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L'Aquila, ricordi feriti

Post n°675 pubblicato il 12 Aprile 2009 da kayfakayfa

L’Aquila, San Demetrio, Paganica, tra i luoghi simbolo della furia distruttiva del terremoto in Abruzzo, hanno rappresentato momenti indimenticabili per la mia attività letteraria. È stato proprio in questi luoghi che ho ricevuto riconoscimenti per me importanti sia come scrittore che come poeta, con tutto il rispetto per gli scrittori e i poeti veri. Nel 2003 con il racconto L’aquilone vinsi la sezione narrativa della prima edizione del Premio Letterario Grotte di Stiffe/Lago Sinizzo.

La premiazione si svolse in un’ampia sala comunale di San Demetrio dei Vestini, un paesino all’interno della strada che da L’Aquila conduce verso la provincia, a ridosso della ferrovia. Insieme a mio cognato, nell’attesa si facesse l’ora della premiazione, affascinati ci inoltrammo negli stretti vicoli del paese ai cui margini sorgevano le case basse intonacate a calce dalla cui finestre socchiuse traspariva un percettibile senso di serenità che ancora oggi non ho dimenticato. Fu emozionante sentirsi re per una notte. Ancora di più fu ascoltare il “che bello” con cui un’ignota voce femminile ruppe il rispettoso silenzio della platea mentre leggevo uno stralcio del racconto.

Ritornai a L’Aquila, precisamente a Paganica, alla fine di luglio del 2005 insieme alla mia famiglia per ritirare il secondo premio per la poesia dialettale che mi ero aggiudicato con ME PIACE all’ottava edizione della Spiga D’Oro.

Arrivammo a Paganica prima dell’ora di pranzo. Uno degli organizzatori della manifestazione ci aspettava in piazza davanti al giornalaio. Non fu difficile raggiungerlo in quanto, come accade per ogni vero paese che si rispetti, qualunque strada avessimo imboccato dalla provinciale per arrivare su a Paganica, tutte convergevano nella piazza, anima del luogo. Durante le presentazioni non riuscivo ad allontanare da me il dubbio che lo conoscessi. Allorché gli palesai questa sensazione Attilio Bondi, così si chiamava, ammise di nutrire il mio stesso dubbio. Alla fine scoprimmo non solo che Attilio era di Napoli, ma che addirittura era originario del mio stesso quartiere, Cavalleggeri D’Aosta, e che spesso avevamo giocato a pallone insieme il sabato e la domenica nel poligono. Attilio ci scortò all’agriturismo dove avremmo trascorso la notte. Ricordo l’entusiasmo dei miei figli quando entrarono nella loro camera: oltre ad avere la televisione a disposizione, la stanza era dotata di un immenso terrazzo che affacciava sulla vallata donando alla vista lo spettacolo immenso e surreale del Gran Sasso. Disfatte le valige, ci recammo in visita a L’Aquila. Man mano che con l’auto avanzavamo nel capoluogo abruzzese, mia moglie e i ragazzi ammiravano le palazzine di recente costruzione, dai tetti spioventi e dalle faccette rosse di mattoni, che sorgevano immerse in ampie oasi di verde corredate da giochi per bambini, non nascondendo il desiderio che gli sarebbe piaciuto vivere lì, (oggi presumibilmente  molti di quei palazzi sono stati distrutti dal terremoto). Parcheggiammo l’auto nei pressi della villa comunale per consumare la colazione a sacco che avevamo con noi. Quindi ci recammo a visitare il centro storico della città e la Fontana della 99 Cannelle uno dei suoi simboli più famosi. Rientrammo in albergo intorno alle cinque e riposammo fino all’ora in cui raggiungemmo la trattoria sulla strada di Paganica dove si sarebbe svolta la cena ufficiale cui avrebbe partecipato anche il giornalista, ex vaticanista, Mario Narducci che conobbi anni prima a un premio letterario in provincia di Pescara cui fui invitato per ritirare una menzione. Dopo cena ci avviammo a Paganica dove, nello spiazzo antistante un palazzo seicentesco, era stato allestito il palco per la premiazione. Fu una serata indimenticabile, l’unica nota stonata fu la lettura della mia poesia in napoletano da parte di un attore aquilano il quale alla fine si scusò con me per avermela “storpiata”, parole sue! Oltre ai libri e alla targa, tuttora affissa sulla  parete d’ingresso di casa mia  dove sull’intero perimetro della cornice sono stampati squarci dipinti del paese mentre al centro, posta di sbieco, campeggia una spiga d’oro simbolo del premio, come riconoscimento ricevetti fra l’altro un enorme cartoccio di dolci tipici del luogo, di fattura di una nota pasticceria del paese che a Napoli divisi tra parenti e amici tanti erano.

Ritornai a L’Aquila, accompagnato questa volta da mio figlio Lorenzo, il 24 a gennaio 2006 per ritirare il secondo premio per la poesia dialettale che mi ero aggiudicato alla ottava edizione dello Zirè d’Oro con ‘A MARUNNELLA. La data è importante visto che fino al giorno prima tutta Italia era stata caratterizzata da un inverno mite. Quel giorno freddo, vento, pioggia e neve si abbatterono soprattutto sul centro sud, in particolare in Abruzzo. Immersi in una bufera di neve sulla Roma-L’Aquila, incolonnati con altre vetture dietro a un tir, percorremmo quel tratto di strada utilizzando i solchi lasciati nella neve dall’autotreno a mo’ di binari per evitare di fermarci e montare le catene. Arrivati a L’Aquila, prima di beccare la strada giusta per il Grand Hotel dove avremmo alloggiato, facemmo ripetutamente il giro della città sotto una sottilissima nevicata dando perfino il passaggio a uno studente delle medie cui avevamo chiesto indicazioni. Quando finalmente imboccammo la strada per l’albergo, in camera consumammo la colazione a sacco che c’eravamo portati da Napoli col proposito di consumarla visitando la città, e guardammo la televisione mentre fuori nevicava senza sosta. Alle cinque lasciammo l’albergo per recarci al Teatro San Filippo dove si sarebbe svolta la premiazione. Al termine della manifestazione, insieme agli altri concorrenti e agli organizzatori andammo a cena in un noto ristorante aquilano dove mangiammo divinamente. Lorenzo fu adottato da una bella signora moglie di una giornalista la quale, non appena scoprì che mio figlio giocava a rugby come il suo, ogniqualvolta arrivavano i vassoi con le portate serviva prima Lorenzo “perché fa sport e deve crescere!”.

Rientrando in albergo, attraversammo la piazza del duomo. Sul selciato s’era accumulato uno spesso strato di neve frammista a ghiaccio. Imitando un gruppo di ragazzi che si bersagliavano con palle di neve, Lorenzo ne raccolse manciate e iniziò a tirarmi addosso bordate di neve. Per quanto cercassi di difendermi, non potevo sfuggire alla “furia” di mio figlio visto che il suolo era ghiacciato e serio era il rischio di cadere e farsi male. Quando fummo in albergo, prima di salire in camera, liberammo il tetto della macchina dalla neve che vi si era depositata. Ci coricammo con l’idea di dormire fino e tardi. Alle sei del mattino, destato dal rumore degli spazzaneve, mi vestì e scesi in strada per valutare le condizioni meteo e viabili. La macchina era nuovamente ricoperta di neve. Dato che la strada era stata ripulita e che non nevicava più, ma sulle montagne all’orizzonte capeggiavano minacciosi nuvoloni neri che non lasciavano presagire nulla di buono, liberata l’auto dalla fredda coperta immacolata, salì in camera e svegliai Lorenzo senza troppi preamboli, invitandolo a muoversi in fretta. “Ma non dovevamo partire alle nove?” sbuffò assonnato. “Se vuoi tornare a Napoli, vestiti e non fare storie”, replicai facendo la valigia.

Alle sette eravamo già in viaggio. Bene facemmo perché, come apprendemmo non appena entrammo nell’autogrill che sorge nell’area di servizio alla fine dell’Aquila/Roma, sull’autostrada si era abbattuta una violenta bufera di neve che aveva costretto la polizia stradale a chiudere il tratto che poco prima avevamo percosso. “Papà, che culo!” commentò Lorenzo guardando le immagini sul televisore del bar.


 

Ripensando ai tanti bei momenti che ho vissuto a L’Aquila e provincia; alle persone che ho conosciuto in quei giorni, con le quali ho brindato gioiosamente alla vita levando i bicchieri al cielo, soltanto immaginare che molte di loro oggi potrebbero non esserci più in quanto vittime del terremoto, mi è difficile trattenere la commozione e la rabbia.

Il terremoto e il cinismo degli uomini non hanno solo distrutto una città e interi paesi, uccidendo un  numero crescente di vite umane, relegandone un’altra decina di migliaia nell’incertezza di un oscuro futuro. Il terremoto e il cinismo degli uomini hanno ferito in maniera insanabile i ricordi di chi come me in quelle zone ha vissuto momenti indimenticabili che nulla e nessuno, finanche il terremoto, potrà mai cancellare!

 

 

 
 
 
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