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Dora Liguori: Quell’”amara” Unità d’Italia
In occassione dei 150 anni dall’unità d’Italia abbiamo avuto la possibilita, noi di LSDmagazine di intervistare l’autrice del libro: “Quell’”amara” Unità d’Italia“, e di “Memento Domine“, romanzi storici entrami ambientati negli anni immediatamente sucessivi a quella che la Liguri stessa definisce “la conquista del meridione borbonico”. Edito dalla Sibylla Editrice, il nuovo romanzo-saggio storico della scrittrice di origini campane da tempo residente a Roma, recita nel sottotitolo “Fatti e misfatti di un azione politica e militare poco conosciuta, anzi mistificata, che rese possibile ai Savoia la conquista del meridione d’Italia”. “Mistificata”?? C’è qualcosa che non torna…Mazzini, Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele sono o non sono gli artefici della liberazione delle regioni meridionali dal terribile giogo borbonico?? Che fine hanno fatto l’arretratezza e la proverbiale povertà del popolo del Sud costretto alla fame dalla monarchia assoluta e dalla Chiesa locale corrotta (oggi invece chi è l’affamatore nel “Libero Stato” unitario vanto di Camillo Benso conte di Cavour?)? Urge un vis à vis chiarificatore con la “fantasiosa” scrittrice, alla quale chiederemo di ritrattare le sue accuse nei confronti dei padri fondatori della Nazione italiana, terra magica di navigatori, santi e santoni, ed anche poeti. Le più odiose imputazioni sono quelle rivolte dall’autrice nei confronti del povero (San) Giuseppe Garibaldi, padre putativo del Bel paese, che sottolineo essere tutto (da nord a sud) bello nonostante il torinese Carlo Levi affermasse nel 1942, con buona pace di Calabria e Sicilia, che “Cristo si è fermato ad Eboli”, fornendo così al Senatur l’antecedente letterario e storico alla sua proposta di (ri)Secessione, questa volta fermando i “terroni” sulla sponda meridionale del Po. Leggendo la prefazione del suo ultimo libro: “Quell’ “amara” Unità d’Italia” lei cita tutti i popoli dell’ex Regno delle due Sicilie uniti nella rivolta contro l’invasore piemontese fuorché uno: il pugliese, perché? No, Non è vero che non cito i pugliesi. Posso però affermare che notizie di sollevamenti di popolo in terra di Puglia contro i piemontesi, che si ebbero dappertutto nel ex regno borbonico specie nel salernitano e nel potentino, non risultano dalle cartedegli archivi da me consultati. Unica eccezione: Gioia del Colle dove agiva il brigante, ex sergente dell’esercito borbonico, Pasquale Romano, già luogotenente della famosa banda di Crocco. Per onor di cronaca, le principali battaglie tra le formazioni irregolari di briganti e l’esercito sabaudo si tennero soprattutto in Lucania o Basilicata che dir si voglia. In molti ultimamente tra giornalisti, storici, musicisti e scrittori si interessano del Risorgimento e delle complesse vicissitudini post-unitarie, come è maturato in lei questo desiderio di rimettere in discussione i dogmi della storiografia ufficiale? Successe tutto per caso quando in un archivio, vent’anni fa, trovai aprendo un cassetto sbagliato, una lettera firmata da Giuseppe Garibaldi, rivolta a suo figlio. Al Menotti, l’ “Eroe dei due mondi” raccontava taluni retroscena sul suo rapporto con il sovrano, condendoli con forti espressioni sintomo della poca stima che il Garibaldi nutriva nei confronti dell’augusta persona del Re Vittorio Emanuele. Così dopo un primo momento di incredulità e tanta confusione, avverti un’irrefrenabile desiderio di provare a comprendere almeno in parte le complesse dinamiche di quel periodo disgraziato. Così, per hobby direi, ho iniziato a dedicare il mio tempo libero, specie nei weekend, curisando nelle biblioteche di mezza Italia, trovando buon materiale soprattutto in quelle diocesane. Allora non pensavo che avrei mai scritto un libro su questi difficili argomenti, quindi men che meno due, ma non si poteva ieri, e non si deve oggi restare indifferenti al dolore, alle sofferenze subite dalle popolazioni meridionali, che patirono l’invasione e le terribili rappresaglie dell’esercito piemontese legittimate dalla famigerata legge Pica. Tali rappresaglie si protrassero ben oltre la resa delle brigantesse avvenuta nel 1873: esse furono le ultime a sotterrare l’ascia di guerra, dopo che tutti gli uomini abili erano stati uccisi o incarcerati. Secondo lei perché dopo più di 150 anni esiste ancora il segreto di stato su moltissimi documenti riguardanti il periodo dell’unificazione nazionale? Non so perché ciò avvenga, so solo che si tratta di una cosa indegna per uno stato che si defisce democratico. Talvolta, molto subdolamente, si raggiunge anche il paradosso allorché si nega l’esistenza del segreto di stato e la segregazione dei documenti, mai quali atti risultano costantemente irreperibili negli archivi. Ad esempio il noto storico Molfese trovò per caso un documento di particolare importanza: la relazione Massari. Lo storiografo il giorno dopo dichiarò che, avendo enumerato di persona le pagine del fascicolo il giorno prima, mancavano all’appello il giorno dopo perchè probabilmente sottratte circa venti pagine al totale della relazione. In questi ulitimi mesi si sono susseguite tre interrogazioni parlamentari, firmate da esponenti di governo e di opposizione (IDV, PDL e Noi Sud) ma che ahimè fino ad oggi sono rimaste inascoltate, lettera morta. Perché la Massoneria inglese avrebbe avuto interesse, pragmaticamente parlando, a riunificare l’Italia con la conseguente distruzione del Regno delle due Sicilie? Prima di tutto perché non correva buon sangue tra la cattolicissima famiglia reale dei Borboni ed i vertici della Massoneria Inglese la quale fu oggetto di due scomuniche, tra cui ricordo la bolla “In eminenti apostolatus” del 1738 di Clemente XII. I motivi pragmatici oggetto dell’interesse e del conseguente appoggio della massoneria al progetto espansionistico dell’indebitatissimo regno di Savoia furono due: I) le concessioni per lo sfruttamento delle ricche miniere di zolfo in Sicilia, II) vista la prossima apertura del canale di Suez, era necessaria la distruzione della marina mercantile borbonica che era la più vasta in Europa dopo quella Inglese, e che vista la posizione strategica del meridione d’Italia, quale ponte proteso nelle acque del Meditterraneo, poteva costituire una seria minaccia per le rotte e le stazioni commerciali inglesi presenti nel “Mare nostrum”. Cavour giocò un ruolo fondamentale nella partita, essendogli come tutti i liberali convinti un massone di alto grado, nel coinvolgere anche la massoneria francese che avrebbe fatto da garante a favore dell’indebitatissimo Piemonte nei confronti dei principali creditori dello stato Sabaudo cioè i Rothschild e gli Hambros, e garantendo in cambio l’esistenza sul suolo italiano di logge fedeli all’obbedienza del Grande Oriente. Cosa successe veramente a Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele? Vi fu un incontro che più che freddo sarebbe corretto definire glaciale tra Vittorio Emanuele e Garibaldi, dopo che l’esercito regolare piemontese aveva già accerchiato quello garibaldino, il Re pronunziò le famose parole: “Generale, si riposi!” così spogliando di fatto da ogni incarico e comando il nizzardo che sconsolato rispose solamente: “Obbedisco“, solo alcuni ufficiali delle camicie rosse vennero integrati tra gli effettivi del nuovo esercito nazionale, mentre la grandissima parte di questi patrioti idealisti tornò alle proprie occupazioni senza alcuna gratificazione. Si ha notizia di numerosi garibaldini, delusi dalle vicende e dalla politica del nuovo regno, i quali confluirono successivamente nelle file dei briganti o meglio dei partigiani meridionali. Su quali fonti storiografiche, documenti o altro, basa le sue ricostruzioni storiche di quel periodo disgraziato che furono per le popolazioni meridionali i decenni sessanta e settanta del 1800? I documenti da me visionati nel corso di questi anni, sono conservati negli archivi di Potenza, Matera, Roma, Napoli, Torino, anche se bisogna sempre ricordare che il visitatore non ha libero accesso alla consultazione della maggior parte dei manoscritti e documenti di quel periodo. In ogni caso non capisco perchè storici di acclarata fama e competenza, se in buona fede, non si documentino prima di raccontare la trita favola dei mille superuomini che male armati e senza alcuno aiuto esterno avrebbero sbaragliato un’esercito dieci volte più numeroso, ma terribilmente comandato da ufficiali incompetenti (in più casi questi”ufficiali” finirono chissà come eletti deputati al parlamento del neonato regno d’Italia). Sfogliando queste carte ho scoperto l’esistenza, istituita grazie a quel vaso di Pandora che fu la legge Pica, del primo lager della storia in territorio italiano: il lager di Fenestrelle nel novarese cui fecero seguito quelli di San Maurizio canvese, di Forte di Priamar presso Savona ed altri ancora. In tutto vennero deportati in queste località 40.000 uomini del disciolto esercito borbonico. Oltre al danno anche la beffa poichè in tutta Napoli non esiste una targa commemorativa intitolata ad un personaggio borbonico; unica eccezione, largo, via, darsena, sottopasso Acton, dedicati all’ammiraglio borbonico Ferdinando Acton che divenne nel 1869, cioè nove anni dopo la conquista garibaldina del Regno delle due Sicilie, Capo di stato maggiore sulla corazzata “Roma”, e qualche anno dopo Ministro della Marina Italiana dal 1879 al 1883; chiaramente era anche senatore del Regno… Bibliografia:-”Quell’ “amara” Unità d’Italia”, Modugno(Bari) 2010, pagine 302, Sibylla Editrice, euro 15.00;-”Memento Domine”, Matera 2003, pagine 296, Edizioni A.C.M. Matera-Roma, euro 13.00
Di: Umberto Colonna tratto da http://www.lsdmagazine.com/
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