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Post N° 105

Post n°105 pubblicato il 07 Settembre 2007 da jinny1978
 

 
 
 

Post N° 104

Post n°104 pubblicato il 05 Settembre 2007 da jinny1978
 

Rosslyn chapel


Nel cuore della Scozia, il paesino dove è avvenuto con successo il primo esperimento di clonazione animale (la pecora Dolly) ospita anche uno dei luoghi più famosi (se non il più famoso) per gli appassionati di esoterismo: la cappella dei Saint-Clair.











La colonna dell'Apprendista


Città scozzese dal nome gaelico (Ros="dirupo", Lyn="acqua che scorre"),
legata quindi a doppio filo con la storia dei Celti, che già
consideravano Rosslyn una località sacra. In più, con un sito
particolarmente noto a coloro che seguono la storia dei cavalieri del
Tempio: la famosa Cappella fatta costruire dal Conte William di St.
Clair (o Sinclair) dove le croci templari sono presenti in quantità.



Sembra il luogo giusto per custodire nei secoli un importante segreto; nasconde molte reminescenze
di antichi culti babilonesi ed egizi, richiami alla cultura celtica e
scandinava, fino alle più recenti mistiche di tradizione ebraica e
cristiana.
Strano, se si pensa che nacque come luogo per
ospitare la sepoltura "cristiana" del conte – qui sepolto - e fu
costruita in soli quattro anni tra l'equinozio d'autunno del 1446 e lo
stesso 21 settembre del 1450.



Ammirata e citata da Walter Scott, William Wordsworth e Lord Byron, la Rosslyn Chapel fu eretta da Sir William Sinclair, terzo e ultimo Principe delle Orcadi, alto esponente della Massoneria e amante della cultura ermetica; egli era anche un discendente del St.Clair che partecipò alla prima crociata contribuendo alla nascita dei Templari.
Dopo la morte di Sir William, suo figlio Oliver proseguì parte dei
lavori di completamento della cappella. All'epoca della Riforma, la
cappella fu abbandonata: a Roslin si dice che gli abitanti del
villaggio misero in salvo le statue che adornavano la cappella,
portandole via e nascondendole tanto bene da fare in modo che non
fossero mai più ritrovate. Solo negli anni successivi gli eredi di
William Sinclair riaprirono la cappella e cominciarono a
ristrutturarla. Dal 1997 l'edificio è
ricoperto in parte da una struttura di acciaio che ne protegge il tetto
e che permette ai visitatori di ammirare da vicino i particolari
esterni.




La Rosslyn Chapel, detta anche Collegiata di San Matteo,
è riccamente decorata con simboli biblici, massonici, pagani e
appartenenti alla tradizione dei templari. Elementi decorativi
rappresentanti scene della vita di Gesù si incrociano con figure umane,
angeli, margherite, rose, gigli, stelle, foglie, piante di mais (uno dei misteri della cappella
dal momento che al tempo della sua costruzione il mais non era stato
ancora scoperto: si racconta che Henry St. Clair, nonno di William,
abbia raggiunto prima di Cristoforo Colombo, assieme a Sir James Gunn
of Clyth e al veneziano Antonio Zeno, le coste americane) e "green
men", uomini verdi, considerati figure mitologiche pagane (a Rosslyn ce
ne dovrebbero essere 109, nascosti tra le varie sculture), elementi che
non si trovano in nessun'altra cappella risalente al XV secolo.

La Rosslyn Chapel è stata da sempre indicata come uno dei luoghi più misteriosi di tutta l'Europa del nord:
la leggenda racconta che Sir William la costruì servendosi di templari
travestiti da scalpellini, quegli stessi templari che erano sfuggiti
alla persecuzione del 1307. Si sa inoltre che sotto la cappella sono
custoditi i resti di diciannove signori Sinclair, sepolti senza bara e
ricoperti della propria armatura, ma nessuno è entrato nei sotterranei di Rosslyn dal 1650-1652.



Circolano varie leggende su Rosslyn: qualcuno sostiene che qui si celi un segno segreto che, una volta decifrato, rivelerebbe l'ubicazione del Santo Graal (ma si fa presente che a Rosslyn ci sono milioni di piccoli 'Graal': le croci dentellate presenti sullo stemma della dinastia Sinclair, sono dette "engrailed crosses"); altri che a Rosslyn sia sepolto il tesoro dei Templari; altri ancora che da qui si diramano "lay lines", linee di energia che attraversano la Gran Bretagna.


Secondo la leggenda più famosa, il Graal è custodito all'interno della Colonna dell'Apprendista, in uno scrigno di piombo.


Le leggende che circolano su Rosslyn sono spesso arricchite dalla presenza di fantasmi,
in particolare dalle figure di un cavaliere nero e di una dama bianca,
entrambi, si racconta, frequentano le rovine del vicino castello di
Roslin, di monaci e di templari. Si racconta inoltre che ogni volta che
un discendente del Principe delle Orcadi muore, la cappella appare avvolta dalle fiamme, un fenomeno che Walter Scott descrive nel poema "Il Lamento dell'Ultimo Menestrello".

Ci sono inoltre coloro che affermano che la Rosslyn Chapel riproduca la pianta del Tempio di Salomone a Gerusalemme, e, per provarlo, indicano come la Colonna dell'Apprendista (foto di apertura), la colonna più ornata di tutta la cappella e rappresentante figure tratte dalla mitologia nordica, e la Colonna del Maestro rappresentino le colonne di Boaz e Jachin
situate nel Tempio di Salomone, ma citano anche la storia
dell'Apprendista (un capomastro invidioso uccise l'apprendista che lo
superò in bravura nella costruzione della più bella colonna della
Cappella) accostandola alla leggenda massonica di Hiram Abiff,
architetto del re Salomone, ucciso da tre compagni perché negava loro
l'avanzamento al grado di maestro. Attenti visitatori potranno scoprire
tra le altre sculture anche ritratti dell'Apprendista, di sua madre e
del Maestro.


Cospirazionisti, romantici e fan di
Dan Brown si recano ogni giorno entusiasti a Rosslyn, ma gli storici
locali, rifiutando le varie teorie sulla Cappella, fanno loro notare
che "Il Codice Da Vinci" non è altro che un puzzle abilmente costruito
studiando volumi e volumi di leggende sul Santo Graal.

Che "Il Codice Da Vinci" sia un romanzo fantastico poco importa: al
negozio di souvenir accanto alla cappella assicurano che turisti a
Rosslyn ce ne sono sempre stati, e annunciano che la troupe del film
tratto dal romanzo di Dan Brown, e che avrà come protagonisti Audrey Tatou, nel ruolo di Sophie Neveu, e Tom Hanks, in quello del professor Robert Langdon, abbia fatto un sopralluogo a Rosslyn prima di girare.

http://www.prioratodision.net/

 
 
 

Post N° 103

Post n°103 pubblicato il 05 Settembre 2007 da jinny1978
 

Caravaggio





Michelangelo
Merisi, detto Caravaggio, nasce a Milano nel 1571. Si forma
presso la bottega del pittore Simone Peterzano nella città
di Milano dove recepisce i modi di due tradizioni diverse:
da un lato il realismo lombardo, dall'altro il rinascimento
veneto, con il quale viene in contatto quando Peterzano
lo porta con se in alcuni viaggi a Venezia, dove conosce
l'arte del Tintoretto.

A vent'anni si trasferisce a Roma, prima presso Lorenzo
Siciliano, di seguito presso Antiveduto Gramatica, poi presso
il Cavalier d'Arpino.

Costui gli affida l'esecuzione di quadri di genere, rappresentanti
fiori o frutta, genere dispezzato dagli accademici del tempo
perchè ritenuti soggetti inferiori rispetto a dipinti in
cui venivano rappresentate figure umane. Egli inventa un
suo particolare repertorio dipingendo giovani presi dalla
strada, messi in posa, accompagnati da cesti di frutta,
calici e oggetti di vetro.

Tra i primi dipinti dell'artista c'è il Bacchino
malato
, oggi alla galleria Borghese di Roma, dipinto
nel 1591 circa, che viene considerato un autoritratto eseguito
nel periodo in cui fu ricoverato in ospedale per malaria;
inoltre, del primo periodo della sua attività sono:
il Ragazzo morso da un ramarro, il Giovane
con cesto di frutta
e Bacco
degli Uffizi. Rivela la sua predilezione per soggetti popolareschi
e musicali nei dipinti come I bari, La buona ventura,
Il suonatore di liuto. Esemplare è il Canestro
di frutta
, oggi a Milano alla Pinacoteca Ambrosiana,
in cui rappresenta gli oggetti così come sono in realtà:
la foglia secca, la mela bacata, senza cercare di abbellire
la natura , ma rappresentandola così com'è.

Il suo primo quadro di figure, dipinto nel 1595 circa, è
il Riposo
durante la fuga in Egitto
, nel quale è chiaro il
richiamo ai grandi maestri bergamaschi e bresciani come
Savoldo, Lorenzo Lotto e Moretto. Ma è altrettanto evidente
il richiamo alla cultura romana dimostrato dall'angelo rappresentato
di spalle che è il perno dell'intera composizione. In questo
periodo abbandona la bottega del Cavalier d'Arpino e passa
sotto la protezione del cardinal Francesco Maria Del Monte
che lo immette in un ambiente culturale molto più stimolante,
esegue infatti in questo periodo Testa di Medusa,
San Giovanni Battista, L'amore
vittorioso
, Giuditta e Oloferne.

La sua maturazione verso uno stile personale è evidente
soprattutto nei dipinti della cappella Contarelli in San
Luigi dei Francesi a Roma
per la quale esegue tre dipinti: la Vocazione
di San Matteo
, il Martirio di San Matteo
e San
Matteo e l'angelo
. Con il Martirio di San Matteo
ha inizio la poetica caravaggesca del rapporto luce-ombra
che poi si svilupperà nelle opere successive. Nel
dipinto rappresentante la Vocazionedi
San Matteo
il racconto è immerso nella realtà
del tempo, con personaggi con abiti moderni. La luce è
l'elemento caratterizzante l'intera opera. E' una luce soffusa
che entra da una finestra fuori scena sulla sinstra illuminando
il braccio del Cristo che emerge dall'ombra sulla destra.
Il taglio della luce conduce l'occhio dello spettatore da
destra verso sinistra, dal gruppo di personaggi al gesto
di Cristo.

Del dipinto rappresentante San
Matteo e l'angelo
esistevano due versioni, ma il
primo fu rifiutato dai committenti perchè rappresentava
un San Matteo popolano in atteggiamento ritenuto scandaloso
all'epoca. Oggi questo dipinto è andato perduto.
Prima di compiere quest'opera Caravaggio riceve la commisioni
per altri due dipinti per la cappella Cerasi di Santa Maria
del Popolo: Crocifissione
di San Pietro
e la Conversione
di San Paolo
.
Il pittore interpreta i due avvenimenti
sacri come fatti semplicemente umani eliminando ogni richiamo
a schemi prefissati.

Successiavmente esegue per la chiesa di Santa Maria in Vallicella
la Deposizione,
oggi alla pinacoteca Vaticana. La composizione ha una struttura
piramidale che ricorda le composizioni michelangiolesche.


Esegue in questo periodo opere come la Madonna
dei Pellegrini
la Madonna
dei Palafrenieri
 e la Morte della Vergine per Santa Maria della
Scala in Trastevere, che fu rifiutata dai committenti per
ragioni di decoro, oggi infatti il dipinto si trova al museo
del Louvre.

Tra il 1606 e il 1607 Caravaggio vive nella città
di Napoli, qui si conservano alcune sue importanti opere:
la tela con Le
sette opere di Misericordia
, conservata al Pio monte
di Misericordia e La flagellazione di Cristo, conservata
al museo di Capodimonte.

Nel 1608 Il pittore si trova a Malta dove viene nominato
cavaliere, il gesto rappresenta una riabilitazione per la
vita sregolata dell'artista che dovette fuggire da Roma
dopo aver ucciso un uomo durante una rissa. Qui esegue quella
che è la sua tela più vasta: la Decollazione
del Battista
. La scena è piuttosto spoglia, rappresenta
un ambiente squallido, con colori spenti.

Dopo essere stato espulso dall'ordine dei cavalieri di Malta
fugge a Siracusa dove dipinge il Seppellimento di Santa
Lucia
e anche in questo caso, come nelle successive
opere realizzate a Messina: La resurrezione di Lazzaro
e l'Adorazione dei pastori, confermano la sua tendenza
a lasciare grandi spazi vuoti su tele di dimensioni notevoli.

Nel 1609 è dinuovo a Napoli dove viene ferito gravemente,
qui esegue opere come Davide con la testa di Golia
e Salomè
con la testa di Battista
.


Nel 1610, sulla spiaggia di Port'Ercole, dove era in attesa
di rientrare a Roma per ricevere la grazia, viene arrestato
e incarcerato per 2 gioni, perchè scambiato per qualcun'altro,
perdendo così tutti i suoi averi. Due giorni dopo
sulla stessa spiaggia, cercando di recuperare le sue cose,
morirà di " febbre maligna", come scrive
il Bellori. Era il 18 agosto del 1610 Caravaggio non aveva
ancora 39 anni, pochi giorni dopo arriverà la grazia
con il permesso di ritornare a Roma.

http://www.storiadellarte.com/biografie/caravaggio

 
 
 

Post N° 102

Post n°102 pubblicato il 05 Settembre 2007 da jinny1978
 

Artigianato

Arte popolare e artigianato locale. Gli artigiani e prodotti artigianali.
Artigianato: Le tradizioni orafe, le botteghe e le oreficerie
artigianali.

L’artigiano si adegua alle esigenze dei clienti, che scelgono secondo
i propri gusti e bisogni; ne risulta una produzione che
per la massima parte rientra a giusto titolo nell'arte popolare,
persino quando si tratta di oreficerie, che, in questo
caso, costituiscono un necessario elemento integrativo del costume.

L'Abruzzo è stato, ed è tuttora, uno dei principali
centri di questa produzione.

Grandi orecchini d'oro e perle, doni tradizionali dello
sposo alla sposa, con altri preziosi finimenti, usavano
un po' dovunque nel mezzogiorno d'Italia e in Sicilia: si fabbricavano
intorno a Gaeta.

In Calabria, in Basilicata e in Puglia, erano molto usate ampie collane
di lamine d'oro a festoni
, con un grande medaglione
a stella.

Nel Lazio: erano tipici certi enormi orecchini d'oro, miracolosamente
appesi ai delicati lobi delle orecchie delle campagnole; ormai sono diventati
oggetti da museo e offrono, specialmente quelle meridionali, un'interessante
documentazione comparativa con le oreficerie greco-romane.

Nel Piemonte sono noti i “dormi”: collane
di grani d'oro dalla tinta gialla e verdastra, le croci di vario stile
e gli orecchini, ora a mandorla, ora ad anelloni con stellette e cuoricini
appesi.

Nella Lombardia: si usava una varietà di spilloni da testa
per la tipica raggerà delle acconciature femminili.

La ricca oreficeria veneta testimonia la “discesa” nelle classi
popolari
della produzione artigianale ad alto
livello coi “recini a cioca” (orecchini a campana) o a forma
di lampioni delle gondole; e i “piroli”, orecchini a forma
originale di bottone.

Della Liguria ricordiamo le tradizionali “anelline”,
alle orecchie dei vecchi pescatori e le navette (a navicella); infine,
l'oreficeria popolare sarda particolarmente legata al vestiario femminile,
offre i caratteristici “is buttones”, che sono bottoni e gemelli
da polso in filigrana, oltre che dei rosari, lunghi, massicci, con una
stella terminale a quattro punte e delle croci spesso a forma greca e
bizantina, e gli ex-voto in argento.




Artigianato - Oggetti in rame

Straordinariamente ricchi e talvolta con forme di alto valore estetico
sono gli oggetti di rame: brocche e
conche, secchie, caldaie,
scaldini, scaldaletti, bracieri, boccali,
stampi per dolci formavano una volta, ordinatamente appesi alle pareti,
il vanto della cucina nelle case patriarcali.




Lavori artigianali in ferro battuto.

Nel Nord sono molto diffusi i lavori artigianali in ferro battuto,
spesso di grandi dimensioni e collegati con l'architettura, o comunque
destinati a figurare all'esterno delle case, delle botteghe, delle locande,
intorno ai pozzi, nei cimiteri.

 
 
 

Post N° 101

Post n°101 pubblicato il 05 Settembre 2007 da jinny1978

RESTARE ETERNAMENTE GIOVANI UN’UTOPIA?

SECONDO CHOPRA E’ UNA "QUESTIONE DI TESTA!"




 


“Invecchiare
è inevitabile? E’ una menzogna: ognuno di noi può vivere a lungo in
perfetta forma e vitalità!” – afferma Deepak Chopra, medico ayurvedico
noto in tutto il mondo, che sarà in Aprile in Italia con Roy Martina per un evento unico sul benessere psico-fisico.

“Noi siamo antichi ed eterni … Andiamo e veniamo in numerose forme, la
nostra essenza non è il corpo.” Secondo Chopra, infatti, la nostra
essenza è l’anima, lo spirito, che a differenza del corpo mai muore e
mai invecchia.

Ad essa si associa il potere della mente, la forza del pensiero. Si,
perché secondo Chopra a ringiovanire davvero si parte dalla testa,
dalla mente. Nel suo libro “Mente giovane corpo intelligente” egli
suggerisce di accettare la nostra età cronologica e di rovesciare la
nostra età biologica e psicologica per ritornare al benessere fisico ed
emozionale della nostra giovinezza.

“L’età è la perdita graduale di energia, ma è anche un concetto,
assieme a quello di tempo e spazio, che abbiamo acquisito e che quindi
possiamo disimparare. Smettiamo di pensare al nostro corpo come ad un
insieme di cellule destinate a deteriorarsi. Iniziamo invece a
concepirlo come l’unione di tante particelle, in contatto con l’energia
dell’universo. Energia che è eterna ed immortale”.


Secondo Deepak, tutti noi siamo in grado di rallentare il processo di invecchiamento.

“Io non ho la macchina del tempo, ma sono convinto che, con il potere
della mente, abbinato ad una serie di abitudini sane, si possa
riconquistare la salute fisica ed emozionale della propria giovinezza”.


La
prima cosa da fare consiste nel cambiare la percezione di chi siamo.
Come fare? “… cercando la parte di noi stessi che è senza tempo e che
giace nella nostra mente”. In pratica basterà pensare di avere 10 anni
in meno perché il proprio corpo inizi a ringiovanirsi. Certo, non è
come realizzare un desiderio con la bacchetta magica! Affinché il
meccanismo cominci a funzionare, occorre esercizio ed impegno costante.
E soprattutto bisogna imparare a concentrarsi sul proprio obiettivo.


Deepak
ci dice come: “Chiudete gli occhi. Diventate consapevoli del vostro
respiro, lasciando andare qualunque tensione possiate aver accumulato
nel corpo. Scegliete ora l’età, compresa nell’arco degli ultimi 15
anni, che vorreste avere a livello biologico. Questo significa
possedere le capacità fisiche e mentali di una persona di quell’età in
buone condizioni fisiche, apparire e sentirsi come a quell’età”. Questo
diventa quello che Deepak chiama Biostat, ovvero età biologica. “Come
un termostato regola la temperatura di una stanza a un livello
definito, allo stesso modo il vostro Biostat influenza direttamente il
vostro corpo di energia, trasformazione e intelligenza. Mantenendo il
vostro Biostat all’interno della vostra consapevolezza, potete
influenzare il vostro modo di pensare, il vostro umore e il vostro
comportamento. Dopo avere individuato tale punto, affermatelo 5 volte
al giorno. Vi suggerisco di eseguire questo rituale al risveglio, prima
di colazione, del pranzo, della cena e dell’ora di andare a dormire.

Chiudete gli occhi e ripetete almeno 3 volte mentalmente ognuna delle seguenti frasi:


“Ogni giorno io aumento in ogni modo le mie capacità fisiche e mentali”.

“Il mio Biostat è fissato all’età di … (tot) anni”.

“Io appaio e mi sento come un … (tot) enne in ottima forma”.


Alcuni
giorni dopo aver iniziato a eseguire questo rituale comincerete a
pensare e a comportarvi al livello del vostro Biostat. Tutte le vostre
abitudini verranno influenzate, e soprattutto si modificheranno la
vostra percezione e il modo di sperimentare la vostra età biologica.
Credete nel vostro Biostat e nel suo potere organizzativo e questa
nuova credenza darà forma alla vostra nuova biologia”.


Lo
stesso Chopra rappresenta un caso di “eterna giovinezza”. “Mi piace
andare al di là dei miei limiti – rivela Deepak – sia psicologici,
fisici che spirituali. Mi sono lanciato da un aereo, faccio sci
acquatico; sto imparando il gioco del golf. Mi sento meglio di quando
avevo 25 anni. Anagraficamente ho 55 anni, ma psicologicamente ne sento
40”.


Esistono poi altri 9 suggerimenti pratici segnalati dal medico ayurvedico per restare giovani:

- Avere un riposo tranquillo

- Nutrire il corpo con alimenti sani

- Fare esercizio e praticare Yoga

- Amare totalmente e con gioia

- Mantenere una mente giovane attraverso la crescita personale e la flessibilità.


“La chiave di tutto è credere in se stessi” sostiene Chopra: è questa la molla che ci consentirà di restare giovani per sempre.

http://www.naturalia.net/Articoli_vari/default.asp?Menu=invecc


 
 
 

Post N° 100

Post n°100 pubblicato il 05 Settembre 2007 da jinny1978
 

La
superstizione: Amuleti e talismani.


Amuleti e talismani nella tradizione e credenza popolare.
I rimedi e le credenze popolari contro il
malocchio e la sfortuna.

Gli amuleti vanno inclusi tra i mezzi popolari di cura.

Dagli anelli degli antichi indiani e dagli occhi d'oro degli Egiziani
fino alle cosiddette “pietre del fulmine”, che non sono altro
che cuspidi di frecce del periodo neolitico affiorate durante i lavori
dei campi e ritenute parti materiali del fulmine.

Più popolari e a portata di mano sono i cornetti
di corallo o il “gobbetto” che fa le corna mentre stringe
un ferro di cavallo.

Gli amuleti hanno una funzione protettiva,
mentre i talismani posseggono una forza
attiva contro il male
.

In una medaglia talismanica scoperta in Asia minore, è effigiato
Salomone a cavallo che con una lancia uccide una “diavolessa”:
l'immagine è straordinariamente simile a quella di S. Giorgio che
uccide il drago. Il “nodo di Saio-mone”, che i nostri marinai,
per scongiurare la tempesta, disegnavano sull'albero della barca, rappresentato
da due triangoli capovolti chiusi da un cerchio, si trova già in
un antico amuleto ebraico.


Questi amuleti e talismani ci richiamano al malocchio,
o
iettatura, che anticamente veniva chiamato “fascino”.

Sembra che la determinazione psicologica di questa manifestazione sia
quella di trovarsi di fronte a persone che hanno qualche tratto diverso
da quelli che generalmente caratterizzano la collettività, ad esempio:
i poteri benefici di un gobbo e quelli malefici di una gobba o di altri
individui con qualche difetto fisico, e il proverbio: “Cristo disse:
guardati dai segnati miei”.


Il malocchio e la iettatura indicano che l’azione malefica è
voluta da quelle persone a cui viene attribuito tale potere; ma ci può
essere anche un malocchio involontario, quindi: persone che portano disgrazia
senza che esse stesse ne abbiano coscienza.


Nella Napoli aristocratica del Settecento, la iettatura costituì
un tema di moda, trattato da scienziati illuministi che, per giustificare
la loro credenza nel malocchio, lo spiegavano come una forza posseduta
da certi individui, dei quali indicavano anche i tratti fisici distintivi.
http://www.letradizioni.net/superstizione/amuleti-talismani.htm




 
 
 

Post N° 99

Post n°99 pubblicato il 05 Settembre 2007 da jinny1978
 

RIMEDI NATURALI- Le erbe per dare tono ed energia



La
natura ci mette a disposizione alcuni particolari principi attivi ad
azione fortificante, stimolante ed energizzante, in grado di aiutare
l'organismo a mantenersi in buona forma. Questi principi attivi sono
contenuti nelle erbe medicinali ad azione cosiddetta “tonica”.


Queste
piante medicinali contengono principi attivi in grado d'innalzare
l'efficienza generale del corpo e ridurre così l'incidenza dello stress
sull'organismo nelle sue varie forme. Possono essere differenziabili
per il peculiare meccanismo d'azione in: Adattogeni: hanno
la capacità di rafforzare l'adattamento dell'organismo nei confronti di
qualsiasi stimolo psichico o fisico sfavorevole. Sono utili per
affrontare con maggior carica sia l'intensa attività fisica sia il
lavoro mentale. Stimolanti: stimolano i
centri nervosi portando ad un'eccitazione cerebrale molto favorevole al
lavoro intellettuale. Per la loro azione pronta sono indicati subito
prima di un impegno pesante come una gara sportiva o un esame. Riequilibranti psicofisici e integratori di micronutrienti: sono
in grado di aumentare la vitalità e lo stato di benessere psicofisico
dell'organismo. Assicurano inoltre un equilibrato apporto di
micronutrienti come le vitamine, i sali minerali e gli oligoelementi,
essenziali per un corretto equilibrio funzionale dell'organismo. Sono
particolarmente adatti per il benessere del bambino.GINSENG la radice della vita

Il
Ginseng, stupendo dono della natura è da millenni apprezzato in oriente
quale magnifica difesa contro ogni genere di malattia e quasi
considerato elisir di lunga vita per giungere sani e in forma sino alla
più tarda vecchiaia. Il suo stesso nome scientifico P anax Ginseng ne rivela le proprietà, in latino, infatti, panax significa
panacea cioè rimedio per tutti i mali, Ginseng in cinese significa
radice della vita o radice dell'uomo, per la sua forma antropomorfa.
Spontaneo delle foreste alpine dell'Asia orientale (Corea, Manciuria),
del Ginseng si adopera esclusivamente la radice vecchia di almeno 5 o 6
anni, che viene in genere trattata nei luoghi d'origine per ricavarne
l'estratto in cui si conservano concentrate le benefiche virtù della
pianta. Attualmente viene adoperato con successo come tonico ed
energetico dell'organismo dalle più svariate categorie di persone. Il
Ginseng è particolarmente utile nella pratica sportiva in quanto da
studi compiuti su atleti, si è riscontrato un notevole aumento
dell'efficienza muscolare misurata all'ergometro, un recupero più
veloce dopo intensi sforzi fisici e un significativo accrescimento di
potenza negli sport di resistenza. Ulteriore vantaggio che si ricava
dall'uso del Ginseng da parte degli sportivi è che esso non è
considerato doping neppure nelle gare da professionisti. Altre
interessanti utilizzazioni del Ginseng si possono avere nelle diete
dimagranti piuttosto strette in quanto all'azione energizzante ed
antidepressiva, il Ginseng assicura un significativo apporto di
vitamine, sali minerali, ed altri micronutrienti spesso scarseggianti
nel corso di diete ipocaloriche. Un ultima ma importante indicazione
d'utilizzo del Ginseng consiste nella sua affermata proprietà
afrodisiaca che si esplicherebbe però a dosi piuttosto forti, che forse
spiegherebbe la mirabile prolificità di alcuni arzilli vecchietti
dell'estremo oriente.L'eleuterococco per ritrovare l'energia e la vitalità

L'eleuterococco
è un arbusto spinoso alto fino a tre metri con piccoli fiori riuniti in
ombrelle, appartenente alla famiglia delle Araliacee, la stessa del
Ginseng e cresce spontaneo nella Russia orientale, ed in alcune regioni
del nord della Cina, Corea e Giappone. Nonostante non sia popolare come
il Ginseng, la Medicina Tradizionale Cinese parla di lui da più di
2000. I cinesi ritenevano che esso fornisca energia e vitalità. In
tempi più recenti le sue proprietà sono state riscoperte in quanto si
cercava di reperire una pianta che avesse proprietà simili al Ginseng
ma a costo minore. Si scoprì così che la radice di Eleuterococco
offriva molti dei benefici del Ginseng, e che in certi casi ha delle
caratteristiche superiori. I risultati dimostrano che l'Eleuterococco,
durante l'esercizio muscolare fa diminuire la frequenza cardiaca e
migliora la capacità di prelevare ossigeno dall'ambiente.
L'eleuterococco aumenta la resistenza agli sforzi, ed è assolutamente
privo di tossicità: il suo effetto è farmacologicamente attribuibile ai
vari ginsenosidi ed eleuterosidi contenuti in esso. Particolarmente
indicato in caso di stress associato a stati carenziali delle difese
organiche, quando cioè l'indebolimento generale dell'organismo ci rende
più suscettibili alle malattie. Da non trascurare poi la tipica azione
antifatica dei preparati di Eleuterococco in caso di pratica di sport
di resistenza, nei confronti dei quali la pianta determina un
significativo aumento delle prestazioni.Lo sciroppo antifatica

Per aumentare le performance psicofisiche ed allontanare lo stress vi consiglio il seguente sciroppo:

Prendete 100 grammi di succo di mela concentrato, aggiungetevi 10
grammi di pappa reale e 10 grammi di tintura madre di eleuterococco e
mescolate bene. Assumete per due settimane due cucchiai al mattino
dello sciroppo così preparato.

E' controindicato in gravidanza e non va somministrato ai bambini sotto gli otto anni. Conservare in frigorifero.Il ricostituente fatto in casa

Prendete
mezzo litro di un buon succo di Aloe e miscelatelo in un pentolino con
500 grammi di miele d'acacia e 3 cucchiai di grappa. Riversate il tutto
in un vaso a chiusura ermetica e conservate in frigorifero. Prendetene
due cucchiai colmi alla mattina prima di colazione per almeno due
settimane. E' ottimo anche per chi soffre di stitichezza in quanto
svolge un'azione regolatrice.


Roberto Facincani

 
 
 

Post N° 98

Post n°98 pubblicato il 05 Settembre 2007 da jinny1978
 

Centinaia di migliaia d’anni or sono l’uomo viveva quotidianamente le
sue paure primordiali. Allora solo i barlumi di una intelligenza ancora
lontana schiarivano la notte degli “istinti”.


E venne il momento in cui l’uomo si accorse che il giorno diveniva più
breve, che più lunga era l’oscurità, che più aggressive divenivano le
belve nemiche: e fu inverno. Ma poi la luce amica iniziò a riapparire e
all’uomo non sembrò vero il nuovo innalzarsi del sole sull’orizzonte.
La paura si ridusse, ma ancora lo attanagliava. Solo dopo la nascita
solstiziale ed il torpore invernale giunse finalmente il miracolo della
primavera, del rinascere della natura. L’erba andava ricoprendo le nere
zolle, che gli ricordavano la notte, le foglie ravvivavano gli
scheletri degli alberi: la morte veniva cancellata dalla resurrezione
equinoziale.


Si poteva, allora, anche morire per poi risuscitare? la grande nemica di sempre era vinta?


Tutto questo fu sogno e desiderio, e poi divenne mito. Così, e non in altro modo, nacquero i riti di primavera (
1)





 
 
 

Post N° 97

Post n°97 pubblicato il 05 Settembre 2007 da jinny1978


Essere solare! Chi siamo noi? Chi non siamo?


Sogno d’un’ombra è l’uomo.


Ma se splendore divino lo illumina,


allora è luce splendente tra gli uomini


e dolce stagione.


(Pindaro, Pyth. 8,98)




 
 
 

Post N° 96

Post n°96 pubblicato il 05 Settembre 2007 da jinny1978

 
 
 

Post N° 95

Post n°95 pubblicato il 05 Settembre 2007 da jinny1978
 

Bere caffè riduce il rischio di contrarre il diabete (07/01/2004)






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&nbspOltre che costituire una miniera di antiossidanti ed alle
capacità di aiutare a far perdere peso corporeo, il caffè, secondo una
nuova ricerca, bevuto quotidianamente in quantità significative aiuta a
ridurre il rischio di sviluppare il diabete. Lo studio, pubblicato
nell’ultima edizione di Annals of Internal Medicine evidenzia come gli
uomini che bevono sei o più tazze di caffè con caffeina al giorno
possono ridurre il rischio di essere affetti da diabete del 54 per
cento, mentre per le donne la riduzione è del 30 per cento. I benefici
del caffè decaffeinato si sono rivelati più modesti: c’è stata infatti
una riduzione del rischio del 26 per cento per gli uomini e 15 per
cento per le donne. Bere il tè non sembra invece avere avuto nessun
effetto significativo.

Secondo Frank Hu, professore associato presso la Harvard School of
Public Health, tra gli autori dello studio,
"la prova che il caffè normale è protettivo contro il diabete è
abbastanza forte". Ciò però non costituisce una giustificazione a
favore di un imprudente e forte consumo di caffè come misura di sanità
pubblica per impedire il diabete né la ricerca ha suggerito una
quantità consigliata quotidiana di assunzione della bevanda.

Per evitare una malattia devastante come il diabete occorre tenere
sotto controllo il proprio peso, mangiare bene e mantenersi fisicamente
attivi.
Contrariamente a quanto molti credono l’alto consumo di zucchero non
causa l’insorgere del diabete. Il diabete è invece una forma di
malattia cardiovascolare le cui cause vanno ricercate nell’obesità e
negli errati stili di vita.

Quando una persona ha un peso eccessivo ed è sedentaria e soffre di
ipertensione o ipercolesterolemia, tutti gli organi vitali si trovano
ad essere sotto stress, a soffrire e in tal modo inducono il corpo a
produrre poca insulina ed a dare una risposta insufficiente
all'insulina prodotta. Se i livelli di insulina oscillano i vasi
sanguigni possono subire dei danni, che possono causare la cecità e
danni ai nervi che possono anche portare ad amputazioni, a problemi ai
reni e al cuore.

La nuova ricerca, che ha seguito 125.000 pazienti per un periodo dai 12
ai 18 anni, fornisce i dati più probanti fin qui ottenuti sui benefici
del consumo di caffè come alimento protettivo nei confronti del
diabete. Altri studi, ancora alle fasi iniziali hanno indicato che la
bevanda ha effetti positivi nel prevenire la malattia di Parkinson, del
cancro al colon, della cirrosi epatica e di depressione. Una tazza di
caffè inoltre impedisce l'inizio di un attacco di asma.

Il rovescio della medaglia è che il caffè interferisce con il sonno e
rende in alcuni casi le persone più agitate, ma gli studi che
adombravano l’ipotesi di un legame tra caffè e il rischio di cancro al
pancreas si sono rivelati essere non fondati.


Quello che non è chiaro quale possa essere il meccanismo attraverso il quale il caffè esercita questi effetti positivi.

Secondo Frank Hu, mentre l’attenzione si rivolge spesso sulla
caffeina, si dimentica che il caffè è una bevanda molto complessa
perché contiene molti residui di cui poco si sa quanto agli effetti
biologici.


Di poco tempo fa un'altra notizia circa le virtù del caffè:

Secondo
Amleto D’Amicis, epidemiologo-nutrizionista e Direttore dell’Unità
Documentazione e Informazione Nutrizionale dell’INRAN (Istituto
Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) “Fugati, ormai,
tutti i dubbi sui suoi possibili effetti indesiderati il caffè, assunto
nelle abituali dosi di consumo (fino a 5 tazzine di espresso al
giorno), si sta rivelando un alimento ricco di proprietà antiossidanti,
di potassio e di alcune vitamine importanti come la niacina e il suo
precursore: la trigonellina. Inoltre, recenti studi sul caffè hanno
dimostrato che se consumato durante un pasto a base di alimenti ad alto
potenziale ossidante, come i cibi fritti ricchi di radicali liberi, il
caffè protegge le lipoproteine a bassa densità (LDL) dall’ossidazione,
reazione che sta alla base del processo di aterosclerosi”.

il ruolo del caffè, sia normale sia decaffeinato, può avere
riflessi assai positivi sul controllo del peso corporeo, sia in
presenza di un regime normocalorico sia di uno ipocalorico, accelerando
il metabolismo basale. “Il caffè, infatti - precisa D’Amicis - aumenta
la termogenesi post pranzo, e di conseguenza favorisce la dispersione
dell’energia introdotta tramite i cibi non rendendola disponibile per
essere immagazzinata sotto forma di grasso. Inoltre il caffè, mediante
la caffeina, agisce sull’ossidazione dei grassi, facendoli degradare
più rapidamente, e ha effetti anche sulla glicolisi, rendendo molto
veloce il processo di riutilizzo energetico per l’attività fisica”. Il
caffè, consumato nelle dosi consigliate, abbia anche un leggero effetto
anoressizzante aiutando ulteriormente il consumatore a controllare le
entrate energetiche. “In sostanza – conclude D’Amicis - il caffè
aumenta l’attività termogenetica e velocizza il riutilizzo dei grassi.
In questo modo, con piccoli ma ripetuti risparmi di energia
immagazzinata, contribuisce a dissipare calorie rendendo più facile il
controllo del peso.”

Ulteriori conferme arrivano da Evelina Flachi, nutrizionista e
giornalista: “Il caffè è stato recentemente classificato come “no
nutritive dietary components”, ciò significa che non riveste un valore
significativo in termini di apporto nutritivo ed energetico”. Una
tazzina di caffè semplice, senza aggiunta di latte o zucchero, non
supera le due calorie e, in un’economia generale dell’organismo, è
evidente che esse possano essere del tutto trascurabili soprattutto se
paragonate all’apporto calorico fornito dai liquori a fine pasto”.

"All’interno di un regime alimentare normocalorico, o anche
ipocalorico, – precisa Evelina Flachi – l’assunzione abbinata di caffè
normale a quello decaffeinato favorisce l’introduzione nell’organismo
di un supplemento di sostanze antiossidanti che possono avere la
capacità di combattere e prevenire molte malattie oltre a ritardare
l’invecchiamento. Inoltre, è da sottolineare l’effetto di
“trasgressione” benefica concesso ai consumatori, visto il decaffeinato
si può assumere in dosi maggiori”."


http://italiasalute.leonardo.it/benessere/alimentazione.asp?id=5375


 
 
 

Post N° 94

Post n°94 pubblicato il 04 Settembre 2007 da jinny1978
 



Da Vitruvio... a Formia

L’acqua tra mito, filosofia e letteratura
 



Le tradizioni leggendarie di popoli molto antichi e diversi riportano il mito del diluvio universale che, in una certa epoca, ha distrutto tutta l’umanità, tranne pochi eletti. E un motivo presente nella tradizione orale e scritta di circa 400 comunità mondiali. Gli studi geologici condotti nelle zone dove il racconto è più vivo e circostanziato (la zona tra il Tigri e l’Eufrate) hanno rivelato la presenza di tracce di grandi inondazioni legate ai secolari cicli dei disgeli postglaciali. Ma queste inondazioni risultano essersi verificate in epoche e con intensità diverse. Si deve allora pensare che la presenza in tante comunità dello stesso mito risalga a motivi religiosi.

Come nelle celebrazioni misteriche, l’iniziato deve morire simbolicamente per poter rivivere in possesso delle autentiche qualità umane, così tutta l’umanità deve passare attraverso la morte per rigenerarsi. E significativo il fatto che l’acqua sia considerata la fonte della vita da tutte le tradizioni arcaiche; la vita, dunque, si congiunge con la morte per dare origine ad una nuova vita. L’eletto che si salva galleggia a lungo sulle acque; è il simbolo dell’uomo rigenerato che, dall’acqua portatrice di morte per gli altri, assume le facoltà per una vita totalmente nuova.

Sul piano della diffusione del mito del diluvio, un centro fondamentale fu la zona assiro-babilonese ed ebraica e la direttrice di diffusione andò verso l’India fino al Pacifico. Un altro centro di irradiazione fu il Medio Oriente e da lì il mito passò nell’Asia centrale, in Siberia e, con le migrazioni attraverso lo Stretto di Bering, fino all’America Settentrionale.

La tradizione letteraria greca presenta il mito di Deucalione e Pirra, unici superstiti di un diluvio universale mandato da Zeus per punire la malvagità degli uomini. Anche la tradizione ebraica attribuisce la causa del diluvio alla cattiveria degli uomini e racconta il cataclisma nella Bibbia, libro I della Genesi: Dio decide di punire l’umanità ed elegge a continuatori della stirpe umana Noè ed i suoi figli. Nella Sacra Scrittura l’acqua evoca ancora interventi divini nella storia della salvezza: le acque del Mar Rosso, l’acqua scaturita dalla roccia, l’acqua del Giordano. Nella mitologia sumera il diluvio è inteso come l’evento sacro che divide il tempo in ante-diluviale e post-diluviale.

Il diluvio babilonese è narrato nell’Epopea di Gilgamesh, un poema in lingua assira, tramandato su 12 tavolette cuneiformi rinvenute a Ninive nel secolo scorso. Nell’undicesima tavoletta si parla di un antenato di Gilgamesh, Utnapishtim, scelto dal dio Ea per ricostituire l’umanità dopo il diluvio mandato sulla terra per punire la malvagità umana. È importante notare che le tradizioni più svariate insistono su un punto comune: la presentazione del ciclo degenerazione-generazione, sempre con la presenza dell’elemento acqueo, inteso come morte-vita.
 
Tavoletta 11 del poema di Gilgamesh, British Museum
 
Il Grechetto (1609-1664), Deucalione e Pirra

Il mito indonesiano parla, invece, di un’inondazione rivolta contro le montagne. La mitologia maya utilizza tre diluvi per distinguere quattro ere del mondo, vissute da quattro diverse umanità. Anche oggi svariati sono i culti di salute legati alle acque sorgive in una vasta area che va dall’Estremo Oriente (l’immersione nel fiume Gange) all’Occidente cristiano (l’acqua di Lourdes).

Vitruvio, nella prefazione al libro VIII del De architectura, passa in rassegna varie opinioni filosofiche sul principio del mondo e sul ruolo assegnato all’acqua in alcune teorie cosmogoniche:

Uno dei sette sapienti, Talete di Mileto, indicò nell’acqua il principio di ogni cosa. Questa, fecondata per effetto di concepimento che hanno le piogge del cielo, aveva generato la prole degli esseri umani e di tutte le creature viventi al mondo; ciò che era frutto della terra ritornava ad essa quando l’inevitabile legge del tempo ne imponeva il disfacimento.

Pitagora, Empedocle, Epicarmo e altri filosofi della natura sostennero che gli elementi primordiali sono quattro, aria-fuoco-terra-acqua, che, combinandosi tra di loro secondo un modello fissato dalla natura, producono le qualità specifiche conformemente alle differenze di genere.
 

Vitruvio sostiene che senza l’energia proveniente da questi elementi nulla può crescere e vivere; per questo una divina mens ne ha reso facile la reperibilità. L’acqua, in particolare, “est maxime necessaria et ad vitam et ad delectationes et ad usum cotidianum”, senza trascurare il fatto, dice Vitruvio, che è gratuita. Così essa non è mai una sola cosa: è fiume e mare, è dolce e salata, è nemica ed amica, è confine e infinito, è “principio e fine” dice Eraclito.

Nelle pagine letterarie dell’antica Grecia è significativo l’elemento dell’acqua in Omero, che diventa parte integrante del nostoV nell’Odissea. Ulisse, nel suo viaggio verso Itaca, è costantemente a contatto con l’acqua, simbolo della vita e della tranquillità. Quest’aspetto è rappresentato dal bellissimo fiume che porta nella terra dei Feaci, dove Ulisse trova ospitalità e aiuto per tornare nella sua terra.

Ma l’acqua è rappresentata anche come elemento negativo. Infatti in Omero si legge che le Sirene simboleggiano la bonaccia, i rischi del mare e il fascino dell’ignoto, i mostri marini Scilla e Cariddi sono l’emblema dei pericolosi vortici e dei gorghi; Poseidone, dio del mare, incarna il carattere permaloso e irascibile degli dei. Nell’Anabasi, invece, Senofonte identifica l’acqua come possibilità di salvezza e di ritorno in patria e, quindi, alla vita.

Nella guerra tra Ciro il Giovane e Artaserse II, Senofonte guida i soldati sconfitti in una marcia lunga e faticosa verso il Mar Nero, simbolo della salvezza e della consapevolezza di essere prossimi alla Grecia. Interessante è parso, poi, il significato che l’acqua assume in Esiodo (VIII sec. a.C., Teogonia).

Essa nel racconto de La grande inondazione è un elemento di devastazione e punizione divina. Zeus, volendo eliminare il genere umano per tutte le scelleratezze commesse, decide di incendiare ogni luogo, ma il timore che le fiamme si propaghino fino all’Olimpo, lo induce ad utilizzare l’elemento contrario al fuoco: l’acqua. Inonda i campi, le pianure, i monti, travolge le messi, le mandrie e gli uomini… nessuno riesce a sopravvivere.

Anche per noi l’acqua, come per i greci, è una divinità, assomiglia all’anima dell’essere vivente: è irrequieta e non ha posa, non ha principio, non ha fine… è eterna.
Papiro contenente parte del libro 22, versi 111-149, dell’Iliade
 

 

 
 
 

Post N° 93

Post n°93 pubblicato il 04 Settembre 2007 da jinny1978
 

DONNE NELL'ARTE

 











Susanna e i Vecchioni



Maria Maddalena




Autoritratto o allegoria della pittura




Madonna con bambino







Maddalena penitente





Inclinazione







Giuditta che decapita Oloferne, 1612




Giuditta e la sua governante




Giuditta che decapita Oloferne, 1618-20




Giuditta e la sua governante con la testa di Oloferne











 








Artemisia Gentileschi nasce a Roma l'otto luglio del 1593. E' la
primogenita del pittore Orazio Gentileschi e di Prudentia Montone. Fin
dall'infanzia fu istruita per diventare un'artista dimostrando subito
una certa abilità verso la pittura, a cui incominciò a dedicarsi
attorno al 1605. Poté guardare da vicino molte opere che si stavano
sviluppando in quel momento: dalla Galleria Farnese affrescata da
Annibale Carracci, alla chiesa di S.Luigi de Francesi dove stava
lavorando Caravaggio, alla chiesa di S.Maria del Popolo, dove si
stavano elaborando gli affreschi di Guido Reni e del Domenichino. Ma a
quei tempi per una ragazza il sogno di una carriera artistica era
fortemente ostacolata. Tuttavia Artemisia Gentileschi non si arrese.
Seguendo e lavorando insieme al padre ebbe modo di conoscere diversi
pittori, tra cui Caravaggio e il nipote di Michelangelo. Due punti di
riferimento per determinare il carattere della sua pittura, insieme
all'idealismo toscano, al realismo romano e al naturalismo
chiaroscurale dello stesso Caravaggio. La sua prima tela, 'Susanna e i
Vecchioni' [1610, immagine 1] è dipinta con uno stile molto naturale.
Le gesta dei personaggi sono forti, le espressioni sono realistiche. Un
dipinto che mostra la conoscenza dell'anatomia umana, dei colori, del
pennello, e della struttura compositiva del quadro. Nell'estate del
1611 Artemisia visitò in città alcune opere finalmente completate:
Santa Maria Maggiore ed i suoi soffitti dipinti dal Cigoli e da Guido
Reni, che furono incominciati nel 1605; San Pietro, e l'estensione
della facciata voluta da Carlo Maderno; il Palazzo del Quirinale, dove
il padre insieme a Giovanni Lanfranco, Carlo Saraceni e Agostino Tassi
stava decorando la Sala Regia. Orazio e Tassi lavorarono insieme anche
al 'Casinò delle Muse' [Palazzo Pallavicini-Rospigliosi, 1611-12], per
l' affresco sulla volta del palazzo. E si suppone che Artemisia
partecipò alla decorazione. Agostino Tassi era un pittore di paesaggi e
di vedute marine, al quale Orazio affidò la figlia per insegnarle come
costruire la prospettiva in pittura. Ma Tassi oltre alla prospettiva
provò a iniziarla e alla fine riusci per approfittare della giovane
Artemisia che in seguito dovette subire l'umiliazione di dover
testimoniare al processo e di dimostrare la sua precedente verginità. E
per l'epoca non essere sposata e non essere vergine corrispondeva in
qualche modo ad una condanna sociale. Agostino Tassi all'inizio promise
di riparare con un matrimonio ma in seguito dichiarò che la ragazza era
inaffidabile sostenendo che era già stata con altri uomini. Dopo il
processo Artemisia continuò a dipingere e incominciò a sviluppare uno
stile più propriamente personale. Ed è in questo periodo che dipinge
'Giuditta che decapita Oloferne' [Napoli 1612, Museo Capodimonte,
immagine 7], che rappresenta una delle scene più violente della Bibbia
e che probabilmente rispecchiò lo stato d'animo che la sconvolse
durante il processo. Il realismo e il drammatico chiaroscuro richiama
le opere precedenti di Rubens e di Caravaggio.



Firenze 1614 - 1620
Il 29 novembre del 1612 Artemisia sposò
un artista fiorentino, Pietro Antonio di Vincenzo Stiattesi. Un
matrimonio che si celebrò un mese dopo la fine del processo. Entrambi
frequentarono l'Accademia del Disegno, dove Artemisia divenne socio
ufficiale nel 1616. Durante il soggiorno fiorentino ebbe il sostegno di
diversi benefattori della città, tra cui la Famiglia Medici e la
Famiglia Buonarroti, dal quale ricevette la commissione di completare
un affresco all'interno della loro residenza. Le opere del periodo
fiorentino le firmò con il soprannome di Lomi. All'Accademia intanto
diventa amica di Galileo Galilei con il quale incomincia una fitta
corrispondenza. Durante il soggiorno in Toscana realizzerà un'altra
versione di Giuditta, dal titolo 'Giuditta e la sua governante'
[Palazzo Pitti, 1612-13 immagine 8], mentre in seguito dipingerà
'L'allegoria dell'inclinazione' [Casa Buonarroti, 1615-16, immagine 6].
L'ultima tela completata a Firenze è 'Giuditta che decapita Oloferne'
[Uffizi, 1618/1620, immagine 9]. E nel 1618 dette alla luce una
bambina.


Genova Venezia e Roma

1620 - 1630

Nel 1620 Orazio Gentileschi partì per Genova per eseguire una nuova
commissione e probabilmente Artemisia lo accompagnò. Qui la ragazza
compone 'Lucrezia' [Palazzo Cattaneo Adorno, 1621] e 'Cleopatra'
[Milano, Collezione Amedeo Morandotti, 1621]. A quel tempo Genova era
una città mercantile di ricchi banchieri e così Artemisia non ebbe
difficoltà a trovare degli acquirenti per le sue opere. E sarà durante
il soggiorno genovese che incontrerà Anthony Van Dick; i due artisti si
conobbero artisticamente ed è abbastanza probabile che si
influenzeranno a vicenda. Artemisia ritorna a Roma nel 1622: lo
testimonia il 'Ritratto del Condottiere', eseguito nel 1622. La donna
rimarrà in città per diversi anni: il suo nome è menzionato nel
censimento del 1624-26. In questo periodo visse a Via del Corso, in
prossimità di Piazza del Popolo, insieme a due domestici e alla figlia,
che in base ad alcuni documenti dovrebbe chiamarsi Prudentia o Palmira.
Non ci sono più tracce del marito: probabilmente si è separata, ed
intanto sta nascendo una nuova figlia, concepita con un Cavaliere
dell'Ordine di Malta, come ci attesta la lettera a lui indirizzata nel
1649.


Il secondo periodo artistico romano di Artemisia coincide con il
pontificato di Urbano VIII° [1623-1644] e con un nuovo orientamento di
stile e di gusti. E' il periodo che Gianlorenzo Bernini sta
trasformando il volto della città e gli interni di San Pietro.
Artemisia lavora su un'altra rappresentazione di Giuditta. La sua
'Giuditta e la domestica con la testa di Oloferne' [Detroit, Institute
of Art, 1625, Immagine 10], è un esempio raffinato dello stile barocco
caravaggesco sul quale Artemisia sta lavorando. Mentre 'Giuseppe e la
moglie di Potiphar' [Fogg Art Museum, Cambridge, Usa, 1622] fu dipinto
sempre durante questo periodo che fu particolarmente produttivo e
gratificante. Una delle opere più conosciute e raffinate fu realizzata
in questi anni: l'Autoritratto dell'allegoria della pittura,
[Collection of Her Majesty the Queen, Kensington Palace, London, 1630,
Immagine 3], nel quale dimostrò la padronanza con la tempera ad olio
disegnando lei stessa mentre sta dipingendo, circondata dagli strumenti
della pittura; un autoritratto abbastanza insolito per i suoi tempi.
L'opera fu acquistata da Re Charles I° d'Inghilterra tra il 1639 e il
1649.



Napoli 1630-38


Dalle documentazioni del tempo sappiamo che Artemisia soggiornò a
Napoli tra l'agosto del 1630 e il novembre del 1637. Una città che in
quei tempi abbondava di lavoro e di committenti in cerca di artisti.
Anche Caravaggio aveva soggiornato a Napoli, aprendo la strada per gli
altri pittori che avrebbero voluto completare le opere della città. Qui
Artemisia nel 1630 incontra Velazquez ed entrambi lavoreranno per la
regina Maria d'Austria. Lo stesso anno Artemisia completa una grande
tela d'altare che ha come tema l'Annunciazione; ed è la prima opera
realizzata all'interno di una chiesa che conosciamo. Fu dipinta per la
chiesa genovese della città, S.Giorgio de' Genovesi mentre la tela
successiva che compose è 'Clio' [1632]




Inghilterra 1638-41

Nel 1638 Artemisia soggiornò a
corte dei Re Charles I° e della regina Henrietta Maria. Charles I° era
un collezionista d'arte e allo stesso tempo committente, ed aveva già
raccolto una sorprendente galleria di capolavori che comprendeva opere
di Tiziano, Raffaello, Mantegna, Correggio, Caravaggio e di altri
artisti del Rinascimento. Artemisia rimase a corte per quasi tre anni
ed in questa circostanza lavorò per la prima volta insieme al padre,
che era arrivato in Inghilterra nel 1626 ed in seguito raggiunto dalla
figlia per aiutarlo a dipingere il soffitto della Queen's House a
Greenwich (ora a Marlborough House, London) che ha come tema
'L'allegoria della Pace e delle Arti sotto la Corona Inglese'
[1638-39]. Orazio Gentileschi morirà il 7 febbraio del 1639. Nel 1642
in Inghilterra scoppiò quel conflitto tra le forze parlamentari e
l'esercito del Re che avrebbe portato alla prima guerra civile inglese.
Artemisia così tra il 1640 e il 1641 tornò a Napoli, dove rimase per il
resto della sua vita.




Napoli 1642-52

Quest'ultimo periodo fu caratterizzato
dal lavoro per conto di Don Antonio Rufo di Sicilia. Artemisia completò
'David e Bathsheba' [Museum of Art, Columbus, Ohio, 1640]. Anche il
quadro che le è stato attribuito 'Lot le sue figlie' (Museum of Art,
Toledo, Ohio, 1640) risale sempre a questa fase. Una delle sue ultime
opere famose è la sua prima eroina femminile, 'Lucrezia' [Museo di
Capodimonte, Napoli, 1642], che è sempre un'opera attribuita; il
soggetto dimostra la passione di Artemisia per l'eroina al femminile,
forte, abile e donna indipendente.


Artemisia Gentileschi morì nel 1653. Nonostante le sue capacità, la sua
reputazione e la sua importanza, su di lei non è stato scritto molto.
Ciò che rimane della sua vita e della sua esperienza artistica sono 34
dipinti e 28 lettere.


In libreria:

'Artemisia', di Alexandra Lapierre
1999,
Mondadori, 511 pp, Euro 8.26.
Scritto dalla figlia del famoso scrittore Dominique Lapierre è
l'indagine completa della vita e delle opere di Artemisia Gentileschi.
Il libro è il risultato di una ricerca durata cinque anni presso le
città in cui ha vissuto la pittrice romana.

http://www.romecity.it/Artemisiagentileschi.htm


 
 
 

Post N° 92

Post n°92 pubblicato il 02 Settembre 2007 da jinny1978
 



Il pensiero di Raffaele Morelli

 
L’anima ha risorse immense, a nostra disposizione. Come insegnavano i filosofi antichi: già Plutarco, duemila anni fa, spiegava come distogliere l’attenzione da noi stessi
e vedere il mondo dal lato giusto. Una strada che toglie nutrimento alla depressione e ci indirizza dritti verso la felicità...

Editoriale di Riza Psicosomatica n. 319, Settembre 2007, in edicola il 1° del mese

Tra le tecniche che uso per spiegare che cos’è la percezione ce n’è una che viene da lontano, che è antica come il mondo, quando impara a vedersi, a guardarsi. Consiste nel portare l’attenzione su una parte del corpo, mentre si prova un sentimento di disagio, un dolore psichico. Concentrarsi sul proprio piede sinistro o su una mano, proprio mentre si soffre, può sembrare un modo superficiale per distrarsi dal dolore, ma in realtà rivela il potere che ha il nostro sguardo, la sua capacità di curarci, di guarirci.

L’occhio dell’anima
L’anima vede? E soprattutto ci vede, ci riconosce? Sa che le apparteniamo? E allora perché ci manda dolori così grandi? Perché questa “sostanza” che ci crea non ha a cuore la nostra felicità? Oppure siamo noi che sbagliamo, che ci ostiniamo? In un caso o nell’altro tra noi e la nostra anima c’è una relazione di scarsa conoscenza: entrambi, io e lei, viviamo come due stranieri, come due estranei, come due che non si conoscono, si ignorano e che spesso nella vita prendono sentieri, vie differenti.

E allora a cosa può servire mai - quando veniamo abbandonati e proviamo un dolore che ci fa soccombere oppure quando veniamo feriti, o quando proviamo un sentimento di estraneità e di esclusione - sentirci sbalzati dalla vita, buttati nell’abisso come fossimo granelli di polvere in balìa del vento?
L’anima ci è nemica? Perché ci punisce così violentemente? Che cosa abbiamo mai fatto per meritarci tristezza, depressione, ansia, insonnia, attacchi di panico?
Durante un gruppo di terapia a Francesca è arrivata la pace, quando la sua attenzione sulla mano destra è diventata così intensa, così diffusa, così persa, così larga, come quando si guarda un panorama, da sentirsi estranea a tutto, anche al dolore della morte del suo compagno. Se cambiamo la percezione l’anima scende in campo e ci aiuta. Se diventiamo estranei a noi stessi, se smettiamo di pensare e di ragionare, se siamo solo occhio che guarda il nostro corpo, arriva puntuale il balsamo che cura, che guarisce… L’anima ha bisogno dei nostri occhi per regalarci la beatitudine, l’estasi, il piacere, il senso della vita. Così ogni volta che qualcuno mi racconta di un dolore che lo devasta, io lo invito a chiudere gli occhi, a sentire il profumo che c’è nella stanza, a percepire l’odore del suo corpo, ad accarezzare la sua mano destra, il suo piede, la sua pancia.

È incredibile osservare che la percezione può spaziare contemporaneamente su più fronti e questo “distrarsi” è la tecnica che l’anima adora più di tutto per disintegrare i dolori che la vita ci porta. Mai, assolutamente mai pensare e ripensare a cosa ci ha fatto star male, mai lamentarsi; invece percepire il dolore e portare l’attenzione su altre parti del corpo. In queste condizioni è facile che chi sperimenta tutto questo scopra nel corpo un punto, una zona, una regione che è esente dal disagio. Portandovi sopra lo sguardo fino a perdersi, arriva la gioia, la felicità del senza tempo. L’anima ci cura, ci dà il suo elisir, quando impariamo a guardare altrove, a dimenticarci di noi.

I filosofi ci salvano
Ho parlato di questi semplici esercizi che chiunque può praticare perché vengono da lontano. Un tempo la filosofia non era come oggi il luogo di dibattiti cerebrali, ma la porta dell’anima, per entrare praticamente nella sua casa.
Sentite cosa scrive Plutarco, più di 2000 anni fa: «Lamentarsi del proprio destino conduce a vedere il mondo come uno specchio che rimanda sempre l’immagine della propria infelicità. È una strada a fondo cieco. Eppure esiste un’alternativa. Come quando siamo abbagliati da una luce intensa e cerchiamo di riposare lo sguardo, fissandolo sulle foglie degli alberi, sui fiori o sull’erba di un prato, così dobbiamo distogliere la nostra attenzione dall’insoddisfazione che impedisce di vedere il nostro essere e dirigerla su ciò che siamo in grado di fare… Bisogna dunque apprendere l’arte di vedere il mondo dal lato giusto».
Il filosofo condensa in poche parole quanto è importante il nostro modo di guardarci dentro per stare bene. Ed è rassicurante sapere che uomini che vengono da lontano, oggi come allora, possono insegnarci le vie dell’autoguarigione, della tranquillità e della gioia di vivere. Così ho chiesto tempo fa a Maurizio Zani di curare una collana che facesse vedere gli insegnamenti pratici, eterni di cui ha bisogno l’anima. Insegnamenti tanto più utili oggi, nel frastuono della vita moderna, dove pensiamo, ragioniamo e siamo lontanissimi dall’essenza, col risultato di stare sempre più male. Zani racconta in questi libri stupendi la via della saggezza pratica: il primo, dedicato a Plutarco, è ricco di consigli che forse molti psichiatri e psicoterapeuti ignorano o hanno dimenticato. Primo tra tutti quello che ci ricorda che «siamo noi i padroni della parte migliore di noi stessi, quella in cui risiedono i beni più grandi». Perché dovremmo stare male se abbiamo tesori che ci abitano? Forse perché non guardiamo nel modo giusto. È rassicurante sapere che le leggi dell’eternità dell’anima sono sempre le stesse, come i fiori che fioriscono ogni primavera, sempre nuovi e immersi nella stessa legge.
     Riza.it

 
 
 

Post N° 91

Post n°91 pubblicato il 02 Settembre 2007 da jinny1978
 

PER LA BELLEZZA ACQUA AROMATICA ALLE ROSE E POLVERI DI SEPPIA

Inviato il Friday, 21 March @ 09:50:35 CET di
redazione
Fitocosmetica
Parlando del Medioevo non si può
prescindere dal rievocare le Crociate. Di ritorno dall'Oriente, i
Cavalieri crociati cominciarono a portare e a diffondere in Europa gli
aromi sensuali degli harem, unitamente alle spezie (per la cucina e
l'esaltazione dei sensi) che a quei tempi erano costosissime. ma già da
allora i profumi, per conservarsi attraenti e per sedurre, erano
numerosi.

Uno era
l'acqua aromatica alle rose, un'essenza molto amata dagli orientali.
Poi c'erano i profumi alla violetta, alla lavanda, al rosmarino e al
fiore d'arancio che si diffusero anche in Italia già dal XIV secolo. I
"grandi" della terra si mostrarono favorevoli ai profumi. Il re Carlo
V, ad esempio, già nel 1365 fece piantare nei giardini del Louvre, a
Parigi, la salvia, l'issòpo, la lavanda, i gigli e le violette affinché
le erbe aromatiche non mancassero mai ai maestri profumieri che da essi
estraevano le piacevoli essenze.



Mentre abbondavano i profumi, l'uso dei cosmetici era molto modesto.
Per conservare la bellezza e sedurre l'uomo la donna, nel Medioevo, non
aveva a disposizione ciò che oggi è in dotazione di tutte le donne del
terzo millennio. Gli sforzi compiuti in particolar modo dalle
castellane si orientarono soprattutto nel mostrarsi in pubblico con una
carnagione bianca e trasparente, limitandosi ad applicare sugli zigomi
un po’ di colore rosa o giallo. Tingevano le guance con polvere di
zafferano. Poiché i profumi e i prodotti cosmetici costavano molto, le
casalinghe preparavano "rimedi" più semplici e meno dispendiosi. Per
eliminare le lentiggini o efelidi dal viso, la casalinga metteva a
bollire l'acqua con alcune radici di levistico (pianta delle
Ombrellifere) cui aggiungeva due chiare d'uovo, lavandosi poi il viso
con quest'acqua.


Per conservare la bellezza del volto,
le donne preparavano un unguento composto di biacca di piombo, bianco
d'uovo sbattuto, grasso di maialino, polveri di seppia e canfora.
Questa polvere rappresentava, per le casalinghe dell'epoca, un prezioso
"belletto" per ravvivare il colorito!
Per combattere ed eliminare
le "rughe", segni della vecchiaia, utilizzavano una pomata a base di
fiori di ninfea (genere di pianta acquatica dalle grandi foglie), fave
e petali di rose. Le donne, nel Medioevo, volevano una fronte molto
spaziosa e per pttenerla depilavano le sopracciglia e l'attaccatura dei
capelli e, per adeguarsi al gusto o alla moda del tempo, coloravano i
capelli con ricette dei maestri profumieri italiani.


Parlando di Medioevo, è d'obbligo
accennare all'istituzione delle Università in tutta Europa (Parigi,
Montpellier, Padova, Bologna, ecc.) dove lo studio della medicina
raggiunse i massimi livelli. Furono proprio le Università ad impedire
ai monaci di esercitare le arti sanitarie fuori dei monasteri, mentre
sappiano che - grazie proprio agli orti o giardini dei Conventi ed
Abbazie veri laboratori di botanica - s'insegnò a conoscere le virtù
delle piante aromatiche sia a scopo curativo (fitoterapia) sia per la
preparazione di cosmetici e profumi.
Furono i monaci a rivelarci i
poteri terapeutici dei "semplici" (piante che contengono principi
attivi capaci di curare le malattie): salvia, aneto, timo, rosmarino,
lavanda si dimostrarono efficaci nel combattere e prevenire le epidemie
o, almeno, il fetore insopportabile che esse causavano in intere città
e villaggi.



La peste, vero flagello dell'epoca, era curata con i più strani
intrugli di parti d'animali, erbe e minerali (uno fra i più noti era
"l'olio di scorpioni"). Per fronteggiare le pestilenze, i medici,
soprattutto in Umbria, si basarono sulla prevenzione, raccomandando
alle donne di cospargere i pavimenti di casa con piante aromatiche, di
lavarli con acqua, aceto e petali di rose di macchia. Le case dovevano
essere asperse con acqua profumata e consigliavano di bruciarvi
rosmarino e bacche di ginepro. Le persone a contatto con gli appestati
avevano l'obbligo di disinfettarsi la bocca e le mani con vino
aromatizzato con pepe, cannella, zenzero, chiodi di garofano e macis.
Intorno al 1370 i medici scoprirono un rimedio sovrano, si diceva, per
sottrarsi non solo alla peste, ad anche a svariate malattie: l'acqua
della regina d'Ungheria, la cui composizione - purtroppo - non è mai
giunta fino a noi.


Per preservarsi dalle epidemie e
curare le malattie uomini e donne, nel Medioevo, inalavano insomma
sostanze aromatiche e vegetali assai costose, contenute in un globo
profumato che tenevano sempre a portata di mano. Il medico Oliviero
dell'Aia, a chi intraprendeva un viaggio, raccomandava: «Chi vuol fare
un lungo viaggio in aria puzzolente, torbida e malsana, deve portare
con sé pomi canditi ad arte (erbe e spezie aromatiche) di buon odore e
aroma, senza i quali mai osi andare a visitar anche malati».


Si dava ai contenitori di profumi la
forma di "globo" perché simboleggiava la vita eterna, la potenza e la
forza. Quanto alla salute, i globi avevano importanti qualità anche
terapeutiche: secondo le credenze di allora favorivano la digestione,
combattevano le malattie degli organi femminili e l'impotenza maschile.
Il corpo del recipiente era traforato per consentire al profumo delle
erbe di esalare meglio ed era ornato di roselline concentriche.


Articolo di Salvatore Pezzella

erbe.it

 
 
 

Post N° 90

Post n°90 pubblicato il 23 Agosto 2007 da jinny1978
 

Effetti
del tè verde sulla salute








Foglie di Camellia Sinensis
" Sollievo in caso di problemi allo stomaco e all'intestino;

" Riduzione del tasso di colesterolo nel sangue;

" Tonificante dei vasi sanguigni;

" Effetti benefici sul cuore e sulla circolazione;

" Efficace contro l'arteriosclerosi;

" Antinfiammatorio;

" Favorisce la normalizzazione della tiroide;

" Stimola l'irrorazione sanguigna e favorisce la rigenerazione
della pelle;

" Aumenta le capacità cerebrali e secondo recenti
studi risulta efficace nella prevenzione dell'Alzheimer;

" Combatte la depressione;

" Aiuta nella guarigione delle malattie epatiche;

" Azione antireumatica (consumo prolungato);

" Combatte la formazione dei calcoli renali e della cistifellea;

" Combatte la carie grazie all'apporto di fluoro;

" Svolge azione preventiva anticancro;

" Diuretico e disintossicante;


"
Antiossidante;

" Ottimo dispensatore di ferro, fluoro.




Tè Verde contro la calvizie (fonte www.calvizie.net)


I numerosi composti polifenolici del The verde possiedono una
notevole attività antiossidante. Le catechine hanno attività
antimutagena e anticancerogena, ed alcuni studi riferiscono all'azione
prottettiva delle catechine l'osservazione che l'incidenza di
tumori è inferiore nelle popolazioni che fanno un uso abbondante
del the.
Alcuni
studi inoltre sostengono che la somministrazione di larghe dosi
di the verde è in grado di migliorare la prognosi di vita
in donne operate per tumore della mammella di stadio I e II


I
tannini (epicatecolo, epigallocatecolo) diminuiscono la colesterolemia
in cavie alimentate con dieta ricca in colesterolo e lipidi, con
un miglior rapporto fra colesterolo “utile” HDL e dannoso
LDL.

Sembra che i polifenoli siano in grado di far aumentare il tasso
di adrenalina, la quale è (fra l’altro) responsabile
dell’incremento della lipolisi, con conseguente consumo di
lipidi (questa la proprietà per cui il te’ verde viene
impiegato nelle terapie dimagranti); l’ effetto di ridurre
i grassi nel sangue sembra dovuto anche alle saponine, che legandosi
al colesterolo contenuto nei cibi gli impedisce di entrare nel
flusso sanguigno. La catechina limita l’attività dell’ace,
enzima che catalizza la formazione dell’angiotensina 2, sostanza
che ha una forte azione ipertensiva. Può quindi risultare
utile a chi è soggetto ipertensione.

La catechina inibisce inoltre la predisposizione alla coagulazione
delle piastrine, con un effetto simile a quello dell’aspirina.
La proprietà ipocolesterolemizzante ipertensiva, antiaggregante
piastrinica fanno del te’ verde un preventivo ai disturbi
cardiocircolatori. Nei roditori il gallato di epigallo-catechina
si è dimostrato efficace nell’inibire lo sviluppo
del cancro provocato dalle nitrosamine, mostrando azione anticancerogena
e antimutagena (secondo Wang et Al., i tannini, i polifenoli e
l’acido tannico interagiscono con il citocroma p-450 microsomiale
epatico del ratto, questa interazione con i sistemi implicati
nell’attivazione dei premutageni e precancerogeni spiegherebbe
le attività osservate), a queste azioni contribuisce anche
l’attività antiossidante svolta dai polifenoli (catechine)
che si è rilevata più efficace di quella svolta
dalla vit e.

I polifenoli sono inibitori della perossidazione lipidica a livello
dei mitocondri, hanno un’azione antiradicali liberi contribuendo
a rallentare la degenerazione cellulare.

I tannini hanno esercitano un’azione antinfiammatoria nei
confronti delle mucose gastro-intestinali, con effetti soprattutto
nelle diarree dove all’effetto antinfiammatorio si aggiunge
quello antibatterico.

Le sostanze amare regolano il flusso biliare e sono utili nei
problemi digestivi e la perdita di appetito il te è alcalino,
neutralizza e combatte l’iperacidità gastrica. Nei
forti consumatori di te’ verde si è notato anche un’azione
protettiva sul fegato. La caffeina ha attivita’ diuretica
e stimolante del snc con effetti più dolci, mitigati dagli
altri principi attivi, e più prolungati nel tempo rispetto
a quelli della sola caffeina. Teobromina e teofillina possiedono
proprietà cardiotoniche, diuretiche e spasmolitiche, ma
la loro concentrazione nel tè è, in genere, bassa.


Thè verde e capelli: come funziona?

Nella terapia della alopecia androgenetica, il thè verde
può rappresentare una valida scelta in quanto può
influenzare il tasso degli ormoni circolanti nel sangue. L'assunzione
di thè verde è stata associata ad un aumento dei
livelli di SHBG (sex hormone binding globulin) e di estradiolo
nelle donne. L'aumento di SHBG può essere d'aiuto nel ridurre
gli effeti della alopecia androgenetica.

I componenti di maggiore interesse farmacologico del The verde
sono i polifenoli e le basi puriniche, rappresentate soprattutto
dalla caffeina (o teina). Tra i numerosi composti polifenolici
(25-35%) prevalgono le catechine (flavanoli), contenute in ragione
del 20-30%. Il più noto e studiato di questi composti è
l'epigallocatechina gallato, uno dei principali componenti della
frazione polifenolica del the verde; altri composti presenti in
percentuali minori sono l'epigallocatechina, l'epicatechina e
l'epicatechina gallato. Sono inoltre presenti flavonoli e flavonglicosidi
(kempferolo, quercetina, miricetina e loro glicosidi) in misura
del 3-4%, e piccole quantità di acidi fenolici, tannini
idrolizzabili, saponine.
I
numerosi composti polifenolici del The verde possiedono una notevole
attività antiossidante. Le catechine hanno attività
antimutagena e anticancerogena, ed alcuni studi riferiscono all'azione
prottettiva delle catechine l'osservazione che l'incidenza di
tumori è inferiore nelle popolazioni che fanno un uso abbondante
del the. Alcuni studi inoltre sostengono che la somministrazione
di larghe dosi di the verde è in grado di migliorare la
prognosi di vita in donne operate per tumore della mammella di
stadio I e II.
Dati
tecnici

Nome botanico: Camelia sinensis L. Kuntze; ing: Green tea)

Parte utilizzata: foglie

Sostanze chimiche contenute: Polifenoli (Epigallocatechina gallato,
Catechina, Flavonoidi, Tannini, Ac. clorogenico), Caffeina, Teobromina,
Teofillina, Saponine, Minerali e Vitamine in bassa percentuale

Effetti dimostrati: Azione antiossidante, astringente, antinfiammatoria
legata all'azione dei polifenoli. Azione antiseborroica per inibizione
della 5alfa-reduttasi

Avvertenze: Non assumere in gravidanza

Note: l'azione del the verde è stata valutata in studi
clinici con estratti secchi titolati e standardizzati in polifenoli
al 95% e saponine esenti da caffeina al dosaggio di 100-200 mg
2-3 volte/die




Fonte: www.calvizie.net


http://www.teatime.it/te_verde-effetti.htm

 
 
 

Post N° 89

Post n°89 pubblicato il 23 Agosto 2007 da jinny1978
 
Tag: SCIENZA


TECNOLOGIA & SCIENZA








Da eredità primitive le preferenze cromatiche. I risultati di una ricerca pubblicata su
Current Biology
Giornate limpide favorivano la caccia per gli uomini, le donne raccoglievano i frutti maturi
Ragazze in rosa, ragazzi in blu
il colore è scritto nei nostri geni
 di ELENA DUSI 












ROMA -
Non è un caso che sia rosa, il fiocco scelto per salutare la nascita di
una bambina. Le donne scelgono infatti d'istinto questo colore, anche
se chiamarlo rosa puro e semplice non sarebbe del tutto preciso. Il
colore preferito da ragazze e signore è un sofisticato
violetto-lilla-lavanda. Si parte dal blu, in assoluto il colore più
amato dal genere umano. Da qui, una biologa inglese dell'università di
Newcastle ha identificato con la massima precisione la tonalità
preferita dalle donne, che contiene una decisa pennellata di rosa.





La spiegazione affonda le radici nella
nostra storia antica, secondo la professoressa Anya Hurlbert, autrice
della ricerca appena pubblicata dalla rivista Current Biology.
"L'evoluzione potrebbe aver condotto le donne ad amare i colori legati
al rosa e al rosso, che segnalano che un frutto è maturo e pronto da
cogliere. Anche un uomo dalle guance colorite è probabilmente in buona
salute". Si candida dunque a essere un valido padre. "La cultura -
prosegue Hurlbert - non ha fatto altro che sfruttare questa
inclinazione naturale" prosegue la ricercatrice. Ed è lungo questo
percorso che il genere femminile è passato dalle mele rosse ai fiocchi
rosa.



 




Lo studio inglese ha coinvolto 171 inglesi fra
20 e 26 anni, messi davanti a un computer e chiamati a scegliere in
tutta fretta fra due rettangoli di colore diverso che comparivano sullo
schermo. Per evitare che le scelte fossero influenzate dalla cultura o
da un retaggio dell'infanzia, lo studio è stato ripetuto anche su 37
cinesi di etnia Han immigrati da poco in Gran Bretagna. In entrambe le
categorie, rispetto al blu di base, le donne hanno dimostrato di
apprezzare una tonalità più tendente al rosa, mentre per gli uomini non
guasta mai un'aggiunta di verde. "Tornando indietro alle nostre
giornate trascorse nella savana - spiega ancora Hurlbert - possiamo ben
giustificare la preferenza maschile per il colore legato alle belle
giornate adatte alla caccia e alle fonti d'acqua fresche e pulite".





L'occhio umano è strutturato per
cogliere prima di tutto il blu, il rosso e il verde. I fotorecettori
della retina incaricati di distinguere le differenti tonalità si
chiamano coni. Quelli specializzati nel percepire il rosso sono i due
terzi e si trovano al centro della retina. La vista del sangue è
decisiva per far scattare la sensazione del pericolo, ed è importante
che questo tipo di segnale arrivi molto velocemente al cervello. In
periferia si trovano i coni specializzati nel blu (appena il 2 per
cento del totale), che in genere dipinge il mare e il cielo, molto
spesso relegati alle estremità periferia del campo visivo.





"Questa composizione della retina era
nota da tempo - spiega Hurlbert - ma non ci aspettavamo una distinzione
così netta fra le preferenze degli uomini e quella delle donne. Eppure,
anche con un test al computer semplice come il nostro, abbiamo avuto
risultati sorprendenti". La tappa successiva degli studi di Newcastle
riguarderà i bambini e servirà a capire se le preferenze di uomini e
donne sono innate (in questo caso i bambini dovrebbero dare gli stessi
risultati degli adulti) o acquisite dall'ambiente che ci circonda. Ma
sul futuro della ricerca inglese pesa l'editoriale del quotidiano
inglese
The Guardian, che ieri scriveva: "L'umanità non ha nulla da guadagnare da una scienza che indaga il colore preferito delle ragazze".

















(23 agosto 2007)

http://www.repubblica.it/2007/08/sezioni/scienza_e_tecnologia/colori-geni/










 
 
 

LA PRINCIPESSA SCOMODA

Post n°88 pubblicato il 23 Agosto 2007 da jinny1978
 


La missiva è stata acquisita nell'inchiesta in corso nel Regno Unito

La principessa la consegnò al maggiordomo: era un'assicurazione sulla vita
Lady D: "Carlo mi voleva uccidere"

Spunta una lettera shock di Diana




BLady D:







LONDRA -
Spunta una lettera ad infittire il mistero sulla morte di Lady D. Una
lettera nella quale la principessa accusa il marito Carlo di volerla
uccidere con un incidente d'auto. Motivo: potersi unire in matrimonio
con l'amante Camilla. La missiva è stata acquisita dall'inchiesta in
corso nel Regno Unito sulle cause della sua morte, avvenuta a Parigi il
31 agosto 1997.






"Questa fase della mia vita - si sfoga Diana nel testo di dieci pagine
scritte dieci mesi prima della tragica fine - è molto pericolosa. Mio
marito sta pianificando un incidente d'auto con la mia macchina, un
guasto ai freni e una ferita mortale alla testa, in modo da sgomberare
la strada per sposarsi di nuovo".

Secondo quanto riporta oggi con
grande risalto il tabloid britannico "Daily Express", la lettera è
"agghiacciante" se si pensa che Diana è deceduta in una disgrazia non
molto diversa da quella da lei descritta. E testimonia la paura
crescente in cui lei, a ragione o a torto, era piombata.






Il documento, mai pubblicato nella sua versione completa, è stato
presentato ieri per la prima volta ad un'udienza preliminare presso
l'Alta Corte di Londra. Finora, era stato sempre ignorato dagli agenti
di Scotland Yard mobilitati per l'inchiesta in quanto non sarebbero mai
emerse prove a supporto di un "complotto" ordito dall'erede al trono o
da qualche altro membro della famiglia reale britannica nei confronti
della 'pecora nera' Diana.











La
lettera sarebbe stata consegnata personalmente dalla principessa all'ex
maggiordomo Paul Burrel come "forma di assicurazione sulla vita". In
seguito alle richieste dell'avvocato Michael Mansfield - ingaggiato da
Mohammed Al Fayed, padre del fidanzato di Diana Dodi, anche lui morto
nell'incidente d'auto a Parigi dieci anni fa - le parole scritte da
Diana verranno, dunque, lette durante l'inchiesta-processo che avrà
formalmente inizio il prossimo 2 ottobre.






Secondo il legale la lettera trovata dagli investigatori non sarebbe
completa. Mancherebbe, infatti, la prima pagina contenente la data e il
nome del destinatario.






Un altro giro di boa nel corso delle indagini è rappresentato dalla
richiesta di comparire in giudizio inoltrata dall'avvocato Mansfield
per il principe Filippo di Edimburgo e per la sua augusta consorte, la
regina Elisabetta. Il presidente dell'Alta Corte Lord Baker ha, però,
rifiutato di ammettere nuove testimonianze al processo, specificando
che "non è appropriato nè necessario chiedere al principe Filippo
spiegazioni su lettere che avrebbe scritto a Diana o interrogare la
regina a proposito degli avvertimenti lanciati al maggiordomo Burrel
circa l'esistenza di forze oscure al lavoro".






Il no del giudice ha fatto infuriare il magnate dei grandi magazzini
Harrods, convinto che il figlio Dodi e la principessa Diana "siano
stati uccisi dai servizi segreti di Sua Maestà su mandato del duca di
Edimburgo perchè Diana aspettava un figlio da Dodi". "Il presidente
dell'Alta Corte non lo ritiene appropriato nè necessario, ma noi sì. E
prima o poi riusciremo ad avere delle risposte. Non abbiamo nessuna
intenzione di gettare la spugna", ha dichiarato il combattivo Al Fayed.
Il principe Filippo ha finora rifiutato qualsiasi forma di
collaborazione con l'inchiesta.








(10 luglio 2007)

http://www.repubblica.it/2007/07/sezioni/spettacoli_e_cultura/diana-lettera-accuse/diana-lettera-accuse/diana-lettera-accuse.html

 
 
 

Post N° 87

Post n°87 pubblicato il 22 Agosto 2007 da jinny1978
 








































Agosto: il fiore di loto, dove abitano le fate delle acque.










In
un tempo lontano ormai più di diecimila, ventimila anni, alla foce del
grande fiume che già da allora attraversava la pianura padana, dai
monti fino al mare, il fiume grande e placido che gli antichi
chiamavano Eridano, e i più recenti abitanti della pianura Po, alla
foce del gran fiume dunque c'era una immensa palude, così grande che
arrivava ad occupare gran parte di quella che adesso è diventata
pianura.
La palude era grande e bellissima, come tutto era bello
nel mattino del mondo. L'acqua era chiara, di un indescrivibile colore
verde-azzurro, là dove spuntavano le leggere canne sottili dei giunchi
a migliaia, docili al vento come enormi ventagli mormoranti di dee
sontuosamente abbigliate. Più scura era invece l'acqua, là dove
affioravano i grandi fiori di loto, gli enormi petali bianco-rosati
posati sull'acqua placida che immobile rifletteva il verde delle canne
e l'oro del sole.

Si diceva che i fiori di loto proteggessero i regni delle fate delle
acque, che si nascondevano proprio sotto le grandi corolle, ma a nessun
essere vivente era dato vederli, e comunque nessuno che si credeva li
avesse visitati era mai tornato per raccontarne.

Perché i regni delle fate possono svelarsi dovunque, all'improvviso,
luminosi di promesse di gioia, e sparire altrettanto improvvisamente,
lasciando un vuoto buio di incolmabile rimpianto. Si può morire di
nostalgia, struggendosi per il desiderio di quel mondo perduto. Si può
impiegare il resto della vita nella ricerca vana di qualcosa che forse
non esiste, immaginata sempre un filo al di là dell'orizzonte, sempre
un pelo sotto la limpida acqua di un lago, alla fine delle dune che si
inseguono in un deserto, appena dopo la svolta di un sentiero nella
foresta, quando già sembra di sentire le risate argentine degli esseri
fatati confuse col canto degli uccelli.

Si, può essere davvero pericoloso, per la quiete della propria anima,
anche solo intravedere il mondo delle fate.

Gli uomini che vivevano nei villaggi sparsi ai limiti della grande
palude sapevano tutto questo, al modo che un tempo gli uomini sapevano
le cose, essendo tra loro in sintonia tutti gli esseri del creato;
affrontavano quindi la grande palude con prudenza e rispetto, e ne
avevano un poco timore, pur ammirandone la variegata bellezza e pur
traendo da essa il proprio sostentamento; si cibavano infatti dei pesci
della palude, e ne cacciavano le molte specie di uccelli: anatre e
folaghe durante l'autunno, ed aironi, e gallinelle d'acqua: con le
canne e coi giunchi, poi, costruivano le loro abitazioni e le barche
con le quali scivolavano sull'acqua quieta, e con gli splendidi
boccioli dei fiori di loto le loro donne si adornavano i capelli.

In uno di questi villaggi viveva una giovane vedova, con un bambino
nato da poco, ed il fratello un poco più giovane di lei, fiero e
indomabile come un guerriero barbaro, invece del povero pescatore che
era. IL giovane amava andarsene per la palude, ed amava anche i rischi
che questo comportava, più che temerli. Con la sua barchetta leggera
scivolava tra i giunchi, tuffandosi proprio là dove erano più folti,
perché aveva sentito raccontare dai vecchi che talvolta, nei ciuffi più
folti, si apriva una porta che conduceva ai regni delle fate.

Infine, un giorno in cui il meriggio sembrava essersi allungato
all'infinito, e la notte non sopravvenire mai, e al giovane gli occhi
bruciavano talmente per il luccichio del sole che non riusciva più a
distinguere la direzione che aveva preso, né riusciva a comprendere
dove era finito, e il sudore colava lungo il suo corpo fino a
trasformarlo in una statua di bronzo e il mondo intero sembrava tacere
in attesa, e non si udivano versi di anitra dall'ombra dei canneti, né
voli striduli di uccelli nel cielo, e tutto era verde, oro ed azzurro,
e silenzio, perché nemmeno la barca faceva rumore mentre scivolava
verso un gruppo più folto degli altri come se la direzione fosse decisa
e inevitabile, il mondo delle fate si spalancò davanti agli occhi del
ragazzo, all'improvviso. Egli comprese subito - sebbene non sapesse
spiegarsene il perché - che il luogo dove si trovava era fatato, e si
avvicinò al centro di quel luogo misterioso, dove, affioranti dalle
acque e quasi sospesi sopra di esse, si trovava un forziere colmo di
monete d'oro, ed accanto dormiva quieta, sdraiata su un comodo divano,
una fanciulla, i lunghi, lisci capelli scintillanti come oro filato e
le labbra piegate da un misterioso sorriso.

Le fate, accorse in gran numero lievi come farfalle, si raccolsero
intorno al giovane con le lucide ali dorate scosse da un fremito
leggero e lo invitarono con le ridenti voci argentine a scegliere uno
dei due doni. IL forziere lo avrebbe ovviamente reso ricco, con la
bellissima giovinetta avrebbe diviso una lunga vita felice di reciproco
amore.

IL giovane esitò, ma solo per poco; pensò alla sorella, alla povera
vita che lei viveva, al bimbo nato da poco e che già conosceva il
dolore, al fatto che di belle donne il mondo era pieno e che, in fondo,
all'amore lui non credeva...... Scelse dunque il forziere e lasciò
senza rimpianti quel mondo incantato.

Da quel giorno, la vita della famigliola cambiò radicalmente, poiché le
monete nel forziere sembravano non finire mai. Per ognuna che se ne
toglieva, un'altra misteriosamente compariva al suo posto. La sorella
era finalmente tranquilla e felice ed il suo bel bambino cresceva forte
e sano. IL fratello però, a mano a mano che il tempo passava, si
interessava sempre meno dell'accumularsi della ricchezza, perché il suo
unico pensiero era l'immagine della bellissima fanciulla che non aveva
svegliato.

La dolce ossessione non lo abbandonò più. Lui passava i suoi giorni
scivolando sull'acqua con la sua barchetta, sempre alla ricerca della
caverna fatata, sempre sperando che al prossimo ciuffo di giunchi, al
prossimo colpo di remo si riaprisse la porta che lo avrebbe condotto
alla bella creatura che lo aveva stregato.

Finì per non tornare neanche più a casa a dormire, si dimenticò di
mangiare e di bere, e infine morì. Lo ritrovarono qualche giorno più
tardi, che sembrava addormentato, con la barchetta impigliata in un
ciuffo di giunchi più folto degli altri e sulle labbra un misterioso
sorriso.

La sorella, che aveva compreso di essere stata in parte la ragione
della scelta che aveva portato alla morte il fratello tanto amato,
volle dare al bambino nato da poco il nome di "Giunchi", in ricordo
della storia dolce-amara che era all'origine della fortuna della
famiglia, che col tempo crebbe sempre più in importanza e ricchezza.

Le fate, però, non dimenticarono di punire la scelta priva d'amore del
giovinetto che le aveva, in un tempo lontano, trovate nella grande
palude e così tutti i primogeniti della famiglia vennero condannati a
non saper riconoscere l'amore, quando lo incontrano, e a vivere senza
conoscerne la felicità.

La grande palude è ormai quasi sparita, col passare dei millenni.

Però una quindicina di chilometri prima di confluire nel Po, il fiume
Mincio forma la distesa lacustre che abbraccia da tre lati la città di
Mantova, e lì si possono trovare, sulla distesa d'acqua placida, ancora
ciuffi di giunchi e di canne che tremolano al vento, e, verso il finire
d'agosto, i fiori di loto che aprono a migliaia le grandi corolle
bianco-rosate. Qualche barchetta si avvicina cauta scivolando
sull'acqua quieta, ma nessuno osa addentrarsi fra la grande distesa dei
fiori sospesi sull'acqua più scura , anche se i rematori sorridono alle
domande indiscrete dei turisti curiosi, se sia vero che là sotto hanno
trovato l'ultimo rifugio i regni delle fate delle acque.








by
Rossana

















 


















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Post N° 86

Post n°86 pubblicato il 22 Agosto 2007 da jinny1978
 






































CASTELLABATE, MAGIE NEL CILENTO
di Flaminia Giurato
Santa
Maria di Castellabate, nella parte meridionale della provincia di
Salerno, è uno dei borghi medievali più belli d’Italia. Ricco di
tradizioni, storia e cultura è situato in una meravigliosa posizione
panoramica tra macchia mediterranea e mare. 

Nella parte meridionale della provincia di Salerno c’è un luogo il cui territorio è interamente compreso nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano: si tratta di Santa Maria di Castellabate,
un borgo che incanta ogni visitatore. La sua storia è avvolta nella
leggenda, in quanto secondo la credenza questa è la terra che vide
nascere il mito di Leucosia, la sirena dal corpo di donna e con la coda di pesce, capace di ammaliare chiunque.



Castellabate è considerato uno dei borghi medievali più belli d’Italia,
ornato da strade e costruzioni ricche di storia, e già la posizione di
per sé sprigiona un fascino unico: è infatti avvolto dalla bella
macchia mediterranea che impreziosisce la Baia di Ogliastro Marina e
l’Isola di Licosa, immerso tra lunghe spiagge dorate alternate ad aspre
rocce, a contendere il primato di padrone assoluto allo splendido mare,
qui venerato quasi come una divinità. 



Il passato glorioso di uno degli angoli più suggestivi del Cilento ha
visto sfilare popolazioni come normanni, bizantini, saraceni, francesi,
spagnoli, oltre che signorotti e feudatari che se lo disputarono nel
corso dei secoli, non solo per la fortezza ma anche per la bellezza
della sua posizione naturale.



Nel borgo marinaro, avvolto dalle atmosfere d’altri tempi che trasudano da ogni mattone, è interessante visitare il suggestivo Museo del Mare,
ospitato a Villa Matarazzo, dove sono visibili importanti reperti
archeologici come le anfore trasportate attorno al I° secolo a.C. da
una nave poi affondata, riportate alla luce nel 1990.



Nel centro storico notevoli sono gli spunti di carattere architettonico, come il bel Castello Medievale ristrutturato, la Basilica Romana, il Museo d’arte sacra,
i numerosi palazzi nobiliari. Tutto da ammirare è anche il porto
greco-romano in San Marco di Castellabate, che non ha perso il suo
fascino seppur rimodernato e restaurato.



Castellabate riserva al cultore dell'arte, allo studioso della natura,
allo sportivo appassionato ed al turista curioso mille opportunità di
escursioni, di conoscenza e di divertimento che vanno ben oltre alle
suggestioni scaturite dal mare e dalle belle spiagge. Non mancano, a
completare il quadro, la cortesia della gente e i gusti della cucina cilentana, che costituiscono altri due ingredienti fondamentali per scegliere Castellabate come luogo ideale per una vacanza.







 

 
 
 
 
 

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