la sete verde
"Avete 'n vo' li fior' e la verdura | e ciò che luce od è bello a vedere; | risplende più che sol vostra figura: | chi vo' non vede, ma' non po' valere." Guido Cavalcanti
« stanze private di poesia | chiamarti erba » |
Post n°347 pubblicato il 24 Luglio 2019 da bluaquilegia
E io credo del resto che tutte le presenze
Post fuck
"Caccia al tesoro"che non ha altro tesoro se non la terra:per quel che può valere un bacio terra terra,una carezza terra terra,oppure una "fessura"terra terra.E'in questa"fessura" che muoiono turbinando tutte le lingue del mondo,compresa quella del poeta che ne fa ricettacolo di meraviglie.
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Post fuck
Sintassi che riflette, forse, situazione di emergenza. Il discorso si propone nella forma rassicurante della paratassi e del coordinamento per asindeto. Probabilmente per riprodurne volontariamente e artificialmente, anche a livello translinguistico, la verità del Poeta. Bonora. Gian
Da questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti e silenzi,
da questa bava di vicende
- soli che urtarono fili di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli -
da questo lungo attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto questo che non fu
primavera non luglio non autunno
ma solo egro spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed è tutto ciò ch'io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si vuole pomo che gonfia ed infradicia.
Chiarore acido che tessi
i bruciori d'inferno
degli atomi e il conato
torbido d'alghe e vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e amori.
grazie Gian, l brano di Satie, bellissimo ma l’interprete, geniale, p
versi da
Postremi
luoghi del Galateo in bosco
Quanta altezza ha raggiunto il silenzio
come per torridi fiati posati lungo ere
sui vaneggiamenti semivisibili di dossi e brughiere
in cui vaneggiai le storie infinite dei sangui
che di là stillarono fino ai rivi
più infimi delle mie menti dolenti
in un qui, futile-orrido qui
Quanto colmo è stato quell’indietreggiare nell’eterno
dopo vacue vittorie/sconfitte
quanto il deprivarsi l’addensarsi
d’una sorda sostanza tra crude fitte
nei qua-o-là percepiti da un’alba
chimicamente incerta, forse fatta di soda da lisciva,
sciva diluente
eppure abbagliante per un suo proprio fuori-occhio-lente
Silenzio a strati e strami
sul bosco lontano, ahi lontano in ogni direzione
via via vaporato da particolarità
uniche di abbandoni, di persistenze, umili –
non quiete, non-stasi, non-necessità, non nimbo
trash di presenza e d’immanenza
Non emanar più silenzio a tratti a scatti acceso
acceso malvolentieri al sublime
talvolta nauseasimile per colaticci di rime
non emanare, voce, non intimare sparendo
non dislocarti entro un proibito essere non proibirmi di essere
Sonetto di stragi e di belle maniere
Moti e modi così soavemente
ed infinitamente lievi/sadici,
dondolii, fibre e febbri, troppo radi
o fitti per qualunque fede o mente,
stasi tra nulla e quasi, imprese lente o
più rapide che ovunque vai s’irradino,
per inciampi stretture varchi guadi
un reticolo già vi stringe argenteo,
un codice per cui vento e bufera,
estremo ciel, braciere, cataclisma
cederanno furor per altre regole…
Ma quali mai “distinguo”, e in qual maniera, quali belle maniere, qual sofisma le stragi vostre aggireranno, prego?