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Ode spontanea

Post n°49 pubblicato il 19 Settembre 2005 da sparus_rm
Foto di sparus_rm

Ho pensato in questi giorni a cos’avrei scritto sul blog. Mi sono venute giù solo un paio di cose intimiste e un po’ tristi. E non le ho pubblicate, almeno per stavolta vi risparmio la trifolatura di coglioni. Vi risparmio i post alla Nick Cave. Ho pertanto deciso, dopo ponderata riflessione, di parlarvi di una tra le cose che amo di più. La gnocca. Ed è una sfida, se ci pensiamo, scriverne senza scadere nella banalità o nel volgare. E’ come camminare sul filo di un rasoio. Ho deciso quindi di fare un omaggio alla donna e insieme alla mia allegra erotomania, che certe amiche – mentre camminano guardinghe rasente al muro -  mi attribuiscono come caratteristica della mia persona. Dunque, la gnocca è per molti la metafora della vita, e per me racchiude tante altre metafore. Quella della varietà e dell’unicità d’ogni donna, e insieme quella della varietà delle parole che si usano per nominarla o descriverla. Non arriverò mai all’ispirazione di Gioacchino Belli ne “la madre delle sante”, ma è incredibile quanti nomi usiamo. E sono nomi diversi quelli che usano gli uomini e quelli che usano le donne. Gnocca, figa o fica (secondo declinazione geografica), ciornia e fregna, fessa e pucchiacca, mona e potta, ciccia baffuta, baffetta, e conchiglia, sticchiu, fissa, bernarda, patonza e patatronza, spaccherella, micia, topa e fresca. E poi ci sono i nomi che usano le donne, che sono meno: patatina, farfallina, pisellina, passerina e via dicendo. quando sono le interessate a parlarne chissà perché usano tutti questi falsi diminutivi, quasi a volerla nascondere, minimizzare, sradicare dalle cose di cui si può parlare. Quanti universi di significato. E quale irriducibile stupore di fronte all’inesauribile varietà della natura femminina. Molte donne pensano che la gnocca sia una dotazione uguale per tutte, tipo la vecchia Ford T, la prima automobile veramente di massa, quella per cui valeva un motto di malandrina assonanza: "potete averla del colore che volete purchè sia nera",[1] . Ma non è vero; quanto si sbagliano. Pensavo, fino a poco tempo fa, che fosse soltanto una mia impressione, evidentemente dovuta alla limitatezza delle mie osservazioni, la stessa scarsità d’esperienza che mi faceva sembrare così diverso ciò che ad altri sembrava così uguale a se stessa. Poi l’illuminazione. Alla biennale d’arte moderna di Venezia di non so quanti anni fa, un week end assurdo, assolutamente da solo. Curiosamente, insieme all’imprecisabile numero di sessi femminili fotografati da Oliviero Toscani col solito trambusto da uffici stampa, c’era uno sconosciuto artista che esponeva le sue ricerche, iniziate ben prima di quelle del suo collega più famoso. Tra le due esposizioni, circa trecento fotografie di gnocche. Lunghe, larghe, affusolate o pingui, lisce o ricce, bionde, rosse, brune e more, africane, caucasiche, polinesiane. Uno vero e proprio shock metafisico. “Ho visto la banda” pensai, e uscii quasi sconvolto, camminando lento e carico di borse nei viali alberati dell’Arsenale. Dunque, la caduta postmoderna delle grandi certezze non ha risparmiato le nostre monolitiche certezze circa la gnocca. E le donne, insieme agli estetisti, lo sanno molto bene. Come lo sanno bene i nostri sensi, in tutta la loro interezza. Talvolta alcuni uomini, di fronte alle manifestazioni della gnocca, rimangono sempre più stupiti e storditi, specialmente dalla varietà, e finiscono in breve tempo per perdercisi dentro, dedicando ogni singolo sforzo, ogni minuta energia, ogni goccia di sudore della loro vita alla ricerca del loro personalissimo dolce stil novo. E in questo danzano come falene al ritmo della vita. Talvolta, però, beccano i neon e le plafoniere. Ecco, io sono uno di loro.

[1] Dichiarava entusiasta Henry Ford, parlando della sua "Tin Lizzie". 15 milioni di esemplari venduti. Per il 99,8% nere. A buon intenditor...

Nell’immagine: Gustave Courbet, “L’origine del mondo

 
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