All your two-bit psychiatrists
are giving you electroshock
They said, they'd let you live at home with mom and dad
instead of mental hospitals
But every time you tried to read a book
you couldn't get to page 17
'Cause you forgot where you were
so you couldn't even read
Don't you know they're gonna kill your sons
don't you know gonna kill, kill your sons
They're gonna kill, kill your sons
until they run, run, run, run, run, run, run, run away
Mom informed me on the phone
she didn't know what to do about dad
Took an axe and broke the table
aren't you glad you're married
And sister, she got married on the island
and her husband takes the train
He's big and he's fat
and he doesn't even have a brain
They're gonna kill your sons
don't you know they're gonna kill, kill your sons
Don't you know they're gonna kill, kill your sons
until they run away
Creedmore treated me very good
but Paine Whitney was even better
And when I flipped out on PHC
I was so sad, I didn't even get a letter
All of the drugs, that we took
it really was lots of fun
But when they shoot you up with thorizene on crystal smoke
you choke like a son of a gun
Don't you know they're gonna kill your sons
don't you know they're gonna kill, kill your sons
Don't you know they're gonna kill, kill your sons
until they run, run, run, run, run, run, run away
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Post n°219 pubblicato il 14 Giugno 2016 da street.hassle
Scesero da basso nell'ampia cucina e le sorelle servirono ai militari della birra gelata con un bicchierino di vodka. I due ne vuotarono in fretta il contenuto e fissarono Isveig ed Eyleif negli occhi. Jòn Beiddarsson giocherellava con un pacchetto semivuoto di cicche mentre Falur Heimirsson fischiettava un aria popolare sull'isola in quel periodo. "La voce." "Prego?" Fece Isveig, gironzolando con lo sguardo per l'ampia sala. "Dopo averla sentita da vivo più volte non la scordi nemmeno da morto." Replicò asciutto Jòn. "Cosa vuoi intendere, capitano?" "Baltasar. quella è la sua voce. L'ho sentito mille volte imprecare quando portava il pesce a riva, e l'ho sentito alzare la voce nelle taverne per avere il suo giro." "Balle" Fece Eyleif poco cerimoniosamente. "Con quel timbro si assomigliano tutte le voci. "è la contrazione del diaframma. Lo spirito lo ha preso tutto intero e lo sta muovendo come un burattino. Ma, per identificarlo non basterebbero raffronti con il centinaio di migliaia di persone di quest'isola." Falur smise di fischiettare :"Continua a sottolineare eventi precisi: un boschetto, una spiaggia, in coltello da cucina." "E allora? Un uomo ucciso dalla moglie che lo tradiva, un militare fatto a pezzi da una qualche prostituta, un padre ucciso dalla figlia per questioni di eredità." Falur prese una sigaretta dal pacchetto di Jòn ma non lo accese: "E perché gira da queste parti e si infiltra in un povero ufficiale britannico? Deve avere una ragione: ancora ha paura di perdere la propria donna a causa di un altro maschio." Isveig si strizzò gli occhi con indice e pollice, come se le tensioni di quei giorni le stessero facendo breccia nell'apparente quiete. "Potrebbe essere una storia molto vecchia. qualcosa che affonda persino nei secoli. "Sangue e cadaveri scomparsi" Proruppe con un forte brivido "Non saranno il pane quotidiano dell'Islanda ma sono fatti registrati, fatti accaduti." "Dov'è sparito Baltasar?" Interloquì Jòn "Suo fratello Filippus lo sta ancora cercando". Eyleif era solida e serena : "Avevamo litigato quella sera. Non starò qui a negarlo. Se n'era andato con un forte livore e un peso sul cuore. Non sopportava mia madre, non reggeva mia sorella. voleva che Agnes non fosse cresciuta nella nostra casa. Voleva la mia bambina ed Io glielo negai recisamente. Questo deve averlo sconvolto del tutto e spinto sulle scogliere." Cadde il silenzio. Falur decise finalmente di accendersi la sigaretta. Di sopra si sentivano i passettini del medico intorno al giaciglio del malato. (Continua) |
Post n°218 pubblicato il 10 Giugno 2016 da street.hassle
Con uno sforzo immane si rese conto che non doveva lasciar folleggiare per il suo corpo una presenza estranea, e chiese aiuto ai due ufficiali per recarsi in bagno ad espletare alcune necessità fisiologiche impellenti. Jòn e Falur si guardarono, poi allungarono le braccia per sostenere il malato. Leslie si rese conto di avere indosso un pigiama di flanello nuovo di zecca che contrastava ferocemente con il sentore di marcio e decomposizione che promanava dal suo fisico. si domandò se non fosse la sua scarsa igiene degli ultimi due giorni a farlo putire in quella maniera. Poi, arrivato nel bagno, chiuse la porta in faccia ai due ufficiali e si diede un'occhiata nello specchio. Era molto provato e le linee delle rughe gli infittivano il volto come arature in un campo. il suo occhio azzurro era slavato e le braccia tanto magre da fare impressione. Si rese conto di non essere mai stato così esile e si lavò la faccia con cura. Quando tornò a fissarsi una lieve freschezza lo bagnava e rinfrescava con sollievo. Provò a sedersi sulla tazza ma, per quanti sforzi facesse, non di decideva ad evacuare. Al contrario una nausea furibonda gli prese lo stomaco e la gola, spingendolo ad alzarsi e a vomitare rumorosamente. "Tutto bene, capitano?" Udì dall'altra parte della stanza. "Sì" Replicò con fatica "Mi sto aggiustando un pochino." Poi avvenne quello che temeva: la voce misteriosa che lo tormentava nelle notti affiorò alla superficie e si rivolse in islandese ai due ufficiali. Tentò di tapparsi la bocca ma l'urgenza era più forte della sua volontà e si udì mentre gridava frasi incomprensibili al suo orecchio inglese. In pochi istanti la porta fu sfondata ed entrarono di corsa Jòn Beiddarsson e Falur Heimirsson, a cui l'ufficiale britannico cadde praticamente fra le braccia. Fu trasportato di nuovo a letto mentre dalla porticina della stanza entravano Isveig ed Eyleif insieme al dottore. "Ha ripreso a parlare nella nostra lingua." Bofonchiarono i due ufficiali. "Qui si tratta di dissociazione psichica seguita da febbre cerebrale" Puntualizzò il medico, un uomo di mezza età minuto e gracile. Poi provvide a fargli un'iniezione di morfina che gettò immediata mente Leslie Atwater in uno stato di pacifica incoscienza. Fuori volavano i corvi e dentro la temperatura del locale era tiepida e piacevole. Jòn Beiddarsson prese da parte Isveig e le mormorò preoccupato :"Non possiamo lasciarlo a combattere con qualcuno che pare immensamente più forte di lui. Lei e sua sorella ci deve spiegare qualcosa, signorina." (Continua) |
Post n°217 pubblicato il 06 Giugno 2016 da street.hassle
Si sentiva più pesante. Più massiccio. E con dolorini e fastidi che non lo avevano mai angustiato prima. Era come se dovesse fare i conti con un ospite inatteso dentro di sé e fornirgli spazio. Le parole dei due ufficiali gli risuonavano più oscuramente famigliari adesso ma non osava accennarvi per non consegnare del tutto il suo aplomb britannico. "è strano" Non poté comunque esimersi dal notare :"Ci sono dei momenti, proprio adesso al risveglio, che non mi sento completamente padrone di me stesso. è come se qualcuno mi sgomitasse e si prendesse la mia bocca. Persino il mio cervello. ci sono dei momenti in cui anche la mia voce cambia e diventa pesante, cavernosa e...grossolana." Jòn Beiddarsson avvicinò la sedia al suo letto e sussurrò a bassa voce :"Non nego che abbiamo sbagliato a proporle questa sistemazione. Ci sembrava un ottimo posto, quieto, lontano dalle altre case e dai curiosi, con due ottime e capaci donne ad amministrarlo. Abbiamo ignorato le chiacchiere che giravano sul loro conto e siamo andati avanti diritti per la nostra strada. Ma ora... le cose sembrano cambiare." Leslie Atwater si fece forza e squadrò con ferocia il suo corrispettivo islandese :"Andiamo, capitano, ormai è una questione di principio. Non posso ammettere di essere ospite di una casa infestata da...qualunque cosa. è semplicemente ridicolo. E se la loro madre era una wiccan non significa che evocasse spettri o chiamasse dei revenant. La religione misterica neopagana è una cosa seria, non si diletta di cerchi magici e di ouija board. Affonda le radici in situazioni e adorazioni antichissime. Può essere studiata come una qualsiasi disciplina parapsicologica...e..." Leslie era tornato a sprofondare in un bagno di sudore mentre gli ufficiali isolani lo fissavano senza perdere un solo frammento visivo. Dentro di sé lui udiva qualcuno parlargli e cercare di convincerlo. Era una voce questa volta melliflua e seducente, ben lontana dalle orrende urla che lo avevano sconvolto durante l'incoscienza. Con grazia e semplicità chiedeva di rintoccare le sue corde vocali e di arrotargli la lingua con eleganza. "Le donne dove sono?" Disse la voce educata che si era impadronita di lui. "Sono dabbasso, insieme al medico. Si stanno provvedendo con nuove ricette. Qualcosa che la calmi durante i suoi accessi." "E Matt? Matt Flint, il mio autista?" "Per il momento è stato richiamato alla base. Vi è un altro ragazzo, uno dei nostri, Sesil Gunnarsson, che si occupa delle esigenze minime di Lei e delle donne. Sa, loro non hanno automobile." "Perché togliermi Matt? Era il mio legame con la realtà." Proruppe il capitano. Gli altri due graduati sorrisero :"è stato lei, poco fa, a dire che la situazione è sotto controllo e che gli islandesi non sono degli strani elfi impegnati a lanciare incantesimi. Si vuole rimangiare quello che ha detto?" La voce che cadenzava al posto di Leslie Atwater mormorò che sì. andava bene così. Anche se quel Sesil Gunnarsson, per chissà quale ragione, gli impastava le parole, prima scorrevoli. (Continua) |
Post n°216 pubblicato il 31 Maggio 2016 da street.hassle
Jòn Beiddarsson e Falur Heimirsson lo stavano fissando incuriositi dal limitare del letto. Gli ufficiali islandesi non tradivano emozioni particolari ma sembravano seguire ogni più piccolo movimento del malato con la stessa curiosità che contraddistingue l'entomologo alle prese con un insetto particolarmente interessante. "Capitano" fece Jòn Beiddarsson "Finalmente si è svegliato." Leslie Atwater passò con lo sguardo da uno all'altro dei militari e un'espressione interrogativa gli si dipinse sul volto. "Lo sa che oggi è mercoledì?" abbozzò Falur. L'inglese provò a radunare i pensieri e suoi punti di riferimento. Si rammentò di essere caduto malato che era un lunedì. "Possibile?" intonò con voce tremante "Ho dormito per due giorni?" "Questa è una verità incontrovertibile. Ma ci deve dire dove ha imparato così in fretta l'islandese. Durante il suo delirio ha tirato fuori alcune frasi impeccabili nella nostra lingua." "Oh, non chiedetemi nulla. Sono caduto vittima di una specie di febbre cerebrale e prima di perdere conoscenza mi sono reso conto di sproloquiare in islandese...ma come sia potuto accadere, davvero non potrei dirlo." "Parlava di un boschetto e di una spiaggia. Sembrava molto preciso e convinto." "è questo che mi sconcerta. Vi posso assicurare che non ero in me quando parlavo in quella maniera." "Intende dire che non era esattamente lei a formulare quelle frasi? Intende dire che era, per così dire, abitato da qualcuno?" Leslie Atwater scoppiò in una risata isterica e gli ci volle un po' prima di ricomporsi, ma i suoi interlocutori rimanevano terribilmente seri e impassibili. "Non crederete forse che sia qualcuno dentro di me? Che sia una specie di ventriloquo?" Falur Heimirsson lo stava scrutando con attenzione :"Io non la butterei tanto sul ridere, capitano. Si danno situazioni che sovente sconfinano dalla comune razionalità e che fanno affiorare ricordi o realtà che credevamo sepolte tra le nebbie di un passato mitico. Noi islandesi ce ne intendiamo abbastanza. Non crede che degli... spiriti possano prendere, se mi concede, in affitto un corpo?" Leslie ora era attentissimo :"Per fare cosa, di grazia?" "Parlare, ad esempio." "Spiriti..." Il capitano prese a guardare fuori dalla finestra la giornata grigia che volgeva al suo termine. Rivide Filippus impegnato a scavare buche sulla spiaggia e ad imprecare ad alta voce contro il cielo. Pensò, senza rifletterci troppo, che la chiave di volta di tutto il mistero potesse risiedere in quella inquietante visione. Fece per sollevarsi ma una fitta terribile lo prese al costato rigettandolo indietro. (Continua) |
Post n°215 pubblicato il 27 Maggio 2016 da street.hassle
Giunto nella sua stanza si spogliò rapidamente e si infilò nel letto senza fare le sue normali e rigide abluzioni. La mente gli debordava e i brividi lo sconquassavano mentre cercava di riprendere il controllo di sé stesso. Ma era un'impresa. Ogni riflessione che approcciava con il cervello gli dava un dolore fortissimo e gli era impossibile soffermarsi sugli eventi delle giornate precedenti senza soffrire terribilmente. Prese a girarsi nel letto ma percepiva, chiara e lancinante, la sensazione che qualcuno si stesse impossessando del suo corpo passando per il facile passaggio di una psiche debilitata. Allungò la mano verso il libro di David Fitzroy, giusto per avere un punto fermo a cui appigliarsi, ma dovette ritrarla quasi avesse subito una scottatura. Rimase attonito e sconvolto. Cosa stava succedendo in quella casa? si azzardò a parlare ad alta voce ma quello che uscì dalla sua bocca fu un lamento cavernoso che non gli era mai appartenuto. Si sollevò e si appoggiò sui gomiti. Tornò a parlare ed ebbe un discorso sconclusionato in una lingua che non conosceva. Facendo appello alle sue ultime risorse razionali si rese conto che stava concionando in islandese. Si buttò nuovamente con la testa sul cuscino e urlò aiuto, questa volta in perfetto inglese. Le due sorelle accorsero prontamente e iniziarono a darsi da fare sul malato. Isveig gli diede una pillola accompagnandola con dell'acqua, Eyleif gli fece sorseggiare da una boccettina un liquido dal sapore disgustoso. "Stia calmo, capitano!" Gli sussurrarono quasi all'unisono. Lui piombò in uno stato di incoscienza durante il quale gli parve di vedere due persone, un giovane uomo e una giovane donna lungo una spiaggia desolata, vicino a un boschetto striminzito di larici. Le due persone parevano avere una discussione e l'uomo colpiva con uno schiaffo la donna, che non reagiva ma contraccambiava con tale odio nello sguardo da fare impallidire un morto. Poi la scena cambiava ed entrava in scena Filippus con la sua torcia elettrica e una vanga. Con questa, e accompagnato da un cane, si metteva a scavare furiosamente delle buche profondissime lungo la spiaggia. Imprecava ad alta voce, faticava, e alla fine piangeva lacrime isteriche alzando le braccia al cielo. Quando Leslie Atwater si svegliò era immerso in un bagno di sudore. (Continua)
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Post n°214 pubblicato il 24 Maggio 2016 da street.hassle
Giunse alla sera che era uno straccio. Era riuscito a portare a termine tutti i suoi compiti ma chiunque lo guardasse poteva dire che era ridotto male. Quella peculiare situazione di spossatezza accompagnata a brusche ondate di sbalzi termici rivelava che si stava buscando una brutta febbre. Faticava a tenere gli occhi aperti e i brividi lo percorrevano tutto facendogli battere i denti. Il colonnello Prentiss gli disse di marcare visita, tornare a casa e darsi malato. Bastava guardarlo per rendersi conto che non era in grado di sostenere un'altra giornata come quella. Atwater annuì e si diresse, sul tardi, verso la jeep insieme a Matt Flint. Vi si adagiò pesantemente e diede ordine di partire facendo attenzione ai sobbalzi: si sentiva la testa leggera come un palloncino riempito d'elio e sballottata violentemente da una parte all'altra dell'abitacolo. Giunsero piuttosto velocemente a Stokkseyri e, mentre scendeva dal mezzo, Leslie si sorprese a guardarsi intorno, cercando traccia di Filippus e del suo pedinamento. Non rinvenendo nessuno si diresse verso il cancello dopo avere salutato Matt e averlo rassicurato. "è solo qualche grado di febbre, comunque non passare domani. Mi do malato per qualche giorno. Ti avvertiranno, Flint." Il caporale si portò due dita alla visiera e poi tornò sui suoi passi fino alla jeep. "Si riposi, capitano." furono le sue ultime parole. Il capitano fece un cenno con la testa ed entrò nel giardino, raggiungendo, quasi furtivamente la porta. Quando aprì fu subito nel piccolo corridoio e da lì diede un'occhiata al salotto, dove le due donne erano impegnate a cucire e a lavorare a maglia. Appena sollevarono lo sguardo Isveig e Eyleif si spaventarono, e pure Agnes (che era impegnata in un gioco di pazienza) diede in un grido soffocato. Isveig si levò in piedi e sussurrò :"Ma cosa le è successo, Capitano? è pallido come uno straccio." "Temo di avere un po' di febbre. è dalle prime luci dell'alba che non sto bene. Ne approfitto per salire a misurarmi la temperatura. buono proseguimento di lavoro, signorine." "Vuole che le prepariamo qualche infuso? Ve ne sono alcuni nella nostra terra che fanno miracoli." "Forse l'unica cosa di cui ho bisogno è giusto un letto e qualche ora di riposo. Magari domani starò già meglio." Le due donne annuirono in segno di assenso e lui fece per allontanarsi, ma un pensiero molesto lo aveva tormentato tutto il giorno e neppure adesso riusciva a coricarsi senza espletarlo. Così si riaffacciò sulla soglia e mormorò: "Stamane mentre partivo sono stato bloccato da un individuo, un certo Filippus, tipo quasi di mezza età con una gran testa bianca e un bel nasone. Mi ha rivelato di essere il fratello di Baltasar e di bazzicare spesso queste zone. A dire la verità l'avevo notato anche stanotte, giù al porticciolo. Forse è un po' suonato, non so... pare convinto che siate coinvolte nella sparizione del congiunto. Non sembra un tipo pericoloso ma mi sono sentito in dovere di avvertirvi." Le due donne lo fissarono senza mostrare particolari emozioni. "Ah, sì" Fece Eyleif "Non si è rassegnato al suicidio di Baltasar ed esercita verso di noi una...come la chiamate...guerra psicologica. Passa spesso delle lunghe notti intorno all'edificio con una torcia elettrica. Ne abbiamo parlato anche alla milizia ma più che tentare di dissuaderlo... povero ingenuo! è convinto che nostra madre fosse una sorta di strega con poteri particolari. Dove possono arrivare il dolore e una fervida immaginazione? Non trova?" Ed Eyleif sorrise. Un sorriso che il capitano, immerso nelle brume della febbre, interpretò maldestramente come salvifico. (Continua) |
Post n°213 pubblicato il 20 Maggio 2016 da street.hassle
Al mattino si svegliò stordito e confuso. Le ossa gli facevano male e un robusto cerchio alla testa non accennava ad abbandonarlo. Fece le sue abluzioni e si vestì stanco e annoiato. Dalla finestra vide Matt Flint appoggiato alla portiera della macchina: aspettava solo lui per mettere in moto e allontanarsi da quel posto. Strano tipo quel caporale: si guardava intorno in cagnesco e la sua abituale allegria pareva essere evaporata nelle brume dell'alba. Leslie Atwater decise di non farlo aspettare troppo e di saltare la colazione. gli spiaceva ma non poteva fare altrimenti. Era tragicamente in ritardo e avrebbero dovuto fare una tirata per arrivare in orario sul luogo delle esercitazioni. Si infilò gli stivali e scese di corsa le scale. Con la coda dell'occhio vide Isveig ed Eyleif in cucina, impegnate nel breakfast. Si arrestò e tornò indietro affacciandosi sul posto. "Sono in un ritardo terribile, purtroppo non posso fermarmi a mangiare. Butterò giù qualcosa allo spaccio dell'esercito. Vi saluto, mie signore." E senza attendere risposta si avviò versò la jeep con la sgradita di sorpresa di trovare un civile che parlottava con Flint. Lui le ignorò e stava già per sedersi all'interno del mezzo quando un braccio robusto lo trattenne. La complessione dell'uomo lo immobilizzò e gli accese una lampadina nel cervello :"Lei è l'uomo che ieri notte fissava la mia finestra dal porticciolo!" "Centrato, capitano. Mi chiamo Filippus. E anche se penserà che sia un qualsiasi pazzo, le spiegherò che avevo i miei motivi per osservare la casa delle signorine a quell'ora." "Avrei piacere di ascoltarla ma vado di fretta, Filippus. Perché non si fa trovare stasera?" L'uomo, senza nemmeno ascoltarlo era salito sul sedile posteriore della jeep e diceva :"L'accompagnerò, capitano. Facciamo la stessa strada. dica pure al suo attendente di mettere in moto." Leslie era allibito da tale leggerezza ma, mosso dalla curiosità lasciò l'intruso a bordo e diede il segnale a Flint di partire. "Allora" Fece Filippus accendendosi una sigaretta "Lo sapeva che Baltasar, l'ex fidanzato di Eyleif e padre di Agnes era mio fratello?" Atwater inarcò le sopracciglia e si voltò a studiare bene i tratti del viso di quel personaggio. Era un bell'uomo sulla quarantina, con i capelli talmente biondi da risultare bianchi, un viso tondo e gioviale e un grosso naso a coronare quei lineamenti da persona affidabile e aperta. "Questo coinvolge anche me?" Fece il capitano con una mancanza di tatto di cui si rese conto più tardi. "Fin tanto che resterà in quella casa direi di sì. Baltasar scomparve, un giorno mentre si recava al lavoro, e non fu più ritrovato." "Suicidio?" Interloquì il capitano. "Così dissero, ma non mi sono mai rassegnato alla loro versione dei fatti. "E allora, cosa la spinge a portarsi di notte sotto quella casa? Spera di scoprire qualcosa? Non è un po' tardi?" Leslie si rendeva conto di essere troppo sgarbato ma la base si avvicinava e il racconto di Filippus non sembrava avere né capo né coda, se non l'amore di un fratello per un altro e una lieve distorsione mentale. "Ho trovato l'anello di Baltasar a trenta metri da quel posto. Era nella sabbia." Atwater ristette mentre la jeep si fermava all'imbocco della zona militare. Lì Filippus non poteva più entrare. Ci fu uno scambio di strette di mano. "Non dia nulla di scontato con quelle due donne. La madre era una strega." Il capitano sorrise. "L'ho saputo. Non lo nascondono." "Ragione maggiore per cambiare aria. Si faccia trasferire. non resti dentro quella gabbia." "E lei? continuerà ad assediarle in attesa di un indizio rivelatore?" "Io ho i miei piani. Si faccia una ragione di coltivare i suoi. Per il suo bene." Detto questo Filippus si allontanò, lasciando Leslie pensieroso e con la fronte che scottava. (Continua) |
Post n°212 pubblicato il 16 Maggio 2016 da street.hassle
Il capitano ristette stupito. Poi fece finta di non avere udito e carezzò su una guancia la donna avviandosi verso le scale. Non si girò neppure per un attimo poiché era ben conscio che sarebbe stata la fine. Salì pesantemente i gradini e quando fu alla sommità vide Isveig uscire dalla camera della madre con tutto il necessario per le pulizie. Leslie la salutò giovialmente e ricevette in risposta un sorriso stanco. "Avete fatto ordine, allora? Non mi sembrava un posto impresentabile." "Non saprei cosa dirle, ma il locale aveva bisogno di essere liberato... tutte i libri di mia madre... insomma: era come lasciare esposto un pezzo della propria vita." "Comprendo benissimo. anch'io avrei fatto la stessa cosa." "Davvero?" "Sì, certamente. Non si lascia nelle mani di un estraneo certi aspetti importanti della nostra esistenza. è una forma di rispetto." Rinfrancata dalle parole del capitano Isveig gli passò a fianco scoccandogli un'occhiata enigmatica. Poi si trascinò al piano inferiore per riporre bruschini e spazzoloni. Atwater restò immobile per qualche minuto, poi, spinto dalla curiosità entrò nella camera della defunta. Quello che vi trovò era un locale completamente vuoto e con un forte olezzo di pulito che copriva quello, naturale, del legno. Fece qualche passo in cerchio sul posto e, per un attimo, ebbe la nostalgia di non avere spulciato la biblioteca della vecchia quando ne aveva avuto la possibilità. Chissà cosa vi stava celato? Magari qualche barboso trattato sulla magia, o forse qualcosa di molto più interessante. Rifletté se i folletti esistessero pure in Islanda o fossero solo patrimonio celtico. Poi, stancatosi di passeggiare a vuoto facendo scricchiolare il pavimento, passò nella sua stanza e si sedette sul bordo del letto. Bizzarramente tutta la stanchezza della giornata gli era passata e, anzi, una curiosa insonnia lo stava prendendolo, impedendogli di posare con tranquillità la testa sul cuscino dopo essersi spogliato. Quasi per caso allungò la mano sul comodino e si imbatté nell'opera del suo amico scomparso David Fitzroy. Aprì a caso un libro e sfogliò alcune pagine: inquietanti visioni di morte e disfacimento apparvero sotto i suoi occhi. Doveva essersi imbattuto nel racconto "Il ritorno" quello che considerava il più malsano di tutta la produzione del suo amico, zeppo di anticipazioni sulla sua imminente scomparsa. Uno strano malessere lo colse e quella che sino a pochi secondi prima era stata una deliziosa casetta colma di effluvi gradevoli e ospitalità deliziosa gli apparve come una trappola micidiale, con una strega come inquilino e due figure misteriose a fare da pigionanti. Per un attimo gli mancò l'aria e corse alla finestra, spalancandola malgrado il freddo. Dal piccolo porticciolo un uomo stava fissando la casa con le mani in tasca e il volto celato da un robusto cappuccio. Il capitano ebbe un mancamento e, dopo avere richiuso la finestra, si trascinò verso il letto e vi si gettò completamente vestito. Si chiese chi poteva essere tanto interessato da gironzolare intorno all'abitazione a quell'ora della sera senza un motivo apparente. Turbato, si avvolse nelle coperte e continuò a riflettere finché un sonno informe lo prese. (Continua) |
Post n°211 pubblicato il 12 Maggio 2016 da street.hassle
Il capitano dormì poche ore e alle prime luci dell'alba era già in piedi, rinfrescato, sbarbato e pulito e si accingeva a scendere le scale fino alla cucina e trovarsi di fronte a una robusta colazione. Quale fu la sua sorpresa nel giungere sul posto e trovarlo completamente svuotato di persone e cibo. "Che sia successo qualcosa di strano in queste poche ore?" Rifletté. Si guardò in giro ed ebbe poi l'accortezza di spiare il bel giardino da una delle finestre. quello che vide lo riempì di stupore: le due sorelle stavano discutendo davanti al cancello. Parlavano ad alta voce nella loro incomprensibile lingua e sembravano quasi sul punto di mettersi le mani addosso. Leslie Atwater pensò che non era il caso di mettersi in mezzo. Lui era uno straniero, persino un occupante, e gli sembrò sensato fare finta di nulla finché la discussione non fosse conclusa. Si preparò del tè e lo bevve accompagnandoli con alcuni biscotti. Poi si accinse ad uscire fuori, nella fredda giornata. Non poteva certo ritardare l'arrivo al campo a causa della discussione delle due donne. Con fare compito accostò la porta e percorse il vialetto sino al cancello. Appena lo videro Isveig ed Eyleif cessarono di parlare e gli si fecero incontro. Parevano improvvisamente riappacificate e lo salutarono calorosamente augurandogli una bella giornata e buon lavoro. Lui ringraziò e prese ad avviarsi verso la jeep che lo attendeva per condurlo dai suoi uomini. Matt Flint, il suo autista gli aveva aperto lo sportello e lo salutò impeccabilmente, prima di mettere in moto e di avviarsi. "Due belle figliole, vero?" Disse, non appena avevano girato la curva. "Persone molto interessanti." ribatté il capitano. Ormai da un anno Flint gli faceva da autista e fra lui e il caporale si era stabilita una complicità che andava al di là del semplice rapporto gerarchico. Matt era un ragazzo simpatico di ventidue anni con folti capelli neri e la fronte bassa. Da quello che sapeva il capitano doveva essere mezzo irlandese. Ma non aveva mai approfondito l'argomento. "Sono molto in gamba. Vivono da sole con una bimba. Sono originali e molto attraenti. Possiedono, caro Matt, il fascino dell'intelligenza." L'autista sorrise, crollando il capo. Di certo aveva mille pensieri scabrosi in testa ma non uno superò il chiostro delle labbra. Arrivarono al campo e Leslie Atwater dedicò la giornata alle esercitazioni e al dispiegamento delle truppe sul territorio. Era un lavoro estenuante e quando, a sera inoltrata, ritrovò l'uscio di casa era a pezzi ma soddisfatto. Le truppe erano state disposte in maniera impeccabile e lui si era preso una menzione speciale dal generale Duchesne per tutto il suo sbattersi a destra e sinistra. Girò le chiavi ( di cui era stato provvisto) nella toppa e aprì la porta. Gli attimi della discussione mattiniera parevano già dimenticati, ed Eyleif con la bambina poco distante era davanti al camino, quasi addormentata. Si riscosse all'ingresso del capitano e gli andò incontro "Allora, come è andata?" gli mormorò levandogli il cappotto "Molto bene. Ma dov'è Isveig?" è nella stanza della mamma. Ha portato via tutti i libri e ora sta dando una pulita." Atwater piegò il labbro inferiore e prese ad oscurarsi in volto. "Quella camera" Pensò "Davvero non capisco perché non hanno provveduto prima a sistemarla. Sembrava, quasi, che avessero il bisogno di conoscermi." Ma fu questione di un attimo "Mi fermerei volentieri a fare due chiacchiere ma sono stanco morto e credo che mi dirigerò immediatamente verso la mia stanza." "D'accordo, Leslie, Ma prima dammi un bacio." (Continua) |
Post n°210 pubblicato il 09 Maggio 2016 da street.hassle
"Ma adesso la lascio" Fece la giovane donna "Deve essere tanto stanco. Non si faccia trattenere oltre dalle mie chiacchiere. Io debbo mettere a letto Agnes e, più tardi, anche Io e mia sorella guadagneremo il riposo meritato." Detto questo Eyleif sparì attraverso la porticina nel muro che collegava con la ex stanza della loro madre. E Leslie Atwater era solo. si guardò intorno, in quel luogo essenziale ma accogliente ed ebbe un potente sbadiglio. Cominciò a spogliarsi e, quando fu in pigiama, si ficcò sotto le coperte, sperando che qualche sogno gli venisse in soccorso a dipanare la matassa di sensazioni contrastanti che lo stava attraversando. Ma il silenzio assoluto che lo circondava gli impediva di addormentarsi. Stava lì, nell'immenso letto, con gli occhi sbarrati e tutte le sue illusioni in un sonno ristoratore andavano, rapidamente, al diavolo. Non poteva non togliersi dalla mente le due sorelle e la loro, strana, peculiarità: l'algido distacco di una e la fresca spontaneità dell'altra, l'apparente sbadataggine di Eyleif e la fredda misura di Isveig. Ad un tratto sentì dei passi nella stanza contigua, quella dove era morta la madre: si riscosse improvvisamente dal dormiveglia in cui era caduto: non accese nessuna lampada ma, a piedi nudi, e tentando di contenere lo scricchiolio, si diresse verso la porticina. Poi accostò l'orecchio alla divisoria ma i passi si erano rapidamente consumati ed estinti, tanto da fargli credere di avere sognato tutto. Fu quando bussarono lievemente alla sua porta che si riscosse e comprese di non essere stato preda di qualche scherzo ipnotico. Eyleif era all'ingresso con fare contrito e si sforzava di vedere nel buio. Il capitano accese una lampada e subito l'inquietudine e la sorpresa evaporarono di fronte alla figura in camicia da notte della donna che era riuscita, sorridente, ad inquadrarlo. "mi scusi il disturbo ma Isveig ha avuto la bella idea di spostare alcuni libri dalla stanza attigua. Ha avuto un'illuminazione e mi ha chiesto di aiutarla, così non potevo esimermi. Però ho udito i suoi passi sul pavimento e mi turbava il fatto che l'avessimo svegliata e si stesse chiedendo cosa stesse succedendo. Quando sono stata certa che lei era riscosso mi sono decisa a bussare." "Ah ,non è nulla. Non riuscivo a pigliare sonno: tutto questo silenzio... è qualcosa di ...oppressivo. Non vi sono più abituato." "La capisco Anche a me talvolta questa quiete dà sui nervi. Sento sovente il bisogno di esplodere." "Che libri cercava sua sorella?" "Oh, alcune stupidaggini di botanica e cose più serie sulla storia delle religioni." "E perché muoversi alle tre di notte per rintracciarli? Era così urgente?" Eyleif non rispose e restò immobile come un dolmen. Poi aprì bocca lentamente e sussurrò nella penombra "Certe cose vanno risolte in fretta. Siamo state indecise fino all'ultimo se farlo o lasciar perdere..." "Lasciare perdere cosa?" Proruppe Atwater." "Bruciare. Bruciare tutto. Nostra madre non era come tutti gli altri. Lei era una wiccan e seguiva la religione misterica neopagana. In Inghilterra aveva incontrato Gerald Brosseau Gardner ed era stata investita del compito di diffondere il culto anche su questa nostra isola. Ma la malattia giunse prima che potesse cominciare. Noi comunque ne siamo fuori, siamo luterane e il proselitismo non ci riguarda, come i libri che teneva sotto il letto. Per questo vorremmo farli sparire, anche se qualcosa di...Insomma, il rispetto per nostra madre ci impedisce di attuare il nostro proposito. I libri, appena sollevati sembrano pesare una tonnellata." Il capitano sorrise "E Io che temevo la noia in Islanda: ecco che mi ritrovo ad abitare nella stessa abitazione di una delle prime wiccan." "Lei dunque conosce il culto della Dea Madre?" "Mia zia era molto interessata alle teorie di Gardner, ma era considerata una vecchia bislacca. A me stava simpatica, comunque." "Il mondo è veramente piccolo" Fece Eyleif con una strana smorfia. "Ma adesso debbo andare. Cerchi di riposare che manca poco all'alba. Ci vedremo a colazione." Detto questo chiuse dolcemente la porta e si avviò lungo il corridoio. (Continua) |
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