Creato da lumiss il 11/07/2005

Petali di parole

Un sentiero cosparso di petali colorati

 

 

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Chiara, città aperta

Post n°222 pubblicato il 31 Agosto 2006 da lumiss

La scorsa notte non chiusi occhio. Continuavo a girarmi e a rigirarmi nel letto senza tregua, senza sosta, senza pace. Decisi, di punto in bianco, di uscire. Infilai una maglietta ed un paio di jeans, presi le chiavi della macchina e quasi corsi fino al garage.
In pochi istanti mi ritrovai a percorrere strade deserte illuminate da lampioni gialli, accompagnata dalle stanche note dell'autoradio. Non avevo voglia di guidare: le mie gambe chiedevano strade da camminare, le mie mani volevano mura da toccare. Allora presi l'unica strada che conoscevo per davvero, l'unica strada che m'avrebbe portato, senza domande, in un posto accogliente, forse non bellissimo, ma che conoscevo come il palmo della mia mano. Del resto, quando la notte t'assale, l'unica cosa che desideri è il riposo d'una penombra familiare. E così feci.
Abbandonai la macchina ai piedi del colle e m'inerpicai sul selciato. Vasi di piccole piante e fiori costeggiavano il mio percorso. Ciuffi d'erba spu
ntavano dalle crepe del muro, illuminati da graziose lanterne. Case basse s'arrampicavano con me fino alla fine della salita, dove il paese si distendeva sul crinale e qualche piccola piazza faceva capolino tra le vie strette. Una casa crollata m'apparse come una visione, proprio nel punto in cui la strada curvava a sinistra e un gatto randagio, ma assai ben nutrito, padroneggiava sulle rovine. Solo un angolo dell'antica struttura era rimasto intatto e ancora sopportava gli schiaffi del Tempo. Passai attraverso i battenti aperti del cancello ormai completamente coperto di ruggine e sedetti su un piccolo cumolo di pietre. Il gatto, Fulvio, decisi, s'avvicinò a me in cerca di cibo e di coccole. Seppi offrirgli solo la mia amicizia, e così, gli tesi la mia mano. Per tutta risposta, s'appollaiò sulla mia spalla, per qualche istante, poi, con garbo, scese e si sistemo sulle mie ginocchia. Rimanemmo così, pensosi, fino a quando uno scricchiolio non attirò l'attenzione di Fulvio. Mi levai anch'io: osservai il cumolo di pietre sulle quali ero stata seduta. D'improvviso, un fulmine ed un tuono fragoreggiarono negli occhi e nelle orecchie. Con calma sgomberai un piccolo spazio poco distante e presi a mettere in fila le pietre. Quando coprii la giusta superficie, posi un'altra fila, e poi un'altra ed un'altra ancora. Aiutandomi con qualche trave spezzata, arrangiai un tetto per quelle tre minuscole mura, ed ebbi costruito un riparo. Per Fulvio, ovviamente. Senza che neppure fosse necessario invitarlo, il gatto prese possesso della sua novella dimora, festeggiando con lo sciagurato topolino che aveva appena catturato. Mi congedai pudicamente per lasciarlo al suo banchetto e ripresi la mia strada.
Qualche casa era vecchia e gli intonaci si sgretolavano nelle mie mani delicate , non appena le due superfici si sfioravano. Altre case erano appena state restaurate e orgogliose, si mostravano nelle loro tinte sicure e sgargianti, appena smorzate dalla luce fioca dei lampioni, ma per questo ancora più belle. Altre case ancora, erano semplicemente abbandonate, nè belle, nè brutte. Sole.
Là dove il paese s'appiana, mi fermai ad una piccola fontana verde e bevvi : la polvere sollevata dalla brezza d'autunno mi aveva seccato la gola e bagnato gli occhi. Bevvi in grandi sorsi e mi sciacquai il viso, e lo lasciai umido perchè s'asciugasse nell'aria pulita di quel piccolo borgo. Una piazza mi si fece incontro ed io la salutai. Sembrava bagnata dalla malinconia della sera, anch'essa. Mi sedetti sulla panchina a guardare le imposte chiuse delle case che mi spiavano, silenziose. Fui percorsa da un brivido di freddo quando un sospiro più profondo del vento m'investì in pieno, e allora ripresi a camminare, fino alle estreme propaggini del borgo. Lì, appena sopra il dirupo, un'edificio diroccato. Una ripida salita conduceva alla vecchia costruzione, quasi una torre su uno spuntone di roccia. Quando vi giunsi, le gambe mi dolevano e il respiro mi affannava. Quasi, avevo le vertigini. Imperterrita, m'arrampicai per la scala che saliva fino all'ampia terrazza.
Di là mi si aprì una vista sorprendente: la città e la sua rete di strade, vicoli, piazze, tetti e finestre e terrazzi. Tutto sotto il mio sguardo stupefatto. Tutti i pensieri, tutte le emozioni, s'aprirono a ventaglio. Arrivò anche Fulvio, che m'aveva seguita discretamente, in tutto il mio peregrinare. Mi guardai alle spalle: nell'ombra della notte, solo sagome di colline, montagne, valli.
Ci sedemmo su un muricciolo, io e Fulvio: io con la testa appoggiata ad una parete, lui con la testa sulla mia coscia. Guardai ancora una volta quella città aperta.
Poi, lentamente, m'addormentai.

 
 
 
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