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Il pensiero laico

Post n°121 pubblicato il 27 Agosto 2009 da swala_simba


                     


Un grande laico, Norberto Bobbio, ha scritto:

-
Io non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi, però distinguo la religione dalla religiosità. Religiosità significa per me, semplicemente, avere il senso dei propri limiti, sapere che la ragione dell'uomo è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo rispetto alla grandiosità, all'immensità dell'universo.  Io vivo il senso del mistero, che evidentemente è comune tanto all'uomo di ragione che all'uomo di fede. Con la differenza che l'uomo di fede riempie questo mistero con rivelazioni e verità che vengono dall'alto, e di cui non riesco a convincermi. Resta però fondamentale questo profondo senso di mistero che ci circonda, e che è ciò che io chiamo senso di religiosità. – E poi aggiunge - Quando sento di essere arrivato alla fine della mia esistenza senza aver trovato una risposta alle domande ultime, la mia intelligenza è umiliata. Umiliata. E io accetto questa umiliazione. La accetto. E non cerco di sfuggire a questa umiliazione con la fede. E resto uomo della mia ragione limitata - e umiliata. So di non sapere. Questo io chiamo la mia religiosità. -

Laicità è quindi qualcosa di molto più ampio di una polemica, per quanto aspra, nei confronti della Chiesa cattolica, avverte
Michele Ciliberto, curatore del volume Biblioteca laica. Il pensiero libero dell’Italia moderna (Laterza 2008).

E continua:

” La storia ci insegna che l’Italia ha avuto un pensiero laico di altissimo livello europeo, spesso in posizione di avanguardia a opera di quella intellettualità italiana cosmopolitica che dall’umanesimo in poi ha contribuito a fare l’Europa.
Una grande Italia, di cui qualche volta ci dimentichiamo, persi nelle nostre controversie quotidiane, in alcune miserie presenti e passate, o supini rispetto a visioni che riportano indietro la nostra coscienza civile, quasi che la religione non dovesse germinare dall’interno della nostra viva umanità, ma si scandisse in un suo tempo separato come un recinto del sacro da cui promanano i custodi della verità.
Indubbiamente la storia della Chiesa ha costituito un ostacolo per la storia dell’Italia nazione. Ne ha ritardato l’unità, prima operando attraverso la separazione, sottraendo parti di legittimazione allo Stato; poi, attraverso una costante invasione di campo (rare le eccezioni: il grande Giovanni XXIII su tutti) che fa del nostro Paese qualcosa di unico nel panorama europeo su questo tema.
E qui tutti hanno avuto le loro responsabilità, soprattutto quella sinistra che intese costruire un aspetto del compromesso sociale e politico con la costituzionalizzazione dei Patti lateranensi, condizione privilegiata per la Chiesa, cui non corrisponde, per essa, una uguale serie di doveri civili.
La Chiesa di Roma, dopo la crisi dei partiti di massa e senza più il filtro del partito dei cattolici, è venuta assumendo in Italia un ruolo sempre più preponderante, sostenendo con vigore e intransigenza le proprie posizioni in tutti i campi, a cominciare da quello dei cosiddetti temi eticamente sensibili.
Si tratta di una novità di grande portata; né stupisce che di fronte ad essa le forze culturalmente e storicamente avverse alla Chiesa romana siano scese in campo per sostenere con altrettanta energia le loro ragioni, sollecitate in questo – e quasi forzate – anche dalla figura e dalla personalità dell’attuale pontefice, un teologo impegnato in primo piano, e da molto tempo, proprio sui temi sui quali la discussione si è accesa in modo più intenso e più bruciante.
Il dato fondamentale – che segna in maniera impetuosa questi anni – è la nuova sporgenza, sul piano mondiale, delle religioni, e il nuovo ruolo che esse hanno assunto in termini planetari condizionando in modo diretto, e spesso intransigente, la sfera politica e mettendo in profonda crisi le classi dirigenti che, in Occidente come in Oriente, avevano scelto consapevolmente di muoversi secondo una prospettiva di carattere laico, diventata ormai, in molti casi, nettamente minoritaria .
Sul piano religioso, ci troviamo di fronte a nuovi, e violentissimi, fondamentalismi, disposti a tutto – compreso il sacrificio della vita dei seguaci – pur di affermarsi; mentre sul piano politico si sono imposti nuovi nazionalismi che, intrecciandosi a componenti di tipo religioso, sono sfociati in posizioni di carattere addirittura razzistico, riportando all’ordine del giorno obiettivi tragici come quello della pulizia etnica.
Né si tratta di processi destinati a declinare e a finire in breve tempo; essi tendono, piuttosto, a configurarsi come caratteri morfologici della lotta politica e religiosa nel millennio che è appena iniziato, mettendo in questione vecchie e nuove certezze e costringendo tutti a fare nuovamente i conti anche con la propria storia per cercare di non essere travolti dal mare che si è dischiuso di fronte a noi.

Tuttavia, ridurre la laicità a pulsioni polemiche di carattere anticlericale sarebbe riduttivo.

Se la polemica anticlericale rappresenta un aspetto strutturale di questa cultura,
è un errore identificare il termine ‘laico’ con il termine ‘anticlericale’, come spesso è accaduto nel nostro paese, nel fuoco di una polemica assai aspra nei confronti della Chiesa romana, acuitasi specie dopo la costituzione dello Stato nazionale.
È una semplificazione tanto dura quanto inconsistente:
il motivo dell’anticlericalismo è un aspetto – e una conseguenza naturale – di un atteggiamento di carattere ‘laico’.
Ma la laicità è qualcosa di molto più vasto di una polemica, per quanto aspra, nei confronti della Chiesa di Roma (e di qualsiasi altra Chiesa).
Nella laicità - afferma Ciliberto - si è espressa una vera e propria concezione della sapienza. Se si vanno a leggere i capisaldi di tale cultura, ci imbattiamo in concetti decisivi come quelli di legge, di conflitto, di eguaglianza, di dissimulazione, di bisogno, di libertà di stampa, di opinione pubblica, fino all’argomentazione del rifiuto della tortura e della pena di morte,svolta nelle pagine memorabili di Cesare Beccaria pubblicate nel lontano 1764...”.

In un bell’ editoriale   di qualche anno fa, Eugenio Scalari affermava:

Due concezioni si contrastano, due culture ciascuna delle quali deve moltissimo all’altra, si contrappongono e non soltanto sui modi per raggiungere un obiettivo comune, ma sulle finalità stesse che vengono proposte.
Gli ultimi due papi hanno fatto dell’accusa di liberalismo e di relativismo un tema centrale e l’hanno usato sistematicamente per sconfessare di fatto l’intero valore della modernità, dal Rinascimento alla libera ricerca, dalla scienza sperimentale allo stoicismo di Montaigne, al “Discorso sul metodo” di Cartesio, all’”Etica” di Spinoza, all’Illuminismo, alla “Critica della ragion pura” di Kant e infine ai più recenti svolgimenti del pensiero filosofico derivanti da Schopenhauer e da Nietzsche e agli esiti scientifici di Freud, di Einstein e della fisica quantistica.
Tutto questo immenso deposito di pensiero e di sapere è impregnato di relativismo nelle sue diverse varianti metodiche conoscitive ed etiche e tutto, preso nel suo insieme, si è proposto di spodestare la metafisica dal vertice del pensiero filosofico dove si era insediata a partire da Platone.
Se dunque Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, pur dotati di diversa portanza e di diverso linguaggio, hanno deciso di eleggere come nemico numero uno della cattolicità il relativismo e l’Illuminismo e lo hanno ripetuto in gran parte delle loro pubbliche allocuzioni e delle più solenni encicliche; e se Ratzinger appena insediato sulla cattedra petrina, nella sua prolusione all’università di Ratisbona ebbe nei confronti del fondamentalismo islamico accenti addirittura meno severi di quelli riservati al pensiero moderno dell’Occidente, non è purtroppo lontano dal vero parlare oggi d’uno scontro in atto tra cattolicesimo e modernità anche se la Chiesa lo nega tenacemente.
Il nemico è insomma il relativismo, la rivendicazione dell’autonomia di ciascuno, la ricerca sperimentale della verità che non esclude neppure l’inesistenza di un’unica verità assoluta. E di conseguenza l’abbandono della trascendenza, antico rifugio contro l’insicurezza del vivere e ultima istanza del giudizio finale tra buoni e cattivi, tra bene e male.
Il pensiero laico è stato lungamente silente su questa diabolizzazione cui la Chiesa l’ha sottoposto. Parlo del pensiero laico e non di quello anticlericale che ne rappresenta una caricatura.
Il pensiero laico non ha mai escluso (e come potrebbe?) il mistero, l’Increato, la necessità di dare un senso al nostro vivere. Si è sempre posto con estrema serietà i problemi della vita e della morte. Non ha mai confuso il complesso delle sue idee e delle sue convinzioni con la secolarizzazione consumista che è fenomeno diverso e per molti aspetti deteriore. Per di più il pensiero laico, anzi il mondo laico, non ha una struttura di potere, non ha associazioni proprie che lo rappresentino, non parla “ex cathedra”. Predica libertà, democrazia, tolleranza.
 Perciò non ha alcuna responsabilità nello scontro che si è determinato con la Chiesa se non per il fatto di opporsi alle pretese ecclesiastiche di voler imporre ad una comunità dove convivono pacificamente cattolici, laici e fedeli di altre religioni, istituti che vietino l’esercizio e il riconoscimento dei diritti. Diritti di minoranze, certo, e proprio per questo ancor più sacri e degni di riconoscimento e tutela.”


 

 

 

 
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