I LAZZARETTI……AL TEMPO DELLA PESTE

CORONAVIRUS E MANZONI/ Padre Felice nel Lazzaretto: ecco perché Dio permette questo

La Peste è stata l’occasione dell'”invenzione ” dei Lazzaretti che, in verità, non godevano di buona fama sotto ogni aspetto. Per definizione erano luoghi dove molti venivano portati, ma da cui in pochi tornavano vivi.

Si calcola che più dei due terzi degli infermi confinati nel Lazzaretto Vecchio e nel Lazzaretto Nuovo a Venezia: il lazzaretto Vecchio è un’isola appartenente alla Laguna centrale di Venezia, mentre il Lazzaretto Nuovo è situato a nord-est di Venezia e all’inizio del canale di Sant’Erasmo, morirono in questi istituti. L’Isolamento era quindi ampiamente considerato una condanna a morte che serviva solo a separare  a forza i malati da parenti e amici.

Con l’aumentare del numero delle vittime nelle città, i Lazzaretti dovettero ricorrere a mezzi disperati per fare fronte alla situazione. Spesso i cadaveri venivano gettati senza tante cerimonie in fosse frettolosamente scavate dove i becchini li ammonticchiavano gli uni sugli altri, quando non li bruciavano su  cataste di legno collettive per la cremazione. I bagliori notturni e le  dense volute di fumo durante il giorno rendevano queste strutture e i loro dintorni luoghi spaventosi. La rigida disciplina e le severe pene inflitte a chiunque cercasse di fuggire intensificavano la paura. Per quelli che sopravvivevano, in certi casi il periodo di isolamento significava la rovina  finanziaria, perchè spesso veniva loro addebitato il costo del mantenimento. In alternativa, le autorità imponevano ai guariti imposte speciali nel tentativo di recuperare le spese.

Alcuni Lazzaretti recavano anche un marchio d’infamia perchè venivano usati come luoghi di punizione per coloro che non osservavano le disposizioni governative.

Le visite nelle case da parte degli addetti alla ricerca e al ritiro dei cadaveri aumentavano il terrore. Erano- se così si può dire- dei funzionari che svolgevano un compito notoriamente pericoloso, circondati dall’Ostilità  popolare e col  rischio di essere contagiati. A volte bevevano per farsi coraggio e si presentavano al lavoro comportandosi in maniera volgare e insolente.

Non pochi di questi funzionari vedevano la propria posizione come un investimento da cui trarre profitto minacciando persone sane di isolamento, prendendo denaro dai malati per lasciarli con le  loro famiglie, saccheggiando case rimaste vuote e alleggerendo i pazienti ricchi dei loro effetti personali.

I LAZZARETTI……AL TEMPO DELLA PESTEultima modifica: 2021-05-01T13:09:06+02:00da un_uomonormale0

6 pensieri riguardo “I LAZZARETTI……AL TEMPO DELLA PESTE”

    1. Ciao Rosì. Beh, sarebbe un attimino complicato rispondere alla tua domanda, ma non perchè difficile, ma perchè, insisteva tutto un complesso comportamento sanitario. In un simile contesto, non deve sorprendere che tanti commentatori contemporanei descrivessero i Lazzaretti come strumenti di controllo sociale creati a disciplinare e Punire insieme a prigioni e riformatori. Seguendo il loro esempio, molti storici hanno adottato la stessa linea. Più di recente, tuttavia, studi dettagliati hanno rivelato che erano assai più complessi nel loro approccio alla Peste, in quanto costituivano strutture religiose filantropiche concepite per fornire cure mediche e favorire la guarigione. Ad esempio, a Venezia le autorità non badavano a spese nel fornire i Lazzaretti di farmaci e nel reclutare una varietà di guaritori; da chirurghi e medici a speziali, barbieri e assistenti, tutti sotto la direzione di un priore. Ecco, cara Rosina. Non dimentichiamo che siamo nel 15° secolo. Ciao

  1. Luoghi circoscritti per relegare la “morte” in un angolo ed evitarle la diffusione. Le cure erano blande, non v’erano molte possibilità , si cercava di lenire il male ma l’importante era fermare in un luogo certo e chiuso, gli infetti. Era l’unica speranza per continuare a vivere: fermare gli infetti e relegarli dove non avrebbero avuto contatti. Una sorta di…”lasciate ogni speranza…”.
    Buona sera Doc.

    1. Seguendo un criterio olistico, il personale medico si prendeva cura dei bisogni spirituali ed emotivi degli infermi, perchè passioni come la paura e la collera erano considerate come elementi innaturali, che influivano sull’equilibrio umorale e potevano compromettere la guarigione. Buona sera Carlo

  2. Immagino le scene terribili legate a quelle situazioni disperate!…
    Manzoni ce ne dà un esempio nel suo romanzo “I promessi sposi” che riporta, al tempo della peste di Milano, le pagine strazianti de “La madre di Cacilia”, la sua bimba morta di peste, che la poverina, moribonda anch’essa, consegna ai monatti , pregandoli di ripassare presto, per ritirare anche il suo cadavere. Mi è piaciuto molto questo tuo excursus narrativo sulle epidemie del passato, molto funzionale ai tuoi post di carattare scientifico e, senz’altro, meno noti ai più. Te ne rigrazio molto. Un caro saluto. MT.

    1. E io immagino la tua profonda conoscenza circa il 2° caso di peste che si è verificato a Milano e accuratamente ricostruita in due celebri opere del Manzoni: I promessi sposi e Storia della Colonna infame.In quel tempo venne organizzata una sorta di acccia agli untori e quattro sfortunati spagnoli furono accusati di avere imbrattato le porte delle acse con un unguento velenoso allo scopo di provocare una strage. Questi due spagnoli furono poi sottoposti a tortura, quindi confessarono il crimine e condannati al taglio delle mani e il supplizio della ruota, per poi essere bruciati sul rogo. Nel posto dell’esecuzione fu eretta una colonna: “La colonna Infame”, appunto, la cui finalità era di dissuadere chiunque altro da commettere una simile nefandezza. Buon pomeriggio Mariateresa.

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