La Factory di Andy Warhol e il rock di Velluto
Quando si parla di rock e di band seminali la mente vola alla fine degli anni ’60 e a quel primo album dei Velvet Underground acquistato, come disse Brian Eno, da un centinaio di persone diventati poi a loro volta musicisti o critici musicali. La musica dei Velvet fu una meteora di breve durata, un paio di album e qualche brano proposto come singolo e suonato in qualche performance dal vivo, un rock psichedelico influenzato dalla musica indiana, dalla poesia decadente e da quel desiderio di intendere la musica fuori dagli schemi, che sapeva cogliere quello spirito dirompente e se vogliamo parecchio eversivo. La grandezza della loro musica sta nella intuizione e nella invenzione di quelle atmosfere autodistruttive, malate, tipiche della letteratura metropolitana intrisa di nichilismo che spesso sfociava in paranoia. Atmosfere alienanti che guardavano alla degradazione del vivere moderno fatto di violenza, disperazione e tanta solitudine esistenziale di cui i Velvet Underground, con la loro musica, erano artefici ma che ne somministravano l’antidoto. I loro testi, quasi mai urlati, erano un inno all’ambiguità, alla promiscuità sessuale e alla droga come ricerca del proprio “io” ma mai come pratiche edonistiche o ludiche. La loro musica dava quel senso di squallore tipico della metropoli degradata ma capace di spaziare tra inni trionfali e elegie funebri di un mondo terribile ma seducente. La grandezza innovativa dei Velvet sta nella capacità di richiamare un rituale tipico delle popolazioni primitive in cui gli individui sono partecipi e protagonisti della tribù di appartenenza. I Velvet Underground furono estranei alla canzone di protesta, furono estranei al movimento “flower children” e al divismo dei Beatles e degli Stones. Le loro canzoni erano arrangiate in un modo che non era mai stato tentato prima, un puro caos sonoro, inquietante e visionario avvolto nella nebbia che a poco a poco si diradava per scoprire quel miraggio di speranza in un mondo migliore. Canzoni pop ma che rappresentavano la colonna sonora di una metropoli come New York iper-realista ma deformata da musicisti le cui menti erano offuscate dalle droghe e da fantasie perverse. Musiche e liriche decadenti che ben si compenetravano con la pop art di Andy Warhol che fu uno dei primi a rimanere impressionato dalle loro prime performance al Cafè Bizzarre. Warhol consapevole della loro carica innovativa li tiro” fuori dai sottoscala sottoculturali in cui si esibivano” e li inseri` nei suoi spettacoli totali. Uno dei primi film in cui comparvero s’intitolava “Venus In Furs”. Dell’entourage del suo “Exploding Plastic Inevitable” faceva anche parte l’attrice e cantante tedesca Nico, giunta in America come compagna di Brian Jones, cantante bella ma algida che inietta in quegli show un’atmosfera da cabaret espressionista, tracciando in tal modo un’ inquietante parallelo fra la Berlino anni ’30 e la New York anni ’60. Al complesso viene invece affidato il compito di suonare la colonna sonora per le allucinanti coreografie e gli spettacoli di luce. Fu fu cosi` che i Velvet Underground impararono a produrre il loro stile originale. Alla corte di Warhol alla metà degli anno ’60 c’era tutto il popolo dei borderline pescati dai bassifondi Newyorchesi, un popolo di teppisti, prostitute, gay, drag queen , artisti, tossici che diventa il protagonista delle storie cantate dai Velvet Underground. L’esordio dello show multimediale di Andy Warhol con Nico avvenne nella primavera del ‘66 al “DOM Theatre” a cui seguì una tournèe che attraversò gli Stati Uniti fino alla West coast. Un carrozzone formato dai Velvet ma anche da attori, cineasti, ballerini della Factory di Warhol che portarono nei teatri off americani le esibizioni globali carichi di perversione. Sulla scena, la musica fini per essere un caleidoscopio e una fusione di generi, ogni membro del gruppo portava con sè la propria ispirazione e la propria esperienza, l’avanguardia di John Cale, il tribalismo, il rock, il free jazz e le storie metropolitane di Lou reed. I Velvet Underground furono fra i primi gruppi che concepirono la musica rock come arte creativa e non come prodotto commerciale da vendere nel formato del disco a 45 giri. I Velvet Underground furono fra i primi complessi che mostrarono totale disinteresse per le classifiche di vendita. La loro missione era di trasmettere emozioni, esprimere disagio, comunicare all’interno del proprio ambiente. I primi album dei Velvet Underground erano innanzitutto esempi di libertà creativa: il complesso scriveva quello che voleva, lo arrangiava come voleva e lo suonava come voleva, quindi canzoni d’atmosfera ma anche lunghi e deliranti incubi sonori eccessi che si rivelarono antesignani dell’improvvisazione e della dissonanza rock.
Seguirà recensione del loro primo disco “ The velvet Underground and Nico” del 1967 .
JANKADJSTRUMMER