…ANCHE L’OPERAIO VUOLE IL FIGLIO DOTTORE…… NON C’E’ PIU MORALE CONTESSA in morte di Paolo Pietrangeli

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…ANCHE L’OPERAIO VUOLE IL FIGLIO DOTTORE…… NON C’E’ PIU MORALE CONTESSA

La morte di Paolo Pietrangeli non lascia indifferenti e fa riflettere su periodi della nostra vita ormai forse un po’ lontani ma che hanno segnato il nostro sentire. Per me è un ricordo di cui rivedo i contorni con molta chiarezza. Era l’anno 1971 ero un ragazzotto acerbo che amava le letture di avventura, i fumetti ma che già allora ascoltava tanta musica in radio e con un vecchio giradischi, un giorno presi in prestito un pacco di dischi dall’allora fidanzato di mia sorella  e tra un Lucio Battisti e un Fabrizio De Andrè mi vennero tra le mani due dischi di quelli che, senza esagerare, ti cambiano la vita, si trattava del Nuovo Canzoniere Italiano  e del “ Nuovo canzoniere Internazionale” pubblicati  per I Dischi del Sole un etichetta allora diretta da  Giovanna Marini Ivan Della Mea, Fausto Amodei, musicisti e cantanti che si erano dedicati alla valorizzazione della canzone popolare  quella che nasceva dalla cultura orale, da quelle  canzoni che prima di essere stampate su un libro, testo e accordi, erano cantate dalla gente nelle piazze. Il gruppo aveva elaborato la forma canzone nello stile delle ballate americane alla Woody Guthrie, si richiamavano alla musica di Leadbelly e di Pete Seeger e ai cantanti folk d’oltreoceano, avevano elaborato un modo diverso di raccontare le storie, suonando la chitarra e cantando tra il parlato e il cantato, mescolando  modi e tecniche: la c.d. narrazione talking blues, progenitrice del rap. Lo stile folk della ballata si fondeva con la cultura nostrana del canto popolare, il risultato era assolutamente originale e inedito nella canzone italiana., sia lo stile che le tematiche erano di  contestazione verso la Chiesa, la critica alla proprietà privata, la canzone diventava così “militante”, coinvolgendo tanti cantautori negli anni della contestazione e dell’impegno politico. Ovunque ci fossero operai, contadini in lotta, ovunque ci fosse una protesta, un presidio c’erano i cantautori e il Canzoniere Italiano che cantava e suonava in solidarietà, Tutte le lotte andavano sostenute, perché serviva a far capire a chi protestava , di non essere soli. Tornando ai due dischi  che ascoltai con gli amici per la prima volta, ricordo che si trattava di canzoni che erano crude e lucide riflessioni sui fatti di cronaca raccontate con forte passione quasi con rabbia, la morte dell’anarchico Pinelli, i morti di Reggio Emilia,  le  amarezze degli emigrati del sud in Svizzera, la repressione, le lotte delle mondine che si sdraiavano sui binari dei treni, tutte canzoni che rappresentavano momenti e episodi che hanno segnato emotivamente e politicamente e hanno raccontato con piglio popolare pezzi della storia d’Italia. Ma la canzone che più di tutte ha segnato noi ragazzi è senz’altro “ Contessa “,  un brano scritto quasi di getto da un giovane Paolo Pietrangeli ascoltando i commenti di due nobildonne romane su fatti di cronaca mentre erano sedute, sorseggiando un tè, in un noto bar della Capitale.  Un testo decisamente rivoluzionario e poco in linea con la strategia riformista caratterizzato dal pieno rispetto delle regole democratiche del Partito Comunista di allora guidato da Luigi Longo e poi da Berlinguer. Un partito che rivedeva il pensiero e la strategia leninista e per questo contestato con forza dai gruppi della sinistra”extra-parlamentari” che proliferavano in pieno ’68. E’ stata  la canzone che ha accompagnato più di tutte le altre il movimento del ’68 in Italia. Contava di un testo diretto ed efficace che riuniva la lotta per i diritti con la lotta per la liberazione dei costumi nell’Italia ancora clericale, nelle forme e nelle leggi. E contava anche la musica particolarmente efficace, epica suonata con forte passione politica che ti portava ad alzare al cielo il pugno chiuso come segno di appartenenza collettiva agli ideali di giustizia e di riscatto.

Proviamo ad analizzare il testo, si parte dalla protesta degli operai dell’industria di Aldo, dalle manganellate della polizia al servizio del padrone, il sangue sui muri e l’esortazione ai compagni a prendere la falce, il martello e a scendere in piazza e picchiare fino ad affossare il sistema. Sembra una chiamata alle armi ma si tratta solo di un incitamento alla rottura, alla fine del perbenismo, alla necessità di avere una radicalizzazione delle lotte, i colpi di martello, l’affossare il sistema  sono solo simboli di questa rottura. Il sessantotto ha rappresentato questo: una generazione che ha avuto la forza e di rompere e liberarsi dalle tradizioni, del concetto di famiglia ribellandosi contro tutto e tutti, contro la scuola, la Chiesa e contro quella sonnolente borghesia che si stava godendo il miracolo economico. Il testo di “Contessa” a rileggerlo oggi  mette quasi i brividi, risulta estremamente violento ed aggressivo ma rappresenta il manifesto delle ragioni del sessantotto.

Paolo Pietrangeli era un grande artista e credo che la sua arte è stata espressa meglio nelle canzoni che scrisse da giovane, dopo “Contessa” scrisse una canzone ancora più cruda , che si intitolava “Caropadrone, stasera di sparo”, che sembra una apologia della lotta armata, ma di fatto ero un appello alla lotta e alla denuncia. Con le parole che allora servivano a rompere vent’anni di sottomissione della gioventù, di militarizzazione dello Stato contro ogni forma di lotta.. “Caro Padrone” è del 69, e dello stesso anno è la più dolce, la più struggente e la meno conosciuta delle canzoni di Pietrangeli. “Il vestito di Rossini”. Credo che parli dei morti di Reggio Emilia (cinque militanti del Pci, tra i quali due ragazzi, falciati dai mitra della polizia, durante uno sciopero: il capo dei carabinieri, quando vide quello scempio, ritirò i suoi uomini, e fu punito; i capi della polizia, responsabili della carneficina, furono tutti processati ma assolti). La canzone racconta di un operaio, di nome Rossini, che viene catturato e sottoposto a un interrogatorio durissimo dal commissario, che vuole una confessione che non avrà mai.

Quel giorno aveva indossato il vestito della festa, il più bello che aveva, l’unico, perché così fanno gli operai. E la mattina presto aveva salutato la sua compagna, Giovanna, dicendole che doveva andare a difendere la democrazia, che sarebbe tornato a sera. Il commissario gli disse che c’erano i testimoni del suo delitto. “L’hanno visto con un sasso in mano / che difendeva un ragazzo già morto,/ ma quel che conta è che a uno di loro / un sampietrino la testa sfasciò. / Ed ha scontato vent’anni in prigione / perché un gendarme s’è rotto la testa; / ormai Giovanna ha tre figli, è in pensione,/ chissà se ha visto il vestito da festa…”.

Con Paolo Pietrangeli scompare il cantore di quella “rivoluzione impossibile” in cui molti, di generazioni anche diverse, credettero convintamente e per la quale si impegnarono attivamente.

Le sue liriche, talvolta caratterizzate anche dai toni forti di quei tempi, restano indimenticabili. Le sue canzoni, i suoi scritti hanno sempre ricordato i diritti individuali e collettivi e quei principi di eguaglianza che hanno visto l’impegno di tante generazioni diverse, comprese le più giovani che ancora ascoltano e cantano le sue canzoni.

Ma Paolo non è stato solo un autore musicale; già nel 1974 con “Bianco e Nero” denunciò il neofascismo che ancora ci affligge e, pochi anni dopo, con il cinema, a raccontare il mondo dei sentimenti e della sessualità degli adolescenti con “Porci con le Ali”.

Superata quella stagione, parallelamente al suo lavoro di regista televisivo, non mancò mai negli anni e in tante occasioni di testimoniare il suo impegno per un mondo più giusto, perché le idee di rivolta non sono mai morte ….    JANKADJSTRUMMER

CONTESSA

Che roba contessa, all’industria di Aldo
Han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti
Volevano avere i salari aumentati
Gridavano, pensi, di esser sfruttati
E quando è arrivata la polizia
Quei pazzi straccioni han gridato più forte
Di sangue han sporcato il cortile e le porte
Chissa quanto tempo ci vorrà per pulire
Compagni, dai campi e dalle officine
Prendete la falce, portate il martello
Scendete giù in piazza, picchiate con quello
Scendete giù in piazza, affossate il sistema
Voi gente per bene che pace cercate
La pace per far quello che voi volete
Ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra
Vogliamo vedervi finir sotto terra
Ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato
Nessuno piu al mondo dev’essere sfruttato
Sapesse, mia cara che cosa mi ha detto
Un caro parente, dell’occupazione
Che quella gentaglia rinchiusa lì dentro
Di libero amore facea professione
Del resto, mia cara, di che si stupisce?
Anche l’operaio vuole il figlio dottore
E pensi che ambiente che può venir fuori
Non c’è più morale, contessa
Se il vento fischiava ora fischia più forte
Le idee di rivolta non sono mai morte
Se c’è chi lo afferma non state a sentire
E’ uno che vuole soltanto tradire
Se c’è chi lo afferma sputategli addosso
La bandiera rossa ha gettato in un fosso
Voi gente per bene che pace cercate
La pace per far quello che voi volete
Ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra
Vogliamo vedervi finir sotto terra
Ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato
Nessuno piu al mondo dev’essere sfruttato
Ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato
Nessuno piu al mondo dev’essere sfruttato

27 APRILE 2010 – UNA BELLA SERATA DI MUSICA CON I BAUSTELLE – LA CRONACA DEL CONCERTO. by Jankadjstrummer

 

27 APRILE 2010 – UNA BELLA SERATA DI MUSICA  CON  I BAUSTELLE  – LA CRONACA DEL CONCERTO.

Solo 2 anni fa i Baustelle si erano esibiti in un piccolo club di Firenze davanti ad un pubblico di fans fedelissimi ed in quella occasione non ho potuto far altro che constatare una grossa differenza qualitativa tra il prodotto in  studio e la dimensione live del gruppo toscano. Ora in aprile 2010 dopo l’uscita dell’album “ I mistici dell’Occidente “ quando si parlava dell’imminente concerto al Sashall di Firenze, ho avuto un momento di perplessità , riusciranno a rendere un buon prodotto in un teatro di 5000 o più posti. Non nascondo che io adoro i Baustelle, trovo Francesco Bianconi una persona colta, un abile paroliere, quello che si può definire un poeta underground capace di costruire storie sincere con una forte ironia. Così, ho invitato il mio amico Rocco R., grande estimatore del gruppo, a seguirmi. Contrariamente a quanto succede spesso, arriviamo al Sashall alle ore 21:00, il tempo di sorseggiare una birra fresca ed entriamo in una vera e propria bolgia infernale, locale strapieno, quello che si dice il pubblico delle grandi occasioni, ci guardiamo un po’ in giro, tanti giovanissimi ma anche tanti attempati come noi  a dimostrazione della trasversalità del pubblico , si abbassano le luci e si ode un suono anzi la vibrazione di un oboe che intona le prime note di “l’indaco” che apre anche il nuovo disco, poi ad uno ad uno entrano gli GnuQuartet ( autori degli arrangiamenti), una sezione fiati e percussioni di chiara matrice rock, poi, vestiti con lunghe tuniche bianche un quartetto di cori denominati dal Bianconi come “ il coro degli angeli dell’Occidente”  un mix di voci pseudo-gospel, un ensamble fascinoso già al fianco dei Baustelle in sala di registrazione per il nuovo album. Poi finalmente entra il trio dei Baustelle, abbigliati un po’ anni ’70, Bianconi con una camicia in perfetto stile hawaiano e donna Rachele Bastreghi stranamente molto sexy, magliettina scollatissima e con la bratellina sempre caduta. Il palco circondato da una scenografia bella ma nientaffatto pomposa, luci colorate, intense creano l’atmosfera giusta per il rito delle canzoni cantate dai fans. Parte la musica, il suono è potente e limpido, la voce di Bianconi che riesce a sovrastare sugli strumenti, finalmente si può seguire il testo,cosa impensabile all’ultimo concerto dei Baustelle a cui avevo assistito, il pubblico è coinvolto emotivamente, uno stuolo di ragazze poco più che ventenni davanti a noi che canta le canzoni del nuovo album riproposto quasi per intero, così scorrono “le rane”, “S.Francesco” “Follonica”, I mistici dell’Occidente e via discorrendo, pochissime parole tra un brano e l’altro ma solo cambi di strumenti che la dicono lunga sulla genuinità del gruppo non abituato ai riflettori. La band è in ottima forma, il pubblico si divertite e il tempo scorre velocemente, la seconda parte del concerto è dedicato ai pezzi del passato che offrono l’occasione per apprezzare la maturità artistica del gruppo, Il risultato è stato uno spettacolo bello e coinvolgente, personalmente ritengo che sia stato un concerto di qualità che il pubblico ha apprezzato molto a dimostrazione che spesso mantenere degli standard alti alla fine ripaga e non vale assecondare il pubblico con prodotti scadenti ma d’impatto. Il bis chiesto a gran voce dal pubblico non è stato granchè soddisfacente  affidato a “charlie fa surf “cantato in coro dal pubblico, sarebbe stato meglio aver continuato con  “il liberismo ha i giorni contati” oppure “Baudelaire”, ma tutto sommato sono uscito soddisfatto, il mio amico Rocco R si è divertito molto, sono queste le cose che contano e che ci rendono felici…..

IL LIBERISMO HA I GIORNI CONTATI 

E’ difficile resistere al Mercato, amore mio. Di conseguenza andiamo in cerca di rivoluzioni e vena artistica. Per questo le avanguardie erano ok, almeno fino al ’66. Ma ormai la fine va da sé. E’ inevitabile. Anna pensa di soccombere al Mercato. Non lo sa perché si è laureata. Anni fa credeva nella lotta, adesso sta paralizzata in strada. Finge di essere morta. Scrive con lo spray sui muri che la catastrofe è inevitabile.Vede la Fine. In metropolitana. Nella puttana che le si siede a fianco. Nel tizio stanco. Nella sua borsa di Dior. Legge la Fine. Nei sacchi dei cinesi. Nei giorni spesi al centro commerciale. Nel sesso orale. Nel suo non eccitarla più. Vede la Fine in me che vendo dischi in questo modo orrendo. Vede i titoli di coda nella Casa e nella Libertà. E’ difficile resistere al Mercato, Anna lo sa. Un tempo aveva un sogno stupido: un nucleo armato terroristico. Adesso è un corpo fragile che sa d’essere morto e sogna l’Africa. Strafatta, compone poesie sulla Catastrofe.Vede la Fine. In metropolitana. Nella puttana che le si siede a fianco. Nel tizio stanco. Nella sua borsa di Dior. Muore il Mercato. Per autoconsunzione. Non è peccato. E non è Marx & Engels. E’ l’estinzione. E’ un ragazzino in agonia. Vede la Fine in me che spendo soldi e tempo in un Nintendo dentro il bar della stazione e da anni non la chiamo più.

 JANKADJSTRUMMER

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Riascoltati per voi – Radiohead – OK Computer by Jankadjstrummer

 

https://youtu.be/1uYWYWPc9HU

ok computer

E’ inutile dire, le democrazie occidentali sono tutte uguali, la lotta per il potere è senza esclusioni di colpi e i candidati a governare sono disposti a tutto pur di accaparrarsi il voto degli elettori, ne sappiamo qualcosa noi Italiani in fatto di promesse giurate in campagna elettorale dagli imbonitori di turno che dimenticano immediatamente, varcata la soglia del Parlamento, i motivi per cui sono stati eletti. “Electioneering”, brano contenuto in questo OK Computer mi ricorda, ad ogni ascolto, la dabbenaggine di noi italiani che diventiamo creduloni ed ingenui ad ogni tornata elettorale. La durezza e la violenza del brano ci deve spingere, forse, ad abbozzare una qualche reazione……. Stiamo parlando del capolavoro  dei RadioHead uscito nel 1997, il disco che segna la svolta: non più musica brit-pop in stile Smith ma sperimentazione in studio per cercare un linguaggio sonoro diverso. Questa rubrica “riascoltati per voi “ è stimolante perché mi da l’occasione di riascoltare i dischi che più mi sono piaciuti durante tutti questi anni con molta calma, per coglierne le sensazioni, le tecniche sonore utilizzate e non ultimo i testi.

Il disco parte con un brano molto tirato dove chitarra e batteria creano un suono incandescente dal titolo “Airbag” mentre la voce quasi neniosa di Tom Yorke ci rivela una sua recondita paura: la guida dell’automobile. “Airbag” è un episodio ben riuscito e ben arrangiato impreziosito da un violoncello che ripercorre il riff chitarristico mentre il basso e la batteria crescono fino al gran finale che si conclude con dei bip che annunciano il capolavoro del disco: “Paranoid Android”  6 minuti e mezzo di sofferenza, suoni viscerali che si alternano alla bellissima voce questa volta melodiosa e sofferta di York. Questo pezzo è diviso in più movimenti ed è sorretto da un testo denso di disperazione i Radiohead riflettono sul crollo  della  generazione degli anni 80, sugli yuppies cocainomani vuoti e senza speranza. Musicalmente la prima parte del pezzo è costituita da delicati accordi di chitarra  unito a accordi di basso originalissimi fino a che non parte la chitarra di Jonny Greenwood aggressiva e grondante di malessere  che lascia il posto al movimento più triste, caratterizzato dalla voce di Yorke che in falsetto ricrea una atmosfera desolante fino al ripetersi del verso “God loves his children, yeah” che ci conduce ad un finale  sonoro che lascia svuotati.
A questo punto i Radiohead capiscono che devono fermarsi un attimo dopo un pezzo così straziante ed intenso,inseriscono, quindi, un bellissimo e tranquillo arpeggio che è il preludio a “Subterranean Homesick Alien” brano che richiama nel titolo un vecchio pezzo di Bob Dylan, “Subterranean Homesick Blues”. Qui viene sviluppato il concetto di alienazione che è il leit-motiv di tutto l’album a cui si accompagna una melodia particolarmente dolce. Poi parte “Exit Music (For a film)” anche questo  pezzo tocca punte altissime di lirismo, supportato da accordi acustici su cui gioca bene la melodia triste di Yorke . Segue “Climbing up the walls”, un rock lento ma reso acido da suoni distorti. Finalmente si riesce a vedere un po’ di luce il suono diventa più sereno quando parte  “Let Down”, in perfetto stile brit-pop, canzoncina orecchiabile che smorza molto la tensione del disco ma che, tuttavia, nasconde un ottimo arrangiamento, specialmente nel coro e nei riff di chitarra. Una piccola incursione nell’ elettronica introduce “Karma Police”, forse il brano più conosciuto del gruppo. E’ una classica melodia orecchiabile ma che cela un malessere esistenziale ai limiti della paranoia , con questo pezzo, in effetti, la tensione cala e il testo diventa un motivo per ridicolizzare il perbenismo stupido di chi vede nemici e potenziali delinquenti dappertutto si ironizza sull’ignoranza e sui luoghi comuni del cittadino medio che chiama le forze dell’ordine quando vede magari un giovane con i “capelli tagliati alla Hitler”.  La canzone è bellissima e ricorda molto lo stile  “beatlesiano” che tanto ha influenzato il brit-pop Dopo questo pezzo il disco approda verso lidi più sperimentali  “Filter happier” nel testo si ironizza sulla “ perfezione del genere umano” mentre il tema di “Lucky” è l’amore reso più ideale da cori e assoli di chitarra in perfetto stile Pink Floyd in cui la voce, dolce e triste, di Yorke tocca punte altissime di espressività.
“The Tourist”, invece, scritta da Johnny Greenwood, è malinconica, supportata dalla voce mesta e dilatata di Yorke prima che un carillion e un abbozzo di ninna nanna ci consegni una favolosa “No Surprises”, un brano dolcissimo ed insolitamente ottimista. E’ stata dura ma siamo  arrivati  alla fine di OK Computer,  i RadioHead ci hanno consegnato un capolavoro che resterà nella storia del rock, l’apice della loro carriera prima della svolta elettronica che trovo meno interessante. E’ risaputo che i capolavori sono unici loro ne sono consci tanto che dopo questo successo planetario hanno continuato la ricerca e la sperimentazione verso altri approdi non raggiungendo mai i traguardi raggiunti con questo lavoro, non sarebbe stato possibile né giusto tentare di bissare il lirismo,i sentimenti, l’intensità poetica   di cui è pregno questo”Ok Computer”

  1. Airbag
  2. Paranoid Android
  3. Subterranean homesick alien
  4. Exit music (for a film)
  5. Climbing up the walls
  6. Let down
  7. Karma police
  8. Filter happier
  9. Electioneering
  10. Lucky
  11. The tourist
  12. No surprises.     BUON ASCOLTO DAL VOSTRO JANKADJSTRUMMER.  

RICORDI INDIMENTICABILI – I DUCHI DI LANCASTER quando la band di S.Pietro in Amantea imperversava nel basso cosentino. by Jankadjstrummer

 

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I DUCHI DI LANCASTER  quando la band di S.Pietro in Amantea imperversava nel basso cosentino.

Il ricordo dei Duchi di Lancaster mi riporta indietro di oltre 40 anni alla prima volta, in assoluto, che  ho visto Giacomo, era probabilmente l’anno 1969 entrambi adolescenti ma con qualcosa che ci accomunava, la grande passione per la musica. Vivevamo in un paesetto della provincia calabrese, si sentiva solo l’eco del rock , della musica beat e del soul, nel paese poche erano le occasioni per ascoltare o fare  musica, nascevano gruppi beat che scimmiottavano i vari Equipe 84, Nomadi o i Camaleonti che non hanno mai lasciato nessun segno del loro passaggio, band che si costituivano ma che duravano una sola stagione e qualche cantante con velleità di diventare Massimo Ranieri, Claudio Villa o Gianni Morandi.

Ho ricordi nitidi di un Festival delle voci nuove al Cinema Bruni di Amantea, concorso che decretava i big musicali della zona, manifestazione seguitissima, con appassionate rivalità, e poi tanti gruppi e cantanti in erba che si cimentavano solo per il gusto di suonare insieme e divertirsi.

Ad un certo punto della serata, il presentatore chiama sul palco, per l’esibizione, i Duchi di Lancaster, provenienti da S.Pietro in Amantea, un gruppo credo alla loro prima apparizione in pubblico, assestano gli strumenti e partono con un pezzo rock velocissimo e tiratissimo con voce, chitarra e batteria in grande evidenza, suono pulito che denotava l’affiatamento del “complesso vocale e strumentale” come venivano definiti all’epoca.

Dietro la batteria, che batteva forte sul pedale e dava colpi di bacchette su tamburi e piatti, un adolescente, un ragazzino come me. Fu sorprendente  vedere un mio coetaneo dodicenne già a suo agio dietro uno strumento così complicato come la batteria, era lui, Giacomino, capelli lunghi nerissimi con frangetta, carnagione olivastra, in mezzo al suo gruppo formato da ragazzi molto più maturi di lui e alle prese con un assolo di batteria da fare invidia ad un consumato musicista. Fu uno spettacolo, mi ricordo che furono accolti con simpatia ed ebbero un discreto successo ma chiaramente non vinsero, erano troppo avanti per quella platea. Questo gruppo mi colpì molto, sarà stato il nome che avevano scelto che mi ricordava storie medievali di cavalieri inglesi, la guerra delle due rose, storie di cappe e spade che stuzzicavano la mia fantasia, oppure il loro suono rock molto diverso dal resto degli “ artisti” che si erano avvicendati sul palco, oppure l’esordio di Giacomino alla batteria che suscitava in me, ancora ragazzino, un pizzico di invidia, un groviglio di sensazioni positive che mi hanno accompagnato anche dopo qualche anno quando il primo giorno del 1° liceo, con Giacomo, siamo capitati nella stessa classe e dopo lo scambio di solo due parole ci siamo trovati seduti nello stesso banco per tutti i 5 anni. Abbandoniamo, però, questi sentimentalismi e veniamo al percorso artistico dei Duchi di Lancaster, che poi ho seguito con interesse nel prosieguo degli anni, musicisti seri e tutti di un pezzo, il cantante, un grande sentimentale, che ricordo eternamente innamorato, quello che si può definire un poeta romantico degli anni 70. Pezzi autocostruiti, testi che prendevano vita dalla penna dello “scienziato”come lo definivano tutti e poche cover ne fecero un gruppo originale, forse troppo legato ad un genere un po’ romantico che ricordavano gli Alunni del Sole, musicisti mai banali , ma onesti ed ispirati. La loro sala prove era diventata un fucina di grande musica, ascoltavo con attenzione il loro repertorio e qualche volta Giacomo mi coinvolgeva come seconda voce, i nostri cavalli di battaglia erano “Child in time” dei Deep Purple, Oye como va dei Santana ma anche “il giudice” di De Andrè. L’acquisto dell’organo “Thomas “ dette grande vitalità al gruppo e alle sonorità dei loro brani. duchi 3

Può sembrare una operazione nostalgia ma vi assicuro che al “ CLUB”, come veniva definita la loro sala prove, c’era sempre molto fermento, si ascoltavano dischi, si ragionava di musica, testi di canzoni ma anche di amori adolescenziali quasi sempre non corrisposti, si facevano feste da ballo con la musica live, era, quello che si dice ora, un ambientino simpatico, molto vivo e frizzante.

Mi sarebbe piaciuto acquisire un po’ di notizie da poter inserire in questo contributo, ricordare le scalette dei loro spettacoli, ma mi basta comunque, tributare ai Duchi questa piccola manifestazione di grande affetto per quello che sono riusciti a trasmettere a me e a tanti  ragazzi che magari emigrati al nord ricordano con nostalgia ma anche con molta passione quegli anni. L’orgoglio e il senso di appartenenza ad una comunità come quella sanpietrese  molto coesa e genuina. Una celebrazione di un gruppo affiatato che con alti e bassi si è mantenuto e non si è ossidato negli anni. Massimo rispetto per i Grandi Duchi di Lancaster, forever!    jankadjstrummer

 

 

TUBULAR BELLS DI MIKE OLDFIELD – A OPERA ROCK- 1973 by JANKADJSTRUMMER

 

TUBULAR BELLS

TUBULAR  BELLS

Michael Gordon Oldfield nasce come chitarrista folk-rock, dopo una breve parentesi di lavoro con il fratello Terry e la sorella Sally ed un album del 1969 dal titolo “Children Of The Sun”, lavora con la band di Kevin Ayers ex Soft Machine dedita molto alla sperimentazione del suono cosiddetto di Canterbury. Inizia a lavorare con molti strumenti e a fare le prime sovraincisioni amatoriali fino a che non riesce a creare un opera rock strumentale molto particolare in cui convive sia l’anima folk che quella rock progressive. In quel periodo nessuno punta su questo lavoro, non convince questa suite di 50 mInuti ritenuta poco commerciale, fino a quando non viene proposta alla nascente etichetta VIRGIN che farà poi la fortuna con questo disco. Iniziano così le elaborate sessioni in sala d’incisione dello stupefacente “ Tubular bells “e dopo una lunga gestazione nel 1973 il disco viene pubblicato.

E’ l’inizio dell’astro nascente di Oldfield che raccoglie l’agognato successo per un disco elaborato  ma di gradevole ascolto: una successione di frammenti musicali, creati dalla sovrapposizione di strumenti suonati perlopiù dallo stesso musicista, entrati  di diritto nella storia della musica. Su tutti, il tema d’apertura con una tastiera quasi ossessiva che unita ad un giro di basso ti immette in un clima molto sinistro, un introduzione che è calzata bene come colonna sonora del film “ L’esorcista”  oppure la fine della prima facciata, ove vengono chiamata ad uno ad uno gli strumenti che si sovrappongono e preparono per il gran finale che culmina, le con le campane tubolari, le Tubular bells appunto. I 50 minuti del disco, diviso in due parti, pare, si ispira al Bolero di Ravel, la musica scivola via con i suoi continui cambi di tempo ma la cosa che più risalta è l’assenza in tutto il lavoro della batteria e della parte cantata ad eccezione del finale della 2 ° parte dal sottotitolo”The Piltdown Man Section”, dove Oldfield, dopo essersi scolato mezza bottiglia di whisky, esterna tutta la sua frustrazione al mondo intero con i suoi grugniti da uomo delle caverne. Simpatica è anche la conclusione dell’opera, affidata al traditional “The Sailor’s Hornpipe”  meglio famosa come sigla dei cartoon di “Braccio Di Ferro”.

Recensire dal punto di vista musicale questo disco non è facile: la 1° parte subito dopo il tema iniziale si apre con doppi fraseggi di tastiere conditi con fiati andini e chitarre in libertà fino a che la musica diventa gioiosa e serena e culmina in un tema di mandolino quasi partenopeo che la dice lunga sul magnifico bagaglio musicale di Oldfield, il tema centrale resta invariato ma si arricchisce di echi mediorientali e variazioni sul tema fino a raggiungere l’apice con delle incursioni di chitarre lancinanti. La suite continua e si addolcisce con dei richiami alla danza indiana e le chitarre diventano quasi folk mentre in secondo piano si odono rintocchi d’organo. Il finale della prima parte è quella stupenda reintrè degli strumenti che ad uno ad uno riprendono le poche note e che culminano con le Tubular bells di cui si parlava prima e si chiude con degli arpeggi di chitarra classica. Nel secondo tempo dell’opera si riprende il clima acustico quasi sognante, le chitarre si intrecciano fino a che un organo intona un minuetto folk che ti guida in un viaggio fantastico verso verdi paesaggi inglesi reso quasi epico da un crescendo di mandola e da  un bel coro femminile. La suite scivola poi armoniosamente sul classico, su suoni antichi su cui i timpani reggono il tempo, poi ancora una miriade di suoni che sembrano suonati da una band e diventano un preludio ai grugniti animaleschi, riff di chitarra di cui si parlava prima fino a sprofondare su un assolo di organo di chiesa. Il finale, dopo questa parte particolarmente tetra e sinistra, è affidato ad tema allegro e spensierato che ne stempera l’atmosfera.

Tubular bells è un opera geniale, ponte tra il progressive rock e la new age che verrà, è il disco con cui il rock strumentale varca definitivamente la soglia dell’ arte maggiore e  che non deve mancare in nessuna cd-teca che si rispetti. Vani sono stati tentativi di ricreare questa atmosfera e sull’onda del successo planetario Oldfield ha pubblicato varie versioni di questo lavoro: “Orchestral Tubular Bells” (1975), “Tubular Bells II” (1992), “Tubular Bells III” (1998), “The Millennium Bell” (1999) e “Tubular Bells 2003” (2003), dischi che confermano che i capolavori sono irripetibili.

Buon ascolto o riascolto da JANKADJSTRUMMER

 

https://youtu.be/KXatvzWAzLU

I MIGLIORI DISCHI DEL 2020. by JANKADJSTRUMMER

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COME OGNI ANNO VI SEGNALO I 15 DISCHI CHE PIU’ ASCOLTATO E CHE , A MIO INSINDACABILE GIUDIZIO, RAPPRESENTANO IL MEGLIO DELLE USCITE DEL 2020.

  1. RUFUS WAINWRIGHT – UNFOLLOW THE RULES
  2. FLEET FOXES – SHORE
  3. FIONA APPLE – FETCH THE BOIT CUTTERS
  4. SUFJAN STEVENS – THE ASCENSION
  5. ELVIS COSTELLO – HEY CLOCKFACE
  6. BEN HARPER – WINTER IS FOR LOVERS
  7. ANDREW BIRD – HARK!
  8. THE WAR ON DRUGS – LIVE DRUGS
  9. GRETA VAN FLEET – ANTHEM OF THE PEACEFUL ARMY
  10. BRUCE SPRINGSTEEN – LETTER TO YOU
  11. TAME IMPALA – THE SLOW RUSH
  12. KENDRICK LAMAR – DAMN
  13. NINA SIMONE – SPOTLIGHT ON NINA SIMONE ( RACCOLTA)
  14. THE WATERBOYS – GOOD LUCK, SEEKER
  15. PRETENDERS – HATE FOR SALE

 

https://youtu.be/s_iyIXOvwpk

LA CRONACA DEL CONCERTO THE STRANGLERS LIVE AL VIPER CLUB DI FIRENZE 17 APRILE 2012 BY JANKADJSTRUMMER

THE STRANGLERS LIVE AL VIPER CLUB DI FIRENZE 17 APRILE 2012

L’evento è di quelli che non bisogna farsi sfuggire, The Stranglers di passaggio dall’Italia per solo due date, Firenze e Milano e per un concerto che si preannuncia epico: non credo che abbiano mai fatto tappa a Firenze. Certo forse bisognava averli visti alla fine degli anni ’70 quando dopo una parentesi  punk rock e ben tre album che ben rappresentavano un sound originalissimo rispetto al puro panorama punk inglese. In effetti i componenti della band provenivano tutti da diverse esperienze: Hugh Cornwell dal  blues, il bassista Jean Jacques Burnel era un chitarrista classico, il batterista Jet Black dal jazz, e Dave Greenfield suonava nelle basi militari. I loro primi album, in particolare Rattus Norvegicus e No More Heroes  entrambi con bellissime copertine in perfetto stile gotico ( castelli medievali, armature, teste di uccelli ma anche una tomba ornata da una corona di fiori) erano pieni di brani che divennero presto delle hit, lontani, quindi, dagli eccessi del punk, rappresentavano probabilmente in nuce quello che sarebbe stata la new-wave. Poi con il loro capolavoro The raven del 1979 la separazione dal punk fu netta, i brani erano più articolati sia dal punto di vista musicale che dei testi. Le tematiche trattate riguardano le droghe, il viaggio dei vichinghi, il nucleare ed anche alcuni eventi politici. Poi ancora lavori che sfornavano hit da classifica fino alla metà degli anni ’80 molto lontani dai furori punk ma capaci di uno stile personalissimo intriso di art rock, vere e proprie ballate in cui si sente l’influenza del rock psichedelico dei Doors. Ma veniamo alla serata al Viper club di Firenze ( una bella struttura in perfetto stile club, bel palco e un parterre in salita che permette una buona visuale, locale ormai diventato il tempio del rock a Firenze ). Arriviamo in macchina con Fabio ( grande rockettaro) e il fedele Pietro che mi segue in queste scorribande, lui è più giovane ma apprezza molto la buona musica “ datata”. Certo non ne facciamo mai una giusta, arriviamo alle 21:45 e il concerto è già iniziato siamo al loro quarto pezzo      “ Romance” il sound che ci accoglie è potente, il gruppo si muove bene sul palco, aguzzo la vista e non posso non notare che i componenti, a parte di batterista sostituito all’ultimo momento, sono ultrasessantenni ma ben piantati sul palco, il bassista Jean-Jacques Burnel si muove continuamente, il  chitarrista e cantante  Baz Warnea, nuovo acquisto dagli anni 2000 ha energia e potenza nella voce e si lascia andare a riff di chitarra con movimenti delle dita sulle corde  ben assestati, veloci che galvanizzano il pubblico. L’unico imperturbabile è Dave Greenfield il tastierista che dietro la sua torre di tastiere e moog picchia sui tasti e continua a sorseggiare un beverone gigante perchè probabilmente deve integrare i liquidi che perde da questa fatica. Parte il “nostro” secondo brano  Hanging Around, tastiere, ben in evidenza, che partono con il loro tipico giro e la voce veloce e potente che rende il brano particolarmente coinvolgente, il pubblico apprezza molto, tanti cantano in coro il brano altri ascoltano in religioso silenzio magari ricordando forse con nostalgia i loro 20 anni, perché di questo si tratta, basta dare una occhiata al pubblico e nel buio della sala illuminata dalle luci del palco per scorgere tanti cinquantenni canuti calamitati da tanta energia. Il concerto scorre veloce e senza interruzioni, poche parole nemmeno in inglese se non per dare il doveroso “tank you”, gli Stranglers non si risparmiano, danno fuoco alle micce riproponendo i loro brani più conosciuti intervallandoli con qualche pezzo del loro ultimo album     “ giants”. Ma non si tratta, secondo me, di un concerto incentrato sul nuovo disco da promuovere  perché  i brani in scaletta provengono dall’intera loro produzione, hanno proposto, infatti, anche brani punk velocissimi di 1 minuto e mezzo per far felici i ragazzi delle prime file, cavalli di battaglia in cui la voce solista su un tappetino di basso e tastiera diventato, ormai,  il loro marchio di fabbrica, hanno riscaldato il numeroso pubblico accorso per questo concerto-evento. Per quanto mi riguarda il concerto non ha deluso le mie aspettative,immaginavo quello che poi in realtà è avvenuto: ho riascoltato brani storici suonati con la grinta giusta che mi hanno fatto fare un salto indietro di 30 anni ma senza nostalgia se non per la pura spensieratezza che si ha a quella età, alla fine del concerto, in attesa del bis un uomo si è avvicinato alle transenne e ha urlato ai musicisti che stavano ritornando sul palco che intonassero “ Shah shah a go go “ un classico dall’album “The raven” perché, a suo dire “ era la colonna sonora dei suoi trip “ in questa frase c’è l’essenza della musica degli Stranglers, una band che ha saputo coniugare il nichilismo punk con i suoni psichedelici di doorsiana memoria e capace, quindi, di reggere ancora alle mode. Una bella serata che ha divertito tutti, a mezzanotte ero già a casa, un fatto inconsueto per chi frequenta i concerti ma forse utile per la platea di questa sera in prevalenza un po’ avanti con gli anni che l’indomani deve svegliarsi per recarsi al lavoro……sic

Ecco i brani in scaletta  o perlomeno quelli che ricordo e che non è detto siano in questa sequenza:

  1. Romance
  2. Hanging Around
  3. Time Was Once On My Side
  4. Golden Brown
  5. Strange Little Girl
  6. Giants
  7. Something Better Change
  8. Mercury Rising
  9. Shut Up
  10. Time to Die
  11. Relentless
  12. Peaches
  13. No More Heroes
  14. Duchess

BIS

  1. All Day And All Of The Night (cover The Kinks)
  2. Tank

 

Dal vostro JANKADJSTRUMMER

SENTIMENTALE – GLI ALUNNI DEL SOLE – JENNY E LA BAMBOLA – by JANKADJSTRUMMER

.JENNI
GLI ALUNNI DEL SOLE – JENNY E LA BAMBOLA –

E’ inutile, nessuno può esimersi dalla nostalgia, dal  ricordo dell’adolescenza, dalla visione in bianco e nero delle feste in casa con i compagni di scuola in attesa dei “ lenti” che regalavano i primi turbamenti, i primi approcci con la  ragazza con cui speravi di imbastire una storia sentimentale. Nel rivivere queste immagini, i luoghi della giovinezza bisogna necessariamente essere accompagnati da una colonna sonora che non può non essere Jenny e la Bambola degli Alunni del Sole. L’altra sera parlavo al telefono con il Dr Nac che mi ha ricordato questo disco e tutto quello che rappresentava per dei ragazzi che nel 1974, anno di pubblicazione dell’album,avevano sedici anni. Così sono andato alla ricerca dell’album per riascoltarlo e con estremo stupore mi sono accorto di essere investito da una grande tenerezza, faccio partire la prima traccia intitolata “Un manichino in vetrina” e come per incanto riesco a ricordare la storia di Jenny e dell’incontro con il suo amore estivo, fugace. L’immagine che si coglie è il binario di una stazione e questa bella ragazza in attesa del suo treno con in mano una bambola di cartone. Suoni dolcissimi di chitarra acustica e pianoforte rendono questo quadretto ancora più intenso e tenero. Paolo Morelli ( il cantante) immagina di percorrere con lei le vie del mercato sotto gli sguardi ammirati dei passanti mentre i suoni dei violini e delle mandole sembrano lanciare petali di rose al loro passaggio. Non lo ricordavo cosi suggestivo questo inizio, anche il secondo brano “la bambola di cartone” segue lo stesso clichè, la ragazza alle prese con la sua bambola a cui aveva cucito un vestitino adornato con dei fiori di carta, a cui  truccava il viso e che  teneva stretta al suo petto quando il treno prende la sua corsa, qui l’innamorato gli grida tutto il suo amore ma lei non sembra sentire, un distacco che diventa dolore nel ricordo delle belle serate in riva al mare quando una orchestrina suonava da lontano e i due innamorati erano felici. La musica che fa da tappeto a questi sentimenti espressi con estrema sincerità e dolcezza, è una sorta di progressive che gioca con violini, tastiere e flauti nella descrizione delle luci delle lampare e nelle ombre di gente che balla e si diverte. Una immagine molto raffinata ma tanto malinconica. Il suono del piano e dell’armonica è il preludio al brano “Jenny e la bambola( I° parte ) “, qui è Jenny che parla del suo amore per un giovane più grande di lei, un amore contrastato dai genitori, il dialogo con la sua bambola, regalata probabilmente da questo ragazzo,  a cui rivela le sue fantasie di adolescente e  il desiderio di fuggire via,  il tutto su una musica lenta  con formidabili tocchi di  piano e mandolino. In “Jenny e la Bambola(II parte)” Jenny ormai adulta, ritrova in soffitta la sua bambola e la porta con sé come simbolo della sua adolescenza Qui la musica diventa orchestrale, belli gli arrangiamenti, il pianoforte e gli archi che rendono raffinato e leggero l’accompagnamento. Il brano Jenny chiude il cerchio, finalmente si racconta la storia d’amore estiva tra lui e lei. Promesse scambiate e poi dimenticate in un vortice di chitarra acustica, basso e una voce romantica e lieve. Poi altre due canzoni che non fanno parte della storia di Jenny: “un’altra poesia “ che ebbe un grande successo come 45 giri, una dichiarazione d’amore attraverso la dedica di una poesia, brano delicato, reso ancora più dolce da un bell’arrangiamento;  infine “Canzoni d’amore “ un brano forse riempitivo ma reso suggestivo dalla voce di Paolo Morelli. Il disco termina come termina questo tuffo nel passato alla ricerca forse di immagini di momenti lieti in cui l’unico impegno era un po’ di studio.  Jenny e la bambola è uno dei primi concept-album nel panorama musicale italiano, ebbe un grande successo di pubblico e di critica che consacrò il gruppo nel filone sentimentale pur riconoscendogli una forte maturità stilistica e musicaleBuon ascolto o riascolto da  Jankadjstrummer

https://youtu.be/KBFS7Jr2yE0

JENNY

Jenny sembrava felice/ di correre lungo,il mare di andare, tornare, giocare di farsi perdonare/io le baciavo le ciglia, che meraviglia felici, eravamo felici, ma… l’estate finiva, e,…
dovevo lasciarla jenny era tanto sicura che noi ci saremmo trovati di nuovo di certo anche lei, non sapeva dove
pero’ io le,ho creduto quante promesse scambiate, dimenticate sincera, sembrava, sincera,e poi…davvero era bella
per me la piu’ bella! na, na, na, na, na na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na,
jenny era la mente mia, era dentro le foglie, nel vento dentro l’acqua, nel sole, sui monti anch’io io le dormivo dentro
quante foto con amore che m’avra’ lasciato e quante le notti di mare che… son stato con gli occhi alle stelle a… pensarla na, na, na, na, na na, na, na, na,  na, na, na, na,
ore di allegria e,anche ore di malinconia non ci pensare sei mia, ma… sapeva che finiva poi le baciavo le labbra,
dopo,un po’ le ciglia felici, eravamo felici, ma… l’estate finiva, e,… dovevo lasciarla na, na, na, na, na na, na, na, na,
na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na!!!.|

https://youtu.be/S8KVzqMjUPE

Intervista esclusiva a Finaz chitarrista della Banda Bardò a cura di Jankadjstrummer

 

Intervista a Finaz della Banda Bardò all’indomani dell’uscita del suo primo album solista “ guitar solo”.

JANKADJSTRUMMER : Grazie di aver accettato un intervista  per i miei amici  appassionati di rock e non solo:  Finaz per cominciare vorrei farti qualche domanda riguardo alla Banda Bardò arrivata in questi giorni al ventennale della carriera, 20 anni sono tanti forse abbracciano almeno 2 generazioni di giovani, trovi differenza nel pubblico di ieri e di oggi? E in che modo cercate di intercettare con i testi lo spirito e i sentimenti delle migliaia di ragazzi che affollano i vostri concerti?

Finaz: Non notiamo tantissime differenze tra il pubblico di ieri e quello di oggi nel modo di approcciarsi alla musica. La musica rimane uno dei pochi momenti in cui tutti ci sentiamo uniti. Si canta, si balla, si salta insieme. Una sorta di rito tribale primordiale per liberare e sublimare le energie tutti insieme. Chiaro che dopo il concerto quando incontri le persone cogli spesso un velo di sottile angoscia per la incertezza dei giorni che viviamo…non facciamo assolutamente niente per intercettare il nostro pubblico. La formula della Banda è essenzialmente quello di fare ciò che artisticamente ci rende soddisfatti, in completa libertà. Il nostro pubblico si riconosce in ciò che facciamo e ci segue.

finaz

JANKADJSTRUMMER.: Ho assistito nel corso di questi anni a 2 vostri concerti e devo dire che in entrambi i casi la cosa che più mi ha colpito  è la vostra capacità di coinvolgimento del pubblico, è impossibile rimanere freddi, voi siete un live band capace di divertire ma senza avere uno stile musicale ben definito, i vostri testi sono impegnati a tratti rabbiosi ma nello stesso tempo  capaci anche di grandi passioni e d’amore, in che rapporti siete con il vostro pubblico, cosa cercate di trasmettere e la cosa più importante cosa ricevete?

Finaz: noi cerchiamo sempre di trasmettere la gioia della musica, della vita. A volta anche la fatica di vivere, di affrontare certe situazioni. Il tutto però con la leggerezza e la ironia della nostra toscanità. Nei nostri testi puoi trovare spesso figure grottesche, antieroi, ma anche ritratti di persone che impostano la loro esistenza sulla gentilezza, il rispetto per gli altri, l’ambiente. Non ritengo che Bandabardò sia un gruppo politicizzato, ufficialmente prendiamo posizioni partitiche o cosa. Ma la politica è imprescindibile perchè fa parte del nostro essere cittadini, è chiaro che certe posizioni possono sembrare vicino a qualcosa o qualcuno, è normale. Ma non saliamo sul palco per fare comizi piuttosto la nostra è denuncia di quello che non ci va e dichiariamo il nostro amore per le persone che invece fanno tanto per la nostra società. Nei testi più che di rabbia io parlerei di ironia ei ci esprimiamo più con metafore esistenziali rappresentando storie che secondo noi fanno pensare e riflettere. 

JANKADJSTRUMMER  parliamo un po’ della vostra musica: ho l’impressione che abbiate tantissime influenze che affondano radici sia nel cantautorato impegnato anni ’70 ma anche nel rock e nella musica popolare, un mix esplosivo che nei concerti diventa quasi una rito collettivo, il pubblico balla ma lo fa cantando cosa che è difficile che succeda in altri concerti, siete unici in questo, cosa muove secondo te questo atteggiamento, qual è il segreto?

Finaz:  la nostra musica è sempre stata caratterizzata dalla miscellanea di tanti generi differenti. Questo perchè siamo sei musicisti ognuno con la propria formazione, con i propri gusti, con la propria storia. Ci rispettiamo e cerchiamo di influenzarci a vicenda. Ecco perchè trovi la canzone d’autore, il rock anni settanta, il funky, il flamenco, lo swing…sono tutti veicoli per esprimere la nostra libertà di composizione. Ci fa sorridere quando ormai dopo più venti anni siamo diventati un genere. Qualcuno dopo un festival di Sanremo ci dice che “stanno copiando la vostra musica”…ritengo che sia impossibile perché non siamo un genere musicale, non basta chitarra acustica o un ritmo popolare rivestito di rock…siamo molto più complessi dietro l’ apparente semplicità.

JANKADJSTRUMMER:  per finire con la Banda Bardò, come festeggerete la vostra ultraventennale attività della band?  avete progetti  nel breve periodo? Oltre alla musica siete impegnati in altre attività collaterali?

Finaz:  Siiamo stati in tour costantemente per  oltre venti anni, festeggiamo stando finalmente a casa. A parte gli scherzi veramente ci siamo presi una pausa per dedicarci sia ai progetti personali, sia alla composizione del nuovo lavoro che giocoforza dovrà contenere sia un sunto della nostra storia, ma anche delineare il futuro cammino della banda. Unica cosa che facciamo è presentare al Giffoni film festival il documentario che sky arte sta producendo sui nostri venti anni. Anche qui noi abbiamo voluto dirigere i lavori e abbiamo coinvolto il nostro caro amico Carlo Lucarelli e ci siamo inventati una finta puntata di Blunotte in cui Carlo investiga sul mistero della bandabardò…come è stato possibile che sei freakkettoni sgangherati imperversassero per tanti anni in Italia e all’estero? Mah….

JANKADJSTRUMMER   Parliamo adesso della tua esperienza da solista, da dove nasce l’esigenza di esprimere la propria dimensione artistica e il proprio pensiero, in perfetta solitudine, senza i soliti compagni di viaggio? Tutto sommato oltre alla banda Bardò ti sei sempre prestato a molte collaborazioni con molti artisti anche internazionali che un po’ ti hanno dato l’opportunità di esprimerti al di fuori dalla routine della Banda, qual è a molla che è scattata?

Finaz :  la esigenza di “Guitar solo” è stata dettata semplicemente dal mio gusto per le sfide. Ho suonato con tantissimi artisti sia italiani che stranieri, ho calcato i palchi dei festival più prestigiosi. Cosa mi mancava? Affrontare un disco e un live in completa solitudine, soprattutto senza usare loops, sequenze registrate. Solo io è la mia chitarra e qualche effetto progettato da me medesimo.

JANKADJSTRUMMER: “Guitar solo”  lo ritengo un disco importante fuori dagli schemi in cui hai dimostrato di non avere rivali in quanto alla purezza del suono della tua chitarra acustica, sei soddisfatto del risultato?

Finaz:  sono molto soddisfatto. Io pensavo di dare vita a un progetto che si esaurisse nell’arco di un paio di mesi. Fai il cd, lo presenti, un piccolo tour…pensavo che fosse un progetto di nicchia, per chitarristi e amanti del genere. Invece sono in tour dallo scorso novembre e ho già collezionato più di 60 date, alcune radio passano i brani e sono presente nei più importanti festival come Il Medimex, Pistoia Blues, Sarzana Acoustic meeting, Franciacorta acustica… E prossimamente partirò anche per un giro estero che comprende non solo Europa ma anche Canada e Stati Uniti. Molto soddisfatto, anche perchè noto che il pubblico che viene ai concerti non è specializzato in chitarra e, inoltre, non segue neanche Bandabardò, vengono proprio per questo specifico progetto.

JANKADJSTRUMMER: nel disco è presente una cover di “ no surprises” dei Radiohead ma anche  il brano “blue Haze”,un bellissimo tributo al mito di  Jimi Hendrix, cosa ha rappresentato per te e in che cosa ti ha influenzato?

Finaz: Per quanto riguarda NO surprises è semplicemente un brano che adoro. Per quanto riguarda Hendrix…lui è tutto. L’inizio e la fine, alto e basso, destra e sinistra…un tributo che ogni musicista deve pagare. Il più grande.

JANKADJSTRUMMER: Sei un virtuoso della chitarra e come tale credo che tu passi molto tempo con lei, Cosa rappresenta per te? Un amore, una compagna, uno strumento di lavoro o cosa?

Finaz: semplicemente una parte del mio corpo e della mia mente. Inseparabile

JANKADJSTRUMMER:  Finaz, ti ringrazio tantissimo per la tua disponibilità.

Grazie a te janka

 

ROCK & DRUGS – Un viaggio verso la perdizione 2° puntata by Jankadjstrummer

https://youtu.be/r0Mo4QSedFo
jankadjstrummer
DRUGS & ROCK Un viaggio verso la perdizione 2° puntata
“ IL DOPO “ANNI 70”.
Nella prima puntata abbiamo visto come una lunga sfilza di musicisti rock fa le spese con l’ abuso di stupefacenti, nomi mitici che, a vario titolo e per svariate motivazioni, ci lasciano le penne, tutte queste vittime illustri probabilmente fanno riflettere sulla deriva autodistruttiva collettiva che si muove nella arcipelago della musica giovanile.
Nell’ambito dei musicisti rock e nei tanti milioni di appassionati di musica, la droga non fu più un “must”, ma ritornò ad essere una condizione che attiene alla sfera personale:
l’unica eccezione che ricordo di uso collettivo ed aggregante legato alle droghe è datato fine anni ’70 inizi degli ’80, un vero e proprio boom. Il raggae strettamente collegato all’uso dell’erba giamaicana, la ganja come viene definita nella religione “rasta”, la marjuana e tutti i suoi derivati “ olio, hashish ed in generale in cosiddetto “ Fumo” di cui
facevano e fanno uso i musicisti raggae che avevano in Bob Marley il loro profeta in Occidente (morto anche lui, nell’81, ma per cause indipendenti dall’uso della ganja). Il rito nei concerti raggae era quello del passaggio di mano in mano dello “ spinello “ come ricerca collettiva di una unità e di benessere al ritmo dei suoni caraibici. Per il resto,negli anni 80 e 90 hanno prodotto band che non teorizzavano l’uso delle droghe come i
Police, i Depeche Mode, gli HEAVEN 17, gli HUMAN LEAGUE ma che tuttavia rimasero coinvolte perché a livello soggettivo membri dei gruppi hanno avuto problemi legati all’ uso di sostanze stupefacenti, DAVE GAHAN dei Depeche Mode ha avuto una lunga
dipendenza da eroina, STING dei POLICE legato all’uso dell’alcool , ma le loro bands ne rimasero fuori, al contrario c’erano dei gruppi di hard rock i SAXON e i MANOWAR che,al contrario, diffondevano la filosofia della cultura fisica, muscoli in evidenza e zero
droghe. Basti pensare che DAVID LEE ROTH, storico cantante del gruppo dei VAN HALEN, fu allontanato dalla band perché passava più tempo in palestra che in studio di registrazione a provare), o come i METALLICA e i NIRVANA, troppo impegnati nel portare avanti discorsi socio-politici per annichilirsi con le droghe (il fatto che KURT COBAIN, morto suicida, facesse uso di eroina e psico farmaci è stato da lui ufficialmente
giustificato come lenitivo di fortissimi dolori allo stomaco, ma comunque non coinvolgeva ufficialmente la band). Stesso discorso, ma con l’interesse rivolto più alle filosofie orientali che alle lotte socio-politiche, vale per i DIRE STRAITS band mitica per i consumatori di droghe leggere i loro brani ( Sultan of swings in testa ) sono i sottofondi
più utilizzati insieme a quelli dei PINK FLOYD e C.S.N.&Y., per le “fumate” collettive. I DURAN DURAN e gli SPANDAU BALLET, rivali in tutto, lo erano anche in questo senso: i Duran ammettevano l’uso di droghe mentre gli Spandau le rifiutavano. Resistono comunque le band “pro-drugs”: MOTLEY CRUE e GUNS’N’ROSES (è loro un altro inno
all’eroina, “Mr.Brownstone”)
Mi sveglio attorno alle sette/ Esco dal letto alle nove / E non mi
preoccupo di niente/ Perche’ preoccuparmi e’ sprecare il mio tempo. Di solito lo spettacolo e’ alle sette/ Saliamo sul palco alle nove/ Alle undici siamo sul bus/ A bere e star bene/ Abbiamo danzato/
Con Mr .Brownstone
Ha bussato/ Non mi lascera’ mai/ Mi facevo un po’, ma un po’ non mi bastava/ Cosi’ un po’ e’ diventato sempre di piu’/ Ora cerco di stare un po’ meglio/ Almeno un po’ meglio di prima/ Abbiamo danzato/Con
Mr.Brownstone / Ha bussato/Non mi lascera’ mai/ Ora mi alzo a
qualunque ora/ Prima ero puntuale/ Ma quel vecchio e’ un figlio di puttana/Lo prendero’ a calci fino a farlo morire
sono due tra le band che hanno tenuto duro a lungo sul tema “sex,
drugs e rock’n’roll”, spesso rischiando anche la vita in nome del “mito” (NIKKI SIXX dei Motley Crue ha avuto varie overdosi, SLASH dei Guns è alcolista dichiarato, senza contare i vari problemi fisico-legali che un po’ tutti i componenti delle due bands hanno avuto per causa dell’uso di sostanze proibite). Consola, comunque, la lista dei tanti “rinnegati della
droga”: tra i più illustri MICK JAGGER ha affermato di fare uso, da anni, solo di…palestre, PAUL Mc CARTNEY si “carica”, invece, con lo Yoga e addirittura ALLEN GINSBERG, profeta dell’LSD, ha ritrattato tutto, ammettendo di aver preso “un’enorme cantonata”. Più o meno tutti coloro che, a suo tempo, hanno fatto uso di droghe (CLAPTON, GAHAN, MARTI PELLOW dei Wet Wet Wet) hanno ammesso di stare meglio
senza. Per tutti, ascoltiamo ciò che dice STEVEN TYLER, leader degli AEROSMITH, altra mitica band rock nota per gli abusi di droga: “Da quando ho smesso è una vacanza permanente (“Permanent vacation”, come il titolo di un famoso album della band)! Ogni
mattina ringrazio Dio di darmi un nuovo giorno a tempo di rock!”. Amen!!!
 https://youtu.be/r0Mo4QSedFo
LE DROGHE E IL ROCK.
L’ EROINA:
Fu la casa farmaceutica Bayer a metterla in commercio per la prima volta
verso la fine del 1800 come farmaco capace di combattere alcune patologie dell’apparato respiratorio. Si accorsero un po’ in ritardo della tossicità della sostanza, e la ritirarono dal mercato quasi 20 anni dopo, ma ormai il fenomeno della tossicodipendenza era diffuso e quando, alle soglie degli anni 20, negli Stati Uniti l’eroina fu vietata e quindi se
ne proibì la diffusione, ormai si era già sviluppato un mercato clandestino che si diffuse poi in tutto il mondo e resiste a tutt’oggi. È la droga per eccellenza, ad alto tasso di tossicità ed assuefazione, quella di cui non ti puoi più liberare. Il suo effetto sconvolgente
è stata la prima causa del suo boom nel mondo del rock. Associata ad altre sostanze (coca, alcol ecc.) può dare anche effetto eccitante (ne hanno fatto molto spesso uso anche i componenti dei RED HOT CHILI PEPPERS band nota per i suoi shows devastanti).
Attualmente viene anche “sniffata” (soprattutto dai giovani, terrorizzati dall’AIDS) e, da qualcuno, anche fumata. Nell’ambito del rock gossip per un periodo è stata anche sostituita dalla MORFINA, farmaco con effetti simili, considerato un buon surrogato dell’ERO (“Sister Morphine” dei ROLLING STONES ne decantava le…qualità).
LA COCAINA:
Derivata dalle foglie di Coca, pianta di cui quasi tutto il Sud-America è pieno e le cui foglie vengono masticate da secoli dagli indigeni, venne sintetizzata intorno alla metà del 1800 da un chimico tedesco per cercare di condensarne le proprietà eccitanti.
Nel 1912 venne bandita dalla Società delle Nazioni per gli effetti distruttivi dal punto di vista fisico. Tra le rockstar vittime della coca ricordiamo JEFF PORCARO, batterista dei
TOTO, JERRY GARCIA chitarrista dei GRATEFUL DEAD e MICHAEL HUTCHENCE, cantante degli australiani INXS, morto non direttamente a causa degli effetti della sostanza ma suicida a causa dei debiti conseguiti dall’uso smodato della stessa.
 L’ L.S.D.:
Altra droga nata in laboratorio. Intorno al 1940 la Sandoz, industria farmaceutica svizzera, “grazie” agli studi del chimico Albert Hoffman, scoprì il dietilamidetartrato, meglio conosciuto come LSD, cioè
dextro lisergic acid diethylamide tartrate. Lo stesso ne sperimentò gli effetti su sé stesso e li diffuse in un libro che provocò una vera e propria
rivoluzione intellettuale, grazie anche all’opera solerte dei vari profeti
beat del periodo (ALLEN GINSBERG, TIMOTHY LEARY, JACK KEROUAC ecc.). Gli effetti dell’acido sono devastanti, soprattutto a livello cerebrale. C’è stato anche chi, dopo averne preso solo uno, è uscito fuori di testa per sempre…
LE ANFETAMINE:
Sintetizzate per la prima volta intorno al 1890, inizialmente vennero
usate come cura per l’asma, e dagli anni 30 in poi gli ospedali ne fecero uso abituale per curare i narcolettici. Ma fu durante la seconda guerra mondiale che la sostanza, già da tempo distribuita normalmente nelle farmacie, ebbe larga diffusione; ne facevano uso abituale soldati di vari eserciti, e lo stesso Adolf Hitler ne era un consumatore accanito.
Le anfetamine eliminano la sensazione di fame, così come quella di stanchezza, sostituendole con euforia, loquacità, iperattività. È un fortissimo stimolante nervoso, con tutte le controindicazioni del caso. In Italia per un periodo vennero consumate sotto forma di pasticche (le Plegine) abitualmente prescritte nei casi di obesità, e per questo ad
alto contenuto anfetaminico.
LA MARIJUANA, HASHISH:
Derivati dalla pianta di Canapa, già nel 3000 a.C. ne facevano largo uso i cinesi come erba curativa. Nel corso dei secoli furono innumerevoli le civiltà che ne fecero uso in vari modi, soprattutto a carattere terapeutico, specialmente per ciò che riguarda le foglie di Marijuana. Troviamo invece le prime tracce di Hashish (derivato della resina della pianta di canapa) tra i Cartaginesi, che pare avessero un “filo diretto” con Roma per la vendita della preziosa sostanza.
Che dire sul “fumo”che già non si sappia? Dai “calumet della pace” dei Pellirossa alle “fumate trascendentali” dei saggi indiani, il rito continua ancora oggi, come “socializzante” o… rilassante, in gruppo o anche da soli. Ma per quanto minimi rispetto il tasso di tossicità e la pericolosità delle altre droghe su elencate, anche il “fumo” ha i suoi
effetti negativi (d’altra parte, se non facesse niente, come qualcuno molto ingenuamente si ostina ad affermare, che scopo avrebbe…”farsi le canne”?!?!). Basti pensare che anche le semplici sigarette “nuocciono gravemente alla salute”… Per concludere, è innegabile che la libertà, soprattutto per quanto riguarda le scelte personali, sia un diritto supremo, ma altrettanto importante è informarsi, in modo di essere pienamente consapevoli delle proprie scelte.
JANKADJSTRUMMER