargli con brevi parole le proprie confidenze. A un certo punto un signore, ancora nella prima sacrestia, senza tante cerimonie, presenta a Dn. Bosco un biglietto di valore, che quantunque piegato si vedeva colla coda dell'occhio che doveva non essere un biglietto ordinario, ma di 250 o 500 lire. Dn. Bosco si rivolse  me alla sua sinistra e mi dice: «Che cosa ne dici, dobbiamo pigliarli?» . «Sì, Signor Dn. Bosco», rispondo io, «pigliare sempre!» (tranne le bastonate, stavo per aggiungere, ma il luogo, il tempo non permettevano gli scherzi quantunque Dn. Bosco me l'avrebbe perdonata, perché mi conosceva). Dn. Bosco colla sua solita bontà, ringraziava quel signore con quali parole non lo so, so solo che rendeva beata quell'anima di aver compiuto quell'opera di carità. Intanto si arrivava alla seconda o vera sacrestia. E qui con mio grande dispiacere dovevo separarmi da Dn. Bosco per recarmi a suo tempo sull'orchestra per portare il mio modesto contributo nel canto della Messa Solenne. Oh! Non avessi mai abbandonato Dn. Bosco in quel mio ultimo giorno di dimora all'Oratorio. Avrei assistito a grandi cose! Ma il dovere mi chiamava altrove. Intanto Dn. Bosco era salito alle sue stanze, sempre accompagnato dal fido Dn. Viglietti. La chiesa di Maria Ausiliatrice e la stanza di Dn. Bosco erano i due santuari ove si operavano i grandi prodigi di Dio specialmente in occasione di feste religiose. […] D'altra parte avevo il cuore pieno di ricordi di Roma, la visita alle principali basiliche, le funzioni sacre solenni, le nostre musiche, meraviglia dei Romani, la visita al papa… sentivo il bisogno di raccontare a voce quello che i miei occhi avevano visto e raccontarlo ai miei amici di Noviziato, che meglio di altri potevano intendere i miei entusiasmi. Per qualche mese l'argomento favorito non mancava. Intanto mi ero messo di nuovo in regola con loro, attendendo gli eventi della fine dell'anno di noviziato. Tutte le nostre aspirazioni erano verso gli esercizi spirituali che si sarebbero chiusi colla professione religiosa. Ed ecco nel mese di settembre giunge una voce che come noi avevamo aperto la nuova casa di Noviziato a Foglizzo, avremmo forse anche aperto la nuova casa di studentato per i chierici salesiani. […]

 
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Don Matteo Rigoni (don Bonetti, don Beltrami, ultimo saluto a don Bosco - 1888)

Post n°10 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da my.point.of.view

MESSAGGIO NUMERO 16
Memorie di Don Matteo Rigoni degli anni 1884/1888
Ex Direttore della Scuola Manfredini - Salesiani di Don Bosco

Finché giunse il giorno della raccolta, la professione religiosa, in Ottobre. A questa grande giornata precedette una preparazione prossima adatta, cogli esercizi spirituali di 10 giorni, predicatici da Dn. Bonetti, inviatoci da Dn. Bosco, colla festosa notizia che per la professione ci saremmo trasportati a Valsalice, e che colà Dn. Bosco stesso avrebbe ricevuto la nostra professione religiosa. […] Siamo alla vigilia del giorno sospirato. Nel pomeriggio ciascuno dà l'addio nel suo cuore al caro nido del Noviziato, e di tutti con letizia di Paradiso si parte alla volta di Torino per inaugurare la nostra nuova dimora di Valsalice con un atto che ci avrebbe legati sempre più a Dn. Bosco, alla Congregazione, a Dio. La mattina ad ora fissata ci accoglie tutti fra le sue mura la vecchia chiesetta di Valsalice. Più di metà abbiamo fatto la professione perpetua, quasi tutti dei rimanenti la professione triennale. Ma specialmente due circostanze hanno reso memoranda quella funzione, l'una la professione di Dn. Andrea Beltrami, il cui pensiero dominante era: «colla professione acquisto l'innocenza battesimale»; mai fu visto così allegro e contento come quel giorno, quell'anima destinata ai più alti voli dello spirito. L'altra circostanza la presenza di Dn. Bosco. Ecco il momento; Dn. Bosco si avanza accompagnato da un bel gruppo di sacerdoti; il passo è stentato, egli è curvo, cadente; la commozione è grande, ma è lui che ha voluto, stringere per l'ultima volta, quasi al suo seno, l'ultima eletta schiera dei suoi figli, in questa terra. Al termine della funzione venne alla balaustra a dirci che avevamo offerto al Signore tre gemme preziose, una di oro, un'altra d'argento, la terza di diamante. Volle aggiungere qualche parola di spiegazione, ma la commozione lo colse, lo arrestò, e non potè più proseguire; le sue lagrime furono più eloquenti di qualsiasi parola. Tutto finito, e usciti di chiesa, io fui il primo ad incontrarmi con Dn. Bosco alla porticina della sacrestia. Gli baciai pel primo la mano, ed egli stringendomela forte, con un sorriso intenzionale mi disse: «Ora non mi scappi più». Questa parola l'ho capita fino al fondo, e ne ringrazio infinitamente il Signore e Dn. Bosco della potenzialità magnetica di quella parola, poiché mi legò siffattamente a Dn. Bosco e alla sua famiglia la Congregazione Salesiana, che non solo non sono scappato, ma neppure provai la minima tentazione di abbandonare Dn. Bosco, il più tenero dei Padri. Di questa ultima fase della mirabile vita di Dn. Bosco ritengo ancora un ricordo uscito dalle sue sante labbra. Se ne stava tutto raccolto, seduto sopra un seggiolone nella sala che fu poi per più anni sala di studio per i chierici. Era rivolto verso un altare provvisorio che si incontrava subito appena entrati dall'unica porta. Conun mio compagno, e con un po’ di coraggio ci siamo avanzati verso Dn. Bosco per baciargli la mano. Alzò lo sguardo, ci riconobbe, e ci disse: «Siate sempre divoti di Maria Ausiliatrice, che Ella a suo tempo vi tirerà su in Paradiso». Gli abbiamo ribaciato la mano, e ci siamo ritirati, lasciandolo in braccio alle sue contemplazioni. Stava forse facendo il ringraziamento alla Santa Messa celebrata a quell'altare. Quelle parole ritengo come l'ultimo ricordo di Dn. Bosco. Chi sa a quanti avrà lasciato questo ricordo in diverse forme. Ecco il lume di vita eterna sparso si può dire da Dn. Bosco per tutto il mondo: divozione a Maria: caparra del Paradiso. Sparsa ovunque una tal semente di vita eterna, raccolta sul Calvario dalle labbra […] di Gesù: «Ecce mater tua» i buon Padre volge gli occhi al Cielo, sospirando alla patria: Cupio dissolvi et esse cum Chrysto. Nel mese di dicembre Dn. Bosco va sempre declinando, e ripetendo a chi gli fa auguri di guarigione: «Desidero andar presto in Paradiso; di là potrò assai meglio lavorare per la nostra Pia Società e pei miei figli e proteggerli. Qui non posso più far niente per essi». […] Il giorno 29 festa di S. Francesco di Sales! Esternamente allegri scomparirono canto musicale, pontificale in chiesa e dolore in tutti i cuori! Il giorno 30. Dn. Rua permise ai confratelli e ai ragazzi dell'Oratorio di vedere per l'ultima volta il loro grande benefattore e padre. Anche noi chierici siamo nel pomeriggio partiti da Valsalice e siamo giunti all'Oratorio in silenziosa e mesta processione; […] Il buon padre era là col capo un po’ rialzato e un po’ volto a destra; il suo volto tranquillo, gli occhi un po’ socchiusi, e le mani distese col Crocifisso sul petto. Abbiamo sfilato uno ad uno davanti a lui composto nella calma impressionante della serena agonia. Piangenti abbiamo baciato quella mano che tante volte si era alzata per benedirci, e tacitamente rivolgemmo l'ultimo addio a un santo Padre, ricordando il suo saluto: «Vi attendo tutti in Paradiso».

 
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