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LA VOCE DI KAYFA

IL BLOG DI ENZO GIARRITIELLO

 

 

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NOTTE MAGICA

Post n°27 pubblicato il 25 Gennaio 2006 da kayfakayfa
Foto di kayfakayfa

 

Sospesa sulla piazza illuminata a festa, la luna piena rischiarava le montagne del Casentino Toscano. All’orizzonte, tra flessuose ombre, si distinguevano le luci del santuario de LA VERNA, il luogo in cui San Francesco ricevette le stigmate.
Immerso in quel mistico scenario, al riparo dai monti ricoperti da una lussureggiante vegetazione accarezzata dall’eco del torrente T..., su un’unghia di roccia sorgeva R... Le case, costruite in blocchi di arenaria, al viandante, che dalla valle si inerpicava sulla strada per il paese, davano l’impressione di trovarsi al cospetto di un presepio la cui ombra si coricava sulla via adagiata dal sole.
Sul palco innalzato al margine della piazza, il quartetto di musicisti, tre uomini e una donna, intonava ballate celtiche invitando il pubblico a battere le mani.
Malgrado lo slargo fosse gremito in ogni angolo, riuscii a trovare un buco dove sistemarmi, lasciandomi subito contagiare da quell’entusiastico clamore.
Ai piedi del palcoscenico una frotta di bambini danzava festosa seguita  dai sorrisi degli orchestrali, e dai genitori che li incitavano a gran voce.
Osservando la scena, mi resi conto di quanto poco bastasse all’uomo per essere felice.
Considerai la lietezza del momento quale intimo bisogno che ognuno ha di rispolverare, per una volta nella vita, dai cassetti dell’anima, gli smessi abiti di un tempo dove gli uomini vivevano in osmosi con la natura al punto da rivolgersi alla terra con l’appellativo di GRANDE MADRE. Perso in quei pensieri, lasciai che la musica mi levigasse la pelle così come quella mattina, recatomi al B..., l’altro torrente che scorreva sul versante opposto del paese, mi affidai alle sue gelide acque. In quegli attimi provai un’ebbrezza inenarrabile. Un piacere diverso da quello che si prova laddove ti accarezza una donna. Non si hanno reazioni comuni; il gusto dell’estasi è un casto piacere che rapisce intimamente l’Io, diffodendosi al cuore con intensi brividi che contraggono i nervi e i muscoli. In quegli attimi non vi sono labbra da baciare, mammelle da palpare, capezzoli da suggere, fianchi e cosce da accarezzare. Né vi sono occhi socchiusi da cercare nell’esaltazione del momento. Consegnandoti al torrente, hai la sensazione di concederti all’abbraccio di una passionale e invisibile creatura che ti sfiora il viso con la sua chioma di foglie e ti vezzeggia i sensi con muliebrità di terra e roccia, amandoti in un crescente di emozioni d’acqua culminanti in un’imponente cascata.
Ripercorrevo le palpitazioni di quella mattina, navigando con la mente sulle allegre note di una ballata irlandese, quando un intenso profumo di rose si diffuse nell’aria. Inebriato mi voltai. Al mio fianco vi era un’affascinante presenza femminile dai lunghi capelli neri che le ammantavano le spalle a mo’ di scialle. Approfittando della penombra, con attenzione scrutai i lineamenti del viso e del corpo. Il volto, leggermente triangolare, era privo di trucco. Malgrado ciò i tratti delle labbra e degli occhi erano garbatamente accentuati da sembrare frutto di un sobrio maquillage. Floride mammelle si ergevano al di sotto del lungo abito di seta nera il cui orlo sfiorava il selciato della piazza. Sodi fianchi compensavano l’opulenza del seno. Nell’istante in cui sul palco l’occhio di bue cambiò da viola opaco in giallo intenso, distinsi tra le trasparenze del tessuto la flessuosità delle gambe. Ma ciò che più mi colpì fu che era scalza.
Soggiornavo a R... da più di una settimana, e praticamente conoscevo di vista tutti, indigeni e villeggianti, eppure quella donna la vedevo per la prima volta. Era tanto bella che, nonostante la musica fosse cessata e gli applausi riecheggiassero nella piazza illuminata da ogni lato, non riuscii a levarle lo sguardo da dosso.
Lentamente girò il capo sorridendomi. “Buonasera........” feci imbarazzato.
“Buonasera!........Bravi, vero?.....” disse.
“Bravi, non c’è che dire!.......” convenni.
Le luci dei riflettori incrociandosi sulle nostre teste svelarono l’esaltante bellezza di lei.
G
li occhi erano gemme risplendenti d’argento vivo; le labbra fiammeggiavano di intenso fuoco; il mantice del respiro le gonfiava il petto.
Le note di una ballata scozzese si diffusero nell’aria e le luci presero a vorticare all’impazzata su tutta la piazza.
“Le va di ballare?......” chiese fissandomi di sottecchi.
Sussultai guardandomi preoccupato intorno. Il pubblico batteva le mani a tempo accompagnandosi con grida di gioia. Il pensiero di dovermi esibire al cospetto di quella folla mi faceva rabbrividire, nonostante la serata fosse insolitamente calda per il luogo.
“Non so ballare.......E poi c’è troppa gente!........” mi giustificai.
“Perché per un momento non cerca di tornare bambino?.......”
“Che vuol dire?.........”
Col capo indicò i ragazzini impegnati in un girotondo davanti al palco.
“I fanciulli possiedono il segreto della felicità!......” sussurrò. Nella voce percepii una nota di amarezza.
“Si spieghi!?.....”.
“La loro unica preoccupazione è quella di adoperarsi per realizzare le fantasie dell’anima, senza curarsi dell’opinione altrui.........Guardi come la folla li fissa con gioia........Scommetterei qualunque cosa che tante di quelle persone bene educate stanno soffrendo le pene dell’inferno nell’atto di frenare l’impulso di alzarsi ed unirsi a quel girotondo beato, accantonando i preconcetti!....”.
“Le piace la musica celtica?......” domandai tornando a fissare il palco.
“Mi piace tutto ciò che è sincero!.....”
“Allora le piace?.........”
“Naturale, essa ha il potere di sposare tra loro gli uomini, facendogli riscoprire una verità obliata......”.
“Quale?......”
“Che siamo tutti figli di un’unica madre.....” soggiunse accarezzando con i piedi la terra.
La fissai dubbioso.
“Osservi come tutti battano le mani e urlino di gioia........” riprese senza curarsi delle mie perplessità. “Se il bon ton gli impone di non ballare, comunque non possono astenersi dal manifestare l’esaltazione suscitata dalle note..........E da questa notte soprattutto!.........”.
“Cos’ha di speciale questa notte?........”.
Infervorato battevo le mani, scandendo il ritmo insieme agli altri.
“Stanotte è una notte speciale.....E’ la notte in cui i sogni possono trasformarsi in realtà......”
“E’ vero.....Dimenticavo che questa è la notte di S. Lorenzo!.....”
Levai gli occhi al cielo. Filamenti di stelle ricamavano la notte con trame dorate dando forma alle illusioni degli uomini.
“E’ anche il momento in cui il piccolo popolo esce dal bosco per cercare un uomo che creda nei propri sogni, e che amando la sua regina deponga nel regale grembo l’essenza dei propri desideri........” continuò guardando il firmamento.
L’ascoltai incredulo.
Fissandole i piedi scalzi, pensai si trattasse di una povera pazza che era fuggita dalla prigione.
Ritenni fosse meglio assecondarla.
“Davvero? E’ chi sarebbero gli abitanti del piccolo popolo?......”.
“Gli gnomi, i folletti, gli elfi, le fate. Tutte quelle creature che un tempo vivevano sulla terra in armonia con la natura e con gli uomini. Tale concordia svanì quando questi ultimi caddero vittime delle lusinghe della serpe e mangiarono il frutto proibito. In quell’attimo l’arida pianta dell’avidità si radicò in essi.......Abbagliati dalla luce che rischiarava le viscere del mondo, sottomisero il piccolo popolo imponendogli di violentare la terra del suo sole pena il massacro. Per sfuggire all’orrore il piccolo popolo si rifugiò nel profondo del bosco da dove esce solo di notte......”.
“Non sarebbe meglio se il piccolo popolo cercasse lo sposo per la regina tra i suoi abitanti?......”. Posi quella domanda distrattamente.
“Per estirpare la mala pianta dai cuori degli uomini il Creatore li resi succubi del dolore e della fatica affinché cercassero conforto nel sogno...........Librandosi in volo con l’anima gli è concesso di raggiungere le stelle e lasciarsi abbagliare dalla loro luce onde redimersi......Solo unendosi ad un uomo la regina permetterà che anche i suoi sudditi un dì diventino angeli!......”
“Come?....”. Quella faccenda cominciava ad intrigarmi.
“Quando il seme sarà deposto in lei, si pungerà con un bocciolo di rosa rossa, lasciando gocciolare il sangue nel fiume, fino a dissolversi essa stessa nell’acqua, in modo che il suo popolo bevendo metta le ali e incontri le stelle.....” concluse alzando il capo al planetario dorato.
Il concerto terminò e la piazza lentamente andava svuotandosi.
La donna si mosse e io la seguii.
Ci incamminammo lungo la stradina che dal paese conduceva al B..., facendoci largo tra la folla festante.
“Buona sera signori.....Volete adottare un angelo?......” risuonò alle nostre spalle una voce stridula.
Ci voltammo all’unisono ad incrociare lo sguardo triste di Giuseppe, il falegname del villaggio, a cui la gente, fin dalla nascita, aveva imposto di uscire di casa dopo il tramonto, per evitare che i bambini e le donne gravide si spaventassero nel vederlo bazzicare per il paese con quel suo enorme naso a ciliegia e le orecchie appuntite che lo facevano sembrare uno spirito del bosco.
Il povero uomo aspettava il morire del giorno isolato nella sua casa sul fiume. Trascorreva il tempo ad intagliare statuine di legno che poi barattava la sera in piazza per un tozzo di pane e un bicchiere di vino.
Tutte riproducevano un unico soggetto: un bellissimo angelo dall’aspetto fiero.
La donna si fermò e afferrò una scultura osservandola con attenzione. Quindi la ripose e con un lieve sorriso salutò il disgraziato che, seduto sul bordo della fontana, la fissava con gli occhi lucidi.
Preceduti dalle nostre ombre, avanzammo sull’acciottolato rischiarato dalla luce che filtrava dalle finestre spalancate.
In breve giungemmo al sentiero che conduceva al fiume.
In quel punto il chiarore soffocava tra le foglie degli alberi lasciandoci al buio. Per nulla intimorita dalle tenebre che si infittivano man mano che ci inoltravamo, la donna proseguiva sicura sul terreno, senza curarsi dell’ortica che calpestava.
“Ma la regina cosa ci ricava da questo sacrificio?......” chiesi guardandomi circospetto intorno.
“Il privilegio di vivere per una notte la sublime purezza dell’amore!........”
Nell’istante in cui pronunziò quella frase, il sentiero si illuminò di infinite fiammelle che rischiararono i bordi della vasca naturale dove quella mattina mi ero tuffato.
“Vieni.........”
Sussurrando mi prese per mano e mi condusse sul bordo della roccia.
In silenzio l’ammirai spogliarsi.
Attraverso le foglie le stelle le si riflessero sul pube.
Confuso lasciai che il sapore delle sua bocca si posasse sulla mia. Chiusi gli occhi lasciandomi spogliare dalle sue mani.
Distesi le braccia accarezzandole la schiena e i fianchi.
Il ruvido velluto della pelle mi fece rabbrividire al tocco: sfiorandola mi sembrava di lambire la scorza di un frutto maturo che invocava d’essere colto.
Baciandola la distesi sul tappeto di muschio che ricopriva la roccia.
L’amai, rapito in quella magica atmosfera.
Ricacciai l’idea si trattasse di una pazza: era solo una creatura  che aveva bisogno di sentirsi amata.
Nell’attimo in cui i desideri scaturirono dal mio essere fondendosi ai suoi, mi strinse con forza a sé implorandomi di non dimenticarla.
Nel risvegliarmi al mattino, colei che aveva reso vivi i miei sogni non c’era più.
Solitario giacevo sulla riva del torrente  con uno stormo di uccelli che cinguettavano allegramente nell’aria.
Decisi di immergermi nell’acqua quando un sordo rumore si levò dalla boscaglia.
Preoccupato cercai di coprirmi.
La grottesca figura di Giuseppe apparve tra le foglie.
“Buongiorno.........” fece accostandosi al fiume, per niente intimorito dalla mia presenza.
“Buongiorno.......” risposi, cercando attorno i vestiti.
L’uomo trasse una borraccia dalla sacca che portava sul petto e l’immerse nel fiume per riempirla.
Quindi si inginocchiò sulla riva e affondò le mani giunte nel fiume.
Le portò alle labbra e bevve.
Mestamente si alzò per tornare nella selva quando, all’improvviso, bagliori di stelle saettarono dalla sua persona.
Allibito l’osservai assumere i tratti dell’angelo che intagliava sul legno.
Osservando la propria immagine celeste riflessa nel fiume un pianto di gioia gli sgorgò dall’anima.
Un lieve fruscio attrasse la mia attenzione nel punto in cui il torrente confluiva in uno stretto canale.
Lì, un bocciolo di rosa rossa che scorreva sull’acqua veniva sballottato tra le rocce.
In balia della corrente il fiore si agitava tra i flutti in un saluto disperato, scosso da un’invisibile mano.
“Addio” mormorai mentre si allontanava trascinato dal fiume. 

                         FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 
 
 
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