Non è per distinguermi o per sfuggire alla scelta. E’ una questione di principio. Da quando ho la capacità di pensiero e di espressione, il dilemma mi si ripresenta. A volte per gioco, altre perché sollecitato (ultima occasione, la vergognosa pubblicità della Rai sui dialetti, sic), altre ancora per disperazione. Il fatto è che non vorrei compiere una scelta, che pure mi è imposta.
Il problema principale riguarda la lingua friulana: è veramente tale, come sostengono tutti linguisti del mondo, esclusi gli italiani? O è un dialetto, da dimenticare e da sacrificare sull’altare della patria? La contrapposizione è uguale a se stessa da troppo tempo, da quando, 154 anni fa, il Friuli diventò parte del Regno.
Ciò che contesto è proprio la contrapposizione. Il fatto di avere una lingua madre diversa da quella ufficiale è un problema qui in Italia. Ma non lo è in Svizzera. Non lo è nel Regno unito. Non lo è, almeno in parte, nemmeno in Spagna. Perché?
La risposta, credo, si nasconda dietro allo stesso processo che ha portato all’Unità nazionale. Allora la nazione (una lingua, una patria) nacque in contrapposizione con l’Impero, che di nazionalità proprio non ne voleva sentir parlare. Anzi, se leggiamo le pagine dell’Uomo senza qualità di Musil, ci si rende conto di come nella logica imperiale le differenze non erano un problema, ma una ricchezza. Qui, peraltro, i friulani vengono definiti popolo a se stante e non italiani, come i veneti o i lombardi. Il fatto è che, in uno Stato che deve tenere assieme decine di etnie (i manuali militari erano redatti in tutte le lingue dei popoli sudditi), lo scontro va evitato. L’incontro, invece, promosso.
Le logiche dello Stato nazionale sono l’esatto opposto: si include chi fa parte dell’etnia e si esclude il resto. Salvo, poi, passare sopra a tale principio nel caso dell’Alto Adige. Che, giustamente, non ha in questi giorni nulla da festeggiare.
Il bello è che da 10 anni a questa parte, le logiche che avevano governato l’Impero si sono imposte nuovamente. A riportarle alla luce è stata l’Ue che, peraltro, include il friulano tra le lingue minoritarie (l’Italia ha tenuto duro 140 anni prima di capitolare). In Europa mi sento fratello non solo degli italiani, ma anche dei tedeschi, dei francesi, dei polacchi. Mi sento tale perché so che loro ascoltano me, uomo di madrelingua friulana che ha imparato l’italiano sui banchi di scuola, come io ascolto loro. Con rispetto e voglia d’imparare. In Italia, se si escludono i popoli che hanno problemi simili, come i sardi, vengo guardato come un nemico. Come uno che non vuole essere italiano.
La questione, insomma, va posta in maniera diversa rispetto al dilemma iniziale: io mi sento italiano fintanto che posso sentirmi friulano senza vergogna. Se non mi si riconosce, se mi si vuole buttare dentro al calderone, allora non posso sentirmi italiano. Per questo mi sento profondamente europeo.
Inviato da: maximus260
il 08/09/2020 alle 08:18
Inviato da: labora17554
il 10/08/2018 alle 22:53
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il 10/08/2018 alle 22:52
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il 21/03/2017 alle 16:14
Inviato da: diletta.castelli
il 23/10/2016 alle 14:21