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L'amore ha il potere di fissare il passato in eterno presente.... Questa frase, annotata su un quaderno all'inizio del romanzo, è il tema conduttore della storia d'amore tra il giovane Kayfa e Miryam, donna matura e d'esperienza, che lo inizierà alle gioie e alle sofferenze dell'amore. Immersi in uno scenario da favola, facendosi scudo di una barriera di bugie e verità che metterà a rischio i loro affetti più cari, i protagonisti vivranno la loro passione senza freni con la complicità del mare e dell'intimità della casa di lei. Fondamentale la figura di Omar, pescatore egiziano con un intenso vissuto alle spalle, che attraverso la propria esperienza aiuterà Kayfa a districarsi nei meandri della mente e del cuore per avviarsi sul proprio cammino esistenziale.
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Attraverso il parabrezza, noto che il cancello che immette al centro di recupero è aperto; all’esterno non ci sono auto parcheggiate. Vuoi vedere che hanno ripristinato l’accesso alle vetture, penso speranzoso. Parcheggio a ridosso del cancello e a piedi varco l’ingresso. Raggiungo la portineria, l’uomo in divisa fermo sulla soglia mi osserva circospetto. Quando mi presento e spiego il motivo della mia presenza, l’altro seduto alle sue spalle si alza dalla sedia. Sarà lui a farmi compagnia durante le due ore di laboratorio con le ragazze del centro. Mi domanda se sono a piedi. Rispondo che sono in macchina ma l’ho parcheggiata fuori perché i veicoli non possono salire. Sorridendo, il vigilante mi dà la bella notizia che l’accesso è stato ripristinato. Il mio tutuore fissa l’orologio al polso, mi fa notare che sono in notevole anticipo. Per forza, mi giustifico, sapendo che me la sarei fatta a piedi, mi sono avviato prima. Sorridono. Ci diamo appuntamento a dopo. Raggiungo l’auto, entro nell’abitacolo e avvio il motore; superata la sbarra che lentamente si leva su di me, ingrano la prima e mi inerpico sulla salita. Man mano che avanzo, notando con quanta fatica l’auto procede sulla strada, mi chiedo come abbia fatto la settimana scorsa a farmela a piedi. Una figura lunga e grigia è ferma sull’asfalto. Il mio spirito romantico mi induce a pensare che si tratti di uno scoiattolo: è solo un topo ben nutrito che schizza via al mio passaggio !
Parcheggio l’auto nell’area riservata. L’orologio sul cruscotto segna che manca quasi mezz’ora all’inizio dell’incontro. Scendo dalla macchina. Il cielo grigio mitiga il caldo che anche oggi è insopportabile, qualche timida gocciolina di pioggia mi si posa sul viso. Mi seggo sul bordo di un muretto. Apro la ventiquattrore: tiro fuori l’agenda e IL GABBIANO JONATHAN LIVINGSTONE di Bach, di cui ho fotocopiato l’inizio da distribuire alle ragazze per leggerlo insieme. Quel romanzo ha segnato la mia giovinezza: l’avrò letto infinite volte, e sempre, ancora oggi che sono un uomo cosiddetto maturo, la sua lettura mi suscita emozioni e profonde riflessioni sul senso della vita e su quanto importante sia per ognuno di noi essere se stesso, credere nelle proprie idee ad ogni costo, anche a rischio di ritrovarsi solo. Mentre leggo, il cinguettio degli uccelli e il frinire delle cicale intonano una dolce melodia che fa da colonna sonora, rasserenandomi l’animo nemmeno fossi in un eremo camoldolese. Istintivamente mi guardo intorno. Osservando la folta vegetazione in cui sono immerso e pensando al contesto che vi sorge, mi rendo conto di quale ossimoro l’uomo sia stato capace di creare lì. Chissà se tutto questo non sia frutto della speranza, se non addirittura della certezza, che la benevolenza di madre natura abbia il potere di estirpare dall’animo degli uomini il seme del male, sanando le ferite dell’anima in maniera dolce, come una mamma che addormenta il proprio figlio sussurrandogli lievemente la ninna nanna mentre lo accarezza con amore...
Mancano cinque minuti all’ora stabilita. Mi incammino verso la palazzina. In lontananza giunge in rumore di un auto, è il mio “compagno” che sta arrivando. La vigilante ci apre il cancello. Sarà lei che mi affiancherà mentre l'uomo la sostituirà all'ingresso. Non appena mi vedono, le ragazze mi salutano con simpatia. Le loro voci si sovrappongono per spiegarmi che in settimana non hanno scritto nulla, se non le lettere ai familiari. Anche se mi era stato riferito il contrario, faccio loro sapere che scrivere deve essere un piacere e non un obbligo. E poi hanno scritto ai loro cari, e questo è molto importante. Rispetto al primo incontro, nessuna di loro lascia trasparire una punta di risentimento verso di me. Con uno stratagemma che spesso utilizzo con i ragazzi in libreria o a scuola, fingendo d’inventarmi di sana pianta un gioco con le parole, riesco ad alimentare una conversazione cui tutte prendono parte, anche la vigilante. Discutiamo per quasi un’ora. Quando decido di interrompere per leggere le fotocopie, tutte vorrebbero continuare il gioco. Spiego loro che quello era il pretesto affinché tutte partecipassero all’incontro, anche le più restie. Quindi distribuisco le fotocopie e inizio a leggere. Per vedere se le ragazze davvero mi seguono nella lettura, mi interrompo chiedendo alla rumena di continuare. Senza intoppi prosegue il periodo, così come le altre quando sono invitate a farlo. Anche se per alcune di loro leggere è uno sforzo immane, mi sorprendo con piacere di quanto si impegnino. Anche questa volta a scrivere il raccontino finale saranno le solite tre. Non importa, in questo contesto scrivere è secondario, parlare prioritario!
Quando esco dalla sala, l’uomo che mi aveva accompagnata dà credito alle mie convinzioni sul valore della conversazione instaurata con le ragazze. Ha ascoltato quello di cui discutevamo, lo ha trovato molto bello! I suoi complimenti sono una valida sprone a continuare su quella strada. In certi casi privilegiare la parola orale a quella scritta è fondamentale perché non si creino punti di rottura. Parlare è naturale, scrivere è una conquista faticosa. Meglio lasciare che la natura faccia il suo corso, per scrivere ci sarà tempo.
Alla prossima
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