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Gli scenari dello scandalo

Post n°735 pubblicato il 24 Luglio 2008 da giromapa

Da Repubblica.it
Un'inchiesta in cui anche magistratura e informazione hanno dimostrato debolezze
Un dossieraggio frutto della guerra tra blocchi di potere

di GIUSEPPE D'AVANZO




Gli scenari dello scandalo

Giuliano Tavaroli




Si sente dire spesso che in quei luoghi, in quelle istituzioni, in quei
paesi dove non soffia alcun venticello di critica pubblica, cresce come
un fungo una corruzione senza colpa.





Non c'è dubbio che l'informazione sia e debba essere, per mestiere e
dovere, un alimento di critica pubblica. C'è il giornalismo che
pretende di ricostruire la verità. C'è un altro giornalismo che sa di
non poter afferrare con una presa sicura l'intera storia che racconta.
E' un giornalismo consapevole di un limite e accetta di lavorare a una
continua approssimazione della verità, cosciente che non saprà mai
davvero che cos'è la verità, ma saprà che cos'è la menzogna. La
indicherà ai suoi lettori. Vi si opporrà, per quel che poco o molto che
è in grado di fare. E potrà ripetere ai pochi o ai molti che gli
concedono ogni giorno fiducia: "Non vi abbiamo mentito".





Avremmo mentito ai nostri lettori se avessimo accettato le conclusioni
minimaliste dell'affaire Telecom. In questi giorni si è andata
disegnando, da più parti e anche con voci autorevoli, una scena
capovolta, fuori da ogni cardine. Scomparivano i protagonisti e i
comprimari, le loro condotte e responsabilità, la lunga scia di
illegalità, abusi e ricatti. Come d'incanto, soltanto distrattamente si
ricordava al lettore (e c'è chi non ha fatto nemmeno questo) che, nella
maggiore società di telecomunicazioni del Paese, la Telecom Italia di
Marco Tronchetti Provera, sono stati raccolti migliaia di dossier
illegali in collaborazione con l'intelligence italiana, in violazione
di ogni privacy con finalità ancora tutta da chiarire.
In occasione della
conclusione delle indagini, l'imputazione di una responsabilità
oggettiva di Pirelli e Telecom in capo al suo presidente (Tronchetti) e
amministratore delegato (Buora) è apparsa diventare, a leggere alcuni
commenti e bizzarre dichiarazioni, un'assoluzione piena: un esito da
esibire come un fiore all'occhiello. Per farlo, bisognava lavorare a
una cosmesi dei fatti.
Un annuncio di fine indagine è stato presentato come un proscioglimento
definitivo come se si trattasse di una sentenza assolutoria e
conclusiva, prima di leggere la richiesta di rinvio a giudizio che
ancora non c'è e la decisione del giudice dell'udienza preliminare che
un giorno verrà.





Si è scritto che Tronchetti è stato "scagionato". Il primo a crederci è
stato il presidente di Pirelli. Si è detto "contento e molto
soddisfatto perché è emersa con chiarezza la verità". La verità
provvisoria è che due società Pirelli e Telecom (con Tronchetti legale
rappresentante) non hanno impedito ai propri dipendenti di commettere
reati nell'interesse delle società. Tronchetti non avverte la
responsabilità di quella omissione. Non crede di dover chiedere almeno
scusa, con umiltà, agli spiati o almeno agli azionisti Telecom: già
provati dalla sua gestione, dovranno presto mettere mano al portafoglio
per pagare centinaia di miliardi di risarcimento alle vittime dello
spionaggio fiorito per la trascuratezza di un presidente e di un
amministratore delegato.





Non è nemmeno il peggio. Il peggio è l'acquerello a tinte tenui che
vuole rappresentare l'affaire. Tre amici d'infanzia (Tavaroli, Mancini,
Cipriani) fanno carriera partendo dal fondo della scala. Conquistano la
potente e ricca security della Telecom (Tavaroli), il controspionaggio
militare (Mancini), un'importante agenzia d'investigazione (Cipriani).
Incrociano le informazioni in loro possesso. Formano dossier
spionistici in libertà con le risorse della Telecom e dello Stato.
Lucrano profitti e potere personali. Fine dell'affaire.





Avremmo mentito se avessimo accettato senza un dubbio, senza un
interrogativo questo tableau piccino, semplificatorio. E non per un
pregiudizio sfavorevole alla Telecom o a Tronchetti Provera. Ma per
quel che già si è potuto leggere nelle cinque ordinanze dei giudici
milanesi.





La security di Tavaroli disponeva di risorse finanziarie senza limiti,
alimentate in parte dal "fondo personale" del presidente. Nessun
controllo aziendale di audit. Dipendenza diretta dal presidente.
Quattro diversi "sistemi" capaci di rubare informazioni riservate senza
lasciare traccia. Una piattaforma di hackeraggio ("zone H") nei paesi
dell'Est, utilizzata per intrusioni informatiche, finanziata dalla
Telecom e posta in bilancio come "investimento per immobilizzazione
materiale" (poteva dare benefici a lungo termine). Una rete di pubblici
ufficiali sparsi su tutto il territorio nazionale, ""sensori" per ogni
indagine o accertamento che potesse interessare la Telecom-Pirelli".
Collegamenti con l'intelligence francese, inglese, americana,
israeliana e naturalmente italiana. Una pericolosissima "macchina da
guerra".





In due occasioni, il giudice per le indagini preliminari Giuseppe
Gennari ne indica esplicitamente il beneficiario. Ordinanza 18 gennaio
2006, pag. 188: "... che Tavaroli gestisse pratiche di questo genere
nel suo singolare interesse è altamente improbabile. Ci troviamo di
fronte a una gravissima intromissione nella vita privata delle persone
e a un tentativo di captazione occulta di dati e notizie riservate,
mossa da logiche puramente partigiane, nella contrapposizione tra
blocchi di potere economico e finanziario. Logiche che tendono a
beneficiare non già l'azienda come tale, ma colui che, in un dato
momento storico, ne è il proprietario di controllo". Ordinanza 20 marzo
2007, pag. 168: "Osserviamo anche il riemergere di una tipologia di
investigazioni che, in modo difficilmente revocabile in dubbio,
rispondevano a esigenze dei vertici e della proprietà aziendale".





La convinzione del giudice quasi imponeva a un autonomo lavoro
giornalistico di cercare Giuliano Tavaroli. Di chiedergli un colloquio.
Di raccogliere la sua versione dei fatti. Era il diavolo. Era descritto
come l'artefice e il conduttore di quella "macchina da guerra". Si
diceva che avesse lavorato nel suo esclusivo interesse gabbando il suo
padrone. Che cosa aveva da dire? Qual era la sua verità? E questa
verità non era, pur nella sua parzialità, di interesse pubblico in un
affaire dove tutti avevano avuto possibilità di accusare o difendersi e
che aveva provocato anche un decreto di legge del governo approvato
dalle Camere (la distruzione dei dossier raccolti illegalmente)?
Sono queste le ragioni
che hanno convinto Repubblica a pubblicare l'ampio resoconto dei
colloqui con Giuliano Tavaroli.





Abbiamo ritenuto che l'inedita ed esclusiva ricostruzione del
principale indagato (anche con le possibili manipolazioni di cui
abbiamo avvertito il lettore) potesse dare al quadro un tassello in più
e una profondità, una concretezza, un profilo che le anticipazioni
giudiziarie annunciavano piatto, senza asperità, quasi neutro con la
storia assai poco credibile dei "tre amici intraprendenti".
Comprendiamo l'irritazione di chi, proclamandosi estraneo a quei fatti,
ne è stato coinvolto. Ma oggi abbiamo sotto gli occhi, con i nomi, i
cognomi, qualche circostanza e dettaglio, quella "contrapposizione tra
blocchi di potere" già intuita dal giudice nel gennaio del 2006. Vi
affiorano figure che decidono della cosa pubblica senza alcuna
responsabilità istituzionale; una filiera di immarcescibili massoni che
lo scandalo della P2 non ha eliminato dalla scena; comportamenti
obliqui di governanti; ricatti; corruzione piccola e grande; debolezze
della magistratura, dell'informazione, delle amministrazioni dello
Stato e, al centro, una sorda lotta per il potere che non si fa mai
trasparente.






Non ci appare la verità. Ci appare uno scenario più vicino alla realtà
dello scandalo Telecom.






(23 luglio 2008)

 
 
 

Tavaroli: "Tronchetti mi ordinòun dossier sui soldi ai ds"

Post n°734 pubblicato il 24 Luglio 2008 da giromapa

Da Repubblica.it
Seconda parte del colloquio con l'ex capo della security Telecom
"Verificai eventuali tangenti pagate da Colaninno, fu un lavoraccio"
di GIUSEPPE D'AVANZO




Tavaroli:

Giuliano Tavaroli













GIULIANO Tavaroli dice: "Quando Pirelli acquisisce Telecom Italia,
agosto 2001, Marco Tronchetti Provera mi annuncia: "Lei verrà con me a
Roma". Poi mi chiama Carlo Buora. Lo incontro a Milano in trasferimento
dalla montagna al mare - ero in vacanza con i miei - e quello mi dice
che non se ne fa più nulla. Mi spiega: "Contrordine, lei resterà in
Pirelli, Enrico Bondi (all'epoca, amministratore delegato)
vuole con sé in Telecom un altro. Naturalmente ne parlo con Tronchetti
Provera che mi rassicura: "Lei si occuperà delle mie cose romane". Le
sue "cose romane" erano i suoi guai romani. E c'erano guai dappertutto,
in quel momento".






"Gasparri (il ministro delle Telecomunicazioni)
non gli piaceva e Tronchetti non piaceva a Gasparri. In estate, al
festival dell'Unità di Rimini, Massimo D'Alema lo attacca a testa
bassa...


Ho già detto che una concezione moderna della sicurezza (che è reputazione,
soprattutto) deve fronteggiare anche - o soprattutto - quella roba lì,
gli attacchi politici, le ostilità di parte, i pregiudizi, i veleni.
Deve saper leggere e anticipare le iniziative avverse, condizionare le
mosse dei rivali o ridurli al silenzio. E' un lavoro che si nutre di
conoscenza. Conoscenza dell'avversario, delle sue ragioni più
autentiche e nascoste, ma è anche "sapere" e dunque capacità di
adattarsi a quella "emergenza" o sventandola o ridimensionandola. In
gergo, le chiamiamo "analisi del rischio" e "analisi di scenario". In
quell'avvio di gestione della Telecom, ne avevamo bisogno come
dell'aria. Il momento intorno a noi era sconfortante. Non c'era stato
soltanto l'11 settembre, c'erano ancora le macerie dello sgonfiamento
della bolla speculativa, la catastrofe dei bond argentini".










(Tavaroli
qui svela - e nemmeno troppo velatamente - il lavoro di spionaggio a
cui, sostiene, "nessuna azienda rinuncia". Lo riduce a raccolta di
informazioni, a "mappatura" - diciamo così - dei caratteri, delle
opinioni, delle forze e delle debolezze dei potenti, vecchi e nuovi,
che, di volta in volta, Tronchetti deve fronteggiare, rassicurare,
tenere alla larga. La "conoscenza", come la definisce, è soltanto il
punto di partenza del suo lavoro. Per questi giocatori, per questo
gioco, è la mossa d'apertura, il livello minimo richiesto per poter
entrare in campo. La differenza vera la fa il "sapere", la combinazione
di competenze multiple che rende possibili scambi, pratiche,
compatibili assunzioni di rischi, la creazione di qualche minacciosa
favola da diffondere. Tavaroli adopera un altro vocabolario, un'altra
sintassi. Parla di "analisi delle forze in campo", di "amici/nemici"
ma, in soldoni, non è che l'esito sia diverso. Sempre di spionaggio si
parla. La scena pare questa. Marco Tronchetti Provera, arrivato in
Telecom, è consapevole di essere uno "straniero" nella geografia del
potere. Le leve del comando - i primi governi Berlusconi hanno un peso
politico debole, frammentato, privi di una strategia di lungo periodo,
stretti intorno a un uomo solo interessato esclusivamente al proprio
destino personale e imprenditoriale - sono custodite e sostenute da uno
schema "antico" che Tavaroli, come ambasciatore di Tronchetti, ha
incontrato nel giro delle sette chiese romane. "Un network eversivo",
lo definisce. Ne indica qualche nome: Letta, Bisignani, Cossiga,
Scaroni, Elia Valori, Pollari, Speciale, Corigliano. E' un'area di
potere che costringe un estraneo come Tronchetti in un disequilibrio
informativo che lo condanna a subire, sopportare; a essere
condizionato. Essere consapevoli di quell'asimmetricità è il punto di
partenza. Sapere è allora il terreno della risposta. Come affrontare
l'avversario? Come rendergli conveniente venire a patti o rinunciare a
ogni ostilità? Come guadagnare un margine di inviolabilità? E' un
confronto sotterraneo e senza esclusione di colpi. A sentire Tavaroli -
che va ripetuto non è un testimone neutro, ma il principale indagato
dell'affaire - è questo il mestiere che Marco Tronchetti Provera gli
affida
).

"Di volta in volta bisogna adattare le proprie iniziative
all'avversario. D'Alema, per esempio. Penso di contattare Lucia
Annunziata, allora direttore dell'agenzia Apcom. Ha buoni
rapporti con D'Alema. Scelgo lei come canale per entrare in contatto
con il presidente dei Ds. Con Lucia si parla anche di futuro. Lei mi
prospetta l'acquisizione dell'agenzia, me ne mostra i vantaggi e le
opportunità. Non era una cattiva idea, in fondo. Non avevamo in pancia
contenuti e ne avevamo bisogno. Peraltro, saremmo entrati in contatto
con il mondo Associated Press, il meglio. L'affare poi si fece,
come si sa. Comunque, l'incontro D'Alema/Tronchetti si organizzò e
Lucia divenne consulente della Telecom.





Racconto un altro episodio dello stesso tipo. Un giorno mi chiama
Buora. Nel suo ufficio ci sono tutti quelli che contano e sembrano
sull'orlo di una crisi di nervi. Buora mi dice che Giulio Tremonti (ministro dell'Economia),
soffia ai banchieri, in ogni occasione, che Telecom è prossima al
fallimento. La voce diffusa in ambienti qualificati da una fonte così
autorevole è per noi una sciagura. Mi metto al lavoro. Tra Tremonti e
Tronchetti non ci sono rapporti. Ho come la sensazione che Tremonti, da
sempre consulente dei maggiori imprenditori italiani, diventato
ministro, stia scaricando sui suoi antichi assistiti una ruggine
velenosa. Decido di mettermi in contatto con il capo della sua
segreteria, un ufficiale della Guardia di Finanza, Marco Milanese, che
poi lascerà le Fiamme Gialle per lavorare direttamente nello studio di
Tremonti. Contattare Milanese, proprio lui e non altri, è un modo per
dire a Tremonti: conosco i tuoi metodi, conosco il tuo sistema, chi lo
agisce e interpreta, da dove possono venirti le informazioni - vere o
false - che possono danneggiare la mia azienda. Non c'è bisogno di
molte parole. Quelle cose lì, si capiscono al volo nel nostro mondo. I
due - Tronchetti e Tremonti - si incontrano. I problemi si risolvono.
Nessuno parlerà più di fallimento con i banchieri.






Altro episodio. Il Dottore (Tronchetti)
mi chiede di dare uno sguardo a Finsiel, allora amministrata da suo
cugino Nino Tronchetti Provera. Perché non si vince una gara, perché si
perde sempre? Gli appronto una rete di relazioni e qualche "analisi".
Ancora. La Kroll, la maggiore agenzia d'investigazione del mondo,
riceve da Gianni Letta (sottosegretario alla presidenza del Consiglio)
l'incarico di rintracciare il tesoro segreto di Calisto Tanzi
(Parmalat). Nell'autunno del 2004, l'uomo in Italia della Kroll, un
belga d'origine italiana che si chiama Nunzio Rizzi, incontra Gianni
Letta e gli chiede "se il governo ha nulla in contrario che l'agenzia
organizzi un'azione di discredito contro Marco Tronchetti Provera".
Sorprendentemente, invece di metterlo alla porta, Letta (ha anche la delega ai servizi segreti)
prende tempo: "Le farò sapere!". Letta avverte Tronchetti. Che,
allarmatissimo, mi spedisce a Roma in tutta fretta. E' il mio primo
incontro con Gianni Letta. Mi tiene lì per quaranta minuti. Beviamo un
caffè. Mi dice: noi abbiamo un amico in comune, "il nostro Marco" (Mancini).
Letta mi spiega le intenzioni di Rizzi. Organizzo una contro-operazione
di discredito ai danni della Kroll. Il 6 novembre 2004, faccio
pubblicare che c'è "un mandato d'arresto per l'uomo della Kroll, Nunzio
Rizzi". La notizia è del tutto falsa, ma alla Kroll capiscono che gli è
andata male. E noi, in Telecom, capiamo il senso di quella storia:
hanno mandato a dire a Tronchetti che non si fidano di lui, che la sua
reputazione può essere sporcata se gli ambienti politici non fanno
barriera e quindi è meglio andare d'accordo".






(Tavaroli
chiarisce che dal suo orizzonte di lavoro - e intende la rete di
rapporti e liaison che possono rendere trasparenti o protette le
intenzioni di Tronchetti - nessuno è escluso. Nemmeno la magistratura
).






"Era più o meno il settembre del 2001. Mi chiama Armando Spataro,
allora membro del Consiglio superiore della magistratura. Mi dice: "Il
tuo capo ha risolto i problemi di Berlusconi". Era accaduto che Pirelli
Real Estate avesse rilevato Edilnord di Berlusconi che navigava in
cattive acque. Per Pirelli era un affare, per Spataro un favore. Nel
2003 Armando ritorna a Milano come procuratore aggiunto. Ho l'idea di
farlo incontrare con Tronchetti. Organizzo il meeting. Ma, quel giorno,
commetto un errore grave. Invece di andare via, come facevo sempre,
rimango nella stanza e sono testimone della loro conversazione. Che non
va per nulla bene. Quasi al termine, Tronchetti chiarisce che
magistratura e politica devono reciprocamente rispettarsi e che il
lavoro dei giudici non può pregiudicare le responsabilità della
politica. E' più o meno una banalità, ma detta in quel momento suonò
alle orecchie di Armando come una difesa pregiudiziale di Berlusconi e
una censura per le iniziative della magistratura. Spataro ne ricava la
convinzione di avere di fronte un uomo piegato agli interessi di
Berlusconi. Nessuno gli ha tolto più quell'idea dalla testa.





Questo era il mio lavoro: creare una rete di protezione personale
intorno a Tronchetti e di sicurezza per l'azienda, rimuovere le
inimicizie preconcette, le ostilità, il malanimo, le presunte
incompatibilità. Non è sempre affare per deboli di stomaco. Ecco che
cosa intendo quando dico che il perimetro della security si era di
molto allargato. Ecco che cosa intendeva Marco Tronchetti Provera
quando mi diceva: "Le abbiamo chiesto troppo". Se avevo bisogno di
informazioni sugli antagonisti mi rivolgevo a Emanuele Cipriani (investigatore privato della Polis d'Istinto).
Che me le procurava. Sono pronto ad ammettere che ci sono state - ma
questi sono affari di Cipriani - indagini illegali. Ammetto che
bisognerà spiegare le intrusioni informatiche ai danni di Massimo
Mucchetti e Vittorio Colao (vicedirettore del Corriere e amministratore delegato di Rcs).
Ma non ci sono state intercettazioni abusive né ricatti. Nell'indagine
della procura di Milano, non ce n'è traccia. Il mio lavoro non si è mai
arricchito di quella roba lì. Le cose andavano così. Fino a quando sono
stato in Pirelli, sono stato più o meno un "centro di servizi".
Tronchetti Provera, da Telecom, aveva bisogno di informazioni. Mi
chiamava e io provvedevo a raccoglierle. Nessuno si dovrebbe
meravigliare. Le aziende vivono di informazioni fino alla raffinatezza
delle "analisi predittive". E non esitano a sporcarsi le mani. Un
esempio? Per quel che so, l'"Operazione Quattro Gatti", lo sganciamento
di Mastella dal centro-destra organizzato nel 1998 da Cossiga, fu
finanziato per intero dai gestori della telefonia: Sentinelli (Tim),
Novari (3), Pompei (Wind), con il sostegno della Ericsson.





Quando arrivo in Telecom, il lavoro cambia. Agisco "di iniziativa"
sulle analisi tipiche della sicurezza. Attenzione, però, il "sistema
Tavaroli" non era e non è mai stato il "sistema Cipriani"".






(Tavaroli
non ammette che l'uno integrava l'altro, che l'uno sosteneva l'altro e
mai parla del ruolo di Marco Mancini, il capo del controspionaggio. Lo
ripetiamo ancora: questa è soltanto la verità di un indagato
).






"E' a questo punto che arrivano i primi segnali dal "network eversivo".
Si fanno sotto quelli che io chiamo "i massoni". Cominciano a scorgere,
avvertendole come una minaccia, tutte le potenzialità di quel lavoro,
della mia presenza a Telecom, del mio legame con Marco Mancini in
ascesa nel Sismi, delle opportunità di integrazione in un unico
"nastro" delle informazioni in possesso per motivi istituzionali di una
grande azienda di telecomunicazioni e di un servizio segreto. Lo
avevate capito anche voi a Repubblica,
ma immaginavate che Telecom fosse il centro del "sistema" e non solo un
segmento, il più fragile. Arriva il primo segnale e non faccio fatica a
"leggerlo". Le manovre compromettenti (è sospettato di essere coinvolto in un traffico d'armi) di Slaedine Jnifen, fratello di Afef (la moglie di Tronchetti)
con uno dei figli di Gheddafi mi sono segnalate prima da Nicolò
Pollari. Mi dice: i servizi libici minacciano di ucciderlo. Poi da
Luigi Bisignani che aveva avuto l'informazione dalla Guardia di
Finanza. Capii la musica. Anche Afef parve a rischio".






(Tavaroli
non dice né vuole dire se il dossier raccolto anche sulla moglie di
Tronchetti sia stato una sua personale iniziativa o un'operazione
commissionata da altri o addirittura concordata con il presidente della
Telecom
).






"E' un fatto che Afef si porta dietro tutte le amicizie romane del
primo marito, Marco Squatriti (Andreotti, Bisignani, Letta). Ricordo
che, quando Squatriti finisce in carcere, il primo che gli va a fare
visita, come avvocato anche se non era il suo avvocato, è Cesare
Previti. L'uomo deve essere finito al centro di una faccenda molto
seria. Perché nessuno s'incuriosisce al finale della storia di
Italsanità (era
la società dell'Iri che aveva affittato dai privati 28 immobili da
destinare a residenze per anziani, impegnandosi a pagare affitti per
1.000 miliardi in nove anni, di cui 572 a Squatriti, titolare degli 11
contratti più consistenti
)? Sono stati rimborsati a Squatriti un
centinaio di miliardi di lire. Oggi Squatriti non ha più un soldo. Dove
sono finiti i denari? E, soprattutto, di chi erano? Forse per tenersi
buono questo giro, il Dottore ingaggia Maurizio Costanzo (P2, tessera Roma 152), tutt'uno con Previti, Squatriti, Gianfranco Rossi (il
faccendiere romano, arrestato nel giugno 1994, è l'intestatario del
conto corrente "coperto" FF 2927 presso la Trade Development Bank di
Ginevra, conto sul quale sono affluiti 2 milioni e 200 mila dollari
fornitigli da Bisignani e parte della maxitangente pagata dall'Enimont
ai partiti di governo
), Luigi Bisignani (P2, tessera Roma 203).






Tronchetti retribuisce Costanzo con 3 milioni di euro all'anno
soltanto, in definitiva, per costruire l'immagine di Afef. Ma, in
realtà, Tronchetti vuole tenerlo buono e, nel contempo, alla larga.
Costanzo non aveva nemmeno il numero diretto del suo cellulare. Si
ripetono i segnali negativi.





Salvatore Cirafici, capo della sicurezza di Wind, un massone, mi
racconta che è stato interpellato da un giornalista del Giornale
che sta preparando un articolo contro di me, ispirato da Luigi
Bisignani. Che ci fossero fibrillazioni in corso, lo deduco anche da
altri episodi. Poco dopo il Natale del 2002, diciamo nel gennaio del
2003, Berlusconi convoca Pollari a Palazzo Chigi e gli chiede a brutto
muso: "Chi è questo Tavaroli?", "E' vero che Mancini è un comunista"?
Pollari replica, difende Mancini e comunica che sta per nominarlo capo
della 1° Divisione. Berlusconi abbozza. Non poteva dire di no a
Pollari. Come non glielo ha potuto dire poi, con il governo successivo,
Romano Prodi, che ha sempre difeso il direttore del Sismi.





La faccio breve, nel 2004 fonti della Guardia di Finanza fanno sapere
in Telecom che "Tavaroli, da punto di forza, è diventato un punto di
debolezza". A maggio mi convoca Tronchetti e, alla presenza di Buora,
mi consiglia di accettare una aspettativa di tre mesi per far calare il
polverone su di me e la società. Accetto, non ho alternative. Per tre
mesi, il telefono si fa muto. Non mi chiama più nessuno, se si esclude
Adamo Bove (il
dirigente della security governance della Telecom precipitato il 21
luglio 2006 da un cavalcavia della tangenziale di Napoli: suicidio o
istigazione al suicidio?
). Vado in Romania. Mi richiamano in Italia
dopo l'attentato al Tube di Londra del 7 luglio 2005. Tronchetti chiede
a Letta se può darmi una consulenza antiterrorismo. Letta si dice
d'accordo "nell'interesse del Paese". A fine anno, il Dottore mi dice:
devi rientrare.





Nel gennaio 2006, quando sono pronto a rientrare, Cipriani si fa
abbindolare dai carabinieri di Firenze che non hanno mai smesso di
blandirlo: "Vuota il sacco e le tue responsabilità saranno ridotte al
minimo...".





Quello ci casca e trovano il dvd con i file illegali, peraltro già in
possesso di Emilio Ricci, avvocato, romano, comunista, amico mio, di
Pollari, di D'Alema. Cipriani consegna la password ai pm. In tempo
reale la notizia arriva a Tronchetti - penso attraverso l'avvocato
Mucciarelli. Il Dottore mi convoca. Mi dice: hanno il dvd; l'hanno
aperto; lei non può più tornare in azienda. Io mi mostro preoccupato.
Gli dico: su quel dvd ci sono i file di Brancher, e di Cesa, e la
faccenda di D'Alema e dell'Oak Fund. Inizialmente, Tronchetti finge di
non ricordare. "D'Alema? - dice - e che c'entra, io non so nulla...".
Poi, qualche giorno dopo, gli torna la memoria e ammetterà che era
stato lui a commissionarmi quel lavoro per verificare se,
nell'acquisizione di Colaninno, fossero state pagate tangenti. Qualche
mese dopo, in maggio, Tronchetti alla presenza del solito Buora mi
chiede le dimissioni. Fu un lavoraccio, l'inchiesta "Oak Fund". Per
quel che poi ha scritto Cipriani nel dossier chiamato "Baffino", ora
nelle mani della procura di Milano, i soldi hanno viaggiato nella
pancia di trecento società in giro per l'Europa per poi approdare a
Londra nel conto dell'Oak Fund, a cui erano interessati i fratelli
Magnoni (Giorgio, Aldo e Ruggiero, vicepresidente della Lehman Brothers Europe) e dove avevano la firma Nicola Rossi e Piero Fassino.






Queste cose le ho dette anche ai pm che mi hanno interrogato. Loro mi
dicevano: non scriviamo i nomi nel verbale, diciamo "esponenti
politici...".





Formalmente perché è necessario attendere la sentenza della Corte
Costituzionale per sapere se quei dossier raccolti illegalmente sono
utilizzabili nel giudizio. Ma, dico io, se mi prendi a verbale non hai
più bisogno della Corte Costituzionale, hai il mio verbale che contiene
la notizia di reato. E allora?





Sono assolutamente convinto che Tronchetti sapesse in tempo reale quali
fossero le intenzioni e le mosse della procura. Credo che egli abbia
lasciato esplodere il "caso Rovati" al solo scopo di anticipare il
governo e trovare una dignitosa e sdegnata via d'uscita. Con quel che
sarebbe successo di lì a un paio di mesi, il governo avrebbe potuto
dirgli: non hai l'autorità né la credibilità per governare le reti. Ora
Tronchetti Provera lascia dire e scrivere che sono stati Romano Prodi,
Giovanni Bazoli e Guido Rossi a sottrargli la Telecom senza dire una
parola su quel network di potere, eversivo che io, nel suo interesse e
su sua richiesta, ho fronteggiato e da cui sono stato distrutto;
quell'area di potere che decide le nomine che contano, che in apparenza
non chiede e, invece, ordina con messaggi traversi che è bene cogliere
al volo per non dare l'idea che la si stia sfidando. Genio
dell'opportunismo qual è, Tronchetti vuole ritornare sulla scena forte
della liquidità incassata in uscita dalla Telecom, candido e senza
un'ombra. Solo io dovrei pagarne il prezzo, ma gli è capitato il
peggiore cliente possibile. Non ho nulla da perdere. Mi hanno già tolto
tutto. Devo soltanto dimostrare ai miei cinque figli che il loro papà
non è il mascalzone che raccontano, che il loro papà ha concesso
soltanto fiducia a chi non la meritava. Per questo ripeto: non
accetterò mai di essere il capro espiatorio di questo affare".



(2. Fine) Torna alla prima puntata







(22 luglio 2008)

 
 
 

"E Tronchetti mi disse:Le abbiamo chiesto troppo"

Post n°733 pubblicato il 24 Luglio 2008 da giromapa
 

Da Repubblica.it
Parla Tavaroli, l'ex capo della security Telecom al centro dell'inchiesta sui dossier illeciti
"Voglio il processo con tutte le mie forze, dimostrerò che ho fatto ciò che mi chiedevano"
di GIUSEPPE D'AVANZO





Tavaroli con Tronchetti Provera




A leggere i giornali, e qualche anticipazione del documento che
annuncerà oggi la chiusura delle indagini del pubblico ministero di
Milano, l'affaire Telecom sembra essersi sgonfiato come un budino
malfatto. Più o meno, si sostiene che fossero all'opera, in Telecom,
soltanto un mascalzone (Giuliano Tavaroli) e un paio di suoi amici
d'infanzia (Emanuele Cipriani, un investigatore privato, e Marco
Mancini, il capo del controspionaggio del Sismi). La combriccola voleva
lucrare un po' di denaro per far bella vita e una serena vecchiaia. I
"mascalzoni" avrebbero abusato dell'ingenuità di Marco Tronchetti
Provera (presidente) e di Carlo Buora (amministratore delegato). Tutto
qui.





L'affaire Telecom è stato dunque, secondo quest'interpretazione,
soltanto un bluff mediatico-giudiziario utilizzato (o, per alcuni
avventurosi osservatori, organizzato) da circoli politici per sottrarre
al "povero" Tronchetti la società di telecomunicazioni.





La ricostruzione è minimalista. Evita di prendere in esame, anche
soltanto con approssimazione, la sequenza dei fatti accertati (a
cominciare dalla raccolta di migliaia di dossier illegali); la loro
pericolosità; i protagonisti (alcuni mai nemmeno nominati); un
multiforme network di potere che condiziona ancora oggi
un'imprenditoria debole senza capitali e una politica fragile senza
legittimità: imprenditoria e politica sorrette, protette o minacciate -
secondo convenienza - da alcune burocrazie della sicurezza. È nelle
pieghe di questi deficit e contraddizioni italiani che è fiorito
l'affaire, uno scandalo che nessuno - a quanto pare - ha voglia di
affrontare. Vedremo se lo farà la prudente magistratura di Milano.





Per definire almeno la cornice del "caso" e gli attori e un metodo e
qualche fondo fangoso, Repubblica -
nel corso del 2008 - ha avuto sei colloqui (a Bereguardo, Milano e
Albenga) con un Giuliano Tavaroli convinto già da tempo (e quel che
accade sembra dargli ragione) che "nessuno avrà interesse a celebrare
il "processo Telecom". Nessuno: né i pubblici ministeri, né gli
imputati, né la Telecom vecchia, né la Telecom nuova. Ma io non sono e
non farò né accetterò mai di essere il capro espiatorio di questo
affare. Io vorrò con tutte le mie forze il processo e nel processo
vorrò vederli in faccia ripetere quel che hanno riferito ai magistrati.
Il mio vantaggio è che tutti - tutti - hanno mentito in questa storia,
e io sono in grado di dimostrare che le informazioni che ho raccolto
sono state distribuite in azienda perché commissionate dall'azienda e
nel suo interesse... Ne ho sentite di tutti i colori. Come Marco
Tronchetti Provera che nega di aver mai avuto conti all'estero, come se
non sapessi che per lo meno fino al 2006 i suoi conti erano a
Montecarlo".


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Tavaroli lamenta di essere stato "messo in mezzo" per aprire la strada
all'inchiesta Abu Omar. E' il "signore della sicurezza" Telecom. I
pubblici ministeri devono intercettare gli uomini del Sismi che hanno
cooperato con la Cia per sequestrare illegalmente il cittadino
egiziano, sospettato di essere un terrorista. Con i buoni rapporti di
Tavaroli con il Sismi, l'operazione sarebbe stata a rischio. "Così -
dice Tavaroli - hanno cominciato a indagare su di me in modo
strumentale. Sì, strumentale. Potrei farvelo leggere nelle carte. Nelle
carte c'è scritto. Dispongono la perquisizione nel mio ufficio con un
unico obiettivo: rimuovermi dal mio posto nella convinzione che, se non
lo avessero fatto, non avrebbero avuto campo libero per le
intercettazioni dell'inchiesta Abu Omar e quindi per l'ascolto decisivo
dei funzionari del Sismi. Pensavano: questo Tavaroli se ne accorge e
avverte il suo amico Mancini (era il capo del controspionaggio
dell'intelligence) e noi non caviamo un ragno dal buco. Così sono
finito nel tritacarne...".





Sarà, quel che è saltato poi fuori giustificava l'iniziativa penale, ma
qui conta altro. E' vero o è falso che, nel tempo, si è creata una
sovrapposizione operativa, una contiguità d'interessi tra
l'intelligence di Stato, le security delle grandi aziende al servizio
di obiettivi ora istituzionali ora politici ora economici, ora l'uno e
l'altro? Un "sistema" che per alcuni anni ha avuto il suo centro nella
Telecom di Marco Tronchetti Provera?





Tavaroli dice che, se si vuole davvero capire che cosa è accaduto in
Telecom, bisogna andare indietro nel tempo.






Una data d'inizio.


"Questo metodo ha, se si vuole, una data d'inizio con la nascita del
nucleo speciale di polizia giudiziaria a Torino, un gruppo che non
aveva alcuna corrispondenza nell'Arma dei carabinieri. Esisteva
soltanto lì a Torino, dove il generale Dalla Chiesa era comandante (Tavaroli lo chiama sempre il Generale, e sembra di vedere la maiuscola).
E' nel "nucleo" che nascono l'operazione di Frate Mitra che conduce
all'arresto di Renato Curcio o all'arresto di Patrizio Peci. In
quest'occasione furono "infiltrati" in Fiat - con l'assenso e la
collaborazione della "sicurezza" dell'azienda - cinque operai
"collaborazionisti": uno di essi fu poi reclutato dalle Brigate Rosse;
fu l'uomo che indicò al Generale il "covo" di Peci.





Dopo questi successi il metodo trovò una "natura giuridica", una
sistematizzazione legislativa. Non è che le nuove leggi lo prevedessero
esplicitamente, ma rendevano possibile - meglio, tolleravano - quei
sistemi se, in qualche modo, "controllati" dall'autorità giudiziaria.
Diciamo che le linee di collaborazione con la magistratura si
accorciarono e capitava che il pubblico ministero lavorasse gomito a
gomito con il sottufficiale operativo senza la mediazione delle
gerarchie. Nacquero le sezione speciali anticrimine. Con l'assassinio
di Guido Rossa, comincia la collaborazione anche del Pci e dei
sindacati. Ugo Pecchioli offre tutte le informazioni che i militanti e
i sindacalisti raccolgono nelle fabbriche. Indicano tutti i nomi di
coloro che, in fabbrica, sono o paiono essere vicini al terrorismo. Ci
sono ancora in giro ex-sindacalisti che possono essere buoni testimoni
di questo lavoro".






(Dunque,
vediamo integrati in una sola "piattaforma", l'Arma dei carabinieri con
un suo nucleo speciale, le procure alle prese con un "diritto speciale
di polizia", le attività informative della più grande impresa privata
del Paese, la Fiat, e del maggior partito di opposizione, il Pci,
presente in modo massiccio nel sindacato e nelle fabbriche. Lo schema è
destinato a riprodursi e, con la sconfitta del terrorismo, a
deformarsi, a "privatizzarsi"
).






"Diciamo che nella lotta al terrorismo nacque un "sistema" e fu
selezionata un'élite di professionisti, che è o è stata al vertice
della security delle maggiori imprese italiane. Con i pool di
magistrati, operavamo a stretto contatto, avevamo molte responsabilità
anche di decisione. Accadde quello che nelle aziende si sarebbe
chiamato "accorciamento della catena decisionale". Gli ufficiali in
parte partecipavano e comprendevano l'importanza dell'esperienza, in
parte avvertivano di avere meno potere: contavano le competenze e non
il grado sulla spalla. Si forma così una generazione di uomini che
emerge per il merito, la competenza. Siamo in un periodo di "leadership
situazionali", ovvero di persone che prendono la leadership a seconda
delle situazioni e delle circostanze, con grande flessibilità. E' in
questo periodo che si afferma "la dittatura della conoscenza". Conta
chi ha competenza e conoscenza e capacità di analisi. Ecco perché io e
Marco Mancini ci affermammo nonostante fossimo soltanto dei
sottufficiali: noi avevamo competenza e conoscenza. I generali avevano
i gradi, ma né l'una né l'altra.





Nel dicembre del 1988, quasi con un colpo di testa - decisi d'istinto,
dalla mattina alla sera, appena mi arrivò la proposta - lasciai l'Arma
per l'Italtel. Ormai noi dell'Antiterrorismo ci giravamo i pollici.
Molti si decisero a riciclare i loro metodi nella lotta alla
criminalità organizzata. Non era per me. Io penso che la mafia ti
rovini la testa, ti avveleni. Quando mi chiudo alle spalle la porta di
casa, voglio poter lasciare fuori anche il pensiero del lavoro. Ma
quando hai a che fare con gente che scioglie un bambino nell'acido,
come fai a dimenticartelo? Te lo porti a casa, il lavoro. Andai via".






"Lo scambio delle figurine"


"Per il mondo della sicurezza privata, quelli, sono anni decisivi. Nel
1989 cade il Muro, implode l'Unione Sovietica. Le ragioni costitutive
di una cultura della sicurezza, della sua organizzazione, metodo,
visione del mondo vengono meno. Io ho 30 anni e sono consapevole che
devo trasformarmi in un uomo di business. Comprendo subito che la
sicurezza deve diventare una funzione dell'azienda, non restare - come
era allora - un corpo separato dell'impresa. Tra il 1991/1992 nascono business intelligence, market intelligence, competitive intelligence...
Un vecchio mondo si frantuma, prestigiosi "salotti" diventano polverosi
e inutili. Mondi che prima erano separati da ostacoli, più o meno,
invalicabili - o valicabili a prezzo di grandi rischi - entrano in
costante comunicazione. A quel punto i servizi segreti che, con il
mondo diviso in blocchi, erano monopolisti dell'informazione perdono,
nello spazio di un mattino, la loro supremazia. E' uno scettro che
passa nelle mani dell'impresa privata.





Italtel, per dire, aveva dopo il 1989 150/200 uomini in Urss e agiva
con i governi delle singole repubbliche dell'ex-blocco sovietico mentre
il Sismi faticava per infiltrare anche soltanto un uomo oltre le linee.
Chi contava di più? Chi poteva avere più informazioni?
Queste condizioni creano
un nuovo mercato. Comincia lo scambio delle figurine tra security
private e servizi segreti. La parola d'ordine convenuta è "diamoci una
mano". E' una collaborazione che cresce, si allarga e sviluppa senza
uno straccio di protocollo, senza rendere trasparente e condiviso che
cosa è lecito, che cosa non lo è. In ogni altro paese - Stati Uniti,
Inghilterra, Francia - ci sono protocolli che regolano i rapporti tra
imprese, sicurezza privata e servizi. Da noi, c'è un vuoto che ciascuno
occupa come crede.





Nel 1996, aprile, vado in Pirelli. A quel punto le aziende che agiscono
sul mercato globale hanno già una sovranità superiore a quella degli
Stati. I governi hanno abdicato. L'11 settembre, se riproduce nel mondo
una nuova logica bipolare Occidente contro Islam, esalta le
potenzialità e il protagonismo delle imprese multinazionali o
plurinazionali. Con in più lo straordinario e inedito potere della
tecnologia. Cambia di nuovo tutto. Cambiano la cultura e i players
dell'informazione. Tutti affidano tutto all'indagine elettronica:
tracce elettroniche, carte di credito ecc. ecco che le
telecomunicazioni diventano appetite, sempre più strategiche. Le
indagini si fanno con le intercettazioni. Di nuovo: difficile dividere
lecito e meno lecito. In Francia, la polizia fa le intercettazioni
legali; la Direction de la Surveillance du Territoire (Dst) fa quelle illegali. Tutto normale, in Italia no".







"Tronchetti voleva il Corriere"


"Poi Pirelli acquista la Telecom. E' per tutti noi una sorpresa. Forse
non tutti sanno che Tronchetti Provera non aveva alcuna intenzione di
entrare in Telecom, in realtà. In quel 2001, stava scalando Rcs. Ha
sempre avuto una passione non nascosta per il Corriere della Sera che
riteneva, e forse ritiene, un'istituzione essenziale per la democrazia
italiana. In quei mesi stava acquisendo posizione e posso credere che
si preparasse a lanciare un'offerta pubblica di acquisto. Fu Buora a
proporre il dossier Telecom. Tronchetti gli diede fiducia.





Le cose, per noi, non stanno per niente messe bene nel 2001, quando
Berlusconi e i suoi si insediano a palazzo Chigi. Era al potere una famiglia impenetrabile,
gente che è insieme, gomito a gomito, dai banchi di scuola, gente che
pensa soltanto agli affari e all'assalto alla diligenza e tutti - dico,
tutto l'establishment - sono "fuori asse". A chi rivolgersi?
Come scegliere gli interlocutori "giusti"? E ci sono davvero, in quella
compagnia, gli "interlocutori giusti"? Per dirne una. Telecom aveva un
contenzioso per un centinaio di miliardi di lire con il ministero della
Giustizia. Come venirne a capo? Chi era Roberto Castelli? E quel
Brancher lì (era l'"ambasciatore" di Forza Italia presso la Lega di Bossi), che "pesce" era?






La verità è che noi in quell'avvio avevamo soltanto pochissimi
interlocutori. Ad esempio, Pisanu (ministro per l'attuazione del programma).
Vecchia scuola. Formazione politica solida. Interlocutore affidabile.
Con lui, Tronchetti filò subito d'amore e d'accordo. Con gli altri
soltanto guai. E i guai toccava a me affrontarli. In quel periodo
accade qualcosa che mi fa capire.





Accade che dovevamo rivedere gli organici e le responsabilità negli
uffici di Roma. Una persona, di cui non voglio dire per il momento il
nome, mi sollecita a "salvare", negli uffici della capitale, la signora
Laura Porcu. La cosa mi convince e la Porcu viene "salvata". Dopo
qualche tempo, la Porcu mi chiede se voglio essere messo in contatto
con personalità influenti del mondo romano. Accetto".






"Il network eversivo"


"La Porcu organizza un giro delle sette chiese, un'agenda di incontri
con Nicolò Pollari, Francesco Cossiga, Paolo Scaroni (Eni), Enzo De
Chiara (uno strano personaggio, finanziere italo-americano, vicino alle amministrazioni Usa, già finito in qualche inchiesta giudiziaria),
Pippo Corigliano (Opus Dei) che a sua volta mi presenta Luigi Bisignani
che già aveva chiesto di incontrarmi (se fosse stato siciliano, dopo
averlo conosciuto, avrei pensato che fosse un mafioso) e la Margherita
Fancello (moglie di Stefano Brusadelli, vicedirettore di Panorama),
che a sua volta mi riportò da Cossiga, Massimo Sarmi (Poste), Giancarlo
Elia Valori, il generale Roberto Speciale della Guardia di Finanza.
Insomma, dai colloqui, capisco che questi qui sono in squadra.






(Tavaroli
annuncia in settembre una memoria difensiva molto documentata e
comunque va ricordato qui che la sua è la ricostruzione di un indagato
).
Mi immagino una piramide. Al vertice superiore Berlusconi. Dentro la
piramide, l'uno stretto all'altro, a diversi livelli d'influenza,
Gianni Letta, Luigi Bisignani, Scaroni, Cossiga, Pollari. E' il network
che, per quel che so, accredita Berlusconi presso l'amministrazione
americana. Io non esito a definire questa lobby un network eversivo che
agisce senza alcuna trasparenza e controllo.





Mi resi conto subito che quella lobby di dinosauri custodiva segreti
(gli illeciti del passato e del presente) e li creava. Che quei segreti
potevano distruggere la reputazione di chiunque e la vera sicurezza è
la reputazione. C'era insomma, tra la Telecom di Tronchetti e
quell'area di potere, un disequilibrio informativo
che andava affrontato subito e nel miglior modo da noi,
riequilibrandolo o addirittura annullandolo con la creazione, a nostra
volta, di altri segreti. C'era bisogno di coraggio. Che è proprio la
virtù che manca a Marco Tronchetti Provera. Ha il culto di se stesso.
Non decide mai. Non se la sentiva di attaccare frontalmente, magari
pubblicamente, quel network né voleva "sporcarsi le mani", cioè entrare
nel club pagandone il prezzo in opacità, ma incassandone i vantaggi
lobbistici. Non prende posizione. Non si "compromette" né in un senso
né nell'altro. Per questo quella "compagnia" lo scarica. Come, lo
spiegherò presto. Il fatto è che quando Tronchetti si insedia in
Telecom è debole. Debole non per l'indebitamento, come tutti pensano.
Ma per il suo isolamento nel mondo politico, economico. Tronchetti non
piace alla politica. Ne è distante e questo non è gradito. Non capisce
la politica di Roma e questo è un problema. Non piace agli industriali.
La Confindustria è guidata da Antonio D'Amato, espressione della media
industria, e questo è un altro problema. E' su questa zona di confine
che mi dicono di "ballare". E io ballo. Me ne ha dato atto, quando mi
ha liquidato, anche Tronchetti. Mi ha detto papale papale: "Forse le
abbiamo chiesto troppo". E' vero, mi chiesero molto. Forse troppo".







(1. Continua)







(21 luglio 2008)

 
 
 

Effetto Psa

Post n°732 pubblicato il 24 Luglio 2008 da giromapa

Da L'espresso
Due studi sembrano confermare che il dosaggio regolare dell'antigene
prostatico specifico, il Psa,  contribuisce alla diminuzione della
mortalità provocata dal tumore alla prostata


 






Il dosaggio regolare dell'antigene prostatico specifico, meglio
noto come Psa, potrebbe davvero avere un
effetto positivo sulla mortalità causata dal tumore della
prostata
. Due studi appena usciti sembrano infatti fornire
la prova a lungo cercata dai sostenitori dell'esame, e finora mai
emersa, dei benefici apportati dallo screening di massa in termini
di diminuzione dei decessi.



Nel primo studio, pubblicato sull''International Journal of
Cancer', gli autori hanno analizzato l'andamento della mortalità in
base ai dati dell'Oms e dello Iarc, l'Agenzia internazionale per la
ricerca sul cancro di Lione, nel periodo
1975-2004
, e confermato che in sette
paesi
(Stati Uniti, Italia, Germania, Svizzera, Canada,
Francia, Spagna) la tendenza è alla diminuzione:
di recente la mortalità specifica ha raggiunto livelli minori
rispetto a quelli registrati prima dell'introduzione del dosaggio
del Psa, all'inizio degli anni '80.



In alcuni paesi l'andamento è analogo, anche se i valori assoluti
non sono ancora inferiori a quelli pre-Psa, mentre in altri, tra i
quali Cuba, Messico e nell'Europa dell'Est, la tendenza è al
rialzo. Gli autori stanno conducendo altri studi per capire in che
misura la riduzione sia attribuibile allo screening e in quale al
miglioramento delle cure e dell'accesso ad esse.



Nel frattempo, una conferma indiretta è giunta
da uno studio effettuato dai ricercatori
dell'Università di Innsbruck
nella zona austriaca del Tirolo, dove lo screening è stato
introdotto nel 1993 per tutti gli uomini di età compresa tra i 45 e
i 75 anni.



Secondo quanto riferito sul 'British Journal of Urology', nel
periodo considerato, la mortalità è scesa addirittura del 54 per
cento, contro il 29 per cento del resto dell'Austria. Tra il 1993 e
il 2005, l'87 per cento degli austriaci ha effettuato almeno un
dosaggio del Psa, e fino dai primi anni del test di massa la
mortalità ha cominciato a scendere più in fretta rispetto alla
media del Paese, e cioè di circa il 7,3 per cento l'anno, rispetto
al 3,2 per cento delle altre regioni.




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(23 luglio 2008)

 
 
 

Saccà Connection

Post n°731 pubblicato il 24 Luglio 2008 da giromapa
 

Da L'espresso
di Emiliano Fittipaldi
e Marco Lillo

I
progetti d'affari con Urbani. I raccomandati di Staderini, Petroni e
Curzi. Ecco i legami fra il dirigente e i consiglieri. Che l'hanno
assolto


 






ASCOLTA:  Le nuove intercettazioni



Don Agostino l'ha sfangata ancora una volta. Nonostante i progetti
segreti per mettersi in proprio, nonostante l'inchiesta per
corruzione e le intercettazioni bollenti, il re dalla
fiction all'italiana resterà alla Rai
. La settimana scorsa
il cda ha bocciato la mozione del direttore generale Claudio
Cappon, che ne prevedeva il licenziamento in tronco.
Paradossalmente le parti si sono invertite: ora è Cappon a
rischiare la poltrona. Sul no all'allontanamento del manager hanno
pesato i voti contrari di Giuliano Urbani, Gennaro Malgieri,
Giovanna Bianchi Clerici, Angelo Maria Petroni (tutti di area
Pdl-Lega), e l'astensione di Marco Staderini (Udc) e Sandro Curzi
(Rifondazione): nessuno di loro ha rilevato nelle azioni di Saccà
quelle «gravi violazioni e il notevole danno d'immagine
all'azienda» accertate da Cappon e dagli altri consiglieri di
centrosinistra. Pochi, leggendo e ascoltando le nuove
intercettazioni trovate da "L'espresso", avrebbero potuto
immaginare esito diverso.



I rapporti tra Saccà e i consiglieri vanno oltre le normali
conversazioni tra dirigenti, e riportano ad affari e scambi di
piaceri personali. Non sorprende, per esempio, che Urbani abbia
votato pro-Saccà. Come "L'espresso" ha già rivelato, in più
telefonate  (ascolta)
il consigliere si è speso per difendere gli interessi della sua
compagna, Ida Di Benedetto, produttrice di serie tv. Saccà si muove
per attivare la fiction sulla pittrice Angelica Kauffman («se fosse
un qualsiasi altro produttore noi rifletteremmo un po' su questa
storia» ammette la segretaria ad Agostino), vuole "Paura d'amare"
(«di questi 10 milioni non riusciamo a spostare una quota a cavallo
dei due anni, per avere dei residui?» chiede il manager a un'altra
collaboratrice, che gli aveva spiegato che il film «è fuori dal
conto»), spinge per la storia su suor Bakhita. Ma anche Saccà, a
sua volta, sollecita favori a Urbani e gli raccomanda per un
incarico in Ray Way il suo commercialista, Pietro Pilello, un tempo
maestro venerabile della loggia di Palmi.



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Ma, soprattutto, Urbani è stato parte attiva nel progetto
"Pegasus". Un piano attraverso cui il dirigente pubblico voleva dar
vita a una privatissima società di produzione che avrebbe dovuto
fatturare 200 milioni l'anno. L'idea, come risulta dall'inchiesta
della Procura di Napoli, è di Corrado Passera, ad di Banca Intesa,
e nasce in India: il banchiere ne parla con Luca di Montezemolo e
Ramon Tata, Saccà viene chiamato in seguito. Urbani sogna di far
parte del progetto e di diventare addirittura presidente della
newco. Vuole fare da «coagulo» tra altri imprenditori interessati:
la Palladio di Vicenza, i «bresciani» capeggiati dall'ex Udc
Riccardo Conti, e il padrone di Mediaset Silvio Berlusconi.



Rispondendo ai pm, Urbani prima nega di sapere se l'attuale premier
dovesse essere della partita, poi, messo alle strette, ammette che
«Berlusconi manifestava disponibilità ad esser parte del quadro».
Urbani racconta di aver discusso con Passera, e ammette davanti ai
magistrati che proprio Pilello stava redigendo il business plan. Ad
agosto le telefonate con Saccà si fanno bollenti, e il consigliere
si sbilancia. «Io ho due problemi», dice al capo di Rai fiction,
«il più grande è quello di costruire la sceneggiatura con te. Il
più piccolo, però è parte del quadro, è quello che io non vorrei
perdere l'opportunità di essere il punto di accordo di questi tre
che sarebbero disposti ad appoggiarsi su di me. E cioè: Vicenza,
lui stesso, Silvio, e i bresciani».



Se Urbani chiede favori e progetta affari milionari, altri
consiglieri fanno segnalazioni a go-go. Anche Staderini, per
esempio, ha chiamato Saccà. Interessandosi della sorte
professionale di un'attrice di fama. Dai brogliacci risulta che il
19 luglio 2007 «Marco chiede di Catherine Spaak»:
Saccà risponde che dovrebbe essere stata scritturata. Ma dopo
quattro giorni il produttore Angelo Rizzoli invia un fax, spiegando
che l'attrice, al tempo in gara nella trasmissione "Ballando sotto
le stelle", non può partecipare anche alla fiction "Capri". Il 26
luglio Staderini richiama, e domanda informazioni. Agostino si
giustifica, dice che Rizzoli è un imbroglione, avendogli riferito
cose non vere sulla disponibilità della Spaak, e chiede a Staderini
se vuole chiamare l'attrice insieme a lui. Il consigliere Rai in
quei giorni si occupa anche della sorte di "Incantesimo", la soap
di Guido De Angeli, intimo del dirigente e di vari politici, che il
vicedirettore generale Giancarlo Leone sembra intenzionato a
chiudere. Staderini dovrebbe spendersi per un incontro tra lo
stesso Saccà e il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo,
che avrebbe promesso al capo di Rai fiction dai 15 ai 20 milioni
per sostenere la produzione.



Le telefonate fioccano anche tra Saccà e Petroni, un altro dei
consiglieri che ha votato contro il licenziamento. Il 17 luglio
Agostino chiama Angelo per annunciargli che il provino per Cloris
Brosca, che interpretava la "Zingara" nel preserale "Luna Park", è
andato bene. La telefonata parte alle 17: un'ora prima la
segretaria Paola aveva detto a Saccà che la Brosca era stata
contattata per fare "l'antagonista" in una fiction. «Ha fatto un
buon provino, ci sono buone possibilità che sia presa», chiosa il
dirigente al consigliere- professore.



Nelle intercettazioni finisce persino Sandro
Curzi,
che meravigliando tutti, la scorsa settimana al
momento del voto ha preferito astenersi. Curzi segnala non attrici
e vallette, ma un professore classe 1927, appassionato di cartoni
animati. A giugno Curzi ricorda a Saccà di interessarsi a
«Passacantando». In realtà non si tratta di un programma, come si
legge sui brogliacci, ma di una persona. Dopo due settimane il
manager chiama un certo Luca e chiede di far lavorare Stelio
Passacantando, ex Accademia delle Belle Arti e docente di cinema
nelle scuole. Saccà in questi giorni è stato definito un genio del
prodotto, osannato da decine di attori e registi che lo hanno
difeso in una vibrante lettera pubblica. Tifosi eccellenti, ma in
Rai in molti si sono legati al dito i giudizi inclementi che Saccà
pronunciava al telefono su di loro: da Guido Paglia a Fabrizio Del
Noce fino a Leone, definito una volta«topo di fogna» e un'altra
«invidioso».






Michelle Bonev con Baudo

Soddisfatti, invece, quelli che hanno con Don Agostino buoni
rapporti. Isabella Briganti su tutti. Saccà non raccomanda solo le
preferite dei tanti questuanti, ma anche le sue amiche. Vuole che
la Briganti abbia la parte di Mamma Irene nel film tv "Don Zeno", e
chiama uno dei responsabili del cast. «Il direttore non raccomanda»
chiosa Agostino «sceglie editorialmente».

Il 16 luglio definisce il provino dell'amica «eccellente»:
addirittura, dice, «la segnalazione del direttore è un elemento
ostativo, perché il provino è stato il migliore, ed è fuori
discussione»: due giorni dopo Saccà comunica ad Isabella che la
parte è sua.



Più burrascosi i rapporti con un'altra starlette di belle speranze,
Michelle Bonev. Nel 2003 fu scelta per condurre il Dopofestival, e
scoppiò il finimondo. Venne difinita da stampa e addetti ai lavori
«la raccomandata di Saccà», al tempo direttore generale. L'attrice
bulgara fa carriera tra sospetti e pettegolezzi, gira un gran
numero di fiction targate Rai. L'ultima è "Artemisia Sanchez",
riprese finite nel 2006 e mai andata in onda. Ma la riconoscenza
non è di questo mondo: il 27 giugno 2007 l'avvocato Bosco legge a
Saccà una durissima lettera della Bonev, che minaccia (dal momento
che il direttore non vuole attivare una nuova fiction con una
società fondata ad hoc dall'attrice) sfracelli pubblici e
conferenze stampa. Il dirigente tiene duro. «Ma che, è matta? È un
ricatto, facesse quello che vuole. Posso solo dispiacermi di fronte
all'ingratitudine umana. Uno che ha rischiato di tutto per
aiutarla... Uno squallore unico».
(22 luglio 2008)

 
 
 

Italia armata

Post n°730 pubblicato il 24 Luglio 2008 da giromapa

Da L'espresso
di Paolo Biondani

Pochi controlli.
licenze facili. Trucchi per aggirare la legge. Così sono ormai 13
milioni le persone che detengono fucili o pistole e si addestrano nei
poligoni. L'altra faccia di un Paese che ha paura. E che si difende da


 






Reati veri che fanno paura. Ma anche emergenze immaginarie che
gonfiano l'insicurezza 'percepita'. Stretti fra realtà e
propaganda, gli italiani si stanno silenziosamente armando. È un
fenomeno sommerso, che preoccupa tutte le forze di polizia. I
cittadini che possiedono armi da fuoco sono saliti a "circa tredici
milioni", secondo le stime dei funzionari delle principali
questure. Come dire che quasi un italiano su quattro ha in casa
almeno una pistola.



Cifre ufficiali non ne esistono, perché neppure il
ministero dell'Interno possiede dati aggiornati, incredibilmente,
nemmeno per le province a più alta densità mafiosa. Poliziotti,
carabinieri e finanzieri denunciano il sostanziale aggiramento dei
controlli attraverso veri e propri "stratagemmi legali". Come il
boom delle licenze di porto d'armi 'per uso sportivo'. Una crescita
improvvisa, considerata molto sospetta soprattutto nelle aree dove
è più sentito l'allarme sicurezza. Le forze di polizia temono che
questa corsa alle armi finisca per mettere in pericolo la
collettività, anziché proteggerla. E avvertono che il problema è
sempre più grave. Nonostante cinque anni di promesse.



La mattina del 2 maggio 2003 Giuseppe Leotta,
detto Pippo il pazzo, 32 anni, catanese di Aci Castello, esce di
casa con due pistole regolarmente denunciate 'per uso sportivo'. Ai
giardini pubblici uccide un pensionato di 66 anni. Sulle scale del
Comune ammazza un impiegato. Poi sale nell'ufficio del sindaco,
intima alla capogruppo di An di spostarsi ("Tu non c'entri") e
scarica sei pallottole contro il primo cittadino. Dietro l'angolo
c'è l'uffico del Commercio, dove Pippo il pazzo crivella di colpi
due impiegate. In paese esplode il panico. Lui non si scompone:
sequestra un automobilista e si fa portare fino al santuario di
Vittoria, dove si suicida. In casa la polizia gli trova altre due
pistole, tre fucili, un machete, tre asce, due caricatori, una
videocassetta di 'Taxi Driver'. E il porto d'armi per il poligono.
Tre giorni dopo, a Milano, un altro cittadino legalmente armato,
Andrea Calderini, 31 anni, psicotico con una svastica sulla porta e
il '666' dell'Anticristo sul campanello, scende le scale del suo
condominio con una Colt 45 Magnum. Al primo piano ammazza una
signora di 65 anni che, come tutti i vicini, lo considera "un matto
pericoloso". Poi si mette a sparare dal balcone e ferisce tre
passanti. Quindi uccide con 11 colpi la moglie 22enne. E alla fine
si ammazza.



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Anche Calderini, come Pippo il Pazzo, era un tiratore sportivo con
un'impressionante collezione di fucili e pistole. Si allenava nello
stesso poligono dei poliziotti del suo quartiere. Eppure da anni
era in terapia neuropsichiatrica. Ma la legge non prevede controlli
effettivi: per avere la licenza di sparare, bastano due
certificati.



La doppia strage del 2003 fa scandalo. Otto morti
in tre giorni sono troppi, almeno per l'allora ministro
dell'Interno Giuseppe Pisanu, forzista con il senso dello Stato
della vecchia Dc, che annuncia un giro di vite. Basta permessi
facili, d'ora in poi si faranno verifiche severe e ripetute
sull'equilibrio mentale e i precedenti di polizia di tutti i
privati che pretendano di armarsi. Cinque anni dopo, però, la vite
ministeriale si è allentata. L'accesso a fucili e pistole è ancora
più comodo di prima.



Se ci si accontenta di un primo livello statistico (l'unico
pubblicizzato), le autorizzazioni al porto d'armi sembrano calate
di un terzo: nel 2004 le licenze di prima classe, quelle 'per
difesa personale', erano 35.750; nel 2007 sono scese a 23.600. Meno
12 mila, per le pistole. Meno 150 per fucili e armi lunghe (da
1.750 a 1.600). Il problema è che, chiusa la porta, si sono
spalancate le finestre. Dal 2001 la privatizzazione della sicurezza
ha trasformato in business perfino la sorveglianza di depositi
nucleari o arsenali d'armi, in passato riservata all'esercito. E
così, per cominciare, la stretta ministeriale è stata più che
pareggiata dall'aumento delle guardie giurate: in tre anni i
vigilantes armati sono schizzati da 57 a 71 mila. Più 14 mila. E
ben più allarmante è lo stranissimo exploit di un altro tipo di
autorizzazione: il porto d'armi 'per uso sportivo'. "Ottenerlo è
molto semplice", spiega un dirigente della polizia: "In pratica
basta aver fatto il militare, non aver subito gravi condanne e non
risultare documentalmente pazzi".



Nel 2004 sono state rilasciate 199 mila licenze
sportive
, 207 mila nel 2005, 220 mila nel 2006, 222 mila
l'anno scorso. Questi permessi, a differenza dei precedenti che
hanno scadenze annuali, restano validi per sei anni. Tirando le
somme, oggi sono oltre un milione gli 'sportivi' che possono
circolare armati. Tutti i funzionari delle questure interpellati da
'L'espresso', da Milano a Roma, dalla Campania al Nord-est,
concordano che "le autorizzazioni per uso sportivo sono diventate
lo stratagemma più diffuso per aggirare la legge". Un trucco,
insomma. Con un'aggravante. "In passato il tiratore era obbligato a
dichiarare il poligono prescelto e a raggiungerlo seguendo un
percorso rigidamente prefissato", spiegano i poliziotti: "Oggi
invece un calabrese di Platì, se viene fermato con un'arma tra
Milano e Varese, può dire che sta andando ad allenarsi nella cava
di un amico".







Ad avere il coraggio di esporsi è Claudio Giardullo,
segretario generale del Silp, il sindacato di polizia della Cgil:
"Le licenze per uso sportivo sono la cartina al tornasole del vero
andamento del mercato delle armi in Italia. È una vergogna
che, dopo tante stragi, possano esistere scappatoie così facili per
eludere la legge.
Chiunque si occupi di prevenzione dei
reati sa che, se diventa più semplice comprare fucili e pistole, la
sicurezza dei cittadini diminuisce. Far credere che il cosiddetto
diritto all'autodifesa garantisca più protezione è una presa di
posizione irresponsabile".



Nei fatti, anche i campi da tiro seguono il trend delle armi e si
stanno moltiplicando. I poligoni ufficiali, autorizzati a
certificare "l'idoneità all'uso delle armi", sono 289. Ma le forze
di polizia segnalano "il proliferare di campi da tiro privati che
di fatto nessuno controlla". Maurizio Leone è il segretario
generale dell'Unione italiana tiro a segno (Uits), che ha il
compito istituzionale di addestrare e abilitare i privati e le
guardie giurate. "I nostri poligoni sono ipercontrollati: è
l'esercito a sorvegliare il rigoroso rispetto di tutte le misure di
sicurezza, dalle mura in cemento armato all'obbligo di registrare
chiunque venga a sparare. I campi da tiro privati, invece, non
hanno alcun dovere di identificare i frequentatori e nascono con
una semplice comunicazione al sindaco, magari del piccolo comune
che in teoria dovrebbe vigilarli. Neppure la polizia riesce a
censirli: ne vengono aperti a centinaia in mezza Italia. Basta
avere una cava o un terreno per creare un campo 'dinamico' dove
sparare in corsa sui bergagli. Sembrano teatri di guerre private e
sono totalmente fuori controllo".



Le sezioni provinciali dell'Uits funzionano come scuola di
tiro anche per i vigili urbani
che i sindaci di piccole e
grandi città, da Roma a Bologna, sull'esempio di Milano, Genova,
Napoli o Bari, vogliono far girare armati. Tra i mugugni delle
polizie statali, che temono quantomeno un caos di competenze con
gli sceriffi locali. Tuona Giardullo: "Armare tutti è facile. Ma
chi addestrerà i vigili a mantenere la calma in situazioni di
tensione e pericolo?". L'Uits è sopravvissuto al decreto
'taglia-enti' del 25 giugno scorso. "Ringraziamo il governo e
soprattutto il ministro della Difesa La Russa e il presidente del
Coni Petrucci", si legge nel comunicato diffuso il 7 luglio.



Anche comprare fucili e pistole è diventato più facile. Alle
normali armerie oggi si affiancano il commercio su Internet, le
riviste per appassionati e perfino qualche testata di annunci
gratuiti. "Vendo fucile", "Cedo pistole a prezzi interessanti". Sui
siti specializzati compaiono ogni giorno centinaia di nuove offerte
da privato a privato. Su Armiusate.it, il 9 luglio è stato messo in
vendita, "da Trapani", un bel "Kalashnikov Ak 47" alla modica cifra
di "500 euro". Su Mastergun.it, gli armieri Adolfo e Modesto
mostrano con "cortesia, competenza, qualità e prezzi convenienti"
le immagini di uno spettacolare "Beretta CX4 Storm": senza raffica,
altrimenti sarebbe un'arma da guerra. Chi compra deve avere la
licenza, naturalmente. Ma la trattativa via computer ha l'effetto
di azzerare quel controllo visivo che in genere sconsiglia
all'armiere di vendere un fucile di precisione al cliente con la
svastica sul braccio o allo strano signore che si sente
perseguitato dai vicini.







Se tra i politici c'è chi incoraggia l'autodifesa armata,
tra gli agenti che l'ordine lo devono mantenere davvero, domina un
giudizio opposto: "Più armi significa meno sicurezza". I dati sulle
cause di morte raccolti dall'Organizzazione mondiale della sanità e
dalla Croce rossa internazionale documentano che gli omicidi
aumentano proprio dove circolano più fucili e pistole. Negli Stati
Uniti se ne contano 90 ogni cento abitanti. E il tasso di decessi
provocati da armi da fuoco è il più alto dell'Occidente: 11,3 ogni
100 mila persone. All'estremo opposto, in Inghilterra e Galles,
dove pistole e fucili non superano i due milioni, il tasso
precipita a 0,3. L'Italia è una nazione in bilico. Da una parte il
nostro Paese è saldamente ai primi posti nelle classifiche mondiali
degli esportatori di armi. Dall'altro, la vendita è storicamente
limitata da obblighi e controlli pubblici. Ora, per la prima volta,
anche in Italia si sta creando un clima da Far West. Tra permessi e
scappatoie, le armi detenute legalmente sono salite a 16
milioni: 27 ogni cento abitanti
. E gli italiani
autorizzati a detenerle in casa sono 13 milioni: quasi uno su
quattro, neonati compresi.



L'incubo per tutte le forze di polizia è che questi arsenali
privati possano trasformare liti, raptus e rancori in tragedie. La
questione cruciale è l'insufficienza dei controlli psico-fisici
sulle persone che chiedono il porto d'armi. Oggi bastano una visita
del medico di famiglia e un certificato dell'Asl. Nella prassi, è
un controllo solo formale. Che, come denunciano i poliziotti di
Milano e Torino, "ormai si può anche comprare" in agenzie
specializzate, senza visite effettive, come succede per le patenti
di guida. Dopo le stragi del 2003, il piano del ministero prevedeva
di affidare i controlli a una più rigorosa commissione di cinque
esperti. Il progetto però è rimasto sulla carta. Anche se di armi
facili, in Italia, si muore troppo spesso. Omicidi-suicidi e stragi
familiari si susseguono. Come le giornate di ordinaria follia. Ma i
governi si mobilitano solo dopo le tragedie più spaventose.



Nel novembre 2007, a Guidonia (Roma), un ex ufficiale
dell'esercito, Angelo Spagnolo, 52 anni, trasforma il suo balcone
in un poligono. In tre ore di fuoco uccide due persone e ne ferisce
otto. Spara perfino contro due bimbe di quattro e cinque anni.
Ministro dell'Interno è Giuliano Amato, che rilancia d'urgenza il
giro di vite sui controlli. Ma il disegno di legge cade insieme al
governo Prodi.



Oggi al Viminale comanda Roberto Maroni, uomo di punta della Lega,
e alla Difesa Ignazio La Russa, il leader di An a Milano: due
partiti che hanno fatto del diritto all'autodifesa uno slogan
vincente. Sarà un caso, ma ottenere i dati sulle armi in Italia ora
è più difficile. Da Roma escono solo due tabelle, ferme a tre anni
fa: difesa personale e uso venatorio. Coincidenza vuole che siano
gli unici dati in calo.



Tra il 2004 e il 2005, infatti, le autorizzazioni ai cacciatori
erano leggermente diminuite, scendendo a quota 860.444 (meno
4.388). A condizione di restare anonimi, però, decine di poliziotti
di mezza Italia precisano che "le licenze venatorie valgono per sei
anni, per cui i cacciatori autorizzati sono in realtà circa 2,3
milioni e quelli attivi oltre un milione e mezzo". Proprio per le
armi da caccia (ne circolano "almeno 7 milioni e mezzo") le
questure segnalano "forti pressioni per allentare i controlli". I
poliziotti citano con rabbia "una circolare-scandalo che ha
liberalizzato i calibri, vietando solo il 22". "In pratica si può
far passare per arma da tiro al fagiano una calibro 9 per 21 e
perfino un Kalashnikov, purché manchi la raffica, che peraltro è
facile riadattare". E ancora: "Ci sono questure, in Lombardia e
Veneto, che disapplicano di fatto le circolari in vigore
ritenendole troppo permissive".



La liberalizzazione dei calibri, secondo i più pessismisti,
potrebbe favorire, oltre a singoli cittadini ben raccomandati,
perfino il traffico d'armi. A Brescia, ad esempio, è in corso una
delicatissima inchiesta su enormi carichi di armi 'leggere' made in
Italy sequestrate in Iraq a guerriglieri e terroristi.



Con il nuovo governo Berlusconi le voci critiche rischiano
di restare isolate
. Proprio la Lega Nord nel 2006 aveva
fortemente voluto la riforma della legittima difesa. Il codice
penale autorizzava i privati a usare le armi solo a condizioni
rigorose, come la "proporzione tra offesa e difesa": la vittima di
un reato doveva essere o almeno sentirsi in pericolo di vita. Dai
tempi del fascismo, dunque, in Italia era sempre stato vietato
sparare contro un ladro in fuga o vistosamente disarmato. Con le
nuove norme non si parla più di legittima difesa, ma di "diritto
all'autotulela in un privato domicilio". Da allora per trasformarsi
in giustizieri basta una minaccia, anche solo ipotetica, ai "beni
propri o altrui". La maggioranza dei giuristi è insorta contro
questa "licenza di uccidere", protestando che "la vita umana vale
più dei soldi". E per ora la magistratura tende a resistere,
richiedendo comunque la prova di un "timore di aggressione".



Di fatto tra i 50 mila detenuti italiani l'amministrazione
penitenziaria non segnala neppure un condannato per "eccesso di
legittima difesa". In compenso fa scalpore il semplice avvio di
un'indagine dovuta. Tra i casi più controversi c'è il processo ai
due gioiellieri di Milano che nell'aprile 2004 spararono a due
rapinatori in fuga, uccidendo un montegrino di 21 anni. Assolti
dall'accusa di omicidio, sono stati condannati solo per eccesso
colposo: un mese all'orefice, un anno e mezzo a suo figlio. Una
sentenza sospesa dalla condizionale e poi azzerata dall'indulto. A
Roma, nel maggio 2003, un orefice ha ammazzato due giovani
rapinatori italiani. Nel 2005 il tribunale lo ha assolto. E
l'allora ministro della giustizia, Roberto Castelli, ha commentato:
"Dopo anni di battaglie culturali, finalmente ci si occupa anche di
Abele e non solo di Caino". Nel 2006, mentre cambiavano le norme
sulla legittima difesa, quell'assoluzione è stata annullata. In
attesa del nuovo verdetto, nel marzo 2007 lo stesso orefice è stato
arrestato per strada, al Testaccio, con tre pistole, un caricatore
di riserva e altre pallottole in tasca. Secondo l'accusa, voleva
uccidere il fratello e poi ammazzarsi. Dichiarato seminfermo di
mente, è stato condannato a otto mesi.



Sono casi come questi a spiegare perché tutte le forze di polizia
continuano a pensare che l'uso delle armi debba restare monopolio
dello Stato. Gli omicidi in Italia sono in calo dal 1992, l'anno di
Tangentopoli e delle stragi contro i giudici Falcone e Borsellino.
Nel '91, prima delle grandi inchieste antimafia e del fenomeno dei
pentiti, si contavano 1.916 delitti. L'anno scorso 627.



L'attuale 'emergenza criminalità', che ha surriscaldato l'ultima
campagna elettorale, riguarda soprattutto i reati contro il
patrimonio: furti o rapine in casa. E proprio nelle province del
Nord, dove è più alta 'l'insicurezza percepita', crescono anche le
richieste di porto d'armi. Nel 2007, a Brescia, 6.500 cittadini
hanno chiesto la licenza e ben 2 mila l'hanno ottenuta "per uso
sportivo". Tra il 2006 e il 2007, nella provincia di Alessandria,
le autorizzazioni sportive sono salite da 609 a 756; nei primi
cinque mesi di quest'anno se ne contano già 406 e altre 316 a
Novara, contro le 508 dell'intero 2007. A Verona, l'anno scorso,
1.200 cittadini hanno chiesto armi sportive; tra gennaio e maggio
di quest'anno se ne sono aggiunti altri 590. E le richieste
respinte sono "rarissime".



Il 16 aprile scorso, tre giorni dopo la batosta elettorale, l'ex
ministro Amato ha legittimato anche i quattordicenni a sparare nei
poligoni. A preoccupare l'Uits era il "divieto assoluto di
consegnare armi ai minorenni", sancito da una Convenzione dell'Onu
e da una direttiva europea. La circolare però ha "chiarito" che
l'istruttore sportivo si limita ad "affidare temporaneamente"
l'arma al ragazzino. Di qui il via libera, che alcuni poligoni
interpretano con larghezza di vedute: a Bagheria (Palermo) la
sezione di tiro a segno organizza "corsi gratuiti di sparo a
partire dai dieci anni". E in aprile, all'inaugurazione del nuovo
poligono di Bologna (il più grande d'Italia con 74 linee di tiro ad
aria compressa), il presidente Maurizio Calzolari ha rivendicato
che "il nostro è uno sport per tutti, che si può praticare dai
dieci anni in su". Sparare è un piacere anche nelle scuole.
A Como quattro classi del liceo Ciceri (ex magistrali)
hanno fatto educazione fisica sparando al poligono di
Camerlata
. Entusiastici i commenti delle 17-18enni
intervistate dal quotidiano 'La Provincia'. "Mi piace fare centro".
"Non pensavo di avere questa mira". "Mi sono trovata bene in
particolare con la carabina ed il fucile".



In questo nuovo clima, fra tanti cittadini spaventati dai banditi
ora cominciano a spuntare anche famiglie impaurite dalle armi
facili. A Vicenza c'è chi è arrivato a fare causa allo Stato. Nel
luglio 1998 un vigilante, Giorgio Garbin, aveva ucciso un collega,
Silvano Pellizzari, nel piazzale della Marelli ad Arzignano.
Riconosciuto seminfermo di mente, l'omicida è stato condannato a
otto anni di carcere e a tre di ospedale psichiatrico. Nel 2006 è
tornato libero. La moglie della vittima, Maria Cristina, e il
figlio Riccardo nel 2004 hanno citato a giudizio il ministero, la
prefettura e l'Ulss 5 di Vicenza. "Garbin non aveva i requisiti per
ottenere il porto d'armi", spiega il loro avvocato, Ferdinando
Cogolato: "I carabinieri avevano avvertito che 'avrebbe potuto
abusare del porto d'armi', ma il loro rapporto è stato scavalcato
da un parere positivo. Anche il medico del paese ne aveva segnalato
le stranezze, ad esempio quando era arrivato a intossicarsi con i
diluenti per stordirsi".



La famiglia vicentina ha chiesto alle autorità un risarcimento di
840 mila euro, ma attende la sentenza dall'11 ottobre 2007, quando
la corte si è riunita in camera di consiglio. Un caso isolato? Non
proprio. Nel marzo scorso, a Boves (Cuneo), un uomo di 63 anni,
Francesco Briano, ha ucciso la madre e l'ex convivente prima di
togliersi la vita con la stessa pistola. Arrestato nell'84 per aver
sequestrato un poliziotto e i suoi tre figli, era stato dichiarato
seminfermo di mente. "Com'è possibile che, finite le cure
psichiatriche, gli abbiano ridato il porto d'armi?", chiedevano,
nel giorno della strage, i figli delle vittime.



Di questi e degli altri dati sulle morti violente, però, la
politica non parla. Forse perché a crescere in Italia sono
soprattutto i delitti che non è facile scaricare su nemici esterni:
gli "omicidi in ambito familiare" (saliti in quattro anni dal 16 al
32 per cento del totale) e i delitti legati a "raptus di follia,
motivi passionali, risse e rancori personali" (dal 14,8 al 20,9 per
cento). "E in questa situazione", tuona un alto dirigente della
polizia, "vi sembra logico distribuire armi nelle famiglie?".
(17 luglio 2008)

 
 
 

Il Csm trasferisce il gip Forleo

Post n°729 pubblicato il 24 Luglio 2008 da giromapa

Da Corriere.it

il provvedimento per le dichiarazioni ad "annozero"

Decisione per «incompatibilità ambientale». Il giudice: «Lotterò fino alla fine: la legge è uguale per tutti»










Clementina Forleo ad "Annozero"
ROMA - Il giudice per le indagini preliminari
Clementina Forleo deve lasciare Milano. Lo ha deciso il plenum del Csm,
che ha disposto il suo trasferimento d'ufficio per incompatibilità
ambientale. Il provvedimento è stato deciso a maggioranza, con 20 voti
favorevoli, tre contrari e un astenuto. La procedura di trasferimento
d'ufficio era stata aperta nel dicembre scorso dopo che la prima
commissione non aveva trovato riscontro alle dichiarazioni - relative a
presunte intimidazioni istituzionali ricevute - rilasciate dalla Forleo
durante la trasmissione tv "Annozero".



LE RAGIONI DEL TRASFERIMENTO - La Forleo deve
lasciare il capoluogo lombardo perchè lì non è più in grado di svolgere
le sue funzioni con piena «indipendenza e imparzialità» ha sentenziato
il Csm. Con i suoi comportamenti ha creato un «disagio diffuso» nel suo
ufficio giudiziario e in procura; procura con cui inoltre si è
«incrinato il necessario rapporto di reciproco rispetto ed
equidistanza». È quanto scrive il plenum nella delibera approvata. Due
le condotte contestate al magistrato: le sue dichiarazioni pubbliche ad
«Annozero» su «poteri forti» che anche per il tramite di «soggetti
istituzionali» avrebbero interferito nelle sue funzioni, proprio mentre
da gip si stava occupando dell'inchiesta sulle scalate bancarie; e i
rilievi mossi da Forleo ai colleghi della procura titolari di
quell'inchiesta, con cui si spinse sino a protestare ritenendo che
stessero insabbiando tutto. Le denunce ad «Annozero» sono «gravemente
sproporzionate rispetto ai fatti emersi» («l'asserito invito alla
prudenza» del Pg di Milano nella gestione delle intercettazioni di
quella inchiesta e le presunte «pressioni» sul Pg della Cassazione
perchè le avviasse un'azione disciplinare), e hanno determinato
«allarme» e «discredito» sui colleghi «obiettivamente infondati».
Mentre le critiche rivolte ai pm dell'inchiesta sulle scalate
dimostrano un rapporto caratterizzato da «eccessiva disinvoltura»,
«contrario» alla deontologia e «indicativo di un pregiudizio
accusatorio incompatibile con l'imparzialità richiesta». Nell'insieme è
emersa una «marcata carenza di equilibrio» da parte di Forleo, una
«abnorme personalizzazione» delle vicende processuali a lei affidate e
una «propensione a condotte vittimistiche» , tali da determinare
«contrasti, conflitti e sospetti» nei confronti di colleghi.

VICENDA UNIPOL
- La Forleo, presente al Csm, è stata difesa dal procuratore di Asti
Maurizio Laudi. Lo scorso giugno, la sezione disciplinare del Csm aveva
assolto il giudice sul caso riguardante la vicenda Unipol. In quella
circostanza, il gip Forleo era stata accusata di aver violato i suoi
doveri per i contenuti dell'ordinanza, con la quale nel luglio 2007
chiese alle Camere l'autorizzazione all'uso delle intercettazioni che
riguardavano alcuni parlamentari tra cui Massimo D'Alema e Piero
Fassino nell'ambito del procedimento sulla fallita scalata Unipol a Bnl.

«A TESTA ALTA»
- «Lotterò fino alla fine dei miei giorni - ha commentato la Forleo
dopo la decisione del Csm -, andrò a testa alta in tutti i tribunali,
affermando il principio per cui la legge è uguale per tutti e
auspicando una seria riforma della giustizia». A chi le chiedeva se
farà ricorso al Tar contro la delibera di Palazzo dei Marescialli, il
Gip ha risposto: «Certamente». Sulle dichiarazioni alla stampa che
l'hanno portata al trasferimento, il magistrato ha sottolineato che
altri colleghi hanno parlato liberamente di procedimenti a loro carico
senza avere conseguenze. Quanto invece alle intimidazioni ricevute, la
Forleo ha aggiunto di aver ricevuto di recente un'ultima lettera
riprodotta davanti al plenum. Ora sarà la Terza Commissione del Csm a
decidere la sede a cui destinarla, dopo che la Forleo avrà espresso le
sue preferenze. Solo allora il gip potrà presentare ricorso al Tar.

MANCINO
- «Sono vicende portate davanti al plenum che creano un'inevitabile
sofferenza» ha affemrato il vice presidente del Csm, Nicola Mancino.
«Non è facile dire ad un magistrato - ha aggiunto Mancino - vai a
lavorare in un'altra sede».

LE MOTIVAZIONI - Due le
condotte contestate alla Forleo: le sue dichiarazioni pubbliche ad
«Annozero» su «poteri forti» che anche per il tramite di «soggetti
istituzionali» avrebbero interferito nelle sue funzioni, proprio mentre
da gip si stava occupando dell'inchiesta sulle scalate bancarie; e i
rilievi mossi dalla Forleo ai colleghi della procura titolari di
quell'inchiesta, con cui si spinse sino a protestare ritenendo che
stessero insabbiando tutto. Le denunce ad «Annozero» sono «gravemente
sproporzionate rispetto ai fatti emersi» (l«'asserito invito alla
prudenza» del Pg di Milano nella gestione delle intercettazioni di
quella inchiesta e le presunte «pressioni» sul Pg della Cassazione
perché le avviasse un'azione disciplinare), e hanno determinato
«allarme» e «discredito» sui colleghi «obiettivamente infondati».
Mentre le critiche rivolte ai pm dell'inchiesta sulle scalate
dimostrano un rapporto caratterizzato da «eccessiva disinvoltura»,
«contrario» alla deontologia e «indicativo di un pregiudizio
accusatorio incompatibile con l'imparzialità richiesta». Nell'insieme è
emersa una «marcata carenza di equilibrio» da parte della Forleo, una
«abnorme personalizzazione» delle vicende processuali a lei affidate e
una «propensione a condotte vittimistiche» , tali da determinare
«contrasti, conflitti e sospetti» nei confronti di colleghi.

 
 
 

Incontri segreti e voti promessi il pressing dei clan su Dell'Utri

Post n°728 pubblicato il 24 Luglio 2008 da giromapa

Da Repubblica.it
Calabria, 18 arresti hanno decimato i vertici delle cosche Piromalli e Molè
Contro il 41 bis i boss della 'ndrangheta cercarono di avvicinare anche Mastella
dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI




Incontri segreti e voti promessi il pressing dei clan su Dell'Utri

Il porto di Gioia Tauro










REGGIO CALABRIA -
È la trama della 'ndrangheta che vuole liberarsi dalle catene del 41
bis. Una ragnatela che dalla piana di Gioia Tauro si spande a Roma, si
infiltra nei ministeri, raggiunge i bracci delle sezioni speciali delle
carceri italiane. Promesse di voti, mosse e contromosse per convincere
quei deputati o senatori che "possono fare qualcosa", ricatti, maneggi
per ottenere immunità diplomatiche, spiate di magistrati.





Non si fermano davanti a niente e a nessuno i capi della 'ndrangheta
pur di diventare dei detenuti come tutti gli altri. I personaggi di
questo intrigo sono i Piromalli e i Molè, forse i "capibastone" più
potenti della Calabria. In una retata che da queste parti ha pochi
precedenti per "portata" investigativa - è anche la prima grande
operazione firmata dal nuovo procurarore di Reggio Giuseppe Pignatone -
la squadra mobile e i ros dei carabinieri hanno decimato con 18 fermi i
vertici di due cosche che erano state solo sfiorate dalle
investigazioni negli anni passati. Le "famiglie" che soffocano il porto
di Gioia Tauro, quelle che come dice uno dei boss catturati "hanno
insieme cent'anni di storia".





Sono loro, i Piromalli soprattutto, che in giro per l'Italia hanno
sguinzagliato avvocati e compari e consigliori per agganciare il
senatore Marcello Dell'Utri e l'ex ministro della Giustizia Clemente
Mastella. Il primo ha ricevuto quei "calabresi" in almeno in due
occasioni (alla vigilia delle ultime elezioni politiche), il secondo ha
chiuso ogni contatto con loro dopo la prima telefonata. "Maledetto 41
bis, sto tentando di tutto, voglio percorrere una strada segretissima
anche al Vaticano", sibila uno di loro al telefono. E poi dice: "Ho
cercato anche con la massoneria, per quanto riguarda eventualmente
l'intervento di un giudice molto importante".





È alla fine dell'anno scorso che i Piromalli decidono di muovere tutte
le loro pedine. È il 3 dicembre del 2007 quando dalla Calabria
organizzano per Antonio Piromalli e per il suo amico Gioacchino
Arcidiaco (entrambi arrestati nella retata di martedì scorso) un
incontro con Marcello Dell'Utri. Dal senatore di Forza Italia vogliono
procurare una sorta di immunità attraverso il conferimento di una
funzione consolare. Una qualsiasi. Vogliono mettere al sicuro Antonio,
il rampollo della "famiglia" con un passaporto diplomatico. In cambio
offrono voti e si mettono a disposizione per i "circoli" del senatore
nel territorio di Gioia Tauro. Prima di contattare Dell'Utri Arcidiaco
chiede ad Aldo Micciché, un ex dc della Piana riparato in Venezuela per
sfuggire a grossi guai giudiziari in Italia: "Come mi devo proporre a
lui?".
Gli risponde Micciché da Caracas: "La Piana è cosa nostra facci
capisciri (fagli capire, ndr), il porto di Gioia Tauro l'abbiamo fatto
noi. Fagli capire che in Aspromonte e tutto quello che succede là sopra
è successo tramite noi". E ancora: "Ricordati che la politica si deve
saper fare. Ora fagli capire che in Calabria o si muove sulla Tirrenica
o si muove sulla Ionica o si muove al centro, ha bisogno di noi. Hai
capito il discorso? E quando dico noi, intendo dire Gioacchino e
Antonio (Piromalli, ndr), mi sono spiegato? Spiegagli chi siamo, che
cosa rappresentiamo per la Calabria... io gli ho già detto tante cose".
Gli ribatte l'altro: "Gli dico: ho avuto autorizzazione di dire che
possiamo garantire per Calabria e Sicilia".





Dopo un primo incontro il 3 dicembre a Milano fra Gioacchino Arcidiaco
e Marcello Dell'Utri (c'è con loro l'avvocato di Genova Francesco
Lima), ce n'è un secondo a Roma tre giorni prima delle elezioni
politiche del 13 aprile. L'inchiesta sta ancora scavando fra i
retroscena di quei faccia a faccia, il senatore Dell'Utri sarà
ascoltato come testimone.





Gli emissari della 'ndrangheta si sono mossi anche su altri fronti per
provare ad avere uno "sconto" sul carcere duro. Contattano una persona
- "un mio compare", dice Micciché - vicina al senatore Emilio Colombo,
vengono costantemente informati che molti dei loro telefoni sono
intercettati - "c'è tutta la rete sotto controllo" - , fanno cenno "a
un amico a Palazzo dei Marescialli", ricevono soffiate da due famosi
magistrati in pensione di Reggio. Incontrano. Parlano.


Garantiscono.






È sempre Aldo Micciché che informa i Piromalli. Una volta racconta che
il deputato dell'Udc Mario Tassone si sarebbe "messo a vostra
completissima disposizione" e "che tira aria di elezioni e diventerà il
segretario del partito al posto di Lorenzo Cesa", un'altra volta
ricorda che anche "il consigliere regionale Gianni Nucera li aspetta a
braccia aperte per tutto quello che avete bisogno". Poi si agita per
Veltroni che in comizio ha detto di non volere i voti di mafia: "Avete
capito il discorso? Quelli hanno respinto ogni forma, ogni cosa".





Il vecchio Giuseppe Piromalli nonostante le tante "amicizie" è però
sempre in una cella, isolato nel carcere di Tolmezzo. È a quel punto
che Aldo Micciché tenta di "avvicinare" il Guardasigilli Mastella. Il
ministro riceve una telefonata sul suo radiomobile il 7 dicembre 2007,
in un primo momento non risponde a quel numero sconosciuto ma poi
richiama. Sente una voce, quella di Micciché: "Clemente mio, meno male.
sto cercando di fare il possibile per aiutarti. Vediamo se recuperiamo
sul Lazio e su Roma. ti mando Francesco Tunzi, già hai conosciuto anche
altri amici. Noi e nostri". Appena riconosce l'interlocutore che
accenna a possibili aiuti elettorali, il ministro interrompe la
comunicazione. Ma i boss della già da mesi si aggiravano intorno al
ministero della Giustizia.





Cercavano un varco. È sempre la condizione carceraria di Giuseppe
Piromalli a impensierirli. Riferiscono al figlio Antonio: "Tuo padre è
esasperato, e lo diventa ancora di più quando gli vengono toccate le
cose di cui necessita di più, cioè la corrispondenza... gli stanno
controllando pure i peli".





È ancora Aldo Micciché che comunica al figlio del boss: "Sia Antonella
Pulo, sia la Zerbetto e sia Francesco Borromeo mi hanno fatto capire
che tenteranno di fare quello che. sottobanco devono farlo, perché tu
sai che c'è stato un irrigidimento dopo gli avvenimenti che tu sai". La
prima - Antonella Appulo - è stata identificata come un'esponente del
movimento giovanile dell'Udeur. La seconda - Adriana Zerbetto - era la
segretaria del ministro della Giustizia. Il terzo - Francesco Borgomeo
- era a capo della sua segreteria. Millanterie dell'uomo di Caracas? È
un altro dei filoni investigativi ancora in corso di approfondimento.





Comunque è lo stesso Micciché che urla un giorno al telefono: "Sto
cazzo di ministro non si può muovere in nessun modo. Devo fare un'altra
strada perché è già quasi arrivato il giorno. Sennò siamo fottuti". Il
giorno che avrebbero dovuto confermare il 41 bis a Giuseppe Piromalli.
I boss parlano a ruota libero, tranquilli, forti del loro "servizio
informativo" È Arcidiaco che per una volta avverte Aldo Micciché:
"Praticamente ieri ci hanno chiamato e ci hanno detto che due settimane
fa hanno tappezzato la macchina di mio cugino Antonio dell'ira di Dio".







Pensano di poter dire tutto su altri telefoni, si sentono "protetti".
Aldo Micciché si lascia sfuggire: "Ho ricevuto una telefonata da Reggio
da persone che nemmeno ti immagini, molto, molto in alto. Dobbiamo
stare molto attenti. Lo sai chi è Peppe T. o Peppe V., sai chi sono
questi, sono gente legata a mani piedi culo e poi c'è l'altro
personaggio importantissimo". Tutti magistrati. Amici di altri
magistrati. Amici dei boss della 'ndrangheta.






(24 luglio 2008)

 
 
 

USA: i provider taglino fuori Usenet

Post n°727 pubblicato il 17 Luglio 2008 da giromapa
 

Per epurare le rete dalla pedopornografia, il procuratore dello stato di New York convince gli ISP a non offrire accesso a Usenet. E invita i cittadini a fare pressione sui propri provider. La rete si fa più piccola

Da Punto Informatico

Icona
Roma - Vigileranno sulla rete e sulle conversazioni che si intessono fra gli utenti, pattuglieranno siti e community per debellare i traffici di pedopornografia, smetteranno di offrire accesso ai newsgroup. Alla crociata condotta dal procuratore generale dello stato di New York, Andrew Cuomo, si aggiungono due dei più grandi operatori della connettività statunitense e l'operazione di epurazione della rete trova visibilità in un sito che si propone di scuotere i cittadini.

CuomoSe le prime adesioni da parte degli ISP erano state annunciate il mese scorso, la battaglia di Cuomo è di lunga data: oltre ad aver condotto numerose azioni volte a ripulire la rete dai rischi per i minori, il Procuratore aveva sguinzagliato investigatori sotto copertura nelle gerarchie Usenet. Avrebbero dovuto raccogliere le prove del fatto che i traffici di immagini di abusi sui minori si alimentano anche nelle pieghe meno visibili della rete e si avvalgono anche degli storici strumenti di comunicazione nelle mani dei netizen. Hanno individuato 88 newsgroup attraverso i quali gli utenti hanno scambiato immagini delle violenze, hanno rintracciato 11.390 fotografie che testimoniano abusi sessuali sui bambini, hanno contribuito a sviluppare un sistema per catalogare le immagini e per rintracciarle e tracciarle online.

I primi a rendersi disponibili a collaborare con Cuomo sono stati Verizon, Time Warner Cable e Sprint: hanno promesso di sequestrare il traffico di coloro che si scambiano pedopornografia, hanno promesso di interferire sulle attività degli utenti e di battere a tappeto gli spazi online per attenersi alle condizioni di utilizzo dei servizi che offrono ai propri utenti, condizioni che prevedono che i provider denuncino e indaghino su eventuali usi illeciti dei propri servizi. I nuovi ISP a firmare l'accordo sono invece AT&T e AOL. Per contrastare l'utilizzo illecito di Usenet, semplicemente non offriranno ai propri utenti servizi che consentano si fruirne: AT&T lascerà che i netizen si affidino a provider di terze parti; AOL, che da tempo persegue questa strategia nei confronti di Usenet, continuerà a rendere inaccessibili ai propri utenti gli spazi che ospitano materiale pedopornografico, come già fa dal 2007 in virtù di un accordo con il National Center for Missing and Exploited Children.

A fronte di chi solleva il dubbio che la pedopornografia sradicata da Usenet si possa riversare altrove in rete, che impedire l'accesso ai newsgroup non significhi la scomparsa della pedopornografia dalla rete Usenet, Cuomo ha convinto i provider a sequestrare il traffico che passa sui siti inclusi nella lista nera stilata dal National Center for Missing & Exploited Children. La collaborazione strappata ai maggiori provider USA è solo l'inizio: "Gli accordi di oggi con AT&T e AOL - ha annunciato Cuomo - mandano un messaggio agli Internet Service Provider di tutta la nazione: non possono più puntare i piedi quando si tratta di proteggere i nostri bambini, ma devono piuttosto epurare i loro server dalla pornografia infantile".

Ma non è tutto: Cuomo sta tentando di coinvolgere i cittadini della rete perché pungolino i provider a fare di più. Il procuratore ha istituito un sito attraverso il quale i netizen possono esprimere al proprio provider l'esigenza di vivere una rete più sicura, inviando lettere al proprio ISP per invitarlo ad attenersi alla linea proposta da Cuomo: "Incoraggio i consumatori dello stato di New York a visitare il mio sito www.nystopchildporn.com affinché si assicurino che gli ISP mettano in campo tutte le misure per sradicare dalla rete questo terribile traffico".

Sono in molti a scagliarsi contro la malcelata natura politica del sito, sono in molti a sottolineare come quella ingaggiata da Cuomo sia una battaglia personale piuttosto che un reale tentativo di combattere il traffico di pedopornografia e gli abusi sui minori. Ma c'è chi crede nella crociata condotta da Cuomo: lo stato della California lo sta seguendo a ruota. C'è chi paventa che il procuratore Cuomo stia prendendo di nuovo la mira: i prossimi potrebbero essere gli Usenet provider.

Gaia Bottà

(fonte immagine)

 
 
 

Onde fatali per il tumore del polmone

Post n°726 pubblicato il 17 Luglio 2008 da giromapa
 

Da Dica33.it

In assenza di trattamenti chemioterapici di grande utilità per il paziente, la chirurgia resta la principale risorsa in caso di tumori del polmone. I quali, è bene ricordarlo, rappresentano nell’uomo e nella donna la prima causa di morte per cancro. Purtroppo, però, anche il ricorso alla chirurgia tradizionale non è sempre possibile a causa della localizzazione del tumore. Una situazione comune anche ad altre malattie neoplastiche, come quelle del fegato, dove da decenni il bisturi vero e proprio è affiancato da altre metodiche come l’iniezione nella lesione di alcol o chemioterapici o, più recentemente, la radioablazione. Ed è quest’ultima tecnica che oggi sembra offrire una soluzione anche per i tumori polmonari inoperabili, così come testimonia uno studio che ha visto la partecipazione anche di chirurghi italiani. La radioablazione è una tecnica nella quale attraverso la cute si inserisce una sonda, simile a quella degli endoscopi, dalla quale vengono fatti fuoriuscire degli elettrodi che mettono onde elettromagnetiche ad alta frequenza (della stessa gamma delle onde radio, appunto).

Effetto termico
Come sa chiunque abbia un forno a microonde, queste frequenze provocano un riscaldamento della parte irradiata, nel caso della chirurgia 90°, cosicché il tessuto tumorale viene necrotizzato per coagulazione. Il posizionamento degli elettrodi sul bersaglio viene controllato radiologicamente (nel caso, con la TAC). La ricerca ha preso in considerazione un centinaio di pazienti, uomini e donne, di età compresa tra 29 e 82 anni (con una media attorno alla sessantina) che presentavano o un tumore primario non a piccole cellule (33) o una metastasi da tumore del colon-retto (53) o metastasi da altri tumori. Caratteristica comune era essere inoperabili con le metodiche standard, e di presentare lesioni con il diametro massimo inferiore a o uguale a 3,5 cm, ma potevano presentare anche più di una lesione. In tutti l’intervento è stato condotto in modo da creare una zona di necrosi, grosso modo sferica, del diametro di 5 cm, così da garantire un margine. La riuscita dell’intervento veniva valutata una prima volta alla tac a un mese, considerando completa l’asportazione se nelle TAC successive si osservava una riduzione del diametro maggiore della zona trattata (che era più ampia del tumore) di almeno il 30%. I risultati sono stati lusinghieri, in quanto l’intervento ha soddisfatto i criteri di successo a un anno nell’88% dei pazienti valutabili. Poche le complicanze dell’intervento, prevalentemente pneumotorace e versamento pleurico, entrambi facilmente risolvibili, mentre la funzionalità polmonare è stata conservata in tutti i casi.

Una via percorribile

Un risultato, questo, superiore a quello che si ottiene nel trattamento delle lesioni del fegato, probabilmente perché le caratteristiche isolanti del tessuto polmonare favoriscono la concentrazione del calore sul bersaglio. Quanto alla sopravvivenza, complessivamente era pari al 70% e al 48% rispettivamente a un anno e a due anni nei pazienti che avevano un tumore primario del polmone, all’89% e al 66% nei pazienti con metastasi dal colon retto e al 91% e al 64% in quelli con metastasi di altra natura. In effetti, poi, se si guarda alla sopravvivenza al tumore, le percentuali sono notevolmente superiori, soprattutto nel caso del tumore primario, il che significa che una quota non trascurabile di pazienti è sì deceduta, ma per cause diverse come le malattie cardiovascolari. Gli autori concludono dicendo che non è stato fatto un confronto con trattamenti differenti e che quindi per giudicare la sopravvivenza, anche a più lungo termine, occorrono altre ricerche di confronto. Ma una risposta, sia pure parziale, viene da un commento pubblicato sulla stessa rivista, dove si fa presente, tra l’altro, che le complicazioni dell’altro approccio oggi prevalente, cioè la resezione limitata e la radioterapia presentano anche complicazioni fatali. Al contrario l’ablazione a radiofrequenza è una procedura che può essere ripetuta, è ben poco invasiva e nulla vieta che un domani possa essere adiuvata, per esempio, dalla chemioterapia o dalla stessa radioterapia. Insomma, un’opzione promettente che ora ha dimostrato pienamente la fattibilità tecnica. E non è poco.

Maurizio Imperiali

Fonti
Hiraki T et al. Percutaneous radiofrequency ablation of lung cancer. Lancet Oncol. 2008 Jul;9(7):604-5.

Lencioni R et al. Response to radiofrequency ablation of pulmonary tumours: a prospective, intention-to-treat, multicentre clinical trial (the RAPTURE study). Lancet Oncol. 2008 Jul;9(7):621-8.

 
 
 

Intel 'Montevina', la piattaforma che da oggi prende il nome di Centrino 2

Post n°725 pubblicato il 17 Luglio 2008 da giromapa
 

Da HwUpgrade.it

“Ampiamente annunciata nel corso delle passate edizioni di IDF, Intel Developer Forum, viene presentata ufficialmente oggi la nuova piattaforma Centrino 2, nome in codice Montevina.”

Centrino 2

Il successo della piattaforma Centrino di Intel, nata nell'ormai lontana primavera del 2003,  deve molto alle diverse caratteristiche che Intel ha saputo imporre come standard, date ormai per scontate dalla clientela più o meno informata che si trova di fronte al celebre logo. Negli anni sono state diverse le evoluzioni a livello hardware, passate per l'aggiornamento di processori, chipset, moduli per la connettività ed altro ancora.

Oggi è il giorno della presentazione di una nuova generazione Centrino, che verrà indicata come Centrino 2, nome commerciale di quella che fino ad oggi veniva indicata come Montevina. A caratterizzare la nuova piattaforma troviamo diverse novità, che ci limiteremo a riassumere brevemente, approfondendo poi ogni aspetto in un apposito articolo di prossima pubblicazione.

La prima novità riguarda i processori utilizzati, che appartengono alla famiglia Penryn dual-core con processo produttivo a 45nm, contro i 65nm della piattaforma precedente. Il passaggio ad un processo produttivo di dimensioni inferiori al precedente porta con sé sue importanti novità: da una parte un minore consumo, dall'altra un minore calore prodotto dalla CPU, a tutto vantaggio quindi sia dell'autonomia che delle dimensioni delle componenti necessarie al raffreddamento. Differenti i modelli previsti, con BUS a 1066MHz efrequenze che vanno da 2,26GHz a 2,8GHz, cache L2 da 3MB (famiglia 8000) a 6MB (famiglia 9000) e TDP a 25W (con processori serie 8000), contro i 35W della precedente generazione.

Non mancheranno eccezioni alla "regola" dei 25W, in quanto Intel ha previsto modelli più performanti, fino ad un modello top quad-core con 44W di TDP, anche se passerà in questo caso in secondo piano il risparmio energetico, così come il logo Centrino 2, sostituito da Core 2 Extreme Inside, pur condividendo tutto il resto della piattaforma.

A supporto del sistema troviamo l'integrazione di memorie di tipo DDR3, meno esigenti dal punto di vista energetico nell'ordine del 25% a parità di frequenza rispetto ai modelli DDR2. Nuova anche la famiglia di chipset, serie 4, disponibile in differenti declinazioni P45M e P47M, con o senza chip grafico integrato, anche se per i modelli con funzionalità video sarà necessario attendere ancora un paio di settimane. I primi modelli in commercio, dunque, saranno equipaggiati giocoforza con sistemi discreti ATI o NVIDIA.

Una delle caratteristiche  più interessanti sarà la possibilità di passare da grafica integrata (quando presente) a quella discreta, con modalità definite dall'utente e dall'integratore. Si potrà quindi passare dalla grafica integrata a quella discreta o da boot o senza riavviare il sistema, stando a quanto dichiarato da Intel in fase di anteprima per la stampa.

Dal punto di vista della connettività troviamo differenti opzioni, con moduli della famiglia 5100 e 5300. Dal punto di vista delle caratteristiche tecniche si passa dal supporto agli standard WiFi 802.11a/b e draft n fino a WiMAX, presente in opzione.

Le novità non finiscono qui, ma rimandiamo alla lettura dell'articolo che verrà pubblicato nei prossimi giorni per saperne di più. Ricordiamo che i PC che equipaggeranno la nuova piattaforma saranno riconoscibili dal logo Centrino 2, Centrino vPro e Core 2 Extreme, di cui parleremo in seguito.

 
 
 

Da un fungo e dalle biotecnologie un nuovo farmaco per prevenire le metastasi

Post n°724 pubblicato il 17 Luglio 2008 da giromapa
 
Tag: Salute

Da Corriere.it

Su Nature Biotechnology lo studio dei colleghi di Judah Folkman

La lodamina è stata messa a punto a partire da una muffa che, per caso, ha contaminato cellule in laboratorio. Le ricerche durate 20 anni
Un farmaco sviluppato grazie alle biotecnologie e con il contributo casuale di un fungo, che ha contaminato un esperimento, potrebbe essere una nuova terapia efficace contro diverse forme di tumore.
Il farmaco, chiamato lodamina, è stato messo a punto nel corso di uno degli ultimi studi condotti da Judah Folkman, il ricercatore statunitense, scomparso nel gennaio 2008, che fu il padre delle terapie basate sull’angiogenesi, mirate ad «affamare» il tumore frenando la crescita dei vasi sanguigni che lo nutrono. La lodamina è appunto un inibitore dell’angiogenesi, su cui Folkman e colleghi hanno lavorato per 20 anni. La novità del momento è che, sviluppato in forma di pillola, il farmaco può essere assunto senza effetti collaterali, secondo quanto dichiarato dai ricercatori sulla rivista Nature Biotechnology. La produzione della molecola è stata affidata alla SynDevRx, un’azienda biotech privata di Cambridge, nel Massachusetts.
Dagli esiti dei test condotti su topi da laboratorio, il farmaco funziona contro varie forme di tumore, compreso il carcinoma del seno, dell’ovaio, della prostata, il neuroblastoma, il glioblastoma e i tumori dell’utero. Concorre a bloccare i tumori primari e previene la loro diffusione, secondo quanto dichiarato da Ofra Benny e colleghi, del Children's Hospital di Boston e dell’Harvard Medical School, che hanno inoltre spiegato: «Con la formulazione orale, la pillola raggiunge prima il fegato, mostrandosi nei topi particolarmente efficace nel prevenire lo sviluppo di metastasi epatiche, comuni a molti tipi di cancro e spesso associate ad una prognosi peggiore».
La lodamina deriva da uno dei più potenti agenti inibitori dell'angiogenesi, conosciuto come TNP-470 e isolato da un fungo chiamato Aspergillus fumigatus fresenius. La sua scoperta da parte dei ricercatori di Harvard era stata del tutto casuale: mentre erano intenti a cercare di far crescere cellule endoteliali, che rivestono i vasi sanguigni, la muffa ha intaccato le cellule e ha impedito la crescita dei vasi sanguigni più sottili, i capillari.
Ma il TNP-470, sviluppato in Giappone nel 1990 con il contributo della Takeda Chemical Industries, aveva effetti collaterali pesanti, agiva sul sistema nervoso centrale, provocando depressione, vertigini e altri malesseri. Inoltre era complicato da somministrare e richiedeva un'infusione costante, tanto che i laboratori lo lasciarono perdere. Benny e colleghi, però, continuarono a lavorarci su, fino a che, grazie alle nanotecnologie, le cose non sono cambiate.
I ricercatori hanno attaccato due polimeri a forma di pon-pon alla molecola, proteggendola dagli acidi dello stomaco. Il farmaco così modificato, chiamato lodamina, viene assorbito dall'intestino e va dritto alle cellule tumorali. In questo modo, sempre su animali, ha mostrato di contrastare melanoma e tumore del polmone, apparentemente senza effetti collaterali. Nelle cavie trattate con lodamina, fegato e milza hanno mantenuto un aspetto apparentemente normale e libero da malattia.
«Non ci saremmo attesi un risultato così marcato, in modelli animali di tumori così aggressivi» ha dichiarato Benny. Il farmaco, secondo i ricercatori, potrà essere utile anche per altre patologie caratterizzate da una crescita abnorme di vasi sanguigni, come la degenerazione maculare senile.
Donatella Barus
30 giugno 2008

 
 
 

Vernice trasparente sui vetri e il fotovoltaico rende il doppio

Post n°723 pubblicato il 17 Luglio 2008 da giromapa

Da Repubblica

Messa a punto nei laboratori del Mit una speciale pellicola in materiale organico
La luce viene intrappolata e concentrata sulle cellule poste sui bordi
Il materiale può essere usato nelle normali finestre o sui pannelli già in funzione
Il professor Baldo: "Costi irrisori, speriamo di commercializzarlo entro tre anni"
di VALERIO GUALERZI

Immagine da Sciencemag.org

MOLTI grandi passi avanti nella scienza sono stati fatti non solo grazie alle risposte, ma alle domande giuste. Spesso risultati che sembravano sfuggire costantemente di mano sono arrivati "semplicemente" cambiando obiettivo. E' quanto promette di fare anche l'importante innovazione nello sfruttamento dell'energia solare messa a punto in questi giorni nei laboratori del Massachusetts Institute of Technology.

Se fino ad oggi l'approccio per cercare di rendere economicamente più competitiva la trasformazione della luce in corrente elettrica era quello di migliorare l'efficienza dei pannelli solari, Marc Baldo e il suo team del Mit hanno avuto l'intuizione di rovesciare il problema. Anziché cercare di costruire celle fotovoltaiche migliori, hanno pensato a come far arrivare più luce a quelle di cui già disponiamo.

Idea non del tutto originale, visto che in giro per il mondo già esistono o sono in costruzione diverse centrali solari termodinamiche che sfruttano la forza del sole "raccogliendola" attraverso grandi specchi parabolici, trasformandola in calore. Si tratta però di impianti costosi, che hanno bisogno di forti investimenti e di molta tecnologia. Esattamente l'opposto di ciò che sono riusciti ad ottenere gli esperti del laboratorio di ottica organica del Mit.

Insieme ai suoi collaboratori, il professor Baldo, è riuscito a realizzare una speciale "vernice" trasparente in materiale organico che applicata sulle superfici dei vetri è in grado di catalizzare la luce e "intrappolarla" al loro interno. Il vetro si comporta quindi come una grande lastra di fibra ottica che obbliga la luce a scorrere verso l'esterno. Per trasformarla in energia è sufficiente quindi sistemare le cellule fotovoltaiche lungo la cornice. A costi ridotti, ogni finestra di casa potrebbe diventare così una fonte di elettricità.
I risultati di questa intuizione sono stati pubblicati recentemente sulla rivista Science e sembrano davvero incoraggianti. L'efficienza delle cellule fotovoltaiche riesce a migliorare del 20%, un incremento che in futuro potrebbe toccare quota 50%. Al momento i pannelli solari convertono in elettricità una quota compresa tra il 10 e il 15% dell'energia che ricevono, mentre il costo di un Kwh prodotto con il fotovoltaico è di circa 15-20 centesimi di euro, contro i 5 circa del carbone.

"In fondo - quasi si schermisce il professor Baldo - il tutto si riduce a un pezzo di vetro con uno strato di vernice sopra. L'idea è che la luce entra e inizia a rimbalzare verso i bordi e a quel punto tutto ciò che occorre fare è piazzare delle cellule fotovoltaiche ai lati. La superficie dei bordi è cento volte inferiore a quella esposta al sole, così siamo convinti che il costo dell'energia solare possa essere abbassato". Ma il team del Mit ha studiato anche un'altra possibile applicazione. Il vetro "pitturato" con la loro pellicola organica può essere piazzato infatti anche sopra i pannelli solari già in funzione, "irrorandoli" con una quantità di sole decisamente maggiore. In realtà bisognerebbe parlare della nuova speciale vernice al plurale, perché in laboratorio ne sono state create diverse in grado di coesistere sullo stesso vetro catturando frequenze di luce diverse a seconda dell'orario della giornata. Le prime prove eseguite al Mit con questo semplice accorgimento hanno mostrato la possibilità di raddoppiare l'attuale efficienza dei panelli al costo di un dollaro per ogni watt di potenza installato.

Baldo e soci credono talmente tanto nelle prospettive della loro creatura da aver messo in piedi una società, la Covalent Solar, per passare immediatamente alla fase di produzione. Nei loro progetti dovrebbero bastare tre anni per arrivare a commercializzare il prodotto. Anche se riconoscono che ci sono ancora diverse cose da mettere a posto. Al momento il limite maggiore della vernice "cattura sole" è la sua deperibilità. "Ora funzionano per circa tre mesi e questo naturalmente non va bene, ma è un problema che stiamo risolvendo", promette il professor Baldo.
 
 
 

Legge P2P mondiale discussa segretamente al G8 in Giappone: la bozza si chiama Acta. I dettagli.

Post n°722 pubblicato il 17 Luglio 2008 da giromapa

Da Web Master Point

Sembra quasi che non si sia svolto il recente G8 in Giappone. Perlomeno in Italia i media, soprattutto quelli tradizionali, hanno dato spazio ad altre notizie, dal clima avvelenato in tema di giustizia a spiacevoli episodi di cronaca nera.

Invece il G8 c’è stato eccome e i grandi della Terra hanno discusso anche di iniziative che riguardano la Rete e, in particolare, la pratica del P2P.

Durante l’incontro si è aperto un tavolo sull’Anti-Counterfeiting Trade Agreement (ACTA), un trattato internazionale contro la contraffazione, proposto nel 2007. Il trattato propone sanzioni criminali, ovvero penali, anche per le violazioni volontarie significative della proprietà intellettuale senza scopi di lucro, che colpiscono il possessore dei diritti.

In altre parole, il P2P di contenuti digitali protetti da copyright, anche se questi contenuti non finiranno in attività finalizzate al guadagno. Non solo: l’azione giudiziaria può partire anche senza la denuncia da parte dei titolari dei diritti.

Come riportato su Wikileaks, inoltre, l’ACTA chiede l’istituzione di un regime legale che protegga gli Internet provider dalla possibilità di essere denunciati, allo scopo di spingerli verso la cooperazione con i detentori dei diritti. Nello specifico, il trattato propone procedure che consentano ai detentori dei diritti di ottenere le informazioni necessarie a identificare l’utente Internet colpevole di file sharing illegale.

Non è un segreto che dietro l’ACTA vi siano le pressioni della RIAA (Recording Industry Association of America), che ha collaborato alla stesura del trattato.

Autore: Pierluigi Emmulo

 
 
 

Rapporto fra telefoni cellulari e cancro: ritardi, liti e dissensi

Post n°721 pubblicato il 06 Luglio 2008 da giromapa

Da Hardware Upgrade

“Sale a tre anni il ritardo nella pubblicazione degli studi condotti in oltre 10 anni da ricercatori di tutto il mondo. Cresce nel frattempo anche la voglia di saperne di più, anche se vi è un certo allarme nel vedere scienziati esprimere pareri molto spesso controversi o nebulosi”

La notizia si può leggere sull'International Herald Tribune, ma anche su diverse testate nazionali, ed è di quelle che interessa un po' tutti gli utenti dei telefoni cellulari. Sta suscitando una certa apprensione il ritardo della divulgazione dei dati che dovrebbero chiarire una volta per tutte il grado di correlazione fra utilizzo del telefono cellulare e lo sviluppo di tumori cerebrali, frutto di uno studio che coinvolge studiosi di tutto il mondo da almeno 10 anni.

Il ritardo si sta spingendo infatti oltre i tre anni, decisamente troppi, e difficilmente si può nascondere una certa apprensione circa il perché della mancata pubblicazione dei risultati, almeno fino ad oggi. La questione Lo studio infatti non è di quelli amatoriali, ma realizzato da Interphone con sovvenzioni di almeno una dozzina di produttori di cellulari fra cui Nokia, la Commissione Europea e l'organizzazione Mondiale della Sanità, per citare solo i più famosi.

Qualche considerazione è però possibile, in quanto la fonte raccoglie alcuni pareri dei singoli studiosi, raccolte nei diversi centri dislocati nel mondo al lavoro sul progetto, come Europa, Israele, Giappone e Canada.

Dovendo raccogliere le fila di conclusioni tratte dai diversi studiosi, vi sarebbe un problema di interpretazione dati, cosa che ha portato a veri e propri scontri fra gruppi di lavoro, giunti a conclusioni differenti dovute ad interpretazioni ad onor del vero difficili da trarre. Lo svedese Lennart Hardell ha per esempio affermato che andrebbe valutata la vera attendibilità dei pazienti affetti da cancro al cervello, in quanto spesso questi malati tendono ad avere ricordi alterati dalla malattia e fornire di conseguenza indicazioni di utilizzo del cellulare non propriamente veritiere, per quanto rese nella più completa sincerità.

Scienziati di altri paesi hanno invece iniziato a divulgare qualche piccolo dato, dai quali emergerebbe un rischio accresciuto di ammalarsi, specie in quegli utenti che per 10 anni hanno fatto uso intensivo del cellulare da un solo lato della testa. La difficoltà vera è dunque quella di mettere d'accordo per una stesura univoca del rapporto scienziati divisi sulla metodologia e sui risultati, evidentemente ben lontani dal confermare ma anche dall'escludere la correlazione cellulare-cancro.

Non sono mancati screzi fra i gruppi di studio, come per esempio fra israeliani e australiani. Questi ultimi infatti avrebbero invitato in modo chiaro a fare un uso moderato del cellulare, rimproverati dai colleghi di generare allarmismo senza avere in mano prove certe.

Troviamo dunque diverse fazioni, alcune delle quali chiaramente invitanti alla cautela nell'utilizzo del cellulare, usanza fra l'altro molto più diffusa fra i giovani e giovanissimi, che utilizzano il cellulare molto più del campione preso in esame dallo studio di Interphone. Su una cosa però tutti concordano: il cellulare è uno strumento prezioso e di grande utilità. Stando alle ultime promesse (finora mai mantenute), l'autunno dovrebbe portare ad un documento condiviso sui risultati dello studio. Non resta che attendere e sperare in un chiarimento, dovuto un po' a tutti.

 
 
 

Come collegarsi ad internet con chiavetta usb (internet key) o cellulare

Post n°719 pubblicato il 05 Luglio 2008 da giromapa

Da Web Master Point

La grande diffusione di cellulari, come il Blackberry, e non solo, dotati di tecnologia push mail, per ricevere la posta elettronica in tempo reale ovunque ci si trovi, la richiesta di collegamenti ad Internet in mobilità solo per navigare sembra essere destinata ad un pubblico di incalliti utenti web o professionisti del settore stando anche alle recenti statistiche sull'utilizzo della tecnologia in estate, secondo le quali, almeno per quest'anno, la maggior parte degli italiani parte per le proprie meritate ferie o week-end decisa a non utilizzare la tecnologia, tenendo spenti o quasi anche cellulari o blackberry.

Secondo, infatti, una ricerca pubblicata la scorsa settimana, solo il 20% dgli italiani in ferie sembra propenso ad utilizzare Internet e cellulari per leggere le proprie e-mail anche durante le proprie vacanze.

Sembra quasi che la tecnologia che ha sempre di più invaso i nostri uffici, le nostre case, ma anche il proprio tempo libero nell'ultimo anno e mezzo voglia "essere staccata" completamente o quasi dalla maggior parte degli italiani.

Nonostante queste premesse, con le prime settimane di ferie scaglionate e con la possibilità di lasciare la città nei week-end, si stanno moltiplicando le richieste sui forum e in e-mail giunte alla nostra redazione per comprendere il miglior modo per collegarsi ad Internet lontano da casa e ufficio.

Per rispondere a queste domande occorre prima di tutto schematizzare le modalità con cui ci si può collegare ad Internet in Italia in mobilità attualmente, in attesa della diffusione del Wimax che dovrebbe avvenire in grande stile tra la fine dell'anno in corso e durante il 2009 ( anche se per l'Umbria si parla di una copertura entro Agosto ):

- connessioni tramite hotspot in albergo o negli Internet Cafè
- connessioni Wi-fi utilizzando hotspot gratuiti di vario genere sparsi in numerose località italiane
- connessioni tramite cellulare collegato al computer o modem portatile USB ( la famosa Internet Key )

La prima tipologia di collegamenti tramite hotspot negli alberghi o negli Internet cafè non necessità di grandi spiegazioni, se non ricordare che occorre sempre avere un documento di identità per poter accedere ad Internet tramite un Internet Cafè.
I costi degli hotspot in albergo variano naturalmente da tipologia di hotel e località, ma il costo medio è di circa 2 euro all'ora per una navigazione senza limiti di traffico.

Per quanto riguarda il Wi-Fi c'è stato un vero e proprio moltiplicarsi di connessioni gratuite nell'ultimo anno, fornite sia da enti pubblici comunali, sia da appassionati che lasciano la propria connessione aperta accessibile liberamente per la navigazione di chiunque lo desideri.

Un gran parlare tra offerte e promozioni si sta facendo da diversi mesi, ormai, delle offerte per collegarsi con il proprio cellulare collegato al computer, ma soprattutto con un modem portatile Usb dalla forme di chiavetta ( la ormai cosidetta Internet Key Usb ) che in pratica tutti gli operatori telefonici offrono.

Vi sono tre tipi di collegamenti che vengono offerti e dove non c'è la copertura di uno, automaticamente il modem o il cellulare cercano di collegarsi con il protocollo di trasmissione dati "inferiore":

  • HSDPA
  • Umts
  • Edge e Gprs

L'HSDPA offre la connessione più veloce in assoluto e rispetto all'anno scorso sono aumentate le zone dove è presente, anche se il collegamento che offre una maggior copertura è quello Umts. L'edge e il Gprs in pratica, si trovano dappertutto, ma permettono di navigare ad una velocità uguale o inferiore a quelle dei vecchi cari modem a 56Kb.

Per quanto riguarda la velocità dello HSDPA, le offerte parlano di 7.2 MBps massimi, ma in realtà la velocità nella maggior parte di casi è di circa la metà di quello dichiarato, che comunque è assolutamente buona per navigare, usare e-mail e chattare.

La velocità massima teorica di una connessione Umts è 3,6 MBps, ma nella realtà dei fatti anche questa è minore, almeno di un quarto.

Per navigare e spendere il meno possibile con le offerte proposte dai vari operatori telefonici è utile ricordare che sul browser si possono disattivare sia la visualizzazione di immagini che di applicazioni in flash e che per leggere la posta elettronica si può utilizzare la propria webmail o bloccare il download degli allegati temporaneamente per scegliere di seguito quali effettivamente di nostro reale interesse scaricare.

In questo modo si risparmia banda e traffico e nella maggior parte di queste connessioni che pur essendo flat hanno dei limiti di download dei dati o di tempo può essere molto utile.

Così come può essere interessante scaricare dei programmi che permettano di rendere la navigazione più veloce comprimendo i dati da scaricare tra cui è assolutamente consigliabile l'utilizzo di Google Accelerator.

Per controllare i kb scaricati durante la navigazione o il tempo di essa, in quasi tute le offerte sono presenti dei software da caricare, che oltre a impostare automaticamente le configurazioni per un corretto collegamento permettono di monitorare dati scaricati e durata del collegamento. Quindi, problema risolto alla base.

 
 
 

Trovare driver di periferiche e componenti computer sconosciute senza marca: ecco come fare.

Post n°718 pubblicato il 05 Luglio 2008 da giromapa

Da Web Master PointQualche volta è difficile reperire il giusto driver per una periferica. Come fare quando questa è sconosciuta?

Sappiamo tutti che per avere un PC funzionante abbiamo bisogno di tutti i driver dei dispositivi presenti, tra l’altro installati correttamente. Quando acquistiamo un prodotto già completo, i driver sono preinstallati e quindi non incontriamo particolari problemi nell’avviare la macchina e iniziare a lavorarci. Certo, periodicamente, aggiornare i driver può risultare molto utile per garantirsi una migliore performance del computer.

Nel caso in cui, invece, decidiamo di assemblare un PC, può capitare di non avere a disposizione il driver di un determinato componente. Analoga situazione, in realtà, può verificarsi anche in caso di formattazione di un PC completo precedentemente acquistato.

Per trovare i driver necessari al corretto funzionamento della macchina occorre conoscere il produttore e il modello.

Se usiamo Microsoft Windows possiamo risalire a chi ha prodotto l’hardware e al modello del pezzo in questione aprendo le proprietà del sistema (scorciatoia winkey+pausa). Dalla finestra di proprietà bisogna scegliere «gestione periferiche» dalla linguetta hardware e poi selezionarla voce proprietà del componente in questione tramite tasto destro.

Per riconoscere il componente basta fare caso al punto interrogativo posto accanto. Si apre un menù a tendina: da lì posizionarsi sulla linguetta dettagli e selezionare la voce ID istanza periferica, che aprirà una stringa del tipo PCIVEN_10DE&DEV_0421&SUBYS…

A questo punto occorre identificare le cifre seguenti VEN (Vendor) e DEV (Devide ID), che rappresentano rispettivamente il produttore e il modello.

Per risalire al nome preciso del pezzo si può usare l’archivio di PCI Database, mentre per trovare il driver adatto è sufficiente andare sul sito ufficiale del produttore e scaricarlo.

Ci sono anche due software che possono aiutarci nell’operazione: uno è SIW System Info, l’altro è Sandra Lite.

Autore: Pierluigi Emmulo

 
 
 

Accesso limitato ai farmaci biotech? Costituzione tradita

Post n°717 pubblicato il 26 Giugno 2008 da giromapa

Da Yahoo! Notizie

Limitare l'accesso ai farmaci di nuova generazione in nome del budget limitato del Servizio Sanitario Nazionale significa negare un diritto dei cittadini malati sancito dalla nostra Costituzione Repubblicana. L'accusa arriva dal Convegno "Farmaci innovativi", organizzato a Roma dall'Associazione Culturale Giuseppe Dossetti - I valori, che ha visto confrontarsi medici famosi, esponenti dell'industria farmaceutica e della politica.

L'articolo 32 della Costituzione italiana tutela la salute "come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività; e garantisce cure gratuite agli indigenti", come pure numerosi trattati internazionali e documenti dell'Organizzazione Mondiale della Salute. Inoltre l'Italia nel 2001 ha ratificato la Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e la dignità dell'essere umano riguardo le applicazioni della Biologia e della Medicina, che all'articolo 2 recita: "L'interesse e il bene dell'essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza".

"Ma i problemi finanziari delle Regioni e il deficit pubblico che negli ultimi decenni hanno toccato livelli stellari, assieme all'impostazione aziendalista data alle istituzioni sanitarie, hanno portato a una forte contrazione delle risorse a disposizione per l'assistenza, pregiudicando l'efficienza del sistema e mettendo a rischio il diritto alla salute", fa notare preoccupata Ombretta Fumagalli Carulli, professoressa all'Università Cattolica di Milano e presidente dell'Associazione Culturale Giuseppe Dossetti - I valori. "La sottostima del Fondo sanitario nazionale non è più accettabile, né si può accettare che le Regioni, una volta ottenuti i fondi, continuino a 'sforare' sperando che lo Stato copra il deficit: sono cattive pratiche che portano solo indebitamento e incremento della spesa a carico dei cittadini".

Ma il progresso ha portato nuove speranze: "Grazie alla scoperta di farmaci innovativi come quelli biotech, ci sono ora possibilità di cura per malattie la cui prognosi fino a oggi era nefasta", spiega la Fumagalli Carulli. "Limitarne l'uso e la prescrizione perché troppo costosi sarebbe tradire il dettato costituzionale e negare il diritto alla salute a persone malate. Ridurre gli sprechi e rilanciare il carattere universalistico del Sistema Sanitario nazionale sono le sfide che il nuovo Governo deve saper cogliere".

david frati

 
 
 

Un laser per distruggere singole cellule tumorali

Post n°716 pubblicato il 26 Giugno 2008 da giromapa

Da Yahoo! Notizie

La sua precisione è simile a quella dei laser utilizzati nella chirurgia corneale, ma le dimensioni dell’intero dispositivo non superano i 15 millimetri di diametro. La nuova frontiera della microchirurgia arriva dall’Università di Austin, in Texas, ed è un laser a femtosecondi capace di distruggere le cellule una ad una, lasciando completamente intatte le cellule circostanti.  Si tratta di una tecnologia che potrebbe segnare una svolta nell’ambito della chirurgia oncologica, consentendo di distruggere anche le più piccole masse tumorali e con una precisione mai vista. Permetterebbe ad esempio di eliminare le singole cellule cancerose rimaste nell’organismo in seguito ad un intervento di espianto di una massa tumorale, oppure aiuterebbe i chirurghi negli interventi particolarmente delicati come quelli a carico del sistema nervoso o delle corde vocali. In più, le ridotte dimensioni dell’intero dispositivo consentirebbero di utilizzare il laser in ogni organo. Secondo Adela Ben-Yakar, principale artefice dell’invenzione, ciò tuttavia non è ancora abbastanza e nei prossimi tre anni l’autrice promette di restringere il diametro del dispositivo fino a 5 millimetri. Eguagliando così le dimensioni dei comuni endoscopi usati nelle ispezioni delle cavità corporee. Bibliografia: Hoy CL, Durr NJ, et al. Miniaturized probe for femtosecond laser microsurgery and two-photon imaging. Opt Express 2008; 16(13):9996-10005.

stefano massarelli

 
 
 

Salute: Olive In Pillole Rimedio Anti-Psoriarsi.

Post n°715 pubblicato il 26 Giugno 2008 da giromapa

Da Yahoo! Notizie

Roma, 25 giu. (Adnkronos Salute) - Dal succo di olive in pillole un rimedio naturale contro la psoriasi, malattia della pelle che affligge due milioni e mezzo di italiani e ben 120 milioni di persone nel mondo. Sono positivi i risultati dei test condotti in Giappone con un integratore a base di succo di olive trasformato in polvere, grazie alla tecnologia americana ma con un 'papà' tutto italiano, lo scienziato Roberto Crea. Nato in Calabria, Crea vive negli Usa da oltre 25 anni, dove ha fondato la CreAgri Inc studiando e brevettando le proprietà benefiche delle olive. Da questo frutto, infatti, non si ricava solo il condimento principe della dieta mediterranea. "Ci siamo concentrati - spiega Crea all'ADNKRONOS SALUTE - sul succo e sull'acqua di vegetazione delle olive, un prodotto di scarto dei frantoi. E abbiamo scoperto che è invece preziosissimo, ricco di polifenoli, i biopolifenoli, 300 volte più presenti che nell'olio extravergine. Siamo riusciti a estrarli e trasformarli in polvere, grazie a una nuova tecnologia, sfruttandone così i tanti effetti benefici", sottolinea lo scienziato. I biopolifenoli hanno ''una potente azione antinfiammatoria, antiossidante e regolano il sistema immunitario, rafforzandolo. Nelle prove cliniche condotte in Usa e Giappone, prima sull'animale e poi sull'uomo, si è ottenuta la riduzione del dolore e dei gonfiori in pazienti con artrite". Non solo. "Sono in corso studi clinici - prosegue - in Giappone per testare gli effetti contro le malattie della pelle, in particolare la psoriasi. Su 10 pazienti, dopo pochi mesi, si sono ottenuti risultati sorprendenti sulle lesioni tipiche di questa patologia, altamente invalidante dal punto di vista psicologico". Potrebbe arrivare dunque dalle olive, e dal loro prezioso succo, una speranza per i pazienti con psoriasi, anche in Italia. Nella Penisola, l'integratore battezzato 'Olivenol' dovrebbe essere disponibile in autunno, o comunque entro l'anno. Una capsula contiene l'equivalente in polifenoli di un quarto di litro d'olio extravergine. "E si tratta di sostanze altamente attive anche a piccole concentrazioni", sottolinea il biochimico. Allo studio anche l'uso del succo delle olive opportunamente trattato per l'industria alimentare. "Si può aggiungere - spiega Crea - nel processo produttivo di cibi e bevande, per arricchirle di effetti antiossidanti e antinfiammatori". Gli sviluppi sono tanti, promette lo scienziato: "Si potrebbero produrre sostanze attive - ipotizza - contro l'invecchiamento, i tumori della pelle o altri danni dei raggi solari".

 
 
 
 
 

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