Creato da vivaildivertimento il 12/10/2007

Bah!

Questo blog e' dedicato a tutti coloro che si sentono incompresi, maltrattati, sfigati, tristi, arrabbiati, a chi ama la notte piu' del giorno, a me stesso...

 

 

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Tito

Josip Broz (più conosciuto con il nome di battaglia di Tito; Kumrovec, 7 maggio 1892 – Lubiana, 4 maggio 1980) è stato un politico jugoslavo, a capo della Repubblica Jugoslava dalla fine della seconda guerra mondiale sino alla morte.

Durante la seconda guerra mondiale, Tito organizzò il movimento antifascista della Resistenza jugoslava. Alla sua leadership viene imputata la responsabilità dei massacri che nell'immediata fine della seconda guerra mondiale colpirono i collaborazionisti degli occupatori dell'Asse e le loro famiglie, nonché una serie di oppositori politici. In questo quadro si imputano a Tito anche i massacri delle foibe e l'esodo istriano. Tito fu uno dei membri fondatori del Cominform; ma resistette all'influenza sovietica e divenne uno dei maggiori promotori del Movimento dei Non-Allineati.

Josip Broz nasce a Kumrovec (oggi nel nord-ovest della Croazia), un paesino della regione dello Zagorje, all'epoca parte dell'Impero austro-ungarico. È il settimo dei quindici figli di Franjo e Marija Broz, nata Javeršek. Suo padre è croato, mentre la madre è slovena.

Dopo aver trascorso alcuni anni della sua infanzia col nonno materno a Podsreda (oggi in Slovenia), frequenta a Kumrovec la scuola elementare fino al 1905. Nel 1907 lascia l'ambiente rurale del paese natale per trasferirsi a Sisak, dove lavora come apprendista fabbro. A Sisak si confronta con le idee e le istanze del movimento dei lavoratori e nel 1910 partecipa alla celebrazione del primo maggio (festa del lavoro).

Nel 1910 entra a far parte del Sindacato dei lavoratori metallurgici e del Partito Social-Democratico della Croazia e della Slovenia. Tra il 1911 e il 1913 lavora brevemente a Kamnik (Slovenia), Cenkovo (Boemia), Monaco, e Mannheim (Germania), dove lavora alla fabbrica automobilistica della Benz. Si sposta quindi a Wiener Neustadt, in Austria, dove lavora alla Daimler come pilota collaudatore. Nel maggio del 1912, intanto, vince una medaglia d'argento ad un torneo di scherma a Budapest.

Nell'autunno del 1913, Josip Broz viene arruolato nell'esercito austro-ungarico. Allo scoppio della prima guerra mondiale Tito, inviato a Ruma, è arrestato per aver svolto propaganda contro la guerra. Imprigionato nella fortezza di Petrovaradin, nel 1915 è trasferito in Galizia a combattere sul fronte russo, dove si distingue come abile soldato e viene raccomandato per una decorazione militare. Il 25 marzo 1915, giorno di Pasqua, in Bucovina la granata di un obice lo ferisce gravemente e in aprile il suo intero battaglione è catturato dai Russi.

Nell'autunno del 1916 Tito è inviato in un campo di lavoro negli Urali, dove i prigionieri lo eleggono proprio leader. Nel febbraio 1917, lavoratori in rivolta entrano nella prigione e liberano i prigionieri. Tito si unisce quindi ad un gruppo bolscevico.

Nell'aprile del 1917 è arrestato di nuovo, ma riesce a fuggire per unirsi alle dimostrazioni del 16 e 17 giugno del 1917 a San Pietroburgo. Per fuggire Tito scappa quindi verso la Finlandia. Di nuovo arrestato è costretto a trascorrere tre settimane nella fortezza di Petropavle, per poi essere trasferito nel campo di prigionia a Kungur, riuscendo però a fuggire durante il tragitto in treno. Si nasconde presso una famiglia russa, dove incontra e sposa Pelagija Belousova.

Nel novembre dello stesso anno entra a far parte dell'Armata Rossa ad Omsk (Siberia). Nella primavera del 1918 Tito chiede di essere ammesso nel Partito Comunista Russo. La domanda è accolta. In giugno lascia Omsk per trovare lavoro. È impiegato come meccanico vicino ad Omsk per un anno. Quindi, nel gennaio 1920, Tito e Pelagija compiono un lungo e difficile viaggio di ritorno in Jugoslavia, dove arrivano in settembre.

Nel 1920 partecipa a Vukovar alla fondazione del Partito Comunista Jugoslavo (KPJ), che nelle elezioni dello stesso anno si dimostra il terzo partito del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, per essere poi messo al bando dal re Alessandro I di Jugoslavia. Tito continua la sua attività politica in clandestinità, nonostante le pressioni del governo sui militanti comunisti. All'inizio del 1921, Tito si sposta a Veliko Trojstvo, vicino a Bjelovar, dove trova lavoro come macchinista.

Nel 1925 Tito si sposta a Porto Re (Kraljevica, a sud di Fiume, all'epoca sede di un importante cantiere navale del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni), dove inizia a lavorare nel suddetto cantiere. Viene eletto rappresentante sindacale e l'anno successivo guida uno sciopero. Viene quindi licenziato, e si sposta a Belgrado, dove lavora in una fabbrica di locomotive a Smeredevska Palanka. Viene eletto commissario dei lavoratori ma è di nuovo licenziato non appena viene rivelata la sua appartenenza al Partito Comunista. Si sposta infine a Zagabria, dove è nominato segretario del sindacato croato dei lavoratori metalmeccanici.

Nel 1934 Josip Broz diviene membro del Dipartimento Politico del Comitato Centrale del KPJ, con sede a Vienna. Assume - anche per non essere scoperto - il nome in codice di Tito.

Nel 1935, Tito viaggia in Unione Sovietica, lavorando per un anno nella sezione Balcani del Comintern. È membro del Partito Comunista dell'Unione Sovietica e della polizia segreta sovietica (NKVD). Nel 1936, il Comintern invia il compagno "Walter" (cioè Tito) in Jugoslavia per attuare una purga nel Partito Comunista Jugoslavo. Nel 1937, il segretario generale del KPJ, Milan Gorkić, è assassinato a Mosca su ordine di Stalin. Lo stesso anno, Tito ritorna in Jugoslavia dopo essere stato nominato da Stalin come segretario generale dell'ancora illegale KPJ. Secondo lo storico Jean-Jacques Marie, c'era un piano per liquidare Tito a Mosca, ma Stalin vi si oppose e lo lasciò ripartire dall'URSS, comunque non prima di aver fatto fucilare sua moglie.

Durante questo periodo, Tito segue fedelmente le politiche del Comintern, criticando l'Italia fascista e la Germania nazista fino al Patto Molotov-Ribbentrop del 1939, per rivolgere quindi la critica alle democrazie occidentali fino al 1941. Quando nel 1940 anche la Francia viene occupata dai nazisti, la prospettiva di un'Europa dominata dal fascismo divenne reale e Stalin non si fidava più del compromesso raggiunto con Hitler nel 1939. Agli occhi di Mosca, Tito ha in mano il modello organizzativo per i comunisti europei nel caso di una definitiva affermazione del fascismo su scala continentale. Negli ultimi anni del Comintern, il KPJ emerse come primus inter pares tra i partiti comunisti europei che operavano nell'Europa caduta nelle mani dei nazisti.

Il 6 aprile, le forze tedesche, italiane e ungheresi lanciano l'invasione della Jugoslavia. L'esercito tedesco inizia un'avanzata su tre direttrici verso Belgrado, che viene intanto bombardata dalla Luftwaffe, assieme alle altre città jugoslave. Attaccate su più fronti e minate dalle frizioni interetniche ed in particolare dalla defezione croata, le forze armate del Regno di Jugoslavia non possono resistere più di tanto, e l'operazione di invasione si conclude in 11 giorni (6-17 aprile 1941). Re Pietro II e alcuni membri del governo si rifugiano in esilio a Londra, mentre altri ministri e militari firmano l'armistizio.

La prima risposta di Tito all'invasione tedesca è la fondazione di un Comitato Militare come parte del Comitato Centrale del Partito Comunista (10 aprile 1941).

Il 28 aprile, a Lubiana (Slovenia), si registra la formazione del primo gruppo di resistenza partigiana comunista.

Il 1º maggio 1941 viene distribuito un pamphlet redatto da Tito, che chiama la popolazione a raccolta nella battaglia contro l'occupazione.

Tito e i partigiani comunisti affrontarono l'avversione dell'Esercito Jugoslavo in Patria, l'armata dei cetnici, che degenerò in guerra civile. Si trattava di una forza di resistenza anti-comunista, a base etnica serba (invece che ideologica come i partigiani di Tito), anti-nazista, nazionalista, monarchica e comandata dal generale Draža Mihailović, che aveva incluso interi settori dell'esercito jugoslavo rimasti allo sbando ma molte bande cetniche poi non riconobbero la guida di Mihailović quindi si regolarono autonomamente. A lungo i cetnici ricevono aiuti dai britannici, dagli Stati Uniti e dal governo jugoslavo in esilio di Re Pietro II.

Il 22 giugno i partigiani jugoslavi formano la famosa Prima Brigata Partigiana di Sisak, per la maggior parte composta di croati della vicina città, una delle prime formazioni militari antifasciste in Europa. Lo stesso giorno, 49 uomini della Brigata attaccano un treno della riserva tedesca.

Il 4 luglio, in una riunione del Comitato Centrale, Tito viene nominato Comandante Militare dell'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia e lancia la mobilitazione generale per la resistenza.

I partigiani comunisti iniziano presto un'estesa e vittoriosa campagna di guerriglia, iniziando a liberare parti del territorio. Le attività dei partigiani provocano diverse ritorsioni dei tedeschi e degli ustascia, nazionalisti croati, collaborazionisti, insediatisi in Croazia, contro i civili, che sfociano in eccidi (100 civili per ogni soldato tedesco ucciso, 50 per ogni ferito). L'accettazione, da parte di Tito, di queste dure ritorsioni, a carico, per la maggior parte di civili innocenti, diviene uno dei principali punti di dissenso tra Tito e Mihailović. Tito vede queste feroci rappresaglie degli occupanti come un'opportunità, un importante fattore di aggregazione e di mobilitazione dell'intera popolazione a favore della resistenza armata. In questa area balcanica il tradizionale dovere della vendetta era infatti fattore più efficace rispetto al culto della patria nel mobilitare la popolazione contro le forze di occupazione. Tito, incurante delle rappresaglie, colpisce duramente gli invasori arrecando loro gravi perdite in termini di uomini e di equipaggiamento ed obbligandoli a distogliere soldati da altri fronti.

Nei territori liberati, i partigiani organizzano comitati popolari con funzioni di governo civile. Tito è il principale leader del Comitato Antifascista di Liberazione Nazionale della Jugoslavia - AVNOJ, riunitosi a Bihać il 26 novembre 1942. L'AVNOJ stabilisce le basi federali della Jugoslavia postbellica. A Jaice, Tito è nominato Presidente del Comitato Nazionale di Liberazione. Il 4 dicembre 1943, mentre la maggior parte del paese è ancora occupata dalle forze naziste, ma dopo l'armistizio richiesto dall'Italia, Tito proclama un Governo provvisorio democratico di Jugoslavia.

Dopo la resistenza dei partigiani comunisti agli intensi attacchi dell'Asse tra gennaio e giugno 1943, i leader degli Alleati tolgono il loro supporto ai cetnici per sostenere i partigiani titini, la cui azione contro le forze di occupazione è considerata assai più incisiva. Franklin Delano Roosevelt (USA) e Winston Churchill (UK) si allineano con Stalin nel riconoscere ufficialmente Tito e i suoi partigiani durante la Conferenza di Teheran. Gli aiuti degli Alleati vengono paracadutati ai partigiani direttamente dietro le linee dell'Asse.

Come leader della resistenza comunista, Tito diviene un obiettivo delle forze dell'Asse. I tedeschi arrivano vicini a catturare o uccidere Tito in almeno tre occasioni. Tito viene ferito, ma si salva.

La Balkan Air Force della RAF viene formata nel giugno 1944 per controllare le operazioni di aiuto alle forze partigiane. Al fine di non mettere in dubbio gli stretti legami con Stalin, Tito si mostra spesso in aperto contrasto con gli ufficiali britannici e americani collegati al suo quartier generale. In realtà gli Alleati hanno grande fiducia in lui e gli assegnano un ruolo di primo piano nel futuro dei Balcani. Dopo aver sacrificato Mihailovic, cercano di accondiscendere alle sue richieste in termini di aiuti e di conquiste di territori già italiani. Sarà l'Italia a pagare il prezzo maggiore del distacco della Jugoslavia da Mosca.

Il 28 settembre 1944 Tito firma un accordo con l'URSS che consente un "temporaneo ingresso delle truppe sovietiche nel territorio jugoslavo". Con l'aiuto dell'Armata Rossa, i partigiani jugoslavi liberano Belgrado il il 18 ottobre 1944, e il resto della Jugoslavia entro il maggio 1945.

Alla fine della guerra, a tutte le forze straniere viene ordinato di lasciare il territorio jugoslavo.

È durante questo periodo che le forze jugoslave e l'Armata Rossa vennero coinvolte nella deportazione delle popolazioni etnicamente tedesche dalla Jugoslavia, considerate oggettivamente collaborazioniste. Tedeschi etnici, cetnici, ustascia e altre formazioni militari croate e slovene vennero catturati durante gli spostamenti tra le masse di rifugiati, e nonostante le promesse di Tito ai collaborazionisti di una resa sicura, un gran numero di collaborazionisti e supposti tali finirono uccisi.

Altre uccisioni di massa, ad opera dei partigiani jugoslavi, coinvolsero italiani, ungheresi e tedeschi. La popolazione italiana dell'Istria, giudicata sommariamente come fascista, subì i Massacri delle foibe mentre l'etnia italiana presente nella Dalmazia sin dall'epoca dei commerci e delle colonie oltre Adriatico di Venezia, fu considerata collaborazionista con gli invasori italiani e perseguitata.

Nel novembre 1945 venne redatta una nuova Costituzione, promulgata il 31 gennaio 1946, sul modello centralista sovietico. Intanto il movimento partigiano venne organizzato in esercito regolare, l'Armata Popolare Jugoslava, inizialmente considerato il quinto più potente esercito in Europa. Tito organizzò anche una forza di polizia segreta, l'Amministrazione di Sicurezza dello Stato (UDBA). Sia l'UDBA sia il Dipartimento per la Sicurezza del Popolo furono incaricati, tra le altre cose, di ricercare, imprigionare e processare un largo numero di collaborazionisti. Essi inclusero anche preti cattolici, a causa del coinvolgimento del clero cattolico croato con il regime ustascia durante la guerra.

Il 29 novembre 1945, re Pietro II di Jugoslavia venne deposto dall'Assemblea Costituente Jugoslava, e il 13 marzo 1946 il generale Draža Mihailović venne catturato dall'OZNA, e quindi ucciso il 18 luglio.

Il regime politico di Tito in Jugoslavia aveva molte delle caratteristiche di una dittatura, e non era molto diverso dai regimi imperanti in altri stati comunisti dell'Est dopo la Seconda guerra mondiale. La Lega dei Comunisti Jugoslavi vinse le prime elezioni del dopoguerra, nelle quali schede semplificate consentivano solo un'alternativa tra "si" e "no". Nonostante la natura controversa di queste votazioni, bisogna notare che Tito riportava al tempo un massiccio supporto popolare. Il partito usò immediatamente i propri poteri per stanare gli ultimi collaborazionisti, nazionalisti e anti-comunisti, usando in parte metodi caratteristici dello Stalinismo (es. i cosiddetti "Processi di Dachau", svoltisi a Lubiana tra il 1947 e il 1949). Il governo di Tito riuscì comunque a unificare un paese che era stato severamente colpito dalla guerra e a reprimere efficacemente i sentimenti nazionalisti e separatisti delle popolazioni, in favore di un comune obiettivo jugoslavo.

Nell'ottobre 1946 il Vaticano scomunicò Tito e il governo jugoslavo. Col tempo, il regime jugoslavo divenne il meno oppressivo tra gli stati socialisti, anche per quanto riguarda le libertà religiose, in quanto Tito credeva che solo l'oppressione facesse fare proseliti alla religione. Tito, tuttavia, considerò sempre l'attivismo religioso come una potenziale minaccia per il regime.

Nel 1948, motivato dal desiderio di creare un'economia forte e indipendente, Tito, non deludendo in questo le speranze in lui riposte dagli Alleati, divenne il primo leader comunista (e il solo ad aver successo) a sfidare la leadership di Stalin nel Cominform e le sue richieste di lealtà assoluta.

L'adesione della Jugoslavia al Cominform esigeva un'obbedienza assoluta da parte di Tito alla linea fissata dal Cremlino. Tito, forte della liberazione della Jugoslavia dall'occupazione nazifascista da parte dei suoi partigiani, desiderava invece restare indipendente dalla volontà di Stalin. Le relazioni tra URSS e Jugoslavia ebbero subito dei momenti di tensione, a partire dalla censura sovietica sui messaggi che la resistenza jugoslava lanciava da Radio "Jugoslavia Libera", che trasmetteva da Mosca.

A partire dal 1945, Stalin iniziò a nominare uomini a lui devoti all'interno del governo e del Partito Comunista Jugoslavo. Allo stesso tempo, Tito rifiutò di lasciar subordinare la sua polizia, l'esercito e la politica estera, così come di veder creare delle società miste di produzione, attraverso le quali i sovietici avrebbero potuto controllare le branche essenziali dell'economia del paese.

Nel marzo 1948, Stalin richiamò tutti i consiglieri militari e gli specialisti civili presenti in Jugoslavia. Poco dopo, una lettera del Comitato Centrale sovietico inizia a criticare le decisioni del PC jugoslavo. Allo stesso modo, i dirigenti jugoslavi vicini a Tito fecero blocco attorno a lui e quelli fedeli a Mosca furono esclusi dal Comitato Centrale e arrestati. Il Cremlino giocò l'ultima carta portando la questione davanti al Cominform, ma Tito si oppose. A questo punto il Cominform considerò il rifiuto jugoslavo come un tradimento. Escludendo la Jugoslavia dal Cominform, Stalin sperò di provocare una sollevazione nel paese. Ma ciò non avvenne e il Partito Comunista jugoslavo, epurato dai "cominformisti", elesse un nuovo Comitato Centrale totalmente devoto a Tito.

La rottura con l'Unione Sovietica portò molti riconoscimenti internazionali a Tito, ma creò anche un periodo di instabilità. La via nazionale jugoslava al comunismo venne definita Titoismo da Mosca, che, incoraggiò le purghe contro sospetti titini negli altri paesi del blocco comunista.

Nel contesto della spaccatura tra cominformisti e titoisti, Tito diede vita in patria ad un clima fortemente repressivo. Oppositori politici, "cominformisti" o presunti tali (tra l'altro alcuni comunisti italiani accusati di stalinismo), vennero rinchiusi in campi di prigionia, tra i quali spiccava il campo di Isola Calva (Goli Otok), dopo processi e condanne sommari.

Durante la crisi, Winston Churchill portò un discreto sostegno a Tito. Da parte sua, Churchill fece sapere a Stalin di non toccare la Jugoslavia.

Stalin tentò di sottomettere la Jugoslavia attraverso l'arma economica. Ridusse le esportazioni dell'URSS verso Belgrado del 90% e obbligò gli altri stati dell'Europa orientale a fare altrettanto. Questo blocco economico costrinse Tito ad aumentare i suoi scambi con i paesi occidentali. Pur restando fedele al socialismo e richiamandosi agli stessi principi dell'Unione Sovietica, la Jugoslavia ne rimase politicamente indipendente. Tito rimise dunque in discussione la direzione unica del mondo socialista impressa dall'URSS, aprendo la strada all'idea di un socialismo nazionale. Solamente la destalinizzazione lanciata da Nikita Kruschev permetterà una normalizzazione dei rapporti tra URSS e Jugoslavia.

Tito divenne famoso nel perseguire una politica estera di neutralità durante la Guerra Fredda e nello stabilire stretti rapporti con i paesi in via di sviluppo. Il forte credo di Tito nell'autodeterminazione causò un precoce strappo con Stalin e, di conseguenza, con il blocco orientale. I suoi discorsi pubblici spesso reiteravano che la politica di neutralità e cooperazione con tutti paesi è naturale che finché questi paesi non usano la propria influenza per premere la Jugoslavia a scegliere campo. Le relazioni con gli Stati Uniti e i paesi dell'Europa Occidentale erano generalmente cordiali.

Dopo la morte di Stalin, Tito rigettò l'invito dell'URSS di una visita per discutere la normalizzazione delle relazioni bilaterali. Nikita Kruschev e Nikolai Bulganin visitarono Tito a Belgrado nel 1955 e chiesero scusa per i misfatti del governo di Stalin. Tito visitò l'URSS nel 1956, segnalando che l'animosità tra URSS e Jugoslavia stava scemando. Comunque, le relazioni tra URSS e Jugoslavia avrebbero raggiunto un altro punto basso alla fine degli anni sessanta.

Con la Conferenza di Belgrado del 1961, Titò co-fondò il Movimento dei Non-Allineati. Questa mossa ebbe un grande successo nel migliorare la posizione diplomatica della Jugoslavia.

Il 7 aprile 1963, il paese cambiò ufficialmente nome in Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Le riforme incoraggiarono l'impresa privata e rilassarono le restrizioni alla libertà di parola e di espressione religiosa. Nel 1966 Tito firmò un accordo con il Vaticano, che garantiva nuove libertà alla Chiesa Cattolica Romana di Jugoslavia, in particolare nell'insegnamento del catechismo e nell'apertura di seminari. Il nuovo socialismo di Tito trovò opposizione da parte dei comunisti ortodossi, che culminò con la cospirazione capeggiata da Aleksandar Rankovic, capo della sicurezza. In seguito alle dimissioni di Rankovic, ci fu una liberalizzazione, di cui beneficiarono soprattutto artisti e scrittori.

Lo stesso anno Tito dichiarò che da quel momento i comunisti avrebbero dovuto tracciare il percorso della Jugoslavia con la forza delle proprie opinioni (implicando una garanzia di libertà di espressione e l'abbandono dei metodi dittatoriali). L'Agenzia di Sicurezza dello Stato (UDBA) vide ridotti i propri poteri e il proprio staff ad un massimo di 5.000 persone.

Il 1º gennaio 1967, la Jugoslavia fu il primo paese comunista ad aprire le sue frontiere a tutti i visitatori stranieri, abolendo il regime dei visti.

Nel 1967, Tito offrì al leader cecoslovacco Alexander Dubček la sua disponibilità a volare a Praga, con un preavviso di sole tre ore, se Dubček avesse avuto bisogno di aiuto nell'affrontare i Sovietici.

Tito criticò violentemente l'invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia nel 1968, il che contribuì a migliorare la sua immagine nei paesi occidentali.

A causa della sua neutralità, la Jugoslavia fu l'unico paese comunista ad avere relazioni diplomatiche con governi di destra anticomunisti. Ad esempio, fu l'unico paese comunista autorizzato ad avere un'ambasciata nel Paraguay di Alfredo Stroessner. Comunque, una notevole eccezione alla posizione neutrale della Jugoslavia verso i regimi anticomunisti si ebbe nel caso del Cile di Augusto Pinochet; anche la Jugoslavia troncò le relazioni diplomatiche dopo il colpo di stato del 1973 che depose Salvador Allende.

Nel 1971 Tito fu rieletto Presidente della Jugoslavia per la sesta volta. Nel suo discorso di fronte all'Assemblea Federale egli introdusse 20 radicali emendamenti costituzionali che avrebbero costituito un rinnovato schema su cui basare lo stato. Gli emendamenti prevedevano:

  • una presidenza collettiva, costituita da 22 membri eletti dalle sei repubbliche e dalle due provincie autonome. La Presidenza Collettiva avrebbe avuto un singolo Presidente, a rotazione tra le sei repubbliche. In caso di mancato accordo dell'Assemblea Federale sulla legislazione, la presidenza collettiva avrebbe avuto il potere di legiferare per decreto.
  • un governo più forte, con un considerevole potere di iniziativa legislativa, indipendente dal Partito Comunista
  • il decentramento del paese con una maggiore autonomia alle repubbliche e alle provincie. Il governo federale avrebbe mantenuto l'autorità solo sulla politica estera, di difesa, di sicurezza interna, gli affari monetari, il libero commercio interno e i prestiti per lo sviluppo delle regioni più povere. Il controllo dell'educazione, della sanità e degli affitti sarebbero stati esercitati interamente dai governi delle provincie.

All'inizio degli anni settanta, l'intervento di Tito stroncò i movimenti di rinnovamento nella politica che erano emersi alla fine degli anni sessanta in Serbia, Croazia e Slovenia e destituì le élites comuniste che si accingevano a liberalizzare la politica economica e sociale in quelle repubbliche. Negli anni successivi, la Jugoslavia vide un periodo di accentuata repressione politica che sollevò aspre contestazioni soprattutto tra i croati.

Il 16 maggio 1974, la nuova Costituzione della Repubblica Socialista Federale Jugoslava (SFRJ) venne approvata, e Josip Broz Tito fu nominato Presidente a vita. La nuova Costituzione portava l'impronta del teorico sloveno Edvard Kardelj che, in vista della futura scomparsa di Tito, aveva elaborato un modello con-federale basato sulla cooperazione democratica tra le dirigenze comuniste delle varie repubbliche e province autonome, che mantenevano però l'egemonia assoluta nei loro rispettivi paesi.

Dopo la revisione costituzionale del 1974, Tito prese sempre più il ruolo di anziano padre della patria, mentre diminuiva il suo coinvolgimento diretto nella politica interna e nel governo.

Nel gennaio 1980, Tito fu ricoverato al centro clinico di Lubiana (Klinični center Ljubljana) per problemi di circolazione alle gambe. La sua gamba sinistra fu amputata poco dopo. Morì in clinica il 4 maggio 1980, tre giorni prima del suo 88º compleanno. Il suo funerale vide l'arrivo di molti uomini di stato la cui presenza cercava di attirarsi le simpatie della nuova dirigenza jugoslava, che si trovava in piena guerra fredda priva della guida carismatica. In base al numero di politici e delegazioni di stato presenti, fu il maggiore funerale di stato nella storia. Erano presenti quattro re, 31 presidenti, sei principi. 22 primi ministri e 47 ministri degli esteri, da 128 paesi da entrambe le parti della Cortina di Ferro.

Tito è sepolto a Belgrado, nel mausoleo Kuća Cveća (La casa dei fiori) a lui dedicato. Numerose persone visitano il luogo come un santuario dei "bei tempi", nonostante non venga più mantenuta una guardia d'onore.

I regali ricevuti da Tito durante la sua presidenza sono conservati nel Museo della Storia della Jugoslavia (già Museo 25 maggio e Museo della Rivoluzione), a Belgrado. La collezione è senza prezzo: include lavori di molti artisti famosi a livello mondiale.

Durante la sua vita, e specialmente nei primi anni dopo la sua morte, molti luoghi furono rinominati in omaggio a Tito. Molti di questi sono da allora ritornati ai loro nomi originali. Tra questi Podgorica, oggi capitale del Montenegro, fino al 1992 Titograd. Numerose strade di Belgrado sono tornate ai loro nomi pre-comunisti. Nella città costiera croata di Opatija (Abbazia), così come in moltissime altre città dell'area jugoslava,tra cui anche Sarajevo la strada principale o una delle principali arterie ancora mantengono il nome del Maresciallo Tito.

A partire dai suoi ultimi mesi di vita furono sollevati molti dubbi sulla possibilità che i suoi successori mantenessero l'unità della Jugoslavia. Dubbi confermati dagli eventi storici successivi: divisioni etniche e conflitti nazionalisti crebbero fino a scoppiare nelle decennali Guerre jugoslave, una decade dopo la morte di Tito.

Tito aveva tenuto unito il Paese sostituendo il nazionalismo pan-jugoslavo ai nazionalismi delle singole repubbliche. Le tensioni nazionaliste delle varie etnie venivano da lui manipolate come strumenti per mantenere il proprio ruolo di mediatore "super partes" e sviluppò l'economia e provvedimenti sociali, antinazionalisti ed antireligiosi del regime per promuovere, dopo molti decenni di conflitti sanguinosi, un lungo periodo di relativa convivenza pacifica fra le diverse etnie e confessioni del Paese.

Lo strappo di Tito dall'URSS, e l'indipendenza del Titoismo dalle politiche di Mosca strategicamente produsse un difficile accesso dell'URSS nel Mediterraneo, obiettivo geopolitico russo da secoli. La trasformazione di fatto della Jugoslavia in uno stato cuscinetto ridusse il livello della militarizzazione dell'Adriatico quale mare di confine, con presenza di forze armate navali di entrambi i blocchi, come viceversa avveniva nel mar Baltico, ove ogni tanto avvenivano "cacce" a presunti sottomarini sovietici che sconfinavano nella acque territoriali svedesi.

Caratteristica una "filastrocca" sulla Jugoslavia, citata spesso dagli estimatori di Tito: «Sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito» a significare l'unione di tante diversità che Tito era riuscito ad attuare e che crollò dopo la sua morte.

 

Personaggio discutibile ma che riuscì nell'intento di unificare le difficili etnie jugoslave colpevoli di atrocità reciproche durante le famose Guerre Jugoslave di fine secolo...

 
 
 
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