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IMPRENDITORI PLURITITOLATI, SFRUTTATORI DI PROFESSIONE

Post n°2032 pubblicato il 01 Settembre 2019 da kayfakayfa
 

 

marta-fana

È proprio vero, fino a quando una situazione non si vive sulla propria pelle, difficilmente si riuscirà a comprendere lo stato d'animo di chi è invece costretto a viverla, capendone la rabbia e la disperazione.

Da quando ho perso il lavoro a seguito della cessata attività dell'azienda con cui ho lavorato per trentadue anni, la quale era sul mercato da ottant'anni, trovarmi mio malgrado catapultato nel mondo della disoccupazione, per giunta a cinquantacinque anni, dunque a un'età in cui sei giovani per la pensione ma vecchio per il mercato del lavoro, non solo ho iniziato a sperimentare sulla mia pelle quanto sia dura e triste la realtà del disoccupato, ma anche quanti squali si annidino dietro l'angolo pronti ad assumerti alle loro dipendenze in cambio di quattro soldi tanto che, se accettassi le loro offerte, alla fine tra spese di spostamento e pranzo, ci rimetteresti anziché guadagnare anche solo un centesimo in più di quel che spenderesti per recarti a lavoro ogni mattina.

Quello che fa più rabbia è  che spesso questi squali sono stimatissimi professionisti che si fregiano sulle pareti dei loro studi e uffici di titoli accademici e attestati di partecipazione a master bocconiani per testimoniare il valore della loro professionalità. In alcuni casi mi è capitato addirittura di imbattermi in frasi tratte dalla Repubblica di Platone, scritte su carta pergamenata e in grassetto, inneggianti all'onestà e al rispetto del prossimo, appese in cornice di spalle alla scrivania dello stimabile professionista...

Tale presunta professionalità attestata dai titoli, va in assoluto conflitto con il loro modo di intendere la gestione del personale, tesa allo sfruttamento fino all'osso dell'individuo per una paga oraria che in molti casi è la metà del minimo sindacale, 7/8 € previsti per una colf. Dove, se ti va bene, ti si chiede di lavorare per 10/12 ore al giorno, incluso il sabato e a volte perfino la domenica senza percepire un euro in più.

Ad accrescere la rabbia è che questa situazione di sfruttamento, spesso rasentante il caporalato, non riguarda solo le persone della mia età, e se anche riguardasse solo loro non sarebbe comunque giustificabile!, ma prima di tutto i giovani, a prescindere se hanno o meno un titolo di studio. Anzi, paradossalmente, ascoltando i racconti di tanti ragazzi alla ricerca di un lavoro, pare che in molti casi il titolo di studio li penalizzi. È come se il diploma o la laurea certificassero non la capacità dell'individuo ma la sua dabbenaggine!

Sì, dispiace dirlo, tuttora, almeno a Napoli, e quindi credo valga un po' per tutto il mezzogiorno, molti pseudo "imprenditori" - con tutto il rispetto per gli imprenditori veri che per fortuna esistono anche a Napoli e nel sud Italia - a un diplomato o a un laureato, preferiscono assumere chi ha la terza media, con tutto il rispetto per chi ha questo titolo di studio, in quanto, nella loro visione distorta del lavoro inteso come sfruttamento della persona, temono, probabilmente a giusta ragione, che un diplomato, un laureato o chi abbia un minimo di cultura non sottostaranno mai ai loro ricatti; creandogli problemi con la legge nel momento in cui si azzardassero a fare loro una proposta "oscena" del tipo, "ti faccio firmare la busta paga per 1200 €, ma materialmente te ne do 700/800€."

In alcuni casi sembra che vi sia chi, oltre a far firmare la busta paga per un importo di tutto rispetto, la cifra indicata sullo statino paga  la versi realmente sul conto corrente del dipendente previo tacito accordo che, non appena avverrà il bonifico, il lavoratore preleverà 500 € e glieli ritornerà anero.

Ciò comporta che il lavoratore pagherà più tasse, pur percependo meno di quanto risulti al fisco. Viceversa il datore di lavoro pagherà meno tasse in quanto incasserà a nero parte di quello che avrebbe dovuto realmente versare al dipendete come ufficialmente risulta dai movimenti bancari.

Quando ascolti simili narrazioni, la rabbia ti coglie nel profondo dell'anima. Aumentando quando, nel momento in cui inviti a ribellarsi le presunte vittime  dallo sfruttamento e dal ricatto denunciando i responsabili , ti senti rispondere con rassegnazione, "Non servirebbe a niente. Se ti rifiuti, alle tue spalle c'è una fila di gente pronta a lavorare per molto meno. E poi, se lo facessi, il mio nome girerebbe nell'ambiente e nessun altro mi prenderebbe a lavorare perché sarei marchiato come chi crea rogne!"

È a questo punto che ti rendi conto che la causa del disastro occupazionale nel sud non dipende solo dalla criminalità, dallo sfruttamento e dal clientelismo, ma prima di tutto da una forma di cultura dove vige il mors tua vita mea, per cui la solidarietà tra i lavoratori e i disoccupati va a farsi benedire in cambio di un tozzo di pane.

La rabbia aumenta ulteriormente quando ascolti chi, seppure tenendosi sul vago, ti fa capire che spesso queste situazioni di squilibrio a sfavore dei dipendenti trovano la complicità di chi dovrebbe combatterle, tutelando i dipendenti. Per sentito dire, sembra ci sarebbero, il condizionale è d'obbligo, pubblici ufficiali deputati ai controlli aziendali per la tutela dei lavoratori che sarebbero disposti a chiudere entrambi gli occhi sulle presunte irregolarità aziendali, soprattutto quelle riguardanti la sicurezza sul lavoro e l'igiene, vendendosi ai titolari delle aziende per pochi spiccioli o in cambio di un oggetto trattato da quella azienda e di cui hanno bisogno loro o un proprio famigliare. Altre voci di corridoio racconterebbero addirittura di sindacalisti che andrebbero a braccetto con il padrone, danneggiando i lavoratori anziché tutelarne gli interessi...

Quando hai la sensazione di trovarti al cospetto di simili realtà, o ascolti storie del genere, ti rendi conto che le speranze di crescita per le popolazioni del sud Italia sono ridotte al lumicino. A quel punto, malgrado l'età avanzata ti suggerirebbe di cercare un lavoro nella tua città o al massimo nella tua regione, decidi di metterti in gioco e di trovare lavoro fuori regione, ovviamente da Roma a salire. Chissà perché pare che superato il Garigliano la dignità dell'individuo e del lavoratore sarebbero improvvisamente rispettate.

La conferma ti verrebbe da chi lavora al sud con aziende che hanno sedi sparse nel centro Italia. A loro dire, nelle altre sedi gli stipendi sarebbero adeguati ai contratti di lavoro e gli straordinari verrebbero pagati fino all'ultimo soldo senza alcuna difficoltà. Nel momento in cui quelle stesse aziende si spostano al sud, dimenticherebbero i propri doveri verso i dipendenti, adeguandosi all'andazzo del mercato del lavoro nel sud Italia dove, a parte casi sporadici, lo sfruttamento e l'oppressione del lavoratore la fanno da padrone.

E pensare che c'è chi sostiene che la questione meridionale è archiviata da tempo...

 
 
 
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