Creato da: donulissefrascali il 29/10/2005
Rinnovamento Sociale per la partecipazione di tutti ai diritti umani.

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Post N° 239

Post n°239 pubblicato il 28 Novembre 2008 da donulissefrascali

GIUSTIZIA SOCIALE E DISUGUAGLIANZE

La giustizia deve avere un fine sociale come l’uguaglianza, la libertà, la democrazia e il benessere. Deve promuovere un concetto normativo della giustizia sociale. Molte differenze esistenti tra i membri di una collettività, specialmente in campo economico e giuridico, tendono ad essere ritenute disuguaglianze che fanno sorgere nella realtà sociale ribellioni che tendono a favorire azioni e reazioni finalizzate ad eliminare le differenze. Dette differenze si evidenziano con una forma di proprietà di quantità più o meno grandi di beni socialmente rilevanti, che poi portano ad essere considerati come un meccanismo di selezione inteso a mantenere un determinato ordine sociale di potere. Tali differenze appaiono, almeno in linea di principio, superabili mediante azioni dirette a modificare i meccanismi selettivi o ad eliminarle totalmente trasformando più o meno radicalmente l’ordinamento sociale. Da quanto su esposto la giustizia sociale deve avere una linea normativa e per questo sorge il problema della possibilità di definirla in termini descrittivi. La giustizia sociale è stata equiparata alla legalità, all’imparzialità, alla eguaglianza, alla volontà retributiva dell’individuo secondo il suo grado e il suo bisogno di sopravvivenza. Se queste condizioni si debbono ritenere accettabili, si deve partire da premesse operative per arrivare a definire conclusioni normative. La conclusione può essere una sola: una condotta giusta o ingiusta può essere definita tale solo con la promulgazione di una normativa che assegni benefici e oneri paritetici a classi diverse di cittadini.

 
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Post N° 238

Post n°238 pubblicato il 23 Novembre 2008 da donulissefrascali

RISCONTRO OGNI GIORNO CHE SONO TANTI CHE VENGONO A VISITARE IL MIO BLOG: VI RINGRAZIO E VI SONO GRATO. VORREI ESPRIMERE UN DESIDERIO: SAREI FELICE CHE VENISSE ESPRESSO UN COMMENTO SUGLI ARGOMENTI CHE VENGONO TRATTATI. NON SONO A CHIEDERE UN CONSENSO MA SAREI FELICE CHE SI INTRAPRENDESSE UN DIALOGO PER AVVIARE UN CONFRONTO. E’ IMPORTANTISSIMO OGGI AVVIARE UN DIALOGO SERENO E NON CONFLITTUALE PER ATTIVARE UN REALE RINNOVAMENTO SOCIALE.

DON ULISSE

 
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Post N° 236

Post n°236 pubblicato il 17 Novembre 2008 da donulissefrascali

AVER FEDE, SUO VALORE E SIGNIFICATO.

Parlare di Fede? Certamente non c’è niente di più serio e impegnativo. La Fede è l’unico strumento capace di infonderci la grazia manifestatasi in Cristo e operata da Cristo, la quale ci da la certezza della redenzione e la sicurezza di realizzare in noi stessi la realtà naturale posta nell’essere umano dal Trascendente,dal Creatore del mondo. Per la vita personale all’uomo occorreva qualche cosa di puramente personale, e tale mezzo è la Fede, la sola Fede, affermazione di un pensiero di Dio reso a noi manifesto e intelligibile dal Cristo. Ed infatti è proprio la FEDE che risolve le contrapposizioni esistenti fra vita religiosa interiore e personale ed obbedienza ad una autorità esterna gerarchica. Parlare di FEDE?. La FEDE è un dono quotidiano che va coltivato ed alimentato. Spesso capita di avere dei grandi dubbi che ti fa prendere coscienza che la Fede vacilla. Ma poi basta poco per riprendersi: basta richiamare la realtà Evangelica, la realtà del Cristo per farla rinascere e anche rafforzarla. Basta anche solo uno sguardo silenzioso di un bambino che si fida di te, e che aspetta che tu faccia qualcosa per lui, oppure quello di un anziano, ormai abbandonato da tutti e che vede in te l’unico appiglio per continuare a sperare in qualche soluzione dei suoi problemi. In tal modo scompare ogni dubbio e la stanchezza, e viene da chiedermi: è questa la Fede? Si è questa la Fede, la vera Fede: quella che ti da una sicurezza interiore, che ti fa comprendere il tuo essere naturale, voluto dal Trascendente, dal Creatore dell’umanità. E’ questo che ti fa comprendere che la base della Fede è determinata dalla solidarietà e dalla fratellanza universale di tutta l’umanità.

 
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Post N° 235

Post n°235 pubblicato il 13 Novembre 2008 da donulissefrascali

LA FAMIGLIA E LO STATO SOCIALE

“La prima e più necessaria società naturale e insostituibile cellula del popolo, è la famiglia. Se oggi il concetto e la creazione di spazi vitali è al centro delle mete sociali e politiche, non si dovrebbe forse, avanti ogni cosa pensare allo spazio vitale della famiglia e liberarla dai legami di condizioni, che non permettono neppure la formazione di un proprio casolare.”

(Pio XII, radiomessaggio Pentecoste giugno 1941)

“Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società, concorra da parte sua a ridonare alla persona umana la dignità concessale da Dio.”

(Messaggio natalizio 1942)

“Una dottrina e costruzione sociale che rinneghi tale essenziale finalità, o ne prescinda segue falso cammino; e mentre costruisce con una mano, prepara con l’altra i mezzi che presto o tardi distruggeranno l’opera. E quando misconoscendo il rispetto dovuto alla persona e alla vita a lei propria, non le conceda alcun posto nei suoi ordinamenti nell’attività legislativa ed esecutiva, lungi dal servire la società, la danneggia; lungi dal promuovere e animare il pensiero sociale e attuarne le aspettative e le speranze, le toglie ogni valore intrinseco, servendosene come di frase utilitaria, la quale incontra in ceti sempre più numerosi, risoluta e franca ripulsa.”

(Pio XII messaggio natalizio 1942)

“Basare la sicurezza e la stabilità della vita umana sull’accrescimento meramente quantitativo dei beni materiali, significa dimenticare che l’uomo è innanzi tutto uno spirito creato ad immagine di Dio, responsabile dei propri atti e del suo destino, capace di governarsi da sé e che trova in ciò la sua più alta dignità. Si ha ragione di difendere questa libertà contro le pressioni esteriori, contro l’imperio di sistemi sociali che la paralizzano e la rendono illusoria.”

(Pio XII al corpo diplomatico 4 marzo 1958).

La preoccupazione dei diritti e di una giusta libertà della persona traspare in tutti i testi e in tutti i discorsi riguardanti l’organizzazione dell’ordine economico e sociale di Pio XII.

 
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Post N° 234

Post n°234 pubblicato il 08 Novembre 2008 da donulissefrascali

POTERE, SERVIZIO, E STATO SOCIALE.

La definizione dello stato sociale è strettamente collegata al concetto di democrazia: non può esistere uno stato sociale se non esiste una vera democrazia e non può essere promosso un vero stato sociale se chi detiene il potere non lo detiene in funzione di un servizio alla base popolare. Solo attraverso a una precisa definizione delle funzioni di servizio al cittadino da parte del potere, si definiscono le linee della vera democrazia, che secondo l’etimologia della parola greca, demos-cratos, vuol dire “ potere del popolo”. La teoria moderna è legata essenzialmente a due forme di governo: una nata col sorgere delle grandi monarchie e l’altra col nascere della forma repubblicana, elettorale. Ammesso che possa sembrare utopico che gli affari comuni non debbano essere gestiti dai governanti, inizia ad emergere il pensiero che il “governo del popolo da parte del popolo e per il popolo” possa rispondere in maniera più soddisfacente ai reali bisogni. Ma quale popolo? Con quali fini e metodologie? E’ un interrogativo che gli stessi propositori della democrazia si pongono. La discordanza delle risposte che vengono espresse, rende inevitabile dedurre che democrazia è un termine che, se si vuol rendere ragione della realtà, non può essere preso in senso assoluto. Tutte le diverse democrazie esistenti si professano al servizio dell’uomo. Prendendo in esame una formula di governo che si dice democratico, ogni riflessione porta ad un inquietante interrogativo: che cos’è l’uomo e quali sono le sue naturali esigenze. La dottrina della sovranità popolare non deve essere confusa con la dottrina di contratto (sindacale) che raramente ha esiti positivi. La cultura e la realtà del diritto naturale con la quale il contratto di lavoro dovrebbe essere strettamente collegato, implica profonda riflessione per definire il diritto di proprietà e il diritto di partecipazione ai beni esistenti e prodotti dal lavoro. Queste riflessioni vanno evidenziate nella formazione delle leggi proposte dal potere tendenti a sostituire e sovrapporsi al diritto naturale, particolarmente quello riferito alla difesa della sopravvivenza e della vita. Il governo repubblicano, che nella sua concezione non è concentrato nelle mani di uno solo ma distribuito in diversi corpi collegiali, troppo spesso in conflitto tra di loro, non è espressione di una struttura finalizzata a un vero servizio alla base popolare. Occorre quindi analizzare e proporre altre vie finalizzate alla realizzazione di uno stato sociale che attuando un vero servizio alla base popolare tenda a difendere la vita di ogni essere umano e non solo di quelli che si trovano in una posizione di privilegio.

 
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Post N° 233

Post n°233 pubblicato il 03 Novembre 2008 da donulissefrascali

VOLONTARIATO SOCIALE

Esiste oggi l’associazionismo, il volontariato, che si deve considerare un momento importante di vita sociale sulla quale si deve lavorare con impegno per camminare verso un reale rinnovamento. Deve quindi essere riconosciuta la capacità al volontariato ed alle associazioni di volontariato come momento di partecipazione responsabile dei cittadini in campo politico, economico e sociale ed il loro contributo alla realizzazione di una vera società dei cittadini. Appare quindi chiara l’ottica specifica in cui si proiettano i nuovi orientamenti del volontariato. Probabilmente non tutti saremo d’accordo sulla necessità e sulla modalità del cambiamento, ma la natura stessa del volontariato, gli strumenti e le modalità da usare per la promozione e formazione, fanno si che questo sia un elemento importantissimo per una trasformazione e un progresso sociale. Abbinato a questo discorso anche i giovani organizzano attività ed impianti finalizzati a un rinnovamento. Se il volontariato non vuole ridursi ad un fatto unicamente assistenzialistico caritativo, deve considerarsi essenziale per dare una risposta di carattere economico di vero rinnovamento, finalizzato al superamento dei rapporti conflittuali esistenti nel nostro territorio. Oggi anche i movimenti giovanili di associazioni tradizionali vanno assumendo questa caratteristica. Non si può considerare il volontariato finalizzato al miglior funzionamento delle istituzioni pubbliche perché verrebbe da queste ucciso in quanto gli si negherebbe praticamente la sua capacità innovativa e creativa. Il cambiamento non si realizza con un consenso conformista, ma con una capacità di analisi critica, e mettendo insieme coraggio competenza fantasia e facendo crescere nella società civile vera solidarietà, il rispetto per l’uomo e per la natura con il superamento degli egoismi personali e di gruppo.

 
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Post N° 232

Post n°232 pubblicato il 30 Ottobre 2008 da donulissefrascali

SOCIOLOGIA CRISTIANA NEL PENSIERO DI PAPA PACELLI

Saremmo dei cristiani distratti ed inetti, se non prendessimo adeguata coscienza della potenza e della ricchezza di parola sgorgata dall’incomparabile fecondità e dalla meravigliosa versatilità di Pio XII, desideroso di soccorrere con nuovo argomento di perenne dottrina l’insorgenza moderna di mille nuovi problemi.

(Mons.Montini per la celebrazione dell’80 compleanno di Papa Pacelli)

DEMOCRAZIA E STATO SOCIALE

Noi conoscendo la loro condizione,vogliamo con tutta l’anima nostra sostenere la causa dei lavoratori cristiani, ed anzi di tutto il vasto mondo del lavoro. Convincere il lavoratore cristiano che egli ha l’obbligo di occuparsi, secondo la sua condizione e le sue possibilità, con disinteresse e con coraggio, delle questioni che un mondo travagliato ed agitato deve risolvere nel campo della “giustizia sociale”. Nel nostro secolo il sistema capitalistico ha assunto proporzioni gigantesche. Sua caratteristica è la produzione di massa a cui si accompagna anche la formazione di masse umane: agglomerati amorfi e tumultuosi in cui i singoli spesso risultano spersonalizzati. Occorre che l’uomo si inserisca sempre più negli organismi economici e politici, partecipi attivamente alla loro vita, raggiungendo la dignità di soggetto.

(PioXii discorso natalizio 1948).

 
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Post N° 231

Post n°231 pubblicato il 28 Ottobre 2008 da donulissefrascali

LIBERTA’ E PEDAGOGIA

Nel diciottesimo secolo i pensatori progressisti fecero circolare idee di libertà, democrazia e autodeterminazione e a cominciare dalla prima metà del novecento, queste idee cominciarono ad entrare in campo pedagogico. Il principio che sta alla base del concetto di autodeterminazione è di sostituire l’autoritarismo con la libertà, di aiutare il giovane a scoprire se stesso, ad avvertire la sua esperienza interiore,e di agevolare il confronto con i suoi simili per una continua ricerca antropologica dell’etica. Ne deriva quindi che il primo problema ed il primo obiettivo della pedagogia è quello di portare il giovane a realizzare ed esprimere se stesso, a concretizzare la propria creatività e a costruire gradualmente la propria personalità e maturità. Questo atteggiamento segnò l’inizio dell’educazione progressista. I risultati però si rivelarono spesso deludenti, per cui nei confronti dell’educazione progressista si sta manifestando un crescente processo di reazione. Sta così riaffermandosi un movimento molto forte che sostiene la necessità di una accentuazione della disciplina e, al limite, della reintegrazione delle punizioni. I risultati apparenti sembrano indicare i vantaggi di un ritorno ai vecchi metodi disciplinari a danno della libertà. E’ errato allora il principio dell’educazione alla libertà? Direi di no, solo che ritengo sia stato pervertito il concetto di libertà e ritengo quindi che si debba fare chiarezza. Ed è in nome di questa chiarezza che prima dobbiamo capire qual è la natura della libertà, e per meglio capire dobbiamo distinguere fra autorità coercitiva e autorità anonima. L’autorità coercitiva dice. “Fai questo o sarai punito” L’autorità anonima invece non fa uso della forza sostenendo che non vi può essere autoritarismo, e che ogni cosa viene fatta perché l’individuo è coscientemente responsabile di se stesso.

 
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Post n°230 pubblicato il 23 Ottobre 2008 da donulissefrascali

FONDAMENTO DEL DIALOGO

Alla base di ogni discussione, c’è un presupposto indiscutibile: il dover discutere. Cioè la volontà di intendere gli altri come si vuole che gli altri intendano noi. Qualsiasi tesi può essere dubbia, ma questa no. Il principio del dialogo è sempre più logico del discorso che uno fa. Se uno regola il dialogo, in modo che sia comprensibile per chi ascolta, l’altro, chi ascolta, accetta e propone il dialogo. Il principio del discorso che uno fa, dipende sempre dall’impegno di volerlo far capire, dalla volontà di dover scegliere fra egoismo e altruismo, dal dovere di voler dialogare. Qualsiasi cosa che noi apprendiamo da altri, non potrà mai negare la legittimità della nostra volontà di intendimento, e quindi mentre per qualsiasi posizione noi abbiamo il dovere di dubitare, e dobbiamo sempre essere disposti alla correzione, con il rispetto dell’esempio altrui, però nessuno potrà mai convincersi di poter annullare il legame di comprensione e di collaborazione tra le persone. Noi dobbiamo educare a tale principio fondamentale del dialogo che può essere considerato come il principio evangelico “fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi“ Capire gli altri significa anche permettere che essi si possano esprimere, ed essere disposti ad accettare di essere aiutati, per cui si richiede l’azione pedagogica. Il principio del dialogo non promuove solo una linea operativa pedagogica, ma anche le linee direttive di una politica scolastica corrispondente alla pedagogia suggerendo che la preferenza per le scuole statali o private sia indicata da particolari circostanze per le quali le une o le altre si manifestino più in linea con i principi fondamentali pedagogici. Dobbiamo educare i giovani allo spirito del dialogo che è lo stesso della ragione e della razionalità, e noi stessi dobbiamo volere il dialogo con tutti coloro a cui interessa questo problema educativo. Per educare allo spirito del dialogo occorre prima di tutto metterlo in pratica allontanando dalla scuola ogni atteggiamento di autoritarismo e dogmatismo didattico, non sentenziando ma favorendo il dialogo non solo con i propri allievi, ma anche con gli altri insegnanti per favorire l’ascolto anche delle voci più diverse ed opposte. Alla stessa finalità educativa. E' doveroso orientare gli strumenti di informazione per impedire la deformazione delle notizie al servizio della propaganda di parte fatta per impedire lo spirito critico di questi e per favorire di far trovare, nel vero principio etico del dialogo, una vasta applicazione pedagogica.

 
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Post N° 229

Post n°229 pubblicato il 18 Ottobre 2008 da donulissefrascali

PROBLEMATICHE DELLA SCUOLA

Si sta discutendo moltissimo oggi sulla riforma della scuola, sui problemi che implica cercando di dare delle risposte innovative che rispondano concretamente ai bisogni odierni. E’ chiaro e palese che ogni intervento in materia scolastica ha una funzione stimolatrice che non può non incidere positivamente su un risultato globale dello sviluppo sia economico che umano. La discussione sui progetti di riforma dell’Università, è accentuata da contrasti in quasi ogni settore. Il parere obiettivo sullo schema di programmazione è reso difficile dalla mancanza di una documentazione precisa sulla situazione di fatto, e da una insufficiente definizione dei flussi della spesa stanziata. La sua utilizzazione finanziaria e i suoi orientamenti tecnici rimangono a discrezione della amministrazione scolastica e del suo sistema federale di unità amministrative con una propria visione settoriale, poco integrati in una visione globale, Esiste una interferenza rigida tra lo schema del piano organizzativo e lo schema delle riforme: le due azioni si confondono continuamente, fino a far pensare che il piano sia solo lo strumento finanziario per pagare il costo di riforme non ancora definite. Si crede oggi che si abbiano sufficienti conoscenze e mezzi tecnici per evitare il ristagno operativo e promuovere l’aumento economico: si pensa che dare un’educazione appropriata a tutti i cittadini, costituisca uno dei principali strumenti e impegni di questa politica. E’ impossibile promuovere una politica dell’educazione sulle sole condizioni attuali, perché gli effetti sociali di una tale politica si dovranno far sentire per lunghi anni. Bisogna tener conto in prospettiva dei progressi tecnici, al pari delle tendenze economiche e sociali che potranno manifestarsi a distanza di decenni. Queste prospettive hanno aperto larghi orizzonti alle politiche dell’educazione, ma esse hanno anche caratterizzato la formulazione e messa in opera di questa politica come uno dei problemi più difficili e nello stesso tempo più appassionati della nostra epoca.

 
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Post N° 228

Post n°228 pubblicato il 12 Ottobre 2008 da donulissefrascali

Gent.mo Freddyadu, mi sono sentito lusingato dall'invito di scrivere nel mio blog il marchio LBAQ (LIBERO BLOG ALTA QUALITA'). Penso di non meritare un tale riconoscimento. Da povero vecchio di oltre 80 anni cerco e spero di fare del mio meglio per collaborare concretamente a un miglioramento della forma istituzionale della società promovendo un dialogo sereno e razionale. In particolare il mio desiderio sarebbe finalizzato a coinvolgere il mondo giovanile in un impegno collaborativo per un cambiamento sociale di un prossimissimo futuro.

 
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Post N° 227

Post n°227 pubblicato il 07 Ottobre 2008 da donulissefrascali

POVERTA’ E GIUSTIZIA SOCIALE

La povertà è una condizione di mancanza di risorse necessarie per raggiungere quel livello di vita che viene definito decoroso, tollerabile a lungo, senza grandi sacrifici, da un individuo, una famiglia, o da una classe della popolazione. La povertà è la forma più macroscopica di disuguaglianza. Oltre l'accusa di dichiarare disonorevole il povero da parte di varie persone contrarie, ogni tipo di povertà è riconducibile al fatto che a un determinato soggetto o a una popolazione non gli vengono offerte le opportunità di coprire i costi di una dignitosa sopravvivenza.

A questo proposito si tratta di individui che sono occupati in modo precario e a reddito bassissimo e incerto. E’ questo un fenomeno strettamente collegato alla disorganizzazione sociale. Nelle società capitalistiche il reddito individuale è un mezzo per sfuggire alla povertà ed è più efficace che il sistema assistenziale e previdenziale pubblico, ed è ancor meno funzionale dello spirito assistenziale caritativo usato dal mondo religioso. Constatando questo fatto, la Chiesa vive una grande necessità di rinnovamento richiamando la tradizione dei suoi primi decenni di storia. Il monachesimo degli anni 1000 torna ad essere un messaggio profetico. Da questo movimento monacale escono Vescovi e Patriarchi che si impegnano in una vera e propria riforma della Chiesa. I vescovi favoriscono anche la secolarizzazione dei beni della Chiesa, quando la situazione politica e sociale della realtà di base, lo richiede. Con le ricchezze confiscate alla Chiesa, e messe a disposizione, Atanasio I ( santo) poté salvare dalla fame il proletariato di Costantinopoli. Contemporaneamente la Chiesa aumenta la propria indipendenza dall’impero, superando, con la sua influenza, i territori di Atanasio I., e operando in territori più vasti.

In seguito a queste analisi storiche ritengo che si debba affermare che anche oggi la Chiesa si deve ritenere impegnata a promuovere un rinnovamento che incida sulla promozione di una vera giustizia sociale. La connessione tra “la pastorale delle comunità di base” e la “teologia della liberazione” è evidente. Il cardinale Lorscheider, arcivescovo di Rio, vedeva nella teologia della liberazione la teologia stessa delle comunità ecclesiali di base dandone la seguente definizione (sinodo 1985): “E’ l’espressione della vita della Chiesa che nasce da una esperienza profonda dal rapporto con i poveri”. Questa definizione permette di cogliere la differenza tra questa teologia della liberazione e l’utopia marxista, con la quale gli ambienti romani accusavano la teologia della liberazione di essersi contaminata. L’oggetto privilegiato della “teologia della liberazione” non è tanto la povertà, effetto di un meccanismo economico da cambiare da cima a fondo, in quanto il povero è negato come persona umana; ma la sua rivalutazione deve essere attribuita all’immagine del Cristo, per cui diviene la finalità della operatività della Chiesa.

 
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Post N° 226

Post n°226 pubblicato il 27 Settembre 2008 da donulissefrascali

DIALOGO: RAZIONALITA’ NELLA DIALETTICA

La dialettica è l’arte del discutere: è considerata una tecnica e abilità di presentare gli argomenti adatti a dimostrare come logica una tesi o una norma di vita sociale, a convincere un interlocutore, e a far trionfare un proprio determinato punto di vista su quello dell’antagonista e, con senso peggiorativo, predominare con un modo sottile e capzioso di argomentare.

Nel linguaggio filosofico, il termine ha avuto modalità operative diverse secondo le epoche e le scuole. Nel pensiero antico (greco e romano), in genere prevaleva la modalità dialogica (vero dialogo) come metodo dimostrativo della veridicità logica di una determinata argomentazione facendo brevi domande e attendendo conseguenti risposte. Nel pensiero di Marx tale movimento dialettico si specifica e si concretizza come sviluppo e affermazione dell’antagonismo tra classi sociali contrapposte e come realtà di opposizione tra forze produttive realizzate con il lavoro e con rapporti di produzione. Nel pensiero moderno e nel linguaggio comune, gli effetti risultanti dalla lotta e dal contrasto di due forze, cui non sfugge la dialettica delle forze economiche e la dialettica dei partiti, si recupera e si ricompone continuamente. Da quanto è stato evidenziato, si dimostra che il dialogo, in ogni occasione, deve essere mantenuto sempre vivo ed efficiente perché manifesta nel campo operativo del confronto, “facilità operativa, chiarezza, e persuasione”. Nel linguaggio politico, dialogare e discutere fra parti opposte o diverse nell’intento di raggiungere un’intesa, se si fa prevalere la razionalità, anche con modalità più generiche e tra persone comuni, si realizza uno spirito veramente democratico. Avviare un dialogo, un discorso, un colloquio fra due o più persone, in un incontro tra forze politiche diverse, che attivino una discussione concorde che miri ad una intesa, in un senso più ampio, e che attivino una discussione aperta e razionale, ci troviamo a confrontarci con persone che hanno uno spirito veramente democratico.

 
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Post N° 225

Post n°225 pubblicato il 25 Settembre 2008 da donulissefrascali

GIUSTIZIA SOCIALE

La giustizia è un fine sociale come l’uguaglianza, la libertà, la democrazia, il benessere. Vi è una notevole differenza tra il concetto di giustizia e gli altri concetti su citati. La giustizia è un concetto normativo per cui sorge il problema della possibilità di definirla in termini normativi. La giustizia è stata equiparata alla legalità, all’imparzialità, all’uguaglianza, alla retribuzione dell’individuo secondo le sue abilità e il suo bisogno. Se queste definizioni fossero accettabili si potrebbe partire da premesse operative per giungere a conclusioni normative. Molte differenze oggettive esistenti tra i membri di una collettività, specialmente in campo economico e giuridico, tendono ad essere socialmente definite come disuguaglianze ingiuste, e a far nascere azioni e reazioni finalizzate ad eliminarle. Dette differenze si manifestano sotto forma di possesso di quantità più o meno grandi di risorse socialmente rilevanti, e vengono considerate il prodotto di meccanismi intesi a mantenere un determinato ordinamento sociale. In linea di principio si ritengono superabili mediante azioni dirette a modificare i meccanismi di selezione trasformando più o meno radicalmente l’ordine sociale esistente. Sono movimenti animati dalla coscienza sociale dei soggetti più sfavoriti e dai loro portavoce intellettuali e politici come una ingiustizia sociale. Dobbiamo quindi interpretare affermazioni quali “la giustizia è sinonimo di uguaglianza” non come una definizione del concetto di giustizia, ma come espressione del principio normativo che le norme egualitarie di distribuzione partecipativa sono giuste e quelle non egualitarie sono ingiuste. La cosa migliore quindi è quella di considerare la giustizia sociale come nozione etica fondamentale. Situazioni di giustizia sociale sorgono quindi quando rivendicazioni contrastanti vengono avanzate sulla progettazione di una attività, e si deve dare per scontato che ognuno deve considerare tale attività come suo diritto.

 
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Post N° 224

Post n°224 pubblicato il 18 Settembre 2008 da donulissefrascali

FILOSOFIA – STRUMENTO PER CREDERE

 

Il problema del credere in Dio, del credere nell’esistenza di un essere primo, assoluto e trascendente, del suo rapporto con il mondo, non solo si manifesta nell’intera tradizione filosofica, ma lascia su di essa una notevole impronta. Il problema di Dio è il punto di partenza che ha reso possibile la critica filosofica della religione, del suo discorso e del suo potere. Per la filosofia il problema di credere in Dio non costituisce soltanto un interrogativo concettuale, ma anche un modo per affrontare la realtà dell’esistenza dell’uomo e del mondo. Il problema del credere in Dio per i filosofi si impone allora come elemento fondamentale per la comprensione del pensiero occidentale della civiltà religiosa, ma anche per quanto riguarda la prospettiva atea. Sulla base di questa posizione diventa allora importante distinguere tre tipi di approccio: la riflessione che dialoga con la teologia, la riflessione che tende a chiarire il discorso dogmatico, e la riflessione che chiarendo il discorso religioso, ne diventa l’interprete. Non si tratta più di cercare o di scoprire qualcosa sull’importanza dell’esistenza esistenziale del divino, si tratta invece di dare al divino una collocazione all’interno della struttura metafisica del mondo particolarmente rispetto alla libertà e alle conoscenze operative umane. La pratica di questo duplice piano di ricerca, lontano dal voler nascondere unanimismi velleitari o larvate apologie, evidenzia un arricchimento reciproco molto significativo. Siamo certi di non sbagliare nel vedere in esso un possibile paradigma dell’approccio che nel XXI secolo potrà permettere un rinnovamento del problema di Dio e del dialogo tra l’uomo e la tradizione religiosa.

 
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