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Le  decadenti sere di maggio

Post n°168 pubblicato il 05 Maggio 2006 da lumiss

A Trieste, per me, le sere di maggio, hanno un gusto strano.
In questo periodo vorrei condividerle con qualcuno che non c'è perchè non può esserci.
Qualche anno fa, però, quel qualcuno con cui trascorrere le ore della sera aveva un altro nome, un altro corpo, era, in sostanza, un'altra persona.
Chiamiamolo R. , chè tanto il suo nome è Riccardo.
Dunque, R. aveva la strana abitudine, ormai due anni fa, di chiamarmi verso le otto e mezza di sera, per chiedermi di vedrci alle nove. Come ogni brava cretina che si rispetti, mi scappicollavo per prepararmi in mezz'ora e chiudevo la porta di casa con la speranza che potesse accadere qualcosa. Non saprei dire cosa, precisamente. Forse qualcosa che ci avvicinasse, perchè ciò che volevo da lui, forse, era averlo vicino. Che lui questa cosa non l'abbia mai capita, forse, è un'altro discorso.
Ci incontravamo, lì, davanti alla chiesa di via S. Anastasio, difronte alla facoltà di Psicologia, perchè allora abitavo da quelle parti. Quella chiesa è molto bella: ha un campanile che sembra un minareto e mi piace tanto, e un po' lo amo.  Nessuno ha mai capito il mio amore per i campanili, fino a qualche mese fa.
Io arrivavo e lui si inchinava, allora sorridevo divertita e ricambiavo con una leggera flessione della testa.
"Dove andiamo?"
"Boh!"
"Ok, perfetto, sali in macchina"
Era quello il momento che più mi piaceva: montare sulla sua macchinuccia scassata e senza freni, sentirmi al chiuso con lui, senza che nessuno potesse entrare a rovinare l'atmosfera che si creava.
"Scegli un cd"
Non poteva dire frase migliore, e ogni volta, era sempre la stessa, sempre le stesse parole, le stesse pause.
Pochi istanti dopo iniziava a risuonare "Mojo Pin" , e sorridevamo assieme di queste piccole abitudini, queste dolci consuetudini di cui dovevo accontentarmi. Perchè alla fine io ero sempre la terza. C'era la sua ragazza ufficiale, la sua amante, e poi c'ero io. Che mettevo una pezza quando lui combinava qualche casino con una delle altre due.
Prima un lungo giro in macchina con i finestrini aperti, per fare entrare quest'aria stupenda nei nostri polmoni, poi in qualche pub.
"Dai ti offro una birra"
"Tu non mi offri proprio niente"
"Come no?!"
"Ognuno paga per se"
"E perchè?"
"Perchè così è giusto"
"Ma io voglio offrirti una birra!!!"
"Riccardo... NO!"
"Uffa! Eddai, eddai!"
"..."
Uscivamo dal locale sempre con più di una birra che vagava nel nostro sangue. E allora ce ne andavamo al molo a prendere vento o salivamo di nuovo in macchina e facevamo un giro sulla costiera, che è tanto bella di sera quanto lo è di giorno. Oppure andavamo a sentire qualche gruppetto che suonava live. O la sua amica quarantenne con figlio ventenne che mettevano dischi al "Naima" e quando iniziava "Be my baby" dei The Ronnetts io ridevo sempre e muovevo la testa a ritmo di musica, e Riccardo scuoteva il suo cespuglio di ricci come a dire "tu sei completamente matta, che ti entusiasmi per queste cose".
Alla fine della serata ci abbracciavamo e io gli stampavo un bacio sulla guancia. In quel preciso istante si avvertiva la tensione che si crea tra due persone quando non tutto è stato detto, non tutto è stato fatto, quando c'è qualcosa in sospeso.
Era come se ci fosse una camera con una porta aperta. Io immaginavo che quella fosse una camera bellissima. Ero curiosa di scostare quella tenda e passare per quella porta.
Ebbene, una sera, è successo. L'ho fatto: sono entrata. Prima ho dovuto abituarmi alla forte luminosità, e poi ho guardato. E non c'era niente. Niente di niente. Una stanza completamente vuota.
Siamo di nuovo a Maggio. Non sarebbe così strano se stasera Riccardo mi chiamasse per uscire.
E invece vorrei farlo io. Vorrei chiamrlo e dirgli: "Usciamo".
Non lo vedo da più di un anno. Un anno e tre mesi, per la precisione.
Vorrei sapere com'è cambiato, se è cambiato, e cosa succede nella sua vita. E poi vorrei che vedesse i cambiamenti della mia vita su di me.
A fine serata gli stringerei la mano e gli direi: "Sei stato una perdita di tempo".
Perchè, in fin dei conti, quei momenti di alta poesia, quelle serate a guardare il cielo stellato, abbracciati, sul tetto della casa dello studente, non contavano poi molto.
Dietro, sotto, non c'era un sentimento comune, non c'era condivisione. Erano solo dei picchi di felicità bella, ma sterile. Solo istanti di poesia senza filosofia, senza pensiero. Parole bellissime, ma vuote.
Decadenti.

 
 
 
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