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Attaccato al muro insieme all'ombra XXII

Post n°252 pubblicato il 07 Settembre 2016 da deteriora_sequor








Fu quando rintoccarono le dodici che percepì chiaramente un tonfo
e un rantolo soffocato provenire dalla stanza dei miei. Al momento
non seppi se ridere o corruscarmi. Quello che suggeriva il mio
istinto era preoccupante e grottesco al tempo stesso, quello che
osservavo negli occhi di Danilo era il terrore più puro. Ci levammo
pressoché contemporaneamente dalle nostre sedie ma lui mi
precedette nel precipitarsi verso la stanza. Io feci due passi nella
stessa direzione e poi mi arrestai cominciando a ridere istericamente
e strizzando gli occhi fino alle lacrime. Udì nettamente l'urlo del
mio fratellastro e il suo richiamo indiavolato. Mi asciugai le ciglia e
corsi come un dannato fino alla soglia. Vidi Danilo sorreggere il corpo
di mio padre che penzolava da una corda attaccata rozzamente
all'estremità superiore della porta del piccolo bagno interno. Mi
piombai a dargli una mano e, con molta delicatezza slacciammo
il cappio dal collo del vecchio. Poi lo appoggiammo sul letto, badando
che il tronco restasse eretto per farlo respirare liberamente. Luigi
era paonazzo in viso ma sembrava respirare senza ostruzioni. A un
certo punto vomitò in maniera violenta ed entrambi gli battemmo con
le mani sulla schiena per fargli cavare dallo stomaco quel poco che vi
si era depositato. "Chiamo un'ambulanza!" Fece Danilo. Non ero
d'accordo ma lo lasciai fare tanto era trasfigurato e deciso. Il mezzo
arrivò dopo qualche minuto. Il paramedico ci aveva dato dei suggerimenti
preziosi per mantenere stabilmente nostro padre e, quando giunse a
casa nostra, mi sembrava che la situazione fosse serena. Lo misero
su una lettiga non prima di avergli piazzato la maschera per l'ossigeno
e avergli fatto un'iniezione. Poi li osservammo mentre trasportavano
all'esterno Luigi. "Vado con lui!" Urlò Danilo: "Tu seguici in macchina!"
Lo rassicurai e li lasciai uscire tutti mentre sentivo i commenti degli
inquilini e porte che si aprivano incuriosite. Mi portai alla finestra e
osservai il vecchio che veniva piazzato sull'ambulanza. Poi aprì i
vetri, presi una sigaretta dal pacchetto lasciato dal mio fratellastro
e la accesi con voluttà e silenzio. Ne gustai la prima boccata e mi
incuriosì il bizzarro sapore al mentolo. "Che cazzo di cicche!" Mormorai
Erano quindici anni che non assaporavo tabacco e capì perfettamente
mio padre e i suoi anelli di fumo: quasi fossero stati un segnale di aiuto,
un richiamo per i soccorritori.






(Continua)








 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XXI

Post n°251 pubblicato il 03 Settembre 2016 da deteriora_sequor

 








Nostro padre continuava nel suo esercizio di estrarre anelli di fumo
dalla sua bocca minuta mentre l'orologio a pendola rintoccava i
secondi nel soggiorno, piombato in un silenzio di tomba. Danilo mi
sorrise con un'espressione solitaria e speranzosa al tempo stesso.
Io non lo ricambiai ma percepivo, dentro di me, la vita di un'altra
persona che mi scorreva nel sangue, come fosse lava bollente o
un torrente impetuoso. Terminata la sigaretta mio padre gettò il
mozzicone in strada, sotto la pioggia. Poi si levò pesantemente
dalla sedia e disse che sarebbe andato in camera a riposare e a
riflettere, per qualche minuto. Non pensai nemmeno come potesse
fare una cosa del genere ora che mamma era sparita e noi eravamo
come dei pulcini messi dentro una barchetta di carta e lasciati alla
corrente. Non lo giudicavo più. Lo guardai, semplicemente, con la
schiena curva mentre s'avviava verso il corridoio, tossendo per la
sigaretta virginale che aveva appena fumato. Aveva ancora indosso
la lisa veste da camera che indossava da dieci anni, azzurra e bianca,
con dei trapezi e dei rombi marrone disegnati sulla parte esterna. Lo
guardammo sparire nella stanza e ci fissammo senza riuscire a trovare
parole adeguate per una simile, mesta visione. Danilo chiese se poteva
fumare in casa e Io scossi la testa, senza rancore. Poi si allungò nella
sedia ad ascoltare la pioggia sui vetri e i rintocchi del pesante orologio.
"Che facevate in comunità?" Chiesi, solo per mettere in fila delle parole.
"Avevamo un allevamento di puledri. Io mi occupavo di strigliare i cavalli."
"Qualcosa che ti piaceva?" "Qualcosa di rilassante, qualcosa che teneva
impegnato il cervello e ti impediva di tornare ad avere voglia." Fece lui
grattandosi un ginocchio. "Mi sono sempre chiesto cosa spinge una
persona, un ragazzo giovane a non potere fare a meno dell'oppio."
Le visioni, i sogni meravigliosi ad occhi aperti." Rispose precipitosamente.
"Come camminare nel cielo. è diverso dalle visione da acido o LSD.
Quelle ti avvolgono completamente e non sei più autonomo, nemmeno
nella più piccola parte di te. L'eroina è come bagnarsi di pioggia nel
deserto, o percorrere migliaia di chilometri in pochi secondi, con tutti
i paesaggi compressi nell'estasi del minuto. Sai dove sei e al tempo
stesso sei altrove: in un posto bellissimo." "Dura tornare alla vita dopo
un'esperienza del genere." "Durissima. è come se la tua vita fosse
diventata un meraviglioso sogno. La realtà è vomito, inappetenza e
nausea costante. Fino alla dose successiva." "La vita, quella vera insomma,
diventa un intervallo spiacevole." Danilo annuì mentre gli occhi prendevano
a brillargli al semplice ricordo. Dalla stanza dei genitori, nel frattempo, non
si percepiva nessun rumore. 







(Continua)









 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XX

Post n°250 pubblicato il 30 Agosto 2016 da deteriora_sequor







Gettai uno sguardo nervoso dentro la stanza e nel letto, ma, con
mia sorpresa non trovai nessuno. La stanza era in perfetto ordine
e solo quel nitore penetrante, quel lindore agghiacciante stava lì
a testimoniare che, fino a poco prima, qualcuno aveva abitato il
luogo. Non mi girai nemmeno a guardare se il fratellastro era alle
spalle o si fosse diretto verso le sale interne. Ero lasciato solo, a
constatare che la presenza più stabile del mio precario nido se
n'era andata e che mi trovavo sballottato fra un padre debolissimo
e un fratello drogato. Tentai di chiudere gli occhi e di far sparire
l'orrendo futuro che mi aspettava non appena fossi uscito dalla
camera della mia madre scomparsa. Dopo alcuni minuti, sentendo
persistere il silenzio negli altri locali, mi decisi a girovagare per
l'appartamento ammutolito. Trovai mio padre seduto in soggiorno
impegnato a fumarsi una sigaretta. Lui che non aveva mai fumato.
Era in evidente imbarazzo e faceva uscire gli anelli di fumo dalla
bocca con smaccata imperizia e precipitazione. Ogni tanto tossiva
bruscamente. "Non c'è bisogno che mi dimostri che sei diventato
grande." Gli sussurrai senza animosità mentre con l'orecchio
tentavo di capire dove si fosse ficcato Danilo. A un certo punto
sentii tirare lo sciacquone e capì che si era infilato nel bagno. Nel
mio bagno. "Si starà facendo una pera?" Chiesi a mio padre. Lui
fece cenno di no e continuò nel suo bizzarro esercizio di cavare
perfetti anelli dalle volute della sigaretta. Mi ricordava stranamente
quei bimbi che giocano con le bolle di sapone e ne cercano in modo
ossessivo le più grandi, le perfette. "Dov'è finita la mamma?" "Mentre
parlavi con Danilo ha messo in valigia alcune sue cose, ha chiamato
un taxi ed è partita." "Sai dove può essersi diretta?" "Luigi piegò la
mano con un assurdo movimento sbarazzino e mi rispose: "Forse
da parenti. Forse un albergo. Ha sempre amato gli alberghi, e mi
rimproverava di non averla fatta viaggiare abbastanza. Chissà, forse
adesso è il suo momento." E abbassò il capo come se terminasse una
telefonata e appendesse la comunicazione. Da parte mia ero certo al
millesimo che Erminia se ne fosse andata per sempre e avesse lasciato
quel vecchio infingardo, la mia inconsistenza a farmi una vera vita e
un figliastro che nella vita non aveva trovato di meglio che ficcarsi un
ago in un braccio. "Sì, è proprio così." mormorai fra me e me. Poi
udii la porta del bagno aprirsi e, dopo qualche passo, Danilo fu di fronte
a noi ed ebbi a guardarlo per la prima volta con attenzione. Infatti, oltre
ai vestiti frusti possedeva degli strani occhi, come da pecora bastonata.
Nulla trapelava in lui di arroganza e presunzione. Pensai che fosse un
individuo buono, in fin dei conti. Un povero sprovveduto finito in un gioco
più grande e dentro un meccanismo che non capiva, di rivalsa, frustrazione,
invidia e antichi rancori. "Siediti" Gli dissi, e con un piede allungai una
sedia alla sua altezza. Lui sorrise, mostrandomi i denti gialli e riuscii
nell'impresa di farmi battere il cuore più velocemente di quanto già
facesse. Mi sorgeva spontaneo domandarmi, con sempre maggiore
angoscia, cosa ci facesse somigliare.







(Continua)








 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XIX

Post n°249 pubblicato il 26 Agosto 2016 da deteriora_sequor








Lo portai dall'altra parte e raggiungemmo casa mentre cominciava a
piovere. Ci pigiammo nello stretto ascensore mentre non riuscivo a
fissarlo senza provare malessere. Comunque non gli mollavo il braccio
anche se pensavo quante volte era stato bucato,  quel braccio... Il
segnale acustico ci disse che eravamo arrivati al nostro piano e Io lo
accompagnai fuori, delicatamente, lasciando che le porte automatiche
si richiudessero alle nostre spalle. Restammo sul pianerottolo a lungo
poiché sapevo che dietro quella porta con appeso il nostro nome stava,
(dopo il corridoio a sinistra) la stanza di mia madre. E sapevo di non
volerla ferire. Se ne stava ancora sicuramente distesa sul letto, vestita
di tutto punto e con lo sguardo perso sul soffitto mentre mio padre era
nella mia stanza, seduto sulla poltroncina a morsicarsi le unghie. Girai
a vuoto per parecchi minuti, poi il pensiero che passasse qualche
coinquilino e ci guardasse storto mi fece decidere alla svelta. Aprì
la serratura e socchiusi la porta, in modo tale che potesse passarci
a malapena una persona. Sgattaiolai dentro e, senza un cenno, mi
seguì Danilo mentre il pesante pendolo batteva le dieci e mezza nel
mattino. Guardavo la mia casa come un estraneo può sbirciare la
casa di un estraneo, linda, ben tenuta e spolverata. Al termine del
corridoio la pioggia sbatteva serenamente sui vetri mentre tutta
l'abitazione era immersa nella penombra. Non si sentiva nulla, non
si odorava nulla. "Si sono ammazzati entrambi" Ricordo che pensai
in quegli istanti. Un peso mi si posò sul cuore nella constatazione
che quel nido sicuro non sarebbe stato più mio; che, percorrendo
una tangente impazzita qualcun altro, un diverso, era giunto a
scompaginare tutto e a far saltare il bunker in aria. Conoscevo ogni
centimetro di quell'appartamento e, malgrado talvolta lo odiassi
con tutto il mio cuore, non potevo fare a meno di provare una fitta
feroce di rimpianto per la scomparsa in un istante di tanti ricordi
anche felici e della atmosfera placida, seppur squallida, di ciò che
era stato esclusivamente mio per tanti lunghi anni. Accompagnandomi
nelle scorribande verso il mondo esterno sapevo che avrei sempre
trovato un luogo da cui partire e un porto a cui approdare non appena
concluse le mie avventure. Adesso non era più così. Mi voltai a
inquadrare l'oggetto del mio odio e della mia compassione: quel
mezzo uomo tossicodipendente che pencolava qualche metro indietro
e si guardava intorno come fosse approdato nelle sale del Vaticano.
"Andiamo" Feci bruscamente, mentre il tipico odore di pulito lasciato
dai lavori di mia madre mi andava rapidamente alla testa. Avanzai
verso la fatidica porta a sinistra con la speranza che forse si sarebbe
potuto ancora risolvere qualcosa, che forse non tutto era compromesso.
Mi affacciai all'ingresso della camera matrimoniale e sussurrai: "Mamma?"






(Continua)








 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XVIII

Post n°248 pubblicato il 22 Agosto 2016 da deteriora_sequor








Lui rimase in silenzio. Io incalzai; mi sentivo esaltato ed euforico:
"Sei uscito da una comunità, vero? E ti avrebbero pure dato una
bella casetta dove vivere, senza studenti, rompicoglioni, pub
rumorosi, vicini casinisti, ma tu hai rifiutato...Non è così? E hai
rifiutato perché il paparino ha avuto la bella idea di portarti a casa
sua. Lo spazio c'è. E hai pure un fratellastro che potrebbe servirti
da modello: onesto lavoratore, accumulatore di denaro, montatore
di sorche fresche e oculato amministratore dei beni di famiglia. Certo,
ha un carattere un po' difficile: è scontroso, diffidente, aggressivo e
ingrato, però come tutor può andare bene; serve a rimetterti in riga
e a farti trovare il tuo posto nel mondo. Magari, con una buona parola
può farti trovare un lavoro nella sua azienducola, malgrado lui stesso -
qualche volta - si trovi da cazzo...Sei nelle categorie protette o no?
C'è una legge per questo. è un tuo diritto farti assumere. Non ti devi
preoccupare di nulla. Ti buchi, sniffi, ti ingozzi di pasticche e ci pensa
lo stato a farti trovare con il culo al caldo. Una sfigatissima postazione
ti sarà garantita mentre migliaia di altri onesti operai che non hanno
mai pensato a sniffare e a bucarsi debbono tirare avanti con qualche
sussidio o stipendi da fame. Eh, ma voi siete le categorie deboli, i
fanciulli fragili, i ragazzi problematici, le giovani sfruttate; non potete
competere in un mondo così selettivo come quello del lavoro, dove tutti
hanno il coltello fra i denti...Avete bisogno di una mano potente che vi
guidi e vi indirizzi. E di un occhio, altrettanto severo, che vi preservi dal
mobbing una volta strisciati nell'azienducola dalla porta posteriore. E
così sarà: timidi e imbarazzati porterete a termine il vostro lavoro di
passacarte con dignità e orgoglio, finche vi troveranno qualche anno
dopo con una siringa ancora saldamente piantata nel braccio. E la
chiameranno ricaduta, personalità fragile, problemi trascinati da lungo
tempo, inadattabilità all'integrazione sociale. Insomma avrete sputato
nel piatto in cui avreste dovuto mangiare con una densa striscia di
vomito...E...Ma mi stai ascoltando?" Danilo s'era levato in piedi,
tremando tutto e affondando gli occhi nei miei. Per un attimo mi
resi conto che anche gli altri avventori ci stavano osservando
dall'interno del bar. Realizzai di stare stringendo spasmodicamente
il posacenere e di avere fatto cadere il bicchiere di mio fratello,
che era andato in mille pezzi. Mi levai anch'Io in piedi, prima che
arrivasse il cameriere, lasciai alcune monete sul tavolo, presi per
il braccio Danilo e lo guidai lontano da quel posto. Non sapevo dove
dirigermi finché diedi un'occhiata a casa, giusto di fronte. Senza
sapere bene quello che stavo facendo lo portai al semaforo, e
insieme, attendemmo il verde.







(Continua)








 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XVII

Post n°247 pubblicato il 12 Agosto 2016 da deteriora_sequor

 








"Potrebbe essere così se non do una svolta decisa." E mi sorrise per
la prima volta. Un sorriso bizzarramente buono e distaccato, limpido
e oscuro. "Perché non ti curi? Magari non è così difficile. Buona parte
delle difficoltà in quelle cose deriva dalla volontà; una volta il tuo guaio
lo chiamavano accidia." Lui non smise di sorridere e spense la sigaretta
nel posacenere: "Ho provato diversi sistemi e ci sono sempre ricaduto.
Non credo di avere molte chances di curarmi con determinazione. Sta
subentrando una certa...rassegnazione." Continuai a fissarlo per due
minuti buoni senza profferire motto poi gli domandai senza tanti giri di
parole se avesse l'AIDS. "Stranamente no. Ho fatto le analisi qualche
mese fa ed è tutto a posto da quel punto di vista. Il mio problema è
l'epatite. sono stato ricoverato per un bel po' di settimane." Poi indicò
uno zaino militare ai suoi piedi: "è zeppo di medicine. Passo più tempo
a calarmi quella merda che a bucarmi. Ma, comunque, mi ha fatto bene."
"è infettiva? O si può mangiare con te?" Lui non smise per un attimo quella
sua vaga aria angelica e replicò serenamente: "No, è qualcosa che mi
coltivo da solo. Si nasce soli e si muore soli, o no?" "Stronzate. Si nasce
perché qualcuno ha messo il biscotto fra le gambe di tua madre. Non
siamo noi a chiedere di venire al mondo; la vita non è un'avventura in
esclusiva. Essere sputati fuori e crescere è un business, e nessuno se
lo lascia sfuggire; un frugoletto di oggi è un consumatore di domani.
Anzi, si può dire che ti danno la proverbiale sberla sul culo e sei già
benvenuto nel mondo dei clienti." Danilo si accese un'altra sigaretta:
"Piuttosto pessimista come visione." Risi: "Eh già, sono stati gli hippies
e i fricchettoni di una certa generazione a farci credere che era possibile
cambiare il mondo con le droghe. Prima le canne e l'LSD, poi è arrivata
l'eroina. Chi non è morto si è messo in coda per un biglietto d'ingresso
al più grande spettacolo sulla terra: guardarci nelle palle degli occhi e
illuderci che stiamo vivendo proficuamente, ingannarci quotidianamente
con il fatto che siamo utili a qualcosa, o a qualcuno." Il mio fratellastro
fece un tiro alla cicca, poi espirò il fumo: "Strano sentire da te certi
discorsi. Da quello che mi ha raccontato il vecchio sei un ragazzo con
la testa sulle spalle, quadrato, lavoratore e semplice." Ritornai a ridere:
"Il vecchio sa di me quanto Io so di te. è un perfetto imbecille, romantico
e perso. Ha sempre vissuto nel suo mondo fatato con la testa fra le
nuvole e i piedi a due metri da terra; non è mai veramente cresciuto e
si è fatto le due famiglie per proseguire nelle fantasie di un mondo a sua
misura. Non si è mai arreso a un universo di merda. Ha semplicemente
ritratto la testa nel guscio, come le lumache o una tartaruga. E, come la
tartaruga, ha un guscio indistruttibile. Per quale motivo credi abbia avuto
questa bella trovata di farci incontrare? Senso di colpa? Balle. Desiderio
di fare i conti con la sua vita? Balle. Il fatto, semplice e chiaro, è che ha
paura di morire e ti ha tirato fuori dal cilindro come bella dimostrazione
della sua vitalità. Sei la sua assicurazione. Il suo cornetto rosso di corallo."








(Continua)








 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XVI

Post n°246 pubblicato il 08 Agosto 2016 da deteriora_sequor




Uscì dalla porta di casa non prima di avere dato una rapida occhiata
a mia madre, che era lunga distesa nel suo letto. Teneva gli occhi
aperti e fissava il soffitto, vacuamente. Mi preoccupai, ma ormai ero
avviato verso le scale e nessuna forza al mondo avrebbe più potuto
farmi tornare sui miei passi. Chiusi la porta e presi l'ascensore mentre
un turbinio di pensieri confusi mi sbatteva contro le pareti craniche,
cercando di uscire all'aperto e di infettare tutta la città con le colpe di
mio padre. Arrivai lentamente al pianoterra e in pochi passi fui al portone.
Lo spalancai e uscì in strada incolonnandomi educatamente alla fila
del semaforo. Dall'altra parte delle corsie potevo vedere Danilo seduto
al tavolino con davanti un bicchiere e in mano una sigaretta accesa.
Finalmente giunse il verde e in pochi minuti fui davanti al mio fratellastro,
il cui volto era seminascosto dal cappello di feltro. Restai immoto davanti
a lui attendendo che notasse la mia presenza. Quando finalmente lo fece
trovai nelle sue fattezze mio padre con parecchi (ma non troppi) anni in
meno. "Sei Danilo?" Mugugnai. Lui annuì, invitandomi a sedere al suo
tavolino. Avrei potuto rifiutare, avrei potuto mandare all'aria tutto, avrei
potuto strangolarlo con le mie mani. Invece mi accomodai e ordinai un
analcolico. Tirava una brezza mattiniera abbastanza sostenuta, ma nulla
che potesse giustificare la sua bardatura e il suo terrore degli spifferi.
E in quel momento pensai che era davvero mio padre riesumato da
anni di umiliazioni, silenzi e frustrazioni. E compresi il significato delle
parole di quei tali che vedono nella progenie la sconfitta della Morte;
la possibilità di eternarsi e di avere una seconda chance quando
l'esistenza grama non gliene aveva offerto nemmeno metà della prima.
Mi accorsi di non essere mai stato, veramente, suo figlio e di avere
compreso un granello delle torture e delle sconfitte che Luigi aveva
subito in vita. Realizzai che quell'uomo, mio padre, aveva perpetrato
la vendetta più sottile che poteva alle mie spalle: farmi conoscere il
significato della parola altruismo applicato a un perfetto estraneo,
il senso dell'amicizia quando l'unico riferimento che avevo avuto dai
miei eventi personali non aveva fatto altro che consolidare l'ego
smisurato che nutrivo tutti i giorni. Quel signore di fronte a me,
silenzioso e assorto, diventava la sfida per abbandonare la superficie
delle cose e tuffarsi dentro l'ignoto, con tutti gli annessi e i connessi
che questo comportava. "Fa caldo..." Mormorai asciugandomi in modo
meccanico la fronte. Danilo mi fissò e sorrise offrendomi una sigaretta.
La rifiutai e non smisi di scrutarlo: il naso affilato pareva tagliare l'aria,
le labbra erano esangui e smorte, da sotto il cappello gli spuntava un
ciuffo di capelli color castano chiaro mentre il mento, appena sotto le
labbra era sfuggente e ben poco volitivo. Mi agitai sulla seggiola e
sorbì l'analcolico che mi era stato appena portato. "Stai morendo?"
gli chiesi improvvisamente e senza emozione.








(Continua)









 

 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XV

Post n°245 pubblicato il 02 Agosto 2016 da deteriora_sequor





Sogghignò ancora un attimo, poi proruppe: "Io vivo in questa casa
e ne sono ancora formalmente il proprietario. Nessuno mi può sbattere
fuori senza avere guai giudiziari seri, lasciando stare la pubblicità che
ne farei in giro. E Io da proprietario di questo appartamento accolgo
a braccia aperte mio figlio Danilo a fornire sollievo agli ultimi giorni
della mia vita su questa terra." Dopo la breve tirata si sedette sul mio
letto e prese a fissarmi con aria di sfida. Io esplosi in una risata che mi
salì dal ventre e mi fece indolenzire le mascelle. Quando, finalmente,
riuscì a calmarmi dalla mia crisi isterica, lo sogguardai con le lacrime
agli occhi per la troppa ilarità: "Ripeti un momento, vecchio mio. Stai
dicendo che il mio fratellastro dovrebbe venire ad abitare in questa
nostra tana?" Lui ebbe un moto di orgoglio e sollevò il mento dicendo:
"Non è una catapecchia. C'è una bella stanza libera, c'è spazio per tutti."
Temetti che il riso mi riaffiorasse alle labbra, ma ero calmo, quasi serio.
"Ne hai parlato con mamma?" "Sì. è rimasta folgorata e ho temuto il peggio,
ma poi le ho spiegato tutto e ha accettato la situazione. Ora è di là sdraiata
sul letto. Danilo è nel bar dall'altra parte della strada che attende di entrare
in quella che è anche casa sua." Fischiai con ammirazione: il vecchio
aveva organizzato tutto per bene, puntando sull'effetto sorpresa, e con la
vecchia c'era riuscito. Restavo Io, la parete più dura da scalare. "Dove
lavora questo Danilo?" Chiesi abbastanza incongruamente. Nemmeno
avessi centrato il bersaglio in pieno mio padre si accasciò sul letto
tenendosi le mani in grembo. "Che c'è? Stai male? chiamo un'ambulanza?"
"Ah non è nulla. Solo che Danilo è in una situazione piuttosto complessa.
Ingarbugliata. Per questo ho atteso tanto prima di decidere." "è ricercato
dalla polizia?" Buttai lì con noncuranza: "è un ladro, uno spacciatore, un
aggressivo, un violento, un assassino?" "Oh no, è il ragazzo più buono
del mondo. Discreto, sollecito, gentile, educato e quasi timido. è solo..."
"Cos'è? Ha delle tare psichiche? Venendo in parte da una famiglia di matti
non me ne stupirei, oppure..." Mio padre annuì mestamente e la stanza
cominciò a girarmi intorno. Dovetti appoggiarmi a un comodino per non
finire lungo disteso sul tappeto centrale. Appena mi riebbi afferrai mio
padre per il collo e lo sbattei vertiginosamente da destra a sinistra, mentre
lui nemmeno tentava di reagire. Quando mi stancai mi avvicinai alla
finestra e guardai in strada. Dall'altra parte della via c'era il bar Adria
e, con le gambe accavallate, seduto di sghimbescio a un tavolino c'era
un individuo, solo. Malgrado la temperatura mite della giornata era
imbacuccato in un cappotto piuttosto pesante, aveva un cappello di feltro
e pantaloni di velluto a coste, ai piedi calzava degli orrendi scarponcini.
Quando notai che sollevava lo sguardo verso la nostra finestra mi tirai
indietro. Andai a sedermi accanto a Luigi, che tremava tutto per la mia
strigliata. Poi, cercando di mettere in mostra tutti i mei denti nel sorriso,
mormorai: "Beh, andiamo a conoscerlo questo fratello."






(Continua)







 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XIV

Post n°244 pubblicato il 29 Luglio 2016 da deteriora_sequor







"Elisa morì due settimane dopo e Io rimasi solo con Danilo malgrado
l'aiuto di Helga. Fu difficile ma decise di occuparsene lei, come una zia
caritatevole. Io decisi di vederlo quando potevo. Seppellimmo la mia
compagna che era ottobre. La ricordo benissimo: una bruttissima
giornata con tanto di nevischio e vento gelido. Dio, quanto devono
averci impiegato a scavare quella fossa! Eravamo una decina di persone
a darle l'estremo saluto. soprattutto colleghi di ufficio. C'era una corona
da parte di tutti noi e Io non facevo che piangere come un bambino.
Da quel momento mi sono diviso esattamente a metà: una parte per
la mia famiglia ufficiale, un'altra per Danilo." Lo sogguardai e non riuscì
a trattenere un sorriso stupido: "Come se non l'avessi sempre fatto
anche prima della nascita del piccolo bastardo. Si percepiva chiaramente
quanto fossi disaffezionato e assente. Il tuo problema, papà, è che sei
un uomo debole, un senza-palle si direbbe con linguaggio volgare. Non
sei mai stato in grado di affrontare le situazioni a muso duro, hai sempre
preferito svicolare, fare le cose nell'ombra, alludere, lanciare messaggi
mafiosi, buttare lì con noncuranza. Volevi la botte piena e la moglie
ubriaca; mantenere la parvenza della bella famigliola unita e, al tempo
stesso, farti l'amante, qualcuno che ti capisse veramente e che fosse
ai tuoi piedi tutti i giorni a confermarti quanto eri bello, forte e sensibile.
Ma sei solo un vigliacco, o comunque un uomo incapace di decisioni
forti...e..." Mi interruppe con una risata di cui capii immediatamente il
significato: "Se pensi che siamo uguali ti sbagli di grosso" bestemmiai
"non sarei mai stato in grado di mantenere il giochetto come hai fatto
tu in questi anni, sfornare addirittura un figlio e continuare come nulla
fosse. Mi sorprendi, papà. Se ti debbo riconoscere una qualità è che
hai un sangue freddo invidiabile e un distacco dalle cose agghiacciante.
Non ci hai mai amato: tua moglie ti è infinitamente superiore e tuo figlio
Simone, malgrado tutto, ha spesso pagato per quel poco che può avere
fatto, mentre tu oscillavi come un galletto di rame alle correnti del vento.
Fiutavi l'aria e rimestavi nel torbido, agivi nell'ombra. Non c'è un pizzico
di sole in te, sei una personalità oscura." Lui alzò il braccio, come a dire
Basta. Adesso vedevo di fronte a me un uomo sempre più diverso e
repellente. si vedeva che stava preparando un grosso colpo e gustava
ogni secondo di questo allestimento morboso; Il mio giorno di lavoro
era andato a puttane: avrei dovuto telefonare alla ditta mentre quello
che era mio padre ridacchiava fra sé e sé e cercava le parole peggiori
per atterrarmi con un colpo di grazia.





(Continua)







 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XIII

Post n°243 pubblicato il 25 Luglio 2016 da deteriora_sequor





Ricordo che sputai per terra, ostentatamente. Le parole melliflue di
mio padre mi rivoltavano lo stomaco, così come il suo solito modo
di fare: untuoso e ipocrita. Lui s'arrestò nella narrazione e prese a
fissare in maniera ostinata la finestra. Restammo così, finché mi
feci violenza e sussurrai: "Ebbene?" Lui mi diede l'impressione di
riaversi o come di uscire da un sogno e continuò con voce monotona:
"Cominciammo a frequentare i motel e Io mi assentavo da casa con
la solita scusa di tirare tardi sul lavoro, ma a tua madre importava
poco; mi ha sempre considerato poco più di un soprammobile.
rientravo e mi infilavo nel letto con ancora il profumo di Elisa tra
le dita e sulla bocca e..." "Maiale. Vecchio, disgustoso maiale." Le
parole mi erano uscite da sole ma ben descrivevano il mio stato
d'animo e tutta la mia rabbia di fronte alle parole repellenti di quel
piccolo parvenu che avevo subito come padre. "...Io non ti permetto!"
Fece alcuni passi nella mia direzione e Io gli mollai un sonoro schiaffo
sulla guancia destra, facendolo barcollare. Lui si sfregò con la mano
la parte offesa e arretrò fino al punto da cui era partito alla carica. Lo
fissavo con un astio che avrebbe potuto uccidere. E fu allora che il
suo atteggiamento mutò repentinamente: un sorrise beffardo affiorò
alle sue labbra e spalancò gli occhi in modo innaturale, poi si raschiò
la gola e riprese a concionare stando bene attento che ogni parola
risuonasse chiara e sonora nell'angusto spazio della mia stanza.
"Mi disse di essere incinta dopo un anno che ci frequentavamo, e,
stranamente la cosa non mi terrorizzò né mi mise a disagio. Ero, anzi,
quasi felice di diventare padre una seconda volta seppure fossi avanti
negli anni. Mi sentivo pienamente giustificato e persino felice all'idea
di costruirmi una seconda famiglia." "Perché non ti sei separato e sei
andato a vivere con la tua Elisa?" Luigi mi squadrò sospettoso e con
un riflesso maligno: "Lo avrei fatto, stai pure sicuro che lo avrei fatto.
Aspettavo solo che la mia compagna desse alla luce il mio erede. E
Così avvenne. Non potei assistere al parto poiché ero a casa con Voi
ma tutto andò bene tranne qualche complicazione per Elisa. Neppure
lei era più tanto giovane e, malgrado l'ottimo risultato, fu un parto
travagliato. Forse fu da quel punto che la mia compagna iniziò a non
riprendersi più. Ad assisterla c'era sua sorella: una bellissima zitella
di nome Helga che si prese cura del frugoletto fin dal primo istante."
"Quando vedesti per la prima volta il piccolo bastardo?" Feci, calcando
su ogni sillaba. Mio padre fece finta di non avere sentito e continuò
nella sua cronaca cantilenante: "Decidemmo di chiamarlo Danilo, come
mio nonno. Era un nome che piaceva a entrambi e così fu. Lo vidi in
ospedale due giorni dopo. Devo avere anche la foto da qualche parte."
"La seconda famiglia Benvenuti" Bofonchiai avvicinandomi alla porta
per uscire da quella situazione soffocante e recarmi al lavoro. "Aspetta"
Urlò lui afferrandomi il braccio con dita grifagne: "Pensi forse che abbia
finito?"






(Continua)









 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: deteriora_sequor
Data di creazione: 13/05/2013
 
 

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