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Attaccato al muro insieme all'ombra XII

Post n°242 pubblicato il 20 Luglio 2016 da deteriora_sequor




"Tutto è accaduto quando tu avevi nove anni. All'epoca conobbi meglio
una collega d'ufficio perché a quei tempi le donne sul posto di lavoro
erano ancora, stranamente, una rarità. Elisa non era una bellezza e
per questo veniva schivata dai miei colleghi, ma con me sapeva parlare.
Era timida e insicura: una donnina piccola e abbastanza sovrappeso.
Qualcuno della mia età che sapeva dirmi le parole giuste. Una persona
sensibile che non mi contrariava quando parlavo di pesca o bocce, e
che non mi guardava sprezzante se dicevo che una delle passioni del
maschio italiano è una bella e sana partita a carte. Non aggredirmi per
quello che dico, ma era tanto diversa da tua madre che, lo sai meglio
di me perché le assomigli, è una donna altera e orgogliosa. Una bella
donna, pure colta, ma differente dal sottoscritto quanto può esserlo il
sole dalla luna. Io ed Elisa avevamo preso l'abitudine di fare tardi
insieme in ufficio mentre sistemavamo carte e faldoni. E, in questo
modo, ci eravamo avvicinati maggiormente condividendo mezzi
sorrisi e storie strampalate. Vedi, lei era come una bambina: una
persona sana e onesta piena di un sacco di fantasie che aspettavano
solo il momento per venire fuori. Pensa che il suo sogno era diventare
una scrittrice di storie per ragazzi! Viveva serenamente ma la sentivo
infelice. Abitava con sua madre in via Salani, una strada che passavo
sempre quando andavo al lavoro in macchina. Tanto fu che le proposi
un giorno di caricarla senza farle aspettare l'autobus e così cominciammo
a frequentarci sempre. Io le davo un passaggio al mattino e la scaricavo
davanti casa alla sera. Non potevo immaginare che stesse nascendo
qualcosa di strano, finché una volta prima di scendere dall'auto ed
entrare nel suo appartamento mi rifilò un bacio sulla bocca facendomi
restare di sasso. fosse stato per me sarei rimasto come un salame a
scarrozzarla avanti e indietro per anni. Quel bacio, al contrario, scatenò
qualcosa dentro la mia carcassa. Non che non fossi felice con te e con tua
madre ma mi prendeva una specie di solitudine, una malinconia, una
tristezza ogni volta che vedevo l'ora del rientro. Ero certamente insoddisfatto.
Forse era una fase della mia vita...forse chissà...ma, in ogni caso, la
dimostrazione che ci poteva essere qualcosa di vicino all'Amore tra
me ed Elisa mi esaltò sino al punto di trasformarmi in un altro uomo.
Con tua madre tornai ad essere disponibile e cortese, con te presi a
giocare come non avevo mai fatto. Ma la causa, il motivo di tutto ciò
era che mi stavo innamorando di un'altra donna. La cosa mi colmava
di eccitazione e di entusiasmo. Stavo per vivere il periodo d'oro di
tutta la mia esistenza."





(Contina)







 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XI

Post n°241 pubblicato il 16 Luglio 2016 da deteriora_sequor

 





"Che vuoi?" Gli dissi. Intimidito dalla mia reazione poco cortese fece
un passo indietro ma, quasi raccogliendo tutto il poco coraggio e la
dignità da vecchio cadente che gli era sopravvissuta, si  impose di
fare un piccolo allungo nel mio santuario e di affrontarmi in qualche
maniera. "Ho bisogno di parlarti." "Adesso? Non potevi farlo venti
anni fa?". Lui trattenne un singhiozzo e si mise a sedere sul bordo
del letto. "Spero non sia una cosa lunga. Sto andando al lavoro."
"Non lo so". biascicò lui. "Potrebbe essere breve come lunghissima."
Mi accomodai con un sospiro sulla sedia di paglia e attesi con un
vago senso di colpa che mi avvolgeva come nebbia. Mi morsicai
un'unghia e strani sospetti cominciarono ad affiorarmi dall'inconscio.
Ripensai a quella telefonata di mio padre tanti anni prima e una paura
sorda mi fece rabbrividire sino alle ossa. "Ho ottantasette anni, Simone.
Arrivati alla mia età si hanno dei doveri. Gli ultimi, ma anche i primi."
"Spiegati meglio" Cercavo di essere conciliante, ma mi accorgevo
di aumentare il suo disagio e imbarazzo. Andai al mio armadietto e
mi versai due dita di brandy italiano. Poi lo vuotai d'un fiato. Non
l'avevo mai fatto davanti ai miei genitori ma l'eccezionalità del momento
mi parve giustificare qualsiasi cosa. "Ho avuto poco dalla vita, Simone."
"Io ho avuto tanto, l'ho preso e l'ho sprecato." Gli risposi serenamente.
"Al contrario, Io quel poco ho cercato di conservarlo." Riprese. "Un hobby,
una passione, un segreto?" Lo incalzai. "Tutte queste cose assieme."
E sfoderò un sorriso enigmatico mentre riponevo la bottiglia di brandy.
"Una storia, vero? Hai tradito la mamma. Può succedere." La mia bocca
parlava ma le mie gambe cedevano. Tornai a sedermi sulla sedia di paglia.
Il pensiero che il vecchio mi stesse confidando una scappatella era quasi
confortante ma, al tempo stesso, mi riempiva di schifo. Pur essendo la
cosa più naturale del mondo non siamo abituati a riflettere sulla benché
minima incrinatura di un rapporto che consideriamo sacro come il recinto
di qualche religione animista. Le cose, quelle cose debbono sempre
accadere agli altri. Immaginarci nostro padre che si rotola nel letto con
una sconosciuta è la cosa più rivoltante che ci possa succedere. Feci
un grande sforzo per trattenere un conato di vomito e mi girai verso la
finestra. Senza guardarlo mormorai "Non capisco il motivo di tirare
fuori questa vicenda adesso. Dovevi confidarti con il tuo prete, farti
assolvere e attendere il colloquio definitivo con il Creatore. Non vedo
come Io possa esserti d'aiuto o sostegno." Lui lasciò trapelare uno
dei suoi soliti, sconcertanti sguardi colmi d'antipatia e disse "Ho pensato
che non hai ancora una tua vita e che potessi appoggiarmi a te senza
pensare su una tua nuova famiglia." Mi levai inferocito e stavo per
prenderlo a pugni "Questi sono affari miei. Posso avere tutto dalla
vita. Cosa ne faccio a quarantasette anni è una questione personale."
"Ora che te lo chiede il tuo vecchio padre non è più così" Fece con
una serietà avvilente e sollevando il dito indice. Mi rassegnai a
comprenderlo. Lui si mise una mano sugli occhi e prese a parlare.





(Continua)







 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra X

Post n°240 pubblicato il 12 Luglio 2016 da deteriora_sequor




Il rapporto con mio padre era la quintessenza delle contraddittorie
relazioni che intrattenevo con i colleghi di lavoro e gli amici generici.
Luigi era il tipo di genitore introverso e pavido che mai s'era veramente
occupato dell'educazione del figlio. Pareva sempre custodire un segreto,
anche questo usciva per un bicchiere. Parlava poco. Mentre ero bimbo
si comportava con indifferenza, e adesso che ero cresciuto aveva
definitivamente mollato gli ormeggi di una scarsissima affettività per
lasciarmi andare lungo la mia strada senza curarsi se sbandavo a
destra o a sinistra. Era capace di assentarsi per una settimana, dicendo
che andava a pesca con gli amici, e di tornare con un sorriso da un
orecchio all'altro e il carniere semivuoto. A lungo mia madre Erminia
aveva sospettato che intrattenesse una qualche relazione clandestina
ma si era subito dimenticata questa chimera solo dando un'occhiata
all'espressione vacua e inconsistente del marito. Solo una sera avevo
captato una conversazione che stava intrattenendo con qualcuno
al telefono. Stava attaccato al muro con lo sguardo rivolto alla finestra
e faceva lunghe pause, come se ascoltasse qualcosa di molto prolisso
che l'interlocutore gli stava riversando dall'altro capo della linea. Solo
a intermittenza Luigi  si inseriva con un "Vedrai, andrà tutto bene" o
"penso di essere sul punto di sistemare le cose." Questa casuale
intercettazione mi fece tornare il dubbio che il genitore avesse una
storia avviata, da qualche parte. Ma i conti non mi tornavano: nessuna
espressione di tradizionale affetto in una coppia più o meno affiatata,
nessuna parolina dolce, nessun indirizzo al femminile nei confronti del
misterioso personaggio. Quando ormai costeggiavo i 35 anni mio papà
restava un mistero insolubile per il sottoscritto. Nel frattempo si
succedevano le mie storie a breve termine con donne di ogni carattere,
trascorrevano i miei viaggi in solitaria e proseguiva il tran tran della
ditta e della casa senza che sentissi l'esigenza di farmi una vita in totale
autonomia, stabilizzare una storia, avere figli, progredire ulteriormente
nell'organigramma dell'azienda. Vivevo da pascià, servito e riverito da
mia madre e con l'ombra agitata sullo sfondo di mio padre. Sapete
come sono gli anni: non te ne accorgi ma agiscono da tritasassi e non
risparmiano nulla sul loro cammino. In modo tale che da spirito giovanile,
soddisfatto e combattente, ti ritrovi a 47 anni con i capelli grigi, un accenno
leggero di pancetta e il mondo che ti si riversa nelle orecchie mentre
cerchi di cambiare canale. Così mi sono rinvenuto una mattina e ho
compreso che la vita era stata un bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno
con un gran senso di stordimento durante il processo. Avevo vissuto,
ma avevo anche glissato su questioni importanti. Pur custodendo
ancora una notevole energia, la mia carta di identità e il mio volto
rugoso parlavano chiaro. Ero invecchiato e mi avviavo a diventare un
uomo di mezza età, con un piede più nella seconda parte dell'esistenza
che nella prima. Ero mentalmente flaccido davanti allo specchio quando
vidi il riflesso di mio padre sul bordo della piccola stanza. Compresi
immediatamente che, per la prima volta nella sua vita, mi doveva
parlare. E questa volta seriamente.







(Continua)









 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra IX

Post n°239 pubblicato il 08 Luglio 2016 da deteriora_sequor





In quel periodo mi avvicinai al tifo organizzato. Dopo anni trascorsi
in passatempi di coppia sentivo l'urgenza di diversivi mascolini e la
mia timidezza spariva ogni volta che mi ritrovavo in una curva
assiepata di tifosi o impegnato in qualche violenza di strada al di
fuori dagli stadi e dai palazzetti. La mia indecisione spariva come
per incanto e mi ritrovavo a menare le mani, a cantare beceri cori
da ultrà ubriaco e a svuotare, di conseguenza, boccali su boccali
di pessima rossa. Da quando Marika era sparita dalla mia vita
anche il mio rapporto con Greta si era notevolmente raffreddato.
Sia perché la mia ragazza ufficiale le aveva spifferato tutto, sia
perché non vedevo futuro in quella pingue fanciulla ossessiva e
ossessionata. Volevo dare un taglio alle menate e ai rapporti
complicati. E con Greta stavo semplicemente cadendo dalla
padella nella brace. Così mi allontanai da tutto ciò che odorava
di donna e mi dedicai alla violenza creativa. Dalla mia postazione
sul lavoro attendevo solo il momento che giungesse il weekend
con il suo carico di provocazioni, scaramucce, sfottò e confronti.
Ero diventato amico di Walter, un balbuziente con residenza
permanente sugli ultimi gradini della scala sociale. Faceva il
mulettista per la ditta, e il suo lavoro lo faceva bene ma non era
questo il "Busillis". Walter era grezzo oltre l'inverosimile, spigliato
malgrado il suo difetto, misogino, aggressivo e ubriacone. Era una
delle colonne della sezione ultrà all'interno della Endel e uno dei 
suoi maggiori divertimenti era rubare gli spiccioli ai nomadi che
chiedevano l'elemosina in centro. Fingeva di allungare un euro
al mendicante e di botto strappava il berretto gettando per aria
tutto il contenuto. E quanto eravamo costretti a ridere, non perché
fossimo convinti di quella stronzata, ma perché Walter era uno di
quei personaggi capaci di tormentarti lamentosamente se non
seguivi le sue mattane. Per me, che venivo da un periodo di
inquadramento totale, quell'esplosione anarcoide e selvaggio
era come aria che respiravo e mi aiutava a dimenticare tutte
le contraddizioni di bravo lavoratore con un twist non indifferente
nel cervello. Il balbuziente era un tuffo nella materia non sofisticata,
mi impediva di correre dietro a tutti gli impulsi contradditori con cui
la personalità mi batteva pegno. A trent'anni ero ancora inchiodato
a una vita in salsa agrodolce: soddisfatto ma carico come una molla.





(Continua)







 

 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra VIII

Post n°238 pubblicato il 04 Luglio 2016 da deteriora_sequor






Non amavo le donne. al limite le consideravo un escamotage per
essere accettati in società. O un sacrificio indispensabile allo
scopare. Caratterialmente le interpretavo come isteriche, noiose,
invadenti, forsennate, vendicative, irrazionali e imprevedibili. Ma
mascheravo bene queste mie tendenze retrograde. Marika non
si accorgeva di nulla ed era sempre più presa. Nell'azienda, dai
grossi quadri il nostro rapporto era considerato benevolmente,
dal momento che si incoraggia sempre l'accoppiamento fra
membri della stessa ditta: quando funziona garantisce maggiore
efficienza sul lavoro e una pubblicità positiva. Comunque fui Io,
in un accesso di autolesionismo, a condurre a termine il mio
rapporto con Marika. Lei stava diventando sempre più strana
e irritabile, appiccicosa e, al tempo stesso, indisponente. Pensai
che fosse incinta ma non osavo chiederglielo. O forse, dopo due
anni pretendeva una sistemazione: che smammassi dai miei
genitori come lei era smammata dai suoi e che ci costruissimo
una vita autonoma. Con un certo malincuore non potevo non
darle ragione e già mi stavo apprestando a cercare casa da
qualche parte quando avvenne qualcosa di imprevedibile ed
inusuale. In una chat che frequentavo conobbi una ragazza
dell'età di Marika e iniziammo a scambiarci complimenti e
contatti. Si chiamava Greta. Non starò qui a tediarvi sul perché
un ragazzo fortunato, affiancato a una bellissima e fedele ragazza
debba rovinarsi la vita inseguendo fuggevoli avventure. Forse
l'insicurezza e la clandestinità di fondo che mi avevano scortato
sin da ragazzino. Il timore dell'abbandono e il conseguente
tenersi aperte diverse vie di fuga...non sono psicologo e detesto
gli strizzacervelli, fatto fu che iniziai una specie di relazione con
questa Greta. Non era nemmeno un'infuocata avventura di sesso
quanto un'amicizia profonda e una confidenza in evoluzione.
Marika mi notava distratto e pencolante, diverso dall'uomo
relativamente felice con cui aveva intrecciato un rapporto. Per
lei fu uno scherzo risalire dagli indizi che lasciavo disseminati
per casa all'identità della ragazza di V. Ci fu una telefonata
tesa e rancorosa, una scenata con tanto di schiaffi ed ecco
che non ero più il fidanzato promesso di Marika. Ero allibito
ma anche soddisfatto: il rapporto con la mia ragazza minacciava
di diventare stabile e mieloso, con tanto di matrimonio e di
marmocchi, e a me, per quanto riguardava, le donne erano
prima di tutto ed esclusivamente un modo di affermazione
sociale. Non era mancata e non sarebbero mancate, in futuro.






(Continua)









 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra VII

Post n°237 pubblicato il 29 Giugno 2016 da deteriora_sequor

 





Questa era la mia natura. Profondamente conservatrice ma screziata
da un'insicurezza e timidezza di fondo. Come un'ostrica nera dentro
un guscio bianco. I miei obbiettivi erano molto concreti, così come la
mia natura, ma rimanevano macchiati da una sensibilità che faticavo
a celare, un'emotività che, levatami la maschera del lavoro, mi
procurava le pene dell'inferno. Casa mia, malgrado l'atmosfera
mortuaria che talvolta vi s'installava, restava un nido sicuro che non
avevo intenzione d'abbandonare. Nonostante ciò trascorrevo buona
parte del mio tempo libero con Marika: in giro, al cinema, in trattoria,
a qualche concerto oppure a scopare nell'appartamento che condivideva
con Elena, una cameriera presso un bar di un grosso centro commerciale.
Sessualmente il nostro accordo era completo anche se avevo una certe
ritrosia verso la penetrazione, probabile eredità di un complesso d'Edipo
da tempo irrisolto. Per il resto le cose giravano e funzionavano in un modo
che sembrava quello giusto e la mia ragazza non mi dava motivo di gelosia
o di sospetto. Francamente, sembrava innamorata pazza. Qualche notte,
a casa, mi alzavo dal letto e scivolavo in bagno dove mi spogliavo e
osservavo con attenzione il mio corpo. All'epoca ero magrissimo e le
scapole mi fuoriuscivano dalla schiena come due ali di un angelo, le
costole si delineavano brutalmente e la rientranza della pancia faceva
una certa impressione mentre le gambe somigliavano a due stecche
da biliardo in libera uscita. Mi impressionavo. Mi trovavo brutto e una
certa insicurezza aumentava. Non così per Marika, il cui amore pareva
crescere in proporzione ai disvalori che Io stesso mi attribuivo. Del resto
non mi era difficile leggere l'invidia e la rabbia dei colleghi di fronte al
nostro rapporto che bruciava come combustibile dato alle fiamme.
Intuivo gli sguardi furtivi alle nostre spalle e le battute grossolane
che ci avvolgevano come una cappa insopportabile. Pochi riuscivano
a sopportare che Simone Benvenuti, preciso ma incolore banconista
si facesse una fregna di quelle proporzioni e molti, in silenzio, si
attendevano il momento in cui quella situazione paradossale sarebbe
esplosa. Ma trascorrevano i mesi e i piaceri si inanellavano come
tessere di un domino. Fu anche un periodo di viaggi: Belgio, Spagna,
Scozia. E lei mi si stringeva forte mentre il mio masochismo toccava
vette mai raggiunte prima. Così come il disgusto verso me stesso.
Cominciavo a guardarla con sospetto e cercavo ogni pretesto per
stuzzicarla e provocarla sul nostro reale amore. Lei abbozzava e
inclinava la testa di lato prima di stamparmi un lungo bacio
appassionato sulle labbra. Capivo in quei momenti di essere solo
con il mio odio.



(Continua)








 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra VI

Post n°236 pubblicato il 25 Giugno 2016 da deteriora_sequor





Oppure era alla facile ricerca di un uomo da usare come zerbino,
qualcuno che facesse ai suoi comodi e le garantisse un'adorazione
costante. Ventiquattro ore su ventiquattro senza dubbi o incertezze.
è possibile vedere tante ragazze trasudanti bellezza che si appigliano
a uomini irsuti, scostanti, musoni e antisociali. Tutti noi ci chiediamo
cosa le spinga a questo strano accostamento da "bella e la bestia".
Forse è semplicemente la scarsa fiducia in sé stesse o un sadismo
spinto al limite: la vittima designata (l'intrattabile orso) bilancia la
sete di oppressione che nutre la ragazza e le sue insicurezze. è
una valvola di sfogo, un punching ball e una maniera di vendicarsi
dei genitori, che la volevano accoppiata a un bravo e presentabile
figliolo. Tutte le bellezze nascono da un eccesso e, di conseguenza,
da un handicap. Tutte le famiglie normali si sentono sbalestrate da
una erede eccessivamente affascinante. Ne prevedono disgrazie,
ne subodorano guai. E l'erede reagisce all'ostilità e al sospetto
accompagnandosi a un individuo di Neanderthal: insensibile,
ignorante, brutale e cialtrone. Giusto per ferire i vecchi. Adesso,
non so dirvi con precisione se anche Marika avesse tali mire sul
sottoscritto. Avevo visto di sfuggita i suoi genitori, e mi erano
sembrati ottimi modelli per la borghesia medio-alta. Avevo pure
notato la scarsità di dialogo nella famiglia e l'atteggiamento
scostante della ragazza. Probabile quindi che la scelta di Marika
per il sottoscritto lungagnone e giallognolo avesse delle radici
molto profonde nel disprezzo verso i procreatori. Fatto fu che si
trovò per le mani un uomo che non discendeva dalle caverne
ma sapeva anche verniciare di un buon colore la sua innata
ritrosia e timidezza. Ci mettemmo insieme dopo avere scopato
in macchina sulla collina che domina R. fra biancospini, pigne
e colonie di azalee. Mi aveva chiesto di accompagnarla a casa
ma poi aveva deciso che era troppo presto e aveva chiesto per
un giro largo passando per le alture. Poi aveva voluto che fermassi
la macchina in cima a uno sterrato e mi era montata sopra. Avevo
reagito bene nonostante l'inesperienza e il rapporto era iniziato
e finito bene. Lei, almeno, parava contenta. M'aveva detto :"Simone,
ho voglia di rivederti." Io avevo approvato e l'avevo piazzata davanti
casa con un bacio semplice sulle labbra. Da quel momento si era
inaugurato il nostro periodo di nozze coi fichi secchi ed eravamo
riusciti a trarre dal miserabile ambiente circostante il massimo per
una relazione sentimentale e, perché no? D'amore.






(Continua)








 
 

 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra V

Post n°235 pubblicato il 22 Giugno 2016 da deteriora_sequor



Fu durante un inventario presso un gigantesco ingrosso di colori
nella mia città che reperii la mia strada: Feci un'ottima impressione
rispetto ai ragazzi che erano lì solo per racimolare un pugno di
quattrini e mi guadagnai la stima del responsabile, che mi disse
di farmi vivo una volta terminato quel lavoro da due giornate.
Ero preciso, tenace, sveglio e nel mio settore fui l'unico a fare
le cose per bene, senza saltare nulla, senza ammanchi, senza
errori grossolani. Mi piaceva quel settore, e avevo ventisei anni.
Nemmeno potevo immaginare che ne avrei trascorsi nella ditta
altri ventuno. Vi entrai con sicumera e decisione, non da timido
e raffazzonato gregario ma già con l'idea in testa che avrei fatto
di quel posto la mia vita e che ne sarei stato pure soddisfatto.
In pochi anni da commesso divenni capo banconista e, malgrado
il lavoro fosse noioso e squallido ne ricavai qualche brivido e
un certo orgoglio. Fu Marika (una commessa che si muoveva
a trenta metri da me) a contribuire in questa direzione. Dio! Se
era pigra, indolente ed incapace quella ragazzina. Eppure era
trattenuta perché attirava i clienti. Era piccola e bionda, e la
divisa della ditta le donava decisamente. Possedeva due occhi
languidi e lascivi, delle curvette avvolgenti che ti imponevano di
guardare due volte, un culetto ad anfora greca che mi distraeva
continuamente dai conti e la pronuncia con la erre moscia che
mandava un brivido lungo la schiena fino ai lombi e a tutto ciò
che v'era nei pressi. Insomma piaceva a metà del posto e l'altra
metà vi faceva dei pensieri irripetibili. Ripeto: come commessa
era un aggeggio infernale, un'assoluta incapace e una piaga
sul culo ma faceva divinamente il suo lavoro di rappresentanza
e per me, che avevo avuto solo delle tempestose avventure
a cabotaggio limitato, si trasformava, giorno dopo giorno, in un
sogno proibito. Sapevo di avere il futuro a basso voltaggio. Non
ero un brutto ragazzo ma nemmeno sfolgoravo. Ero abbastanza
alto ma ancora magrissimo e pietoso. Tendevo a non abbronzarmi
e a caratterizzarmi per un colorito giallognolo da eccessiva
reclusione. Pure il mio stipendio era ancora scarso e mi restavano
da pagare alcune rate della ford fiesta. Quello che mi salvava
era l'espressione: uno che non ti promette mari e monti ma
la costanza del bulldog. Qualcuno su cui potevi contare, senza
grilli per la testa, spiriti contraddittori e mani bucate. E forse, in
quel momento era esattamente ciò che Marika cercava.






(Continua)







 
 

 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra IV

Post n°234 pubblicato il 18 Giugno 2016 da deteriora_sequor





Ma prima di affermarmi nella mia mediocrità dovevo ancora
conoscere sua maestà: lo psicofarmaco. Infatti, sconcertata
dal profluvio di informazioni e finte confidenze con cui la stavo
inondando, la mia psicoterapeuta decise di mettermi sotto
sedazione con quello che all'epoca era ancora conosciuto
sotto il nome di tavor, prima di diventare lorazepam. Una
deliziosa pastiglietta bianca da 2.5 mg che, posso affermarlo,
all'epoca mi salvò la vita, costruendo fra me e gli altri una
barriera ipnotica che mi cancellava ansia da prestazione
scolastica, dialogo con gli imbecilli e crisi di panico improvvise.
Dentro di me detestavo quel materiale da drogati. Così come
odiavo il whisky che ingerivo in sempre maggiori e clandestine
quantità. Ma era una forma di autodifesa. Mi fu utile per
scavalcare gli ultimi anni di scuole superiori e dirigermi
con maggiore serenità al lavoro. Poi mi liberai di tavor
e alcolici con il semplice schiocco di due dita. Non ebbi
ricadute, né sentì il bisogno di tornare sui miei passi. Ve
l'ho detto: sono privo di fantasia e la mia sensibilità è quanto
di più basico esista al mondo. L'aiuto artificiale mi serviva per
 sgattaiolare dalla scuola e dal suo immobilismo da lavaggio
del cervello; poi mi sarei mosso in totale autonomia per
cercare un lavoro e vivere del mio guadagno senza gente
che mi rompesse le scatole. Cercavo un'occupazione che
mi ponesse il meno possibile a contatto con colleghi e
chiacchieroni in vena di sfoghi. Detestavo i deboli, anche
se, forse, ripensandoci ero uno di loro. I miei erano d'accordo.
Mio padre con la sua grinta da vecchio alpino e la scontrosità
di un grizzly, mia madre passiva e succube e con tutte le sue
fruste manie religiose. Appena incamerato il diploma con il
minimo dei voti riuscì a sistemarmi come guardiano notturno
in una fabbrica. Passavo il tempo a gironzolare  per lo
stabilimento, leggere fumetti e sonnecchiare. Era un ottimo
lavoro, ma come tutte le cose belle non riesce a durare. Un
giorno i capoccioni miei responsabili capirono che non v'era
proprio bisogno di una presenza stabile all'interno del gabbiotto
di portineria. Molto più conveniente affidarsi alle ronde. Così
passai da agenzia interinale in agenzia interinale, cumulando
esperienza in tutti i campi dello scibile pratico. Da apprendista
muratore a mulettista, da scaricatore manuale e commesso
in un negozio di ferramenta. Mi comportavo bene, non fallivo
un colpo ed ero affidabile ma erano tempi duri e non v'era
spazio per i contratti a tempo indeterminato.  






(Continua)







 
 

 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra III

Post n°233 pubblicato il 14 Giugno 2016 da deteriora_sequor




Poi incontrai il whisky e anche quella può definirsi una svolta. Ero
sempre stato un ragazzo morigerato e con una effimera tendenza
al masochismo. Mai mi era transitato per il cranio che esistessero
degli anestetici attraverso i quali la realtà perdesse la sua aura
minacciosa e fosse devirilizzata dei suoi aspetti più insidiosi e
lugubri. Per me fu come avere incontrato Gesù Cristo in Persona.
Forse fu a una festa alla quale ero stato sorprendentemente
trascinato che lo conobbi. Ancora me lo ricordo, torbido e giallo
attraverso una bottiglia verde. So che ne rimasi incantato fin dal
primo istante, e so anche che quella sera rubai per la prima volta.
Infilai la bottiglia sotto la giacca e mi allontanai sveltamente da
quel mediocre party nel quale stavo naufragando. A casa, dopo
avere salutato i miei genitori, mi sedetti sulla sponda del letto e
svitai il tappo della bottiglia verde. Ne gustai un piccolo sorso
che quasi mi fece andare all'indietro, tramortito. Poi, con il
trascrorrere dei minuti cominciai ad abituarmi al sapore dolciastro
e asprigno al tempo stesso. Mano a mano che che l'alcol scendeva
nelle mie budella la stanza assumeva contorni sfumati e malcerti,
la voglia di parlare da sola mi saliva prepotentemente alla bocca
e iniziavo discorsi sconclusionati sulla scuola e la mia famiglia.
A fianco di queste reazioni una pesante sonnolenza mi pigliava
le ginocchia e la testa ma non volevo essere colto l'indomani
dai genitori con una bottiglia vuota di whisky ai piedi del mio
letto sfatto. Vi ho detto che dalla tenera infanzia avevo sviluppato
una tendenza all'autopreservazione che possedeva dell'incredibile.
Nessun turbamento o stordimento mi impediva di cancellare
eventuali tracce delle mie malefatte con una maniacalità e
precisione impeccabili. Questo poteva valere per una masturbazione
solitaria oppure (Come in questo caso) per celare un'ubriacatura
solenne. Così riposi la bottiglia verde, alla quale mi ero già
attaccato con un affetto sovrumano) nel mio mobiletto privatissimo.
Dietro qualche libro imponente, che tenevo più per scena che per
reale interesse. Non sono mai stato un lettore accanito: la mia vita,
come avrete capito, era un soddisfacimento di bassi piaceri e un
restare a galla nella vita con ogni mezzo. Non ho mai visto al di là
della lotta per la sopravvivenza e del brutale confronto con i miei
simili. Se solo i più forti sopravvivono, ebbene Io sono qui, a
quarantasette anni, ancora in piedi mentre tanti di coloro che mi
irridevano o giudicavano con sufficienza e scherno hanno tirato
il calzino oppure menano una vita infelice in qualche famiglia
tenuta insieme con lo spunto. Io, al contrario, sono ancora
l'artefice di me stesso.






(Continua)






 

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: deteriora_sequor
Data di creazione: 13/05/2013
 
 

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