…ANCHE L’OPERAIO VUOLE IL FIGLIO DOTTORE…… NON C’E’ PIU MORALE CONTESSA in morte di Paolo Pietrangeli

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…ANCHE L’OPERAIO VUOLE IL FIGLIO DOTTORE…… NON C’E’ PIU MORALE CONTESSA

La morte di Paolo Pietrangeli non lascia indifferenti e fa riflettere su periodi della nostra vita ormai forse un po’ lontani ma che hanno segnato il nostro sentire. Per me è un ricordo di cui rivedo i contorni con molta chiarezza. Era l’anno 1971 ero un ragazzotto acerbo che amava le letture di avventura, i fumetti ma che già allora ascoltava tanta musica in radio e con un vecchio giradischi, un giorno presi in prestito un pacco di dischi dall’allora fidanzato di mia sorella  e tra un Lucio Battisti e un Fabrizio De Andrè mi vennero tra le mani due dischi di quelli che, senza esagerare, ti cambiano la vita, si trattava del Nuovo Canzoniere Italiano  e del “ Nuovo canzoniere Internazionale” pubblicati  per I Dischi del Sole un etichetta allora diretta da  Giovanna Marini Ivan Della Mea, Fausto Amodei, musicisti e cantanti che si erano dedicati alla valorizzazione della canzone popolare  quella che nasceva dalla cultura orale, da quelle  canzoni che prima di essere stampate su un libro, testo e accordi, erano cantate dalla gente nelle piazze. Il gruppo aveva elaborato la forma canzone nello stile delle ballate americane alla Woody Guthrie, si richiamavano alla musica di Leadbelly e di Pete Seeger e ai cantanti folk d’oltreoceano, avevano elaborato un modo diverso di raccontare le storie, suonando la chitarra e cantando tra il parlato e il cantato, mescolando  modi e tecniche: la c.d. narrazione talking blues, progenitrice del rap. Lo stile folk della ballata si fondeva con la cultura nostrana del canto popolare, il risultato era assolutamente originale e inedito nella canzone italiana., sia lo stile che le tematiche erano di  contestazione verso la Chiesa, la critica alla proprietà privata, la canzone diventava così “militante”, coinvolgendo tanti cantautori negli anni della contestazione e dell’impegno politico. Ovunque ci fossero operai, contadini in lotta, ovunque ci fosse una protesta, un presidio c’erano i cantautori e il Canzoniere Italiano che cantava e suonava in solidarietà, Tutte le lotte andavano sostenute, perché serviva a far capire a chi protestava , di non essere soli. Tornando ai due dischi  che ascoltai con gli amici per la prima volta, ricordo che si trattava di canzoni che erano crude e lucide riflessioni sui fatti di cronaca raccontate con forte passione quasi con rabbia, la morte dell’anarchico Pinelli, i morti di Reggio Emilia,  le  amarezze degli emigrati del sud in Svizzera, la repressione, le lotte delle mondine che si sdraiavano sui binari dei treni, tutte canzoni che rappresentavano momenti e episodi che hanno segnato emotivamente e politicamente e hanno raccontato con piglio popolare pezzi della storia d’Italia. Ma la canzone che più di tutte ha segnato noi ragazzi è senz’altro “ Contessa “,  un brano scritto quasi di getto da un giovane Paolo Pietrangeli ascoltando i commenti di due nobildonne romane su fatti di cronaca mentre erano sedute, sorseggiando un tè, in un noto bar della Capitale.  Un testo decisamente rivoluzionario e poco in linea con la strategia riformista caratterizzato dal pieno rispetto delle regole democratiche del Partito Comunista di allora guidato da Luigi Longo e poi da Berlinguer. Un partito che rivedeva il pensiero e la strategia leninista e per questo contestato con forza dai gruppi della sinistra”extra-parlamentari” che proliferavano in pieno ’68. E’ stata  la canzone che ha accompagnato più di tutte le altre il movimento del ’68 in Italia. Contava di un testo diretto ed efficace che riuniva la lotta per i diritti con la lotta per la liberazione dei costumi nell’Italia ancora clericale, nelle forme e nelle leggi. E contava anche la musica particolarmente efficace, epica suonata con forte passione politica che ti portava ad alzare al cielo il pugno chiuso come segno di appartenenza collettiva agli ideali di giustizia e di riscatto.

Proviamo ad analizzare il testo, si parte dalla protesta degli operai dell’industria di Aldo, dalle manganellate della polizia al servizio del padrone, il sangue sui muri e l’esortazione ai compagni a prendere la falce, il martello e a scendere in piazza e picchiare fino ad affossare il sistema. Sembra una chiamata alle armi ma si tratta solo di un incitamento alla rottura, alla fine del perbenismo, alla necessità di avere una radicalizzazione delle lotte, i colpi di martello, l’affossare il sistema  sono solo simboli di questa rottura. Il sessantotto ha rappresentato questo: una generazione che ha avuto la forza e di rompere e liberarsi dalle tradizioni, del concetto di famiglia ribellandosi contro tutto e tutti, contro la scuola, la Chiesa e contro quella sonnolente borghesia che si stava godendo il miracolo economico. Il testo di “Contessa” a rileggerlo oggi  mette quasi i brividi, risulta estremamente violento ed aggressivo ma rappresenta il manifesto delle ragioni del sessantotto.

Paolo Pietrangeli era un grande artista e credo che la sua arte è stata espressa meglio nelle canzoni che scrisse da giovane, dopo “Contessa” scrisse una canzone ancora più cruda , che si intitolava “Caropadrone, stasera di sparo”, che sembra una apologia della lotta armata, ma di fatto ero un appello alla lotta e alla denuncia. Con le parole che allora servivano a rompere vent’anni di sottomissione della gioventù, di militarizzazione dello Stato contro ogni forma di lotta.. “Caro Padrone” è del 69, e dello stesso anno è la più dolce, la più struggente e la meno conosciuta delle canzoni di Pietrangeli. “Il vestito di Rossini”. Credo che parli dei morti di Reggio Emilia (cinque militanti del Pci, tra i quali due ragazzi, falciati dai mitra della polizia, durante uno sciopero: il capo dei carabinieri, quando vide quello scempio, ritirò i suoi uomini, e fu punito; i capi della polizia, responsabili della carneficina, furono tutti processati ma assolti). La canzone racconta di un operaio, di nome Rossini, che viene catturato e sottoposto a un interrogatorio durissimo dal commissario, che vuole una confessione che non avrà mai.

Quel giorno aveva indossato il vestito della festa, il più bello che aveva, l’unico, perché così fanno gli operai. E la mattina presto aveva salutato la sua compagna, Giovanna, dicendole che doveva andare a difendere la democrazia, che sarebbe tornato a sera. Il commissario gli disse che c’erano i testimoni del suo delitto. “L’hanno visto con un sasso in mano / che difendeva un ragazzo già morto,/ ma quel che conta è che a uno di loro / un sampietrino la testa sfasciò. / Ed ha scontato vent’anni in prigione / perché un gendarme s’è rotto la testa; / ormai Giovanna ha tre figli, è in pensione,/ chissà se ha visto il vestito da festa…”.

Con Paolo Pietrangeli scompare il cantore di quella “rivoluzione impossibile” in cui molti, di generazioni anche diverse, credettero convintamente e per la quale si impegnarono attivamente.

Le sue liriche, talvolta caratterizzate anche dai toni forti di quei tempi, restano indimenticabili. Le sue canzoni, i suoi scritti hanno sempre ricordato i diritti individuali e collettivi e quei principi di eguaglianza che hanno visto l’impegno di tante generazioni diverse, comprese le più giovani che ancora ascoltano e cantano le sue canzoni.

Ma Paolo non è stato solo un autore musicale; già nel 1974 con “Bianco e Nero” denunciò il neofascismo che ancora ci affligge e, pochi anni dopo, con il cinema, a raccontare il mondo dei sentimenti e della sessualità degli adolescenti con “Porci con le Ali”.

Superata quella stagione, parallelamente al suo lavoro di regista televisivo, non mancò mai negli anni e in tante occasioni di testimoniare il suo impegno per un mondo più giusto, perché le idee di rivolta non sono mai morte ….    JANKADJSTRUMMER

CONTESSA

Che roba contessa, all’industria di Aldo
Han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti
Volevano avere i salari aumentati
Gridavano, pensi, di esser sfruttati
E quando è arrivata la polizia
Quei pazzi straccioni han gridato più forte
Di sangue han sporcato il cortile e le porte
Chissa quanto tempo ci vorrà per pulire
Compagni, dai campi e dalle officine
Prendete la falce, portate il martello
Scendete giù in piazza, picchiate con quello
Scendete giù in piazza, affossate il sistema
Voi gente per bene che pace cercate
La pace per far quello che voi volete
Ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra
Vogliamo vedervi finir sotto terra
Ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato
Nessuno piu al mondo dev’essere sfruttato
Sapesse, mia cara che cosa mi ha detto
Un caro parente, dell’occupazione
Che quella gentaglia rinchiusa lì dentro
Di libero amore facea professione
Del resto, mia cara, di che si stupisce?
Anche l’operaio vuole il figlio dottore
E pensi che ambiente che può venir fuori
Non c’è più morale, contessa
Se il vento fischiava ora fischia più forte
Le idee di rivolta non sono mai morte
Se c’è chi lo afferma non state a sentire
E’ uno che vuole soltanto tradire
Se c’è chi lo afferma sputategli addosso
La bandiera rossa ha gettato in un fosso
Voi gente per bene che pace cercate
La pace per far quello che voi volete
Ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra
Vogliamo vedervi finir sotto terra
Ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato
Nessuno piu al mondo dev’essere sfruttato
Ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato
Nessuno piu al mondo dev’essere sfruttato