RICORDI INDIMENTICABILI – I DUCHI DI LANCASTER quando la band di S.Pietro in Amantea imperversava nel basso cosentino. by Jankadjstrummer

 

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I DUCHI DI LANCASTER  quando la band di S.Pietro in Amantea imperversava nel basso cosentino.

Il ricordo dei Duchi di Lancaster mi riporta indietro di oltre 40 anni alla prima volta, in assoluto, che  ho visto Giacomo, era probabilmente l’anno 1969 entrambi adolescenti ma con qualcosa che ci accomunava, la grande passione per la musica. Vivevamo in un paesetto della provincia calabrese, si sentiva solo l’eco del rock , della musica beat e del soul, nel paese poche erano le occasioni per ascoltare o fare  musica, nascevano gruppi beat che scimmiottavano i vari Equipe 84, Nomadi o i Camaleonti che non hanno mai lasciato nessun segno del loro passaggio, band che si costituivano ma che duravano una sola stagione e qualche cantante con velleità di diventare Massimo Ranieri, Claudio Villa o Gianni Morandi.

Ho ricordi nitidi di un Festival delle voci nuove al Cinema Bruni di Amantea, concorso che decretava i big musicali della zona, manifestazione seguitissima, con appassionate rivalità, e poi tanti gruppi e cantanti in erba che si cimentavano solo per il gusto di suonare insieme e divertirsi.

Ad un certo punto della serata, il presentatore chiama sul palco, per l’esibizione, i Duchi di Lancaster, provenienti da S.Pietro in Amantea, un gruppo credo alla loro prima apparizione in pubblico, assestano gli strumenti e partono con un pezzo rock velocissimo e tiratissimo con voce, chitarra e batteria in grande evidenza, suono pulito che denotava l’affiatamento del “complesso vocale e strumentale” come venivano definiti all’epoca.

Dietro la batteria, che batteva forte sul pedale e dava colpi di bacchette su tamburi e piatti, un adolescente, un ragazzino come me. Fu sorprendente  vedere un mio coetaneo dodicenne già a suo agio dietro uno strumento così complicato come la batteria, era lui, Giacomino, capelli lunghi nerissimi con frangetta, carnagione olivastra, in mezzo al suo gruppo formato da ragazzi molto più maturi di lui e alle prese con un assolo di batteria da fare invidia ad un consumato musicista. Fu uno spettacolo, mi ricordo che furono accolti con simpatia ed ebbero un discreto successo ma chiaramente non vinsero, erano troppo avanti per quella platea. Questo gruppo mi colpì molto, sarà stato il nome che avevano scelto che mi ricordava storie medievali di cavalieri inglesi, la guerra delle due rose, storie di cappe e spade che stuzzicavano la mia fantasia, oppure il loro suono rock molto diverso dal resto degli “ artisti” che si erano avvicendati sul palco, oppure l’esordio di Giacomino alla batteria che suscitava in me, ancora ragazzino, un pizzico di invidia, un groviglio di sensazioni positive che mi hanno accompagnato anche dopo qualche anno quando il primo giorno del 1° liceo, con Giacomo, siamo capitati nella stessa classe e dopo lo scambio di solo due parole ci siamo trovati seduti nello stesso banco per tutti i 5 anni. Abbandoniamo, però, questi sentimentalismi e veniamo al percorso artistico dei Duchi di Lancaster, che poi ho seguito con interesse nel prosieguo degli anni, musicisti seri e tutti di un pezzo, il cantante, un grande sentimentale, che ricordo eternamente innamorato, quello che si può definire un poeta romantico degli anni 70. Pezzi autocostruiti, testi che prendevano vita dalla penna dello “scienziato”come lo definivano tutti e poche cover ne fecero un gruppo originale, forse troppo legato ad un genere un po’ romantico che ricordavano gli Alunni del Sole, musicisti mai banali , ma onesti ed ispirati. La loro sala prove era diventata un fucina di grande musica, ascoltavo con attenzione il loro repertorio e qualche volta Giacomo mi coinvolgeva come seconda voce, i nostri cavalli di battaglia erano “Child in time” dei Deep Purple, Oye como va dei Santana ma anche “il giudice” di De Andrè. L’acquisto dell’organo “Thomas “ dette grande vitalità al gruppo e alle sonorità dei loro brani. duchi 3

Può sembrare una operazione nostalgia ma vi assicuro che al “ CLUB”, come veniva definita la loro sala prove, c’era sempre molto fermento, si ascoltavano dischi, si ragionava di musica, testi di canzoni ma anche di amori adolescenziali quasi sempre non corrisposti, si facevano feste da ballo con la musica live, era, quello che si dice ora, un ambientino simpatico, molto vivo e frizzante.

Mi sarebbe piaciuto acquisire un po’ di notizie da poter inserire in questo contributo, ricordare le scalette dei loro spettacoli, ma mi basta comunque, tributare ai Duchi questa piccola manifestazione di grande affetto per quello che sono riusciti a trasmettere a me e a tanti  ragazzi che magari emigrati al nord ricordano con nostalgia ma anche con molta passione quegli anni. L’orgoglio e il senso di appartenenza ad una comunità come quella sanpietrese  molto coesa e genuina. Una celebrazione di un gruppo affiatato che con alti e bassi si è mantenuto e non si è ossidato negli anni. Massimo rispetto per i Grandi Duchi di Lancaster, forever!    jankadjstrummer

 

 

TUBULAR BELLS DI MIKE OLDFIELD – A OPERA ROCK- 1973 by JANKADJSTRUMMER

 

TUBULAR BELLS

TUBULAR  BELLS

Michael Gordon Oldfield nasce come chitarrista folk-rock, dopo una breve parentesi di lavoro con il fratello Terry e la sorella Sally ed un album del 1969 dal titolo “Children Of The Sun”, lavora con la band di Kevin Ayers ex Soft Machine dedita molto alla sperimentazione del suono cosiddetto di Canterbury. Inizia a lavorare con molti strumenti e a fare le prime sovraincisioni amatoriali fino a che non riesce a creare un opera rock strumentale molto particolare in cui convive sia l’anima folk che quella rock progressive. In quel periodo nessuno punta su questo lavoro, non convince questa suite di 50 mInuti ritenuta poco commerciale, fino a quando non viene proposta alla nascente etichetta VIRGIN che farà poi la fortuna con questo disco. Iniziano così le elaborate sessioni in sala d’incisione dello stupefacente “ Tubular bells “e dopo una lunga gestazione nel 1973 il disco viene pubblicato.

E’ l’inizio dell’astro nascente di Oldfield che raccoglie l’agognato successo per un disco elaborato  ma di gradevole ascolto: una successione di frammenti musicali, creati dalla sovrapposizione di strumenti suonati perlopiù dallo stesso musicista, entrati  di diritto nella storia della musica. Su tutti, il tema d’apertura con una tastiera quasi ossessiva che unita ad un giro di basso ti immette in un clima molto sinistro, un introduzione che è calzata bene come colonna sonora del film “ L’esorcista”  oppure la fine della prima facciata, ove vengono chiamata ad uno ad uno gli strumenti che si sovrappongono e preparono per il gran finale che culmina, le con le campane tubolari, le Tubular bells appunto. I 50 minuti del disco, diviso in due parti, pare, si ispira al Bolero di Ravel, la musica scivola via con i suoi continui cambi di tempo ma la cosa che più risalta è l’assenza in tutto il lavoro della batteria e della parte cantata ad eccezione del finale della 2 ° parte dal sottotitolo”The Piltdown Man Section”, dove Oldfield, dopo essersi scolato mezza bottiglia di whisky, esterna tutta la sua frustrazione al mondo intero con i suoi grugniti da uomo delle caverne. Simpatica è anche la conclusione dell’opera, affidata al traditional “The Sailor’s Hornpipe”  meglio famosa come sigla dei cartoon di “Braccio Di Ferro”.

Recensire dal punto di vista musicale questo disco non è facile: la 1° parte subito dopo il tema iniziale si apre con doppi fraseggi di tastiere conditi con fiati andini e chitarre in libertà fino a che la musica diventa gioiosa e serena e culmina in un tema di mandolino quasi partenopeo che la dice lunga sul magnifico bagaglio musicale di Oldfield, il tema centrale resta invariato ma si arricchisce di echi mediorientali e variazioni sul tema fino a raggiungere l’apice con delle incursioni di chitarre lancinanti. La suite continua e si addolcisce con dei richiami alla danza indiana e le chitarre diventano quasi folk mentre in secondo piano si odono rintocchi d’organo. Il finale della prima parte è quella stupenda reintrè degli strumenti che ad uno ad uno riprendono le poche note e che culminano con le Tubular bells di cui si parlava prima e si chiude con degli arpeggi di chitarra classica. Nel secondo tempo dell’opera si riprende il clima acustico quasi sognante, le chitarre si intrecciano fino a che un organo intona un minuetto folk che ti guida in un viaggio fantastico verso verdi paesaggi inglesi reso quasi epico da un crescendo di mandola e da  un bel coro femminile. La suite scivola poi armoniosamente sul classico, su suoni antichi su cui i timpani reggono il tempo, poi ancora una miriade di suoni che sembrano suonati da una band e diventano un preludio ai grugniti animaleschi, riff di chitarra di cui si parlava prima fino a sprofondare su un assolo di organo di chiesa. Il finale, dopo questa parte particolarmente tetra e sinistra, è affidato ad tema allegro e spensierato che ne stempera l’atmosfera.

Tubular bells è un opera geniale, ponte tra il progressive rock e la new age che verrà, è il disco con cui il rock strumentale varca definitivamente la soglia dell’ arte maggiore e  che non deve mancare in nessuna cd-teca che si rispetti. Vani sono stati tentativi di ricreare questa atmosfera e sull’onda del successo planetario Oldfield ha pubblicato varie versioni di questo lavoro: “Orchestral Tubular Bells” (1975), “Tubular Bells II” (1992), “Tubular Bells III” (1998), “The Millennium Bell” (1999) e “Tubular Bells 2003” (2003), dischi che confermano che i capolavori sono irripetibili.

Buon ascolto o riascolto da JANKADJSTRUMMER

 

https://youtu.be/KXatvzWAzLU