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L'amore ha il potere di fissare il passato in eterno presente.... Questa frase, annotata su un quaderno all'inizio del romanzo, è il tema conduttore della storia d'amore tra il giovane Kayfa e Miryam, donna matura e d'esperienza, che lo inizierà alle gioie e alle sofferenze dell'amore. Immersi in uno scenario da favola, facendosi scudo di una barriera di bugie e verità che metterà a rischio i loro affetti più cari, i protagonisti vivranno la loro passione senza freni con la complicità del mare e dell'intimità della casa di lei. Fondamentale la figura di Omar, pescatore egiziano con un intenso vissuto alle spalle, che attraverso la propria esperienza aiuterà Kayfa a districarsi nei meandri della mente e del cuore per avviarsi sul proprio cammino esistenziale.
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In un qualsiasi paese normale la diffusione negli atti processuali di un dialogo intercettato in carcere tra un boss della mafia e un camorrista in cui il boss lascerebbe intendere che dietro a une serie di stragi che agli inizi degli anni novanta insanguinarono il paese ci sarebbe un noto imprenditore televisivo che all’epoca si apprestava a scendere in politica dopo aver fondato un proprio partito; il quale, nell’arco degli ultimi venticinque anni, per ben cinque volte ha ricoperto l’incarico di Presidente del Consiglio, e che oggi, pur non essendo più il suo un partito di maggioranza parlamentare ed essendo egli stesso interdetto dai pubblici uffici per via di una condanna in definitiva per reati economici contro quello stesso Stato che ha rappresentato, grazie al leader del primo partito del paese che lo ha scelto come interlocutore privilegiato per riformare la Costituzione e la legge elettorale, continua a ricoprire un ruolo fondamentale sulla scena politica nazionale, c’è da scommettere che i media darebbero ampio risalto alla notizia, con tutte le precauzioni necessarie.
Stiamo ovviamente parlando dei dialoghi intercettati dalla DIA nel carcere di Ascoli Apiceno, tra gennaio e marzo 2016, tra il boss mafioso Giuseppe Graviano e il trafficante campano Umberto Adinolfi in cui il boss lascerebbe intendere che le stragi del 93 non furono stragi di mafia, seppure a realizzarle materialmente furono gli uomini di cosa nostra, bensì si trattò di un “favore” chiesto da un famoso imprenditore televisivo in procinto di scendere in politica per spianarsi la strada.
Accuse forti, rigettate dal legale di Berlusconi, Niccolo Ghedini, per il quale si tratterebbe di “accuse infamanti”, frasi decontestualizzate lasciate alla libera interpretazione di chi le legge o le ascolta, smentendo gli incontri dell’epoca a Roma tra Graviano e Berlusconi, cui il boss, sempre nelle intercettazioni, fa riferimento.
Non è questa la prima volta che il nome di Berlusconi incrocia quello di un mafioso. Eclatante fu il caso del boss Vittorio Mangano assunto a Arcore come stalliere il quale, stando a quanto affermato in videoconferenza dal pentito di mafia Gaetano Grado, “portava fiumi di miliardi da Palermo a Milano. Erano soldi del traffico di droga di cosa nostra che Mangano consegnava a Marcello Dell’Utri, poi Dell’Utri li consegnava a Berlusconi che li investiva nelle sue società, mi pare anche per Milano due”.
Probabile motivo per cui in passato, in più di un’occasione, Umberto Bossi, leader storico della Lega, non si fece scrupoli a associare Berlusconi alla mafia. In un’occasione addirittura lo definì “il mafioso d’Arcore”.
Né ci si dimentichi che Marcello Dell’Utri , cofondatore di Forza Italia, in carcere perché condannato in definitiva a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa; né di Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’economia del secondo governo Berlusconi nonché coordinatore del Popolo delle Libertà in Campania, oggi agli arresti per tutta una serie di reati tra cui concorso esterno in associazione camorristica. Considerato dai magistrati il referente politico al governo dei casalesi.
Tralasciando l’attualea vicenda di un altro politico di FI, in questi giorni sotto i riflettori dei magistrati – Luigi Cesaro, i cui fratelli Aniello e Raffaele sono stati arrestati con l’accusa di aver stretto un patto con un clan camorristico per orientare l’aggiudicazione di appalti con intimidazioni, mentre lo stesso Cesaro è indagato per minacce a pubblico ufficiale sempre nell’ambito della stessa inchiesta che ha portato all’arresto dei fratelli – è evidente che la gravità delle accuse risultanti dalle intercettazioni di Graviano meriterebbe ampio risalto e approfondimento. E invece sulle prime pagine dei giornali e in televisione non si fa che evidenziare lo scontro tra Pd e M5S sulla legge elettorale, relegando a contorno una notizia del genere che in qualunque altro paese normale avrebbe avuto cassa di risonanza senza pari.
Nessuno, o quasi, che chieda, seppure timidamente, a Renzi se non provi imbarazzo a dialogare con Berlusconi, dopo quanto sta venendo alla luce dagli atti processuali.
Tutti, o quasi, a lanciare anatemi sull’inaffidabilità dei cinque stelle, senza fare il minimo accenno alle intercettazioni di Graviano.
È vero che le parole di Graviano non vanno prese alla lettera, che bisogna considerarle nel contesto generale in cui furono pronunciate, valutarne l’effettiva attendibilità, (magari il boss, immaginando di essere intercettato o allertato da qualcuno di esserlo, le pronunciò volutamente o fu invitato a pronunciarle per inguaiare Berlusconi).
Ma fino a quando tutto ciò non verrà chiarito, a beneficio del leader del centrodestra e del paese intero, sarebbe forse il caso che l’ex cavaliere fosse tenuto fuori dalle trattative per la legge elettorale e per le riforme.
Prima ancora di essere garantista, uno Stato di diritto deve tutelare dal dubbio se stesso e i cittadini!
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LEONARDO DA VINCI
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