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UNA VITA TRANQUILLA (allungato il finale)

Post n°1221 pubblicato il 23 Marzo 2012 da kayfakayfa
 

Quella mattina scese di casa per andare in ufficio con un leggero stato di frustrazione nell’animo.

La sera prima in televisione aveva seguito l’ennesima puntata del film documentario ripreso con una semplice telecamera digitale  da un inglese che aveva girato il mondo in bicicletta.

Osservando l’orgoglio con cui il giramondo narrava la fatica, i disagi e i pericoli che aveva dovuto affrontare nel corso della sua impresa, si chiedeva come fosse possibile che lui e tanti altri non sentissero affatto il bisogno di mettersi a loro volta alla prova, misurare i propri limiti per vedere fin dove potessero arrivare dando un senso diverso alla vita. 

Bensì si accontentavano di condurre un’esistenza abitudinaria, scialba, dove il più piccolo degli imprevisti rappresentava un ostacolo insormontabile che, come un masso gettato nel corso di un fiume ne devia o blocca la direzione dell’acqua, così quelle situazioni rompevano gli equilibri su cui da anni poggiavano le loro vite preconfezionate, senza che loro facessero nulla per darle una scossa seppure fossero consapevoli della banalità delle loro vite.

Dal lunedì al venerdì sveglia alle 6,30, toeletta; dopo essersi vestiti, colazione da soli o in compagnia della propria compagna; un saluto ai figli, se ne avessero; uscita di casa al solito orario per non perdere i mezzi pubblici che li avrebbero condotti a lavoro, o infilarsi nell’auto, accendere il motore e avviarsi in ufficio con la speranza di non restare imbottigliati a lungo nel traffico cittadino; caffè al bar vicino al posto di lavoro prima di entrare in azienda; pausa pranzo di un’ora in cui, dopo mangiato un panino o una pizza mezza fredda, dedicarsi alla lettura o magari concedersi una pennichella stesi sul ribaltabile della macchina; ripresa alle 15 in punto fino alle 18 per poi proseguire mezz’ora in più rispetto all’orario ordinario per accumulare a fine mese un cospicuo straordinario che rendesse un po’ più pesante la busta paga.

Fa niente se poi quelle ore in più incidessero negativamente sui tributi da pagarsi mensilmente e sul conguaglio di fine anno.

Il sabato e la domenica da dedicarsi ai propri hobby, se se ne coltivassero, oppure da trascorrere in compagnia della famiglia o degli amici.

E così avanti per anni e anni fino alla pensione, confidando negli scatti di anzianità o in un ambito passaggio di livello, soprattutto se si lavorasse in un’azienda privata, a testimonianza delle proprie capacità lavorative e della considerazione che il datore di  lavoro rtipone in te.

Paragonando la propria vita a quella del giovane avventuriero inglese, il quale, a rischio della propria incolumità, non aveva esitato a realizzare il proprio sogno passando per pazzo, si rendeva conto che la povertà esistenziale degli uomini è determinata dalla mancanza di coraggio che hanno nel credere nei propri sogni e, soprattutto, nell'adoperarsi per realizzarli.

Quella considerazione lo spinse a ammettere che la maggioranza degli uomini non credeva in se stessi perché solo chi crede in se stesso ha il coraggio di realizzare quello che davvero sente di voler fare nella vita!

Perché?

Non sapeva spiegarselo!

Mentre con l’auto imboccava la tangenziale, si chiese quali sogni lui avesse sacrificato alla quotidianità.

Per quanti sforzo facesse, non riuscì, a individuarne nemmeno uno!

Possibile, si disse, che non avesse mai coltivato un sogno? Un’ambizione diversa che non fosse solo quella di fare l’impiegato, il marito e il padre di famiglia?

Possibile che le speranze giovanili si fossero spente man mano che era cresciuto?

Da ragazzo amava giocare a calcio, andare al cinema, corteggiare le ragazze, uscire con gli amici, leggere un buon libro.

Possibile che, non appena aveva messo su famiglia con la donna che amava, le motivazioni che alimentavano i suoi sogni di ragazzo si fossero disciolti come neve al sole?

Possibile che ora vivesse solo in proiezione della sua famiglia?

 “Ma certo”, trasali, frenando di botto, “il giovane inglese ha potuto intraprendere la sua avventura perché non aveva famiglia, nessuno cui dare conto tranne a se stesso" disse tra sé. "Se gli fosse successo qualcosa di grave, se fosse addirittura morto, la sua mancanza non avrebbe pesato sugli altri.

Sì, i genitori e i parenti lo avrebbero pianto, ma non ci sarebbe stata  nessuna vedova né nessun orfano che avessero sofferto la sua mancanza!”

Il sorriso si trasformò in smorfia di terrore nell’attimo in cui, udendo lo stridore dei freni provenire alle sue spalle, alzò lo sguardo nello specchietto retrovisore e intravide l’auto piombare a forte velocità su di sé.

Lo schianto fu tremendo!
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Per le gravi ferite riportate nell’incidente, l’uomo restò in coma quasi due settimane.

Quando si riprese, l’unica cosa che ricordava era l’immagine di sé in groppa a una bicicletta.

Ai medici che le chiedevano se suo marito amasse andare in bici, la moglie rispondeva che  suo marito non sapeva andare bicicletta, che odiava qualunque cosa camminasse su due ruote.

L’uomo restò in ospedale poco più di un mese.

Quando fu dimesso, dovette restare a casa altri sei mesi per consentire alle fratture agli arti inferiori di rinsaldarsi.

Secondo i medici era un miracolo che, nonostante l’urto violento, alla fine se la fosse cavata con le gambe rotte e qualche costola incrinata.

Per tutto il tempo che restò a casa in convalescenza, l’uomo trascorse le giornate davanti al portatile.

Con l’ausilio di google map girò il mondo lungo e in largo tanto che, quando finalmente, grazie alla riabilitazione, cominciò a muovere i primi passi, non c’era angolo della terra che non conoscesse.

Nello stesso tempo navigò su diversi siti di biciclette, informandosi in maniera certosina sulle caratteristiche di ognuna.

A sua moglie che gli chiedeva il motivo di quel suo improvviso interessamento, rispondeva che non era mai troppo tardi per imparare ad andare in bicicletta.

Quando si fu rimesso del tutto, la prima cosa che fece acquistò una bicicletta da passeggio.

Lo aiutarono a stare in sella i suoi figli che avevano imparato da sé ad andare sulle due ruote.

Il giorno del suo cinquantesimo compleanno gli fu regalata una splendida muontain bike su cui iniziò a girare per la città.

Non appena ebbe preso confidenza col mezzo, un’idea bizzarra s’impossessò di lui.

Dopo che ebbe parlato con sua moglie e i suoi figli, ottenuta la loro approvazione, chiese all’azienda un anno di aspettativa e un anticipo sulla liquidazione.

Un’assolata mattina di marzo, in groppa alla sua bici coi portapacchi stracarichi di vettovaglie e attrezzature da campeggio, col caschetto allacciatto sotto il mento, l’uomo salutò con un sorriso i parenti e gli amici accorsi sul ciglio della strada per incoraggiarlo nella sua impresa.

Spinto dai suoi figli, cominciò a pedalare.

Così inziò il giro per il mondo in bicicletta!

 
 
 
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